FRANCIA
(franc. France)
Ridotta a espressione geografica, la F., per la sua forma, è l'Hexagone, come l'Italia è lo Stivale. A dare un nome proprio a questa figura geometrica provvidero i Romani. Avevano chiamato Galli i Celti stabilitisi nell'Italia settentrionale a partire dal sec. 4° a.C., ritenendo che avessero a che fare con il gallo. Risoltisi a eliminare quella che si era rivelata un'insidia mortale, occuparono la Padania nel 222 a.C.; dal nome degli ex occupanti la chiamarono Gallia, più tardi Cisalpina, per distinguere questa provincia dalla nuova, creata nel 120 a.C. al di là delle Alpi occidentali, sempre in territorio celtico: la Gallia Transalpina, che si estendeva verso N fino alla confluenza della Saona nel Rodano, dove sarebbe sorta Lione, e comprendeva le coste mediterranee dell'Hexagone. Ma dopo che Cesare ebbe assoggettato a Roma il resto di esso, l'aggettivo Transalpina passò a indicare l'insieme, mentre la ex Transalpina diventava la Narbonese, dal nome della sua capitale. Attestandosi sulla riva sinistra del Reno, sempre Cesare decise che esso fosse la frontiera fra la Gallia e la Germania, due entità fino allora inesistenti.Il nome Gallia sarebbe sopravvissuto alla dominazione romana (e poi alla conquista franca), in prevalenza come nozione geografica indicante il territorio fra i Pirenei e il Reno. Solo in ambito ecclesiastico sarebbe stato usato anche in documenti ufficiali (atti di concili, lettere papali, ecc.), ma al plurale: la 'Chiesa delle Gallie'.Con la conquista romana, e il conseguente delinearsi di un'area gallica, cessò l'andirivieni da e verso l'Hexagone di popolazioni celtiche, molte delle quali rimasero oltre il Reno. Parallelamente, all'interno della Gallia, le diverse tribù celtiche, fino allora mobili, fissarono la propria dimora, dando vita alle civitates, ovverosia raggruppamenti di più tribù intorno a una città, che ne era il centro. Questo processo di territorializzazione delle appartenenze etniche ebbe conseguenze rilevanti sulla toponomastica di regioni e subregioni della Gallia, e poi della Francia. È lo strato più antico di regioni storiche, che nel Medioevo e nei primi secoli dell'età moderna corrisposero a circoscrizioni feudali e/o territoriali (contee, marche, ducati, ecc.) e da cui prendono nome in gran parte anche le od. regioni, mentre i dip. hanno di norma denominazioni di origine geografica, per lo più di fiumi.Ai Belgi, che nel sec. 3° a.C. erano venuti a stabilirsi nel territorio a N dei corsi della Senna e della Marna, appartenevano gli Atrebates, che diedero il nome all'Artois. A S-O del territorio dei Belgi, i Cenomani diedero il nome al Maine, gli Andecavi all'Angiò e, a S della Loira, i Turoni alla Turenna, i Pictones, poi Pictavii, al Poitou, e gli Arverni all'Alvernia. Poitou e Alvernia sono regioni amministrative, come anche la Provenza, che, primogenita delle province romane nell'Hexagone come Transalpina e poi Narbonese, ostentò questa sua prerogativa mediante la trasformazione del nome comune provincia in nome proprio; e l'Aquitania, che, abitata appunto dagli Aquitani, fu, accanto alla Celtica e alla Belgica, una delle 'tre parti' - quella delimitata dalla Garonna, dai Pirenei e dall'Oceano - in cui, secondo Cesare (De bello Gallico, I, 1), si divideva la Gallia ancora da conquistare.Fra sec. 3° e 4°, furono invece poste le lontane premesse del dualismo fra F. settentrionale e Midi, secondo una linea di demarcazione che segue la Loira