FRANCIA (XV, p. 876)
Popolazione (p. 888). - Secondo il censimento dell'8 marzo 1936 la popolazione totale della repubblica era di 41.905.968 ab. con un aumento assoluto di appena 71.045 persone rispetto al precedente censimento (1931). Per quanto tale aumento sia minimo, esso non rispecchia neppure lo stato odierno dell'incremento naturale, poiché la Francia, dopo aver visto scendere a valori bassissimi le cifre della natalità, accusa negli ultimi tre anni un deficit (− 0,4% nel 1935; − 0,3% nel 1936), cioè le morti superano ormai le nascite. Se prendiamo in esame i singoli dipartimenti, si nota che in ben 54 di essi si è verificata una diminuzione di abitanti; tra questi ebbe il maggior regresso il Pas-de-Calais che nel 1936 numerò 25.724 abitanti in meno rispetto al 1931. Diminuzioni molto notevoli ebbero anche i dipartimenti del Rodano, Meurthe-et-Moselle, Loira e Puy-de-Dôme. Segnano invece un aumento 36 dipartimenti, aumento sensibile soprattutto nella regione parigina (Senna, Seine-et-Oise) e nella Francia di sud-est (delle Alpi Marittime, Varo, Bocche del Rodano; quest'ultimo vanta anzi l'aumento più forte con 123.130 ab.).
Il numero degli stranieri era, alla stessa data, di 2.453.507 persone, pari al 5,8% della popolazione complessiva, di contro al 6,9% del 1931. Si verifica cioè nel quinquennio una diminuzione di ben 437.000 persone, dovuta in parte alle naturalizzazioni, ma soprattutto al forzato rimpatrio degli operai stranieri in seguito alla crisi economica. Mentre in soli 23 dipartimenti si è avuto un aumento, 67 hanno subito una diminuzione, in molti rilevante, come nei dipartimenti del Nord (67,9%), Mosella (30%), Hérault (24%), Ardenne (23%), Meurthe-et-Moselle (22%), Pas-de-Calais (15%). Cioè le più forti diminuzioni si sono verificate specialmente nelle regioni industriali e minerarie della Francia del nord e di nord-est. Aumenti sensibili, al contrario, si hanno proprio dove il numero degli stranieri era esiguo, come in Corsica, nel Corrèze, Haute-Vienne, Dordogna, Vienne, Indre, Lot, cioè in dipartimenti a economia prevalentemente agricola. Oltre alla notevole diminuzione va notata quindi la diversa distribuzione territoriale degli stranieri, che nel 1936 risultano più egualmente ripartiti che non nei precedenti censimenti.
Condizioni economiche (p. 895). - Sebbene rispetto alla popolazione totale i contadini diventino sempre meno numerosi, la Francia rimane un paese fondamentalmente agricolo. Il grano mantiene all'incirca invariata sia la superficie (5344 migliaia di ha. nel 1936), sia la produzione (66.502 migliaia di q. nel 1936; 67.297 nel 1937); lo stesso avviene per l'avena (42.605 migliaia di q. nel 1936; 45.576 nel 1937) e per la patata (152.510 migl. di q. nel 1936; 147.222 nel 1937), mentre i cereali minori, grano saraceno, orzo, segale, sono in lieve diminuzione. Anche la coltura della vite rimane all'incirca stazionaria e la Francia è sempre alla testa della produzione mondiale.
In aumento notevole si presenta invece la produzione della barbabietola da zucchero, che da 50-60 milioni di q. nel 1930 ha raggiunto gli 82 milioni (1936; su 287 milioni di ha.), e del lino.
Il lino, dopo essere precipitosamente calato a valori minimi nel 1931-32, in seguito a varî provvedimenti presi dal governo per incoraggiare questa coltura, un tempo fiorentissima, ha raggiunto di nuovo la superficie e la produzione antecrisi. Anche la canapa, in forte declino fino dal 1934, sta lentamente riprendendo.
Per quanto riguarda l'allevamento del bestiame, si nota un aumento notevole nei suini, una diminuzione di circa 1 milione di capi negli ovini, mentre le cifre riguardanti i buoi, i muli, gli asini e i cavalli hanno subito solo lievi oscillazioni.
L'industria francese ha naturalmente sofferto della depressione economica mondiale, anche perché alcuni prodotti industriali, già largamente esportati, riguardano articoli di genere voluttuario, ai quali per primi si rinuncia in periodo di crisi. Nelle industrie estrattive, la produzione del carbone (45.226.000 tonn. nel 1936) e del ferro (33.187.000 di tonn.) tende notevolmente a diminuire. La Francia è sempre alla testa della produzione mondiale della bauxite (649.000 tonn. nel 1936). Come conseguenza della depressione nel campo minerario l'industria metallurgica ha subito una forte concentrazione, per cui il numero degli alti forni da 217 (1927) è sceso a 174 (1934) e la produzione dell'acciaiaio si aggira sulle 6000-6500 migliaia di tonnellate.
L'unità della struttura economica francese, che posava su salde basi, è stata una delle cause principali della stabilità che il paese riuscì a conservare dal 1929 al 1931. Mentre tutta l'Europa e gli altri continenti si trovavano nel periodo più acuto della crisi, la Francia era ancora in condizioni economiche floridissime. Ma l'ulteriore sviluppo della crisi mondiale ha finito con creare una situazione molto difficile. Infatti da un lato cominciarono rapidamente a decrescere le esportazioni verso i paesi colpiti dalla crisi, dall'altro le merci straniere che venivano prodotte a minor prezzo esercitavano una fortissima concorrenza. Si verificò quindi un'eccedenza delle importazioni sulle esportazioni, eccedenza che nel 1931 raggiunse la cifra di 11.770 milioni di franchi.
Il ribasso dei prezzi sui mercati stranieri, ribasso che coincideva con l'aumento dei salarî e dei prezzi francesi, causò il forte deficit della bilancia dei pagamenti. La crisi ha colpito la Francia con ritardo e quando altre nazioni erano già in un periodo di assestamento e ripresa, e la repubblica si è trovata nel momento più brutto della depressione economica.
Il commercio d'importazione nel 1935 era così ripartito:
cioè l'importazione francese mantiene sempre un carattere industriale acquistando all'estero la maggior parte delle materie prime che vengono poi trasformate. Tra i paesi fornitori della Francia sono sempre al primo posto gli Stati Uniti, mentre la Germania passa al secondo e l'Inghilterra al terzo.
Nel commercio di esportazione, che si dirige principalmente verso i paesi vicini, occupano il primo posto gli articoli manufatti e le materie prime; esso nel 1935 era così ripartito:
Comunicazioni (p. 903). - La rete delle strade nazionali francesi era nel 1933 di 80.000 km. (39.892 nel 1922). La rete ferroviaria aveva raggiunto nel 1934 i 44.000 km.
Un vasto programma di elettrificazione si sta attuando e, alla fine del 1936, 2870 km. nelle linee di grande comunicazione erano a trazione elettrica. A questi si aggiungono i 211 km. circa della linea Parigi-Le Mans, in funzione dal 1937. Tra le linee di recente costruzione si ricorda la: Saint-Dié-Sainte-Marie-aux-Mines, che, attraversando i Vosgi con una galleria di 6,8 km., la più lunga tutta in territorio francese, allaccia la rete alsaziana a quella dell'Est. Dal gennaio 1938 funziona la Société nationale des chemins de fer, fusione della rete di stato con altre minori.
Marina mercantile (p. 905). - La marina mercantile francese continua a rimanere, fra le altre mondiali, allo stesso posto del 1914 e 1929; e cioè al 6°; per quanto la consistenza, in confronto alle 3.566.227 tonn. del 1931, si sia ridotta, al 30 giugno 1937, a 1366 navi per tonn. lorde 2.870.249 (Lloyd's Register, ed. 1937-1938). In questa flotta prevalgono tuttora i piroscafi: 1101 per tonn. 2.519.112. Si nota peraltro, in confronto al passato, uno sviluppo più notevole delle motonavi (ne esistono 194 per 324.576 tonn. sotto bandiera francese). Comunque, mentre la proporzione del naviglio a motore posseduto nel mondo ascende al 20,7% della consistenza totale, la percentuale di quello francese in confronto al naviglio complessivamente sotto quella bandiera ascende a 11,3% soltanto.
Permangono tuttora i difetti già rilevati quanto al materiale nautico francese: scarsa velocità e vecchiaia. L'età media, difatti, che era 14 anni nel 1929, è passata a 15 ½; mentre sui 2.800.000 tonn. di navi nazionali di stazza unitaria superiore a 100 tonn. attualmente esistenti ben 1.600.000 tonn. hanno superato 15 anni. Tale situazione è da imputarsi, oltre che alla crisi mondiale, agli oneri di carattere sociale più specialmente incidenti sulla marina francese in confronto alla maggioranza di quelle concorrenti.
I cantieri lavorano poco; mentre difatti il naviglio in costruzione nel mondo passava da 1 ½ milioni tonn. nel dicembre 1936 a 3 milioni nel settembre 1937, quello varato nei 14 cantieri nazionali nel 1936 era solo di 42 mila tonn. Inattività gravissima, ché un programma organico di ricostruzione della flotta esigerebbe l'impostazione di 160 mila tonn. all'anno.
Il sistema protezionista francese è stato intensificato specialmente nei riguardi del credito marittimo; è stata inoltre data maggiore preferenza al naviglio nazionale; è stato infine emanato un provvedimento di assistenza alla marina libera, e cioè la legge Tasso del 12 luglio 1934 che doveva spirare entro un biennio ma che, più volte prorogata, scadrà il 31 dicembre 1938. A questo scopo sono stanziati 89.900.000 franchi nel bilancio preventivo 1938;35 milioni sono destinati come contributi di interesse per i mutui agli armatori, 14 milioni come sovvenzione alle linee sulla Corsica, 265 milioni alle "Messageries Maritimes"; 135 alla "Compagnie Générale Transatlantique" e 32 alla "Sud Atlantique".