fino all'Alvernia, risale verso N-E raggiungendo il lago Lemano e di qui discende verso la cresta delle Alpi, a S-E. Con la riforma di Diocleziano, la Gallia era diventata parte di una delle quattro nuove 'prefetture al pretorio', comprendente anche Spagna e Britannia, con capitale prima Treviri, poi Arles. Due delle quattro 'diocesi', in cui la 'prefettura delle Gallie' fu ripartita, vennero ritagliate nel territorio della Gallia propriamente detta, secondo la linea di demarcazione suindicata. Sono la diocesi delle Gallie (sempre al plurale, ma questa volta in senso stretto), anche con capitale Treviri, e la 'diocesi delle sette province', con capitale Vienne. All'interno di questa, le conseguenze della precoce romanizzazione e latinizzazione della ex Transalpina, poi Narbonese, in seguito suddivisa in Narbonese Prima (capitale Narbona), Narbonese Seconda (Aix) e Viennese (Vienne), si estesero all'Aquitania - anch'essa ripartita in tre province: Aquitania Prima (Bourges), Aquitania Seconda (Bordeaux), Novempopulonia 'paese dei nove popoli' (Eauze) -, con effetti evidenti sul piano linguistico: fu, dalle Alpi all'Atlantico, la F. della lingua d'oc (da cui Linguadoca, come venne chiamata la Narbonese Prima) rispetto alla F. della lingua d'oïl, dove il latino ebbe una trasformazione molto più radicale. Solo nel 1271, dopo che la diffusione massiva dell'eresia catara ebbe creato un ulteriore motivo di divisione ma anche dato occasione alla crociata di conquista regia, la Linguadoca (contea di Tolosa), attualmente anche regione amministrativa, fu definitivamente incorporata nel regno di F., senza perdere per questo la sua identità linguistico-culturale. Per la Provenza, di cui si impossessò per via di matrimonio, nel 1245, il ramo cadetto degli Angioini, si dovette attendere il 1486. E Nizza (nella provincia romana delle Alpi Marittime) e la Savoia divennero francesi solo nel 1860.Durante la crisi del sec. 3°, due raggruppamenti di popolazioni germaniche avevano attaccato il limes renano: gli Alamanni ('tutti gli uomini'), una lega di Svevi, dai quali sarebbe derivato il nuovo nome della Germania, Alamannia, mentre la regione sudoccidentale di quel paese da Alamannia che era sarebbe diventata Svevia, e, più a N, i Franchi ('liberi': si intende, dall'incombente dominazione romana), che erano una lega di popoli o tribù attestati sulla riva destra del Reno inferiore. Sono essi che avrebbero dato, prima a una parte poi all'intero Hexagone, il suo nuovo nome, che soppiantò quello romano di Gallia.Nel sec. 5°, i Burgundi, altro popolo germanico, avevano ottenuto l'autorizzazione a installarsi sulla riva sinistra del Reno, presso Worms, a difesa dell'Impero. Ma il generale romano Ezio, nel 443, li costrinse a trasferirsi in Sapaudia (Savoia). Qui avrebbero dato vita a un regno che durò fino al 532/534, quando fu annesso al regnum Francorum dai figli di Clodoveo.Il toponimo Borgogna perpetua tuttora, come nome di una regione, il ricordo della dominazione burgunda. Lungo i secoli del Medioevo, ha contraddistinto nella titolatura ufficiale entità politico-territoriali di diversa natura (sottoregno, regno, ducato). Esse risultano rapportabili a territori variamente configurati, estendentisi in misura talvolta molto rilevante sia a O, sia a N, sia a S dello spazio in cui si era consumata la vicenda del regno burgundo, e coincidenti comunque solo in parte con l'od. Borgogna.Sempre nel sec. 5°, l'invasione della Britannia romana