Appartiene alla Transatlantique il supertransatlantico francese Normandie che, nel marzo 1937, ha riguadagnato il nastro azzurro traversando l'Atlantico dal faro di Ambrose (New York) al traverso di Bishop's Rock, alla velocità di 30,99 nodi in confronto ai 30,63 realizzati dall'inglese Queen Mary. Tali tempi sono stati dallo stesso Normandie migliorati nel luglio 1937; esso ha raggiunto 31,20 nodi da New York in Europa e 30,58 in senso opposto.
Aviazione civile (p. 906). - Nel 1933 la Francia ha realizzato la fusione delle diverse compagnie di navigazione in una sola società, la Air France. Questa è una società anonima regolata dallo statuto dell'aviazione commerciale. La sua rete aerea si sviluppa sulle seguenti linee, attraverso 4 continenti, per una lunghezza di circa 40.000 chilometri; Tolosa - Barcellona - Alicante - Tangeri - Rabat - Casablanca (km. 1845); Marsiglia-Barcellona (km. 495); Casablanca-Dakar-Natal-Rio de JaneiroMontevideo-Buenos Aires-Santiago del Chile (km. 12.035); Marsiglia-Alicante-Algeri (km. 803); Parigi-Praga-Vienna e Vienna-Budapest-Belgrado-Bucarest (totale per la linea km. 2241); Praga-Breslavia-Varsavia (km. 530); Parigi-Bruxelles-Anversa-Rotterdam-Amsterdam (km. 460); Parigi-Colonia-Berlino (km. 880); Bruxelles-Essen-Amburgo-Copenaghen-Malmö-Stoccolma (km. 1335); Marsiglia-Beirut-Damasco-Baghdād - Bassora - Bouchir - Djask - Gwadar - Karachi - Calcutta - Rangoon - Bangkok - Saigon-Hanoi (km. 13.494); Parigi-Londra (km. 375); Parigi-Lione-Marsiglia (km. 730); Lione-Cannes (km. 350): Lione-Ginevra (km. 113); Marsiglia-Ajaccio-Tunisi (km. 1000); Parigi-Bordeaux-Madrid (km. 1075).
La flotta dell'Air France comprende 100 apparecchi di linea.
Oltre all'Air France, esiste la società Air Afrique, che per essere una rete dello stato è regolata da uno statuto particolare, differente da quello delle società commerciali. l'Air Afrique esercisce le seguenti linee:
Algeri-Brazzaville-Madagascar (km. 10.600); Tunisi-Casablanca (chilometri 1700).
Ordinamento dello stato.
Forze armate. - Esercito (p. 910). - Con la legge 18 aprile 1936 l'organizzazione militare francese, già determinata dalla legge 13 luglio 1927, è stata modificata, e risulta così costituita: 18 regioni militari territoriali nella madrepatria (già 20; soppresse la 10ª e la 12ª); 1 regione militare territoriale in Algeria; truppe metropolitane e truppe mobili: 20 divisioni di fanteria metropolitana (delle quali 7 motorizzate e 3 alpine), 1 divisione coloniale, 2 divisioni coloniali senegalesi, 2 divisioni nord-africane e 1 raggruppamento di fanteria metropolitana, 1 raggruppamento coloniale misto, 3 brigate carri armati, 5 divisioni di cavalleria, 4 brigate di artiglieria, 2 brigate del genio; truppe dislocate nei territorî d'oltremare: 13 brigate di fanteria, 4 di cavalleria.
Complessivamente la fanteria comprende: 91 reggimenti e 28 battaglioni nella madrepatria; 51 reggimenti e 15 battaglioni nei territorî d'oltremare.
Carri armati: 11 reggimenti e 1 battaglione nella madrepatria; 4 battaglioni, 4 compagnie e 1 sezione nei territorî d'oltremare.
Cavalleria: 32 reggimenti, 5 gruppi, 3 battaglioni e 2 compagnie nella madrepatria; 14 reggimenti, 3 gruppi e 7 compagnie nei territorî d'oltremare.
Artiglieria: 72 reggimenti, 2 gruppi, 10 battaglioni e 2 compagnie nella madrepatria; 9 reggimenti, 3 gruppi e 7 batterie nei territorî d'oltremare.
Genio: 12 reggimenti nella madrepatria, 1 reggimento e 4 battaglioni nei territorî d'oltremare.
Marina militare (p. 911). - Nuove unità: navi da battaglia: 4, di cui 2 (Jean Bart, Richelieu) da 35.000 tonn., in costruzione; dovranno avere 33 nodi di velocità (160.000 cav.) ed essere armate con 8/381, 16/130 antiaerei e 2 catapulte per 4 aerei; le altre 2 (Dunkerque, Strasbourg) hanno le seguenti caratteristiche: 26.500 tonn., velocità 30 nodi (125.000 cav.), armamento 8/330 (in due torri quadruple prodiere), 16/130 antiaerei, 8/37, 32 mitragliere, 2 catapulte, 4 aerei; peso della corazzatura sulle 10.000 tonn.; spessore massimo 225 mm. alla cintura. Autonomia: 7500 miglia a 15 nodi.
Incrociatori leggieri di 2ª classe: 1, De Grasse, in costruzione, da 8000 tonn. e 34 nodi; 6 (La Galissonnière, Jean de Vienne, Montcalm, Gloire, Marseillaise, G. Leygues), varati nel 1933-36, da 7600 tonn. e 32/36 nodi, armati con 9/155, 8/90 antiaerei, 2 tubi di lancio da 550, 4 aerei, autonomia 6000 miglia a 13 nodi, buona protezione. 1, Émile Bertin, varato nel 1933, da 5900 tonn. e 34/39 nodi, armato con 9/155, 4/90 antiaerei, 2 tubi tripli da 550, 2 aerei, autonomia 6000 miglia a 13 nodi, meno protetto dei precedenti e attrezzato come posamine (200 armi).
Conduttori di flottiglia: ai 6 Cassard del 1933 hanno fatto seguito 6 Indomptable (L'Indomptable, Le Fantasque, L'Audacieux, Le Malin, Le Terrible, Le Triomphant), costruiti nel 1933-34, da 2569 tonn. e 37/45 nodi, armati con 5/138, 4/37 antiaerei, 3 tubi trinati da 550, 4 lanciabombe; e i 2 nuovi tipi sperimentali Volta e Mogador, da 2884 tonn. e 38 nodi, armati con 8/138, 4/37, 3 tubi tripli da 550, lanciabombe.
Torpediniere: nel 1936 è stata ripresa la costruzione delle così dette torpediniere impostando 8 unità (Le Hardi, Fleuret, Épée, Mameluk, Casque, Lansquenet, Le Corsaire, Le Filibustier) da 1772 tonn. e 37 nodi, armati con 4/138 ed aventi un'autonomia di 6000 nodi, cui sono seguiti nel programma 1937 le 4 unità tipo Agile (Le Fier, L'Agile, Le Farouche, l'Entreprenant) da 1000 tonn.
Avvisi scorta: dal 1932 in poi si è iniziata la costruzione di questo importante tipo di unità, con 12 avvisi tipo La Flore, da 610 tonn., 34 nodi, 2/100, 4 tubi da 40, autonomia 1800 miglia a 18 nodi.
Dragamine: 18 tipo Élan, Commandant Duboc, Annamite, in costruzione, da 630 tonn. e 20 nodi, armati con 2/100.
Sommergibili di grande crociera: 2, Roland Morillot e La Praia, in costruzione, da 1600 tonn.; 12 tipo Le Conquérant e Sfax, costruiti fra il 1931 e 1935, da 1379-2000 tonn. e 20/10 nodi, armati con 9 tubi da 550, 2 tubi da 400, 1/100, autonomia 8000 miglia a 10 nodi.
Sommergibili di media crociera: 4 tipo La Créole, in costruzione, da 805 tonn.; 2 tipo Cérès, in costruzione, da 597/790 tonn., 14/9 nodi e 7 tubi di lancio; 1 Aurore, in costruzione da 805 tonn.; 4 tipo Vénus, costruiti nel 1934-35, da 597/790 tonn. e 14/9 nodi, armati con 7 tubi da 550, 2 tubi da 40, 1/75, autonomia 3000 miglia.
Sommergibili posamine: 1, Èmeraude, in costruzione. Sono stati inoltre costruiti o sono in costruzione un certo numero di avvisi coloniali, motoscafi, navi sussidiarie, ecc.
Forza bilanciata: 73.000 uomini.
Aeronautica militare (p. 912). - Le forze aeree dell'aviazione militare sono divise in: aviazione autonoma metropolitana; aviazione di cooperazione e di allenamento per l'esercito; aviazione d'oltremare; aviazione coloniale; aviazione di cooperazione navale.
L'aviazione autonoma metropolitana comprende 2 corpi: a) corpo di aviazione pesante su tre divisioni, ogni divisione su due o tre brigate, le brigate su due o tre squadre (circa 600 apparecchi oltre la riserva); b) corpo di aviazione leggiera, costituito da una divisione su tre brigate, ogni brigata su due o tre squadre (circa 500 apparecchi oltre le riserve). Il primo comprende tutti i reparti da bombardamento, ricognizione e combattimento; il secondo tutti i reparti da caccia. Entrambi dipendono dal Ministero dell'aria, tramite lo Stato maggiore generale.
L'aviazione di cooperazione e di allenamento dell'esercito comprende tutti i reparti di osservazione, suddivisi in gruppi regionali (un gruppo regionale per ogni corpo d'armata); dipende dal Ministero dell'aria, dal lato tecnico, e per l'impiego dall'esercito.
L'aviazione d'oltremare (circa 270 apparecchi oltre le riserve). comprende le forze aeree dell'Algeria, Tunisia, Marocco e Siria. È costituita da tre brigate, ciascuna su una o due squadre, e da un comando dell'aviazione del Levante (una squadra su 3 gruppi).
L'aviazione coloniale è costituita di squadriglie da osservazione terrestre, e di alcune da ricognizione marittima (idrovolanti): circa 200 apparecchi.