da parte di Sassoni e di Angli (440-460) provocò un flusso di profughi di stirpe celtica verso il continente, e precisamente in direzione dell'estremità nordoccidentale dell'Hexagone: la penisola armoricana. Dai profughi britanni prese il nome di Bretagna. Contea franca e poi, con Ludovico il Pio, ducato, la Bretagna difese con fermezza la propria autonomia nei confronti sia del regno franco sia, in seguito, del confinante ducato di Normandia e del regno di F., nel quale fu incorporata definitivamente nel 1532.Due popoli, entrambi germanici, lottarono per l'egemonia in Gallia fra la fine del sec. 5° e l'inizio del successivo: i Franchi e i Visigoti. I primi, divisi nei due regni dei Salii e dei Renani (poi Ripuari), occupavano un territorio che si estendeva dalle foci della Loira ben oltre il Reno; i secondi, dopo vari spostamenti fra Gallia meridionale e Spagna, occupavano gran parte di questa e, a N dei Pirenei, le due Aquitanie e le due Narbonesi, con capitale Tolosa. A decidere lo scontro fu il re dei Franchi Salii, Clodoveo, che sconfisse a Vouillé (507) i Visigoti ed estese i confini del suo regno fino alla Garonna, impadronendosi anche di Tolosa. Ma la maggior parte della Narbonese Prima, che nel sec. 7° prese il nome di Septimania (forse 'sette città'), rimase visigota fino all'inizio dell'8° secolo. Occupata nel 719 dai Berberi islamizzati che avevano invaso la Spagna, fu poi conquistata dai Franchi nel 759. Congiuntamente ai territori franchi ultrapirenaici avrebbe preso in seguito il nome di Gothia, scomparso anch'esso senza lasciare traccia.A S della Garonna, e fino ai Pirenei, l'Aquitania di Cesare era diventata nel sec. 2°-3° la Novempopulonia, dopo che il suo nome originario era passato a designare l'intero territorio fra la Loira e i Pirenei. Ma, abbandonato anche questo nuovo nome, a partire dal sec. 7° finì con il chiamarsi Guascogna, dal nome dei suoi abitanti, che erano Baschi cispirenaici.Dai Franchi, ormai padroni di quasi tutta la Gallia ex romana, presero nome, con i successori di Clodoveo, il regnum Francorum e la F. o, meglio, una prima F., limitata per ora al territorio fra Senna e Loira chiamato anche Neustria. Si riteneva infatti che fosse abitato da soli Franchi, essendosi i Romani rifugiati nel territorio a S della Loira, i cui abitanti venivano chiamati Romani (o Aquitani).A E della Bretagna, la Normandia è un'altra regione storica, attualmente ripartita in due (Alta e Bassa Normandia). Conserva il ricordo degli incursori provenienti dalla penisola scandinava, gli uomini del Nord, che, insieme agli Ungari e ai Saraceni delle fonti coeve, furono i protagonisti, fra sec. 9° e 10°, della seconda, e ultima, ondata di invasioni che si abbatté sull'Europa occidentale ex romana. I Normanni, guidati da Rollone, che nel 911 si erano stabiliti con il consenso di Carlo III il Semplice, re del regno franco occidentale, nella penisola del Cotentin, dal ducato cui avevano dato vita - un feudo del regno medesimo - mossero nel 1066 alla conquista della Gran Bretagna anglosassone. Vi fondarono un regno, con conseguenze di enorme portata anche per il regno di qua della Manica, all'interno del quale era stato ritagliato quel loro primo dominio. Bastò infatti che, nel 1154, salisse sul trono inglese Enrico II, che dal padre Goffredo Plantageneto aveva ottenuto il ducato di Normandia ed ereditato l'Angiò, la Turenna e il Maine, e dalla moglie Eleonora il ducato di Aquitania, perché una consistente porzione dell'Hexagone, in particolare le sue province atlantiche, venisse a costituire quella che è stata definita la France anglaise, sia pure in riferimento al periodo della guerra dei Cento anni (1339-1453) piuttosto che al 12°-13° secolo. La conquista della Normandia da parte di Filippo II Augusto, nel 1204, anche se tutt'altro che definitiva, segnò una tappa importante nella vicenda plurisecolare dell'azione intrapresa dai re di F., benché senza un disegno preciso, per costruire intorno a Parigi, sede asimmetrica del loro potere, un grande regno continentale, a cominciare dal recupero delle province marittime cadute nelle mani degli Inglesi.Dei successori di Carlo Magno, solo i re del regno franco occidentale, al termine di un lungo processo di differenziazione dalla Germania conclusosi nel sec. 11°, conservarono il titolo di re dei Franchi, origine dei termini F. e Francesi, che si trovano entrambi documentati nella Chanson de Roland, ponendosi come unici eredi di Clodoveo, che dopo la tempesta delle invasioni aveva ristabilito l'unità della Gallia romana. In conseguenza però della divisione dell'agosto 843 (trattato di Verdun), la cui importanza non fu colta dai contemporanei, il nascente regno di F. restò per secoli limitato verso E dalla c.d. frontiera dei quattro fiumi (Rodano, Saona, Mosa, Schelda), che poi, in effetti, non arrivava a toccare che solo in parte, o addirittura per niente, salvo la Schelda. Le province settentrionali e centrali del fragile regno intermedio, che era stato assegnato a Lotario come appannaggio territoriale (da Aquisgrana a Roma) del titolo imperiale, furono annesse già nell'880 (trattato di Ribémont), dopo la precoce dissoluzione di esso, dal regno franco orientale, quello che, al termine dello stesso processo, sarebbe stata la Germania. Il giuramento di Strasburgo del 14 febbraio 842, che aveva sancito l'alleanza fra Carlo il Calvo e Ludovico il Germanico contro il fratello Lotario, fu pronunciato in theudisca lingua dal primo e in romana lingua dal secondo, perché il seguito dell'altro potesse intendere quello che ciascuno di essi diceva. Da una parte e dall'altra del corridoio mistilingue largo km. 200 ca. che l'anno seguente avrebbe costituito il regno di Lotario, vi erano, insomma, due comunità nazionali in via di formazione, che per il momento si caratterizzavano sul piano linguistico. Questo e non più di questo, a scanso di indebiti anacronismi.Impegnato per secoli, come si è accennato, nel cancellare la presenza inglese a N e a O dell'Hexagone (Calais fu conquistata solo nel 1558), il regno di F. si dedicò solo più tardi al recupero dei territori ex gallo-romani ed ex franchi che lo separavano dal limes renano. L'Alsazia, la Lorena (da Lotharingia, regno di Lotario II, 855-869, che aveva ereditato la porzione settentrionale del regno di suo padre Lotario I) e la Franca Contea, regioni amministrative della od. F., divennero francesi, rispettivamente, nel 1648, nel 1766 e nel 1674, costituendo poi per lungo tempo l'oggetto del contendere fra F. e Germania moderne. Ma tale obiettivo fu perseguito dai re di F. fuori di ogni prospettiva di raggiungimento di confini naturali, allo stesso modo che, con la pace dei Pirenei del 1659, ottennero, al di là della catena di monti così chiamata, le contee del Rossiglione (oggi associato alla Linguadoca in un'unica regione traspirenaica) e della Cerdagne, ch'erano state, a suo tempo, parte della marca carolingia di Spagna.
Bibl.: K.F. Werner, Les origines, in Histoire de France, a cura di J. Favier, I, Paris 1984; F. Braudel, L'identité de la France. Espace et histoire, Paris 1986; C. Brühl, Deutschland-Frankreich. Die Geburt zweier Völker, Köln 1990.G. Arnaldi
La moneta fu conosciuta e utilizzata in F. per tutto il corso del Medioevo. Solo a partire dal regno di Teodoberto I (534-548), nipote di Clodoveo (481-511), il nome di un sovrano franco comparve a chiare lettere su solidi, che per il tipo e il peso non si distinguono dalle monete romane. In seguito, le emissioni furono limitate al tremisse, il cui minor valore, pari a un terzo del solido, corrispondeva meglio alle esigenze dei regni barbarici. Il dritto di queste monete, impresse con poca cura, presenta un profilo imperiale deformato, mentre al centro del rovescio compare per lo più una croce. Le leggende fanno normalmente riferimento a un toponimo (ne sono state rilevate alcune migliaia) e, più che a un sovrano, a un personaggio chiamato monetario, verosimilmente il responsabile della fabbricazione.Nell'ultimo terzo del sec. 7° si ebbe un cambiamento fondamentale con l'abbandono della fabbricazione della moneta d'oro in favore di quella d'argento; questa piccola rivoluzione rivela un adeguamento alle ristrette esigenze economiche delle popolazioni locali. Il denario d'argento (il nome denarius risulta leggibile su alcuni esemplari) costituì il solo tipo battuto correntemente nella F. medievale, per ca. seicento anni, fino al regno di Luigi IX (1226 ca.-1270).In epoca merovingia al dritto delle monete compare ancora frequentemente un profilo, talvolta sostituito da altri motivi, tra cui monogrammi; al rovescio, perlinature, stelle e fioroni diversi sostituiscono spesso la croce. Questi pezzi, il cui spesso tondello risulta più o meno ben arrotondato, pesavano all'incirca come le monete d'oro più tarde.L'avvento dei Carolingi (v. Carolingia, Arte) segnò anche nel campo della monetazione una riaffermazione dell'autorità regale, che si espresse attraverso il riapparire sui singoli pezzi del nome del re, per esteso o sotto forma di iniziali. Nel corso del regno di Pipino il Breve (751-768) il denario cambiò forma: il tondello divenne largo, sottile e arrotondato, con motivi epigrafici che occupavano sia il dritto sia il rovescio. Sotto il regno di Carlo Magno (768-814) e maggiormente sotto quello di Ludovico il Pio (814-840), l'arte monetaria pervenne a una sorta di perfezione nella semplicità, con al dritto il nome dell'imperatore disposto intorno a una croce e al rovescio il nome della zecca disposto su due o tre righe.Dopo i disordini politici che caratterizzarono la fine del regno di Ludovico il Pio e una parte di quello di suo figlio Carlo il Calvo (843-877), uno degli scopi dell'editto di Pîtres (864) fu quello d'imporre in tutti i territori del regno una moneta di unico tipo e di buon titolo. Questo tipo, ancora una volta epigrafico, presenta al centro del dritto il monogramma del re, signum apposto sugli atti ufficiali, talvolta circondato dal nome e sempre dal titolo del sovrano, e al rovescio una croce patente circondata dal nome della zecca. Il decadere dell'autorità regale portò ancora una volta a una dispersione del diritto di battere moneta tra molteplici poteri laici o ecclesiastici e a una diversificazione dei tipi, anche se quello definito con l'editto di Pîtres costituì, sia pure più o meno deformato, il modello di molte monetazioni signorili del 10°-12° secolo.Agli inizi del sec. 13° si affermò con grande successo un altro tipo, il tornese che Filippo Augusto (1180-1223) riprese dall'abbazia di Saint-Martin di Tours. I successori del re imposero l'uso di questa moneta in tutto il regno e allorché Luigi IX, nel 1266, decise la creazione di un multiplo del denario, il grosso (del valore di dodici denari e futuro caposaldo della moneta d'argento), questo assunse il tipo del tornese, circondato da dodici gigli. Luigi IX proseguì nella sua opera di innovazione emettendo una moneta d'oro del valore di dieci grossi tornesi d'argento, sulla quale campeggia il giglio, sia nello scudo del dritto sia a fianco della croce sul rovescio.Le monete d'oro più variate e più attraenti per la loro eleganza gotica furono emesse dagli ultimi Capetingi e dai primi Valois tra la fine del sec. 13° e la metà del successivo: vi compare il re seduto in trono o in piedi, talvolta armato; S. Michele e S. Giorgio che sconfiggono il drago; l'Agnello pasquale e la corona regale; tutti questi motivi sono accompagnati, sul rovescio, da una infinita varietà di croci fiorite. Queste magnifiche creazioni non sono tuttavia il frutto di una stabilità monetaria, ma piuttosto la conseguenza di una storia politica ed economica assai agitata. Il franco d'oro di Giovanni il Buono (1350-1364), il primo franco della storia, creato nel 1360 in un contesto di relativa calma e serenità, seguiva comunque la disfatta di Poitiers (1356), l'imprigionamento del re da parte degli Inglesi e il versamento di un riscatto in cambio della sua liberazione. Il tipo equestre che occupa il campo del dritto, superbo esempio di guerriero che carica al galoppo con una spada nella mano, non può fare a meno di evocare questi avvenimenti.Gli eventi politici del sec. 15°, in particolare i disordini legati alla guerra dei Cento anni e la frantumazione del regno seguita dalla lenta restaurazione dell'autorità regale, non favorirono la creazione di monete originali. Lo scudo sormontato da una corona di gigli fu, a partire dalla sua creazione sotto Carlo VI (1380-1422), nel 1385, il principale e più costante motivo impiegato per le monete d'oro e persistette fino al regno di Luigi XII (1498-1515).La moneta d'argento, in cui la variazione dei tipi riflette i numerosi mutamenti che la interessarono, era quasi sempre ornata al dritto con tre gigli nel campo, circondati da motivi diversi.Essenzialmente epigrafica, influenzata dall'arte dei sigilli nei suoi migliori tipi gotici, l'arte monetaria della F. medievale non brilla né per originalità né, per quanto riguarda l'argento, per l'accuratezza dell'esecuzione. La moneta ebbe in questa fase più la funzione di mezzo di scambio che non di strumento di ostentazione e di propaganda. Dal punto di vista iconografico, in epoca merovingia, nessun profilo impresso al dritto di una moneta mostra i caratteri realistici tipici della tradizione monetaria romana. All'inizio del sec. 9° Carlo Magno emise, alla fine del suo regno, alcuni denari su cui egli era raffigurato di profilo in veste di imperatore romano coronato d'alloro, con il busto avvolto nel paludamentum. Questo tipo ebbe un seguito episodico fino al sec. 10°; anche Ludovico il Pio adottò questo motivo su alcuni solidi d'oro, monete oggi rarissime, che conobbero allora un certo successo nelle regioni settentrionali dell'impero, come provano le loro imitazioni. Nella seconda metà del sec. 10° alcuni signori della regione della Loira, indipendenti dal potere regale, adottarono una curiosa testa stilizzata che ricorda le deformazioni tipiche degli incisori gallici. Nel sec. 12° i busti in posizione frontale di un santo patrono - S. Marziale a Limoges, S. Maiolo a Souvigny o la Vergine a Le Puy -, presenti nel dritto di alcune emissioni ecclesiastiche, non aspiravano ad alcun realismo.
Bibl.: J.A. Blanchet, A. Dieudonné, Manuel de numismatique française, 4 voll., Paris 1912-1936; J. Lafaurie, Les monnaies des rois de France, d' Hugues Capet à Louis XII, Paris-Bâle 1951; F. Dumas, J.N. Barrandon, Le titre et le poids de fin des monnaies sous le règne de Philippe Auguste 1180-1223 (Cahiers Ernest Babelon, 1), Valbonne 1982; P. Grierson, M. Blackburn, Medieval European Coinage, I, The Early Middle Ages (5th-10th Centuries), Cambridge 1986.F. Dumas