L'aviazione di cooperazione navale è costituita da squadriglie di bombardamento, esplorazione, siluranti, crociera, e comprende l'aviazione imbarcata e non imbarcata. La prima dispone della nave porta aerei Béarn (40 apparecchi), e della nave trasporto-aerei Commandant Teste (circa 20 apparecchi); la seconda è suddivisa in 4 regioni marittime: Cherbourg, Brest, Berre e Biserta. Dipende direttamente dal Ministero della marina.
La forza complessiva dell'aeronautica francese è di circa 40 mila uomini, dei quali 5500 piloti e 6000 specializzati, e di 2350 velivoli di linea.
Finanze (p. 912). - Mentre nella seconda metà del 1932 e ai primi del 1933 la crisi poteva dirsi in parte attenuata, sopravvenne nel marzo la svalutazione del dollaro che, oltre ad intralciare il già difficile adattamento dei prezzi alla nuova situazione mondiale, non poteva non ripercuotersi gravemente sulla Francia, sia per i grandi movimenti di capitale che la precedettero e seguirono, sia per i timori sulle sorti del franco che ne derivarono.
Le condizioni politiche interne complicavano frattanto il problema dell'equilibrio del bilancio e della compressione del debito pubblico per nulla risolto dalle economie votate nel 1932 e nella primavera del 1933, e solo nei primi mesi del i934 il ministro Germain-Martin affrontò seriamente la situazione facendo approvare prima con procedura eccezionale il bilancio (per il quale erano caduti nell'autunno i gabinetti Daladier e Sarraut) e stabilendo poi per decreto forti riduzioni di stipendî e pensioni che evitarono il ricorso all'inflazione e liberarono da gravi difficoltà la tesoreria. Dal novembre 1933 la disoccupazione aveva però ricominciato ad aumentare e la situazione economica andava sempre più peggiorando per effetto soprattutto dello scarto tra il potere d'acquisto interno del franco e quello estero. Il commercio estero si contraeva, anche per effetto del protezionismo, l'attività delle industrie rallentava, mentre varie ciccostanze internazionali concorrevano a provocare larghi esodi di capitale. Alla fine del 1934 il problema finanziano era di nuovo pressante e dopo un ulteriore allargamento della possibilità di ricorso ai buoni del Tesoro nel gennaio 1935 (essendo ormai completamente esaurita l'autorizzazione concessa con legge del dicembre 1933), e un mal riuscito tentativo per alimentare la tesoreria col ricorso al mercato monetario anziché a quello dei capitali a lungo termine (difficile era infatti agire sui capitali tesorizzati data la crescente sfiducia), si giunse nel giugno 1935 alla cosiddetta esperienza Laval, cioè al più notevole e organico sforzo compiuto dalla Francia per riequilibrare il suo bilancio. Grazie ai pieni poteri, fu infatti adottata una riduzione del 10% di tutte le spese normali sia dello stato sia degli enti locali, istituti pubblici, ecc. Come però contrarre le spese eccezionali che sempre più grave rendevano la pressione dello stato sul mercato dei capitali, e come ovviare alla riduzione delle entrate, nel crescente isolamento e rallentamento dell'economia francese? Il problema finanziario non era che una parte del più vasto problema economico di adattamento dei piezzi francesi a quelli mondiali che solo attraverso una svalutazione o una generale deflazione economica si sarebbe potuto risolvere. D'altra parte la stessa politica agraria del governo e la resistenza dell'ambiente industriale furono più forti delle intenzioni; la deflazione rimase pura deflazione di bilancio, il protezionismo fu mantenuto e anzi accentuato; commercio estero e attività interna proseguirono in senso opposto a quello desiderato; prezzi e costo della vita continuarono a salire mentre occupazione e salarî diminuivano tra crescenti disordini sociali. Del resto neanche un anno dopo il suo apogeo le elezioni generali dovevano condannare definitivamente la politica deflazionista.
Frattanto il franco, che aveva saldamente resistito alla crisi e alle oscillazioni delle valute anglosassoni, sia per le nuove inquietudini create dalla svalutazione del belga (marzo 1935), sia soprattutto in conseguenza della situazione finanziaria interna, era stato investito nel maggio e nel novembre 1935 da due larghe ondate di sfiducia tradottesi in una contrazione delle riserve auree della Banca di Francia (da 80,6 miliardi al 30 aprile 1935 a 61 al 1° maggio 1936) pr0dotta da notevoli deflussi di capitali. Dal marzo 1935 all'aprile 1936 si calcola che il mercato francese abbia perduto da 25 a 27 miliardi d'oro, per lo più capitali francesi. Dopo aver importato oro per oltre 80 miliardi dal 1928 al 1933 (si può dire che nel 1933 la Francia fosse interamente tornata al gold standard), sia in cambio di divise cedute dalla Banca, sia per rimpatrio di capitali o realizzazione di riserve all'estero, sia ancora per l'afflusso di capitali stranieri rifugiatisi in Francia durante le oscillazioni delle altre monete, si era cosi aperta col 1935 la fase opposta in cui, per ragioni essenzialmente politiche e psicologiche, l'oro ha cominciato ad uscire dalla Francia (la bilancia dei conti era infatti praticamente in equilibrio).
L'avvento al potere del Fronte popolare nel maggio 1936 segnò, come si è già detto, l'arresto della deflazione e l'inizio della cosiddetta politica di reflazione. L'equilibrio del bilancio fu passato in seconda linea di fronte alla ripresa economica che si cercò di raggiungere attraverso un accrescimento del potere d'acquisto delle masse. La situazione del mercato del lavoro era infatti assai grave e il governo tentò di ovviarvi con un insieme di provvedimenti (accordi Matignon, contratto collettivo di lavoro, arbitrato obbligatorio, ecc., e da ultimo settimana di 40 ore), che si tradussero in un sensibilissimo rialzo dei salarî (del 15-25% verso la metà del 1936, del 48-58% alla fine dell'anno, e assai più nel 1937, in cui, tenendo conto anche degli assegni familiari, spese di assicurazione, ecc., si calcola che il costo della mano d'opera fosse quasi raddoppiato). L'aumento dei salarî e dei costi si trovò quindi a precedere il miglioramento economico, cosicché l'assorbimento della disoccupazione è stato forzatamente più lento di quello che si sarebbe avuto se la ripresa fosse stata stimolata con una moderata svalutazione (da 439.000 alla fine del 1935 i disoccupati scesero a 413.000 e 365.000 alla fine del 1936 e del 1937), e quando finalmente alla svalutazione si giunse, i benefici ne erano già stati in gran parte scontati.
Chiuse le borse, sospesa in pratica la convertibilità del franco (col rialzo del valore minimo del lingotto cedibile ai privati da 215.000 fr. a 5 miliardi) e vietata l'esportazione d'oro, il 26 settembre la svalutazione veniva finalmente annunciata insieme con la conclusione dell'accordo tripartito anglo-franco-americano per la stabilità dei cambî, e il 1° ottobre la camera votava il valore del nuovo franco (49-43 mg. oro a 900/1000). Le riserve (ridotte a 50 miliardi) furono rivalutate del 30% e dei 17 miliardi di plusvalenza che ne risultarono, 10 servirono a costituire il fondo per la stabilizzazione dei cambî e il resto fu attribuito allo stato. Dopo un breve periodo di euforia l'oro ricominciò però a defluire tanto che alla fine del febbraio 1937 il fondo aveva già esaurito la sua dotazione oltre a 2 miliardi di oro acquistati dal pubblico in seguito ai provvedimenti adottati nell'ottobre per evitare i profitti speculativi e incidere sulla tesaurizzazione che si presumeva considerevole. L'accrescimento delle spese risultante dalla politica reflazionista aveva d'altra parte aggravato il deficit del bilancio rendendo precaria la situazione della tesoreria e costringendo il governo a ricorrere al prestito a condizioni sempre più sfavorevoli, il che si traduceva in un ulteriore incremento dei tassi d'interesse con grave intralcio per la ripresa. Alla fine di giugno la situazione finanziaria e monetaria era così grave da indurre Chautemps alla richiesta dei pieni poteri e all'adozione di provvedimenti draconiani. Furono soppressi i limiti fissati nell'ottobre 1936 al valore-oro del franco che divenne così una moneta fluttuante (come, del resto, la sterlina dal 1931), fu elevato di 15 miliardi (cioè a 40 miliardi) il margine delle anticipazioni della Banca allo Stato e fu autorizzata una rivalutazione supplementare delle riserve sulla base di un franco equivalente a 43 mg. oro a 900/1000. Si ricorse d'altra parte a un aumento generale dei contributi fiscali e delle tariffe dei servizî pubblici, oltre che a compressioni di spese e a severe misure contro la speculazione. Una certa restaurazione del credito pubblico e una temporanea distensione del mercato monetario successero a questi provvedimenti.
La vita economica era però in complesso ancora depressa sebbene alcuni rami di attività fossero stati stimolati dalla doppia svalutazione, e le industrie pesanti traessero alimento dalle necessità crescenti della difesa nazionale; il rialzo progressivo dei prezzi interni (nel novembre 1937 l'indice ponderato dei prezzi all'ingrosso e quello del costo della vita a Parigi erano del 78% e del 34% superiori a quelli del novembre 1935) si era d'altra parte tradotto in una diminuzione del potere d'acquisto effettivo di gran parte della popolazione con ripercussioni sulle industrie di consumo e diffuso malcontento. In conseguenza di questa in complesso non buona situazione generale, oltre che delle incertezze politiche e delle difficoltà della tesoreria, il franco era andato così con qualche oscillazione sempre peggiorando di fronte alla sterlina e al dollaro (da 105 frs. = 1 sterlina fino alla fine di aprile 1937 a 129 col 1° luglio e 147 alla fine dell'anno), fino a che, per un riaccentuarsi della sfiducia connesso soprattutto al fatto che negli ultimi giorni di dicembre la tesoreria ricorse alla Banca di Francia per altri 5 miliardi, il 27 gennaio del 1938 si aprì una nuova crisi del cambio (155 frs. = 1 ???116???) protrattasi lungo i primi 4 mesi dell'anno, fino a che cioè il governo francese, in pieno accordo con i governi americano e inglese, non risolse di operare un ripiegamento del franco a un corso che permettesse di assicurarne facilmente la difesa (4 maggio). Nella seduta ufficiale del mercato dei cambî del giorno successivo il valore aureo del franco si ridusse a soli 28 mg. di oro a 900/1000 (179 frs. = 1 ???116???) e il governo francese assunse l'impegno di considerare come livello massimo di ripiegamento tale quotazione. Impegno che può considerarsi, in certo qual modo, come una stabilizzazione di fatto del franco, e che non preclude la via a una rivalutazione conseguente all'intrapresa opera di ricostruzione economica.
Per la riforma della contabilità di stato (1930-36) che ha reso più rapido e efficiente il controllo della Corte dei conti è stato eliminato il ritardo abituale nella pubblicazione dei consuntivi di bilancio che dal 1933 dànno le seguenti cifre in milioni di franchi:
Al 31 dicembre 1937 il debito pubblico interno ammontava a 395 miliardi di cui 87 di fluttuante. I debiti di guerra verso la Gran Bretagna e gli Stati Uniti alla data di sospensione del servizio (1° luglio 1932) consistevano rispettivamente in 765 milioni di sterline e 6648 milioni di dollari.
Il 24 luglio 1936 gli statuti della Banca di Francia sono stati riformati in modo da permettere a tutti gli azionisti di partecipare all'assemblea generale e da assicurare la rappresentanza in seno al consiglio generale dei gruppi più rappresentativi dell'economia nazionale. Tra i maggiori istituti di credito va ricordato anche il Crédit industriel e commercial (1859). La Banque nationale de crédit nel 1932 è stata messa in liquidazione. Al 30 dicembre 1937 i biglietti in circolazione ammontavano a 94 miliardi e le riserve a 59 miliardi in oro e 0,9 in divisa.
Bibl.: H. Germain-Martin, Le problème financier, 1930-36, Parigi 1936; G. Lachapelle, Les finances de la IIIe République, ivi 1937; A. Latapie Capderroque, Le mouvement des prix en France et la dévaluation, ivi 1938; I.-B. de Carbon, Les export. françaises et les disparités monétaires, ivi 1938.
Storia (XV, p. 960).
Le elezioni del 1° e dell'8 maggio 1932 diedero, per la seconda volta, dopo la conclusione della pace, la prevalenza ai partiti di sinistra; mentre, dal luglio 1926, salvo interruzioni insignificanti, il potere era stato esercitato da gabinetti di "unione nazionale" o almeno di coalizione dei varî partiti.
Come è stato già brevemente accennato, la vittoria, nel novembre 1918, aveva trovato la Francia ancora unita e tutta vibrante dello sforzo fatto per resistere al nemico e superarlo. Ma già allora qualche incrinatura si veniva compiendo nel "blocco" nazionale: di fronte al compito della "ricostruzione" e ai nuovi problemi imposti dalla pace, le differenze di programmi politici si riaffermarono. Nella nuova Camera, uscita dalle elezioni del novembre 1919 (fatte secondo la legge elettorale 12 luglio 1919 che rappresentava in sostanza un compromesso tra il sistema maggioritario e quello proporzionale) se prevalevano i partiti del centro e della destra e se i socialisti avevano perduto dei seggi, radicali e radicali-socialisti si staccarono dal "blocco", pur differenziandosi dai socialisti, da cui nel congresso di Tours del dicembre 1920 si staccarono i comunisti, che formarono alla Camera un gruppo a sé.
Nella politica estera, accanto all'attività diplomatica rivolta alla conclusione dei rimanenti trattati di pace (v. guerra mondiale, XVIII, p. 106) e all'esecuzione del Trattato di Versailles, specie per quanto riguardava il disarmo della Germania e il pagamento da parte di questa delle riparazioni (tra le numerose conferenze, ricorderemo solo quelle di Sanremo, 10-26 aprile, e di Spa, 5-16 luglio 1920), l'azione della Francia appare già preoccupata di creare, accanto a quelle contenute nei trattati, nuove salvaguardie dell'integrità del territorio nazionale contro l'eventuale pericolo di un tentativo tedesco di rivincita (convenzione militare franco-belga di Bruxelles, 7 settembre 1920) e d'impedire il diffondersi dei principî comunisti (politica "di accerchiamento" dell'U.R.S.S.: riconoscimento dei varî eserciti e governi "bianchi", aiuti a questi e alla Polonia). Da ragioni di politica estera (sostenere le missioni francesi nell'Oriente prossimo ed estremo), ma anche interna (nell'Alsazia e nella Lorena non era stata applicata la legislazione separatistica), fu suggerito anche il ristabilimento delle relazioni diplomatiche con la Santa Sede.
Costretto a dimettersi P. Deschanel, per le sue gravi condizioni di salute, il 23 settembre 1920 A. Millerand diveniva presidente della repubblica e con immutati criterî il governo francese attuava una politica di prestigio e di espansione, in Grecia opponendosi al ritorno del re Costantino e in Asia cercando di estendere la propria influenza tra le popolazioni musulmane, urtando contro il nazionalismo turco e le mire dell'Inghilterra, con la quale tuttavia riusciva ad accordarsi nella delimitazione dei territorî sotto mandato; mentre nella Società delle nazioni poneva il disarmo totale della Germania come condizione preliminare per quello della Francia. Ma questa politica urtava contro molte difficoltà: gli Stati Uniti avevano ripreso la propria libertà d'azione e anche in Europa la "mentalità di guerra" andava a mano a mano scomparendo: soprattutto la situazione economica, grave per tutti, sempre più consigliava il ristabilimento della capacità di produzione e di acquisto della Germania e la ripresa di relazioni normali con essa. Onde il lavorio diplomatico circa le riparazioni, in cui la Francia, benché resistesse ottenendo moltissimo, era pur sempre costretta a rinunce gravissime per chi sulle risorse economiche derivanti dai trattati di pace contava per sanare la propria situazione finanziaria e mal si adattava, sollecito della propria sicurezza, a ridurre le spese militari. Onde il malumore diffuso nel paese che non riusciva a scorgere "le conseguenze positive della pace vittoriosa" (parole del presidente della camera, R. Péret, il 12 gennaio 1921). Senza compiere rinunce, ma in pari tempo contando più sulle energie e l'attività della Francia, sia nelle questioni finanziarie, sia nella politica interna (progiamma di riorganizzazione dell'esercito, decentramento amministrativo, grandi lavori pubblici, ecc.), volle governare A. Briand. Il quale si mantenne rigido verso la Germania, ma insieme cercò nuove garanzie politiche e militari (accordo economico e militare con la Polonia del 19 febbraio 1921, trattati di commercio con la Finlandia, 13 luglio 1921, e con l'Estonia, 7 gennaio 1922); mentre, nelle frequenti conferenze con gli alleati dovette pur sempre cedere qualche cosa. Il Briand stesso dichiarò di attenersi ormai al système des moyennes e, non astante l'opposizione delle destre (soprattutto di A. Tardieu), iniziò anche trattative dirette con la Germania. Ma i suoi successi oratorî alla conferenza di Washington per la riduzione degli armamenti navali e per il Pacifico, nel novembre, non ottennero che il punto di vista francese prevalesse. Nella conferenza interalleata di cannes (6-13 gennaio 1922), l'offerta dell'alleanza inglese in caso di aggressione da parte della Germania indusse il Briand ad acconsentire alla riunione di una conferenza economica a Genova, invitandovi la Germania e la Russia: verso la quale la Francia continuava la politica d'isolamento, ponendo come condizione per la ripresa dei rapporti il riconoscimento da parte dei Sovieti del debito pubblico contratto dal governo imperiale e collocato per la maggior parte in Francia. Parve cedesse troppo e fu sconfessato. E R. Poincaré impose che a Genova non si parlasse di riparazioni. Allora il trattato russo-tedesco di Rapallo allarmò nuovamente la Francia, la quale nella conferenza di Washington accettò i trattati relativi al Pacifico (13 dicembre 1921 e 6 febbraio 1922), all'indipendenza e integrità della Cina e, a malincuore, quello sugli armamenti navali (entrambi del 6 febbraio 1922) che per le grandi navi la poneva, con l'Italia, al terzo posto tra le potenze, a grande distanza dalla Gran Bretagna e dagli Stati Uniti, e anche dal Giappone, pure lasciandole libertà per la costruzione di sommergibili. Illusorio il disarmo tedesco, insufficiente garanzia la Società delle nazioni, doveva la Francia pensare da sé alla propria sicurezza, con provvedimenti per l'esercito e per la marina. Onde un ulteriore irrigidimento di fronte alla Germania, e, in seguito alle richieste tedesche di moratoria per i pagamenti delle riparazioni e al mancato accordo tra gli alleati nelle conferenze di Londra (9-11 dicembre 1922) e di Parigi (2-4 gennaio 1923), l'immediata azione della Francia e del Belgio, con l'occupazione militare della valle della Ruhr, e le misure prese per arginare e combattere la cosiddetta "resistenza passiva" della Germania, cessata solo nel settembre. Ma appunto l'atteggiamento del Poincaré, aveva reso anche più evidente il dissidio con l'Inghilterra, risolto nel settembre. E in seguito il Poincaré dovette accettare la nomina delle commissioni di esperti, una delle quali, il 9 aprile 1924, presentò il "piano Dawes".
Ma quel malumore per il mancato conseguimento dei frutti della vittoria, si stava, nella nazione, mutando in malcontento e delusione: la ricostruzione delle regioni invase era costata assai, e ora, dopo i sacrifici imposti dalla guerra, e dopo la vittoria, anche la politica di rigore si palesava sterile e, se pur continuava a lasciare sperare, finalmente, la prosperità, finiva con l'imporre anch'essa sempre nuovi sacrifici: più gravose imposte, rincaro della vita, economie da parte dello stato, cioè soppressione d'impieghi e uffici, con irritazione delle minori città in cui i soppressi avevano sede. Erano tutte cagioni che si volesse reagire contro la politica fino allora seguita e tentare la diversa via proposta dalle sinistre. Queste dalle elezioni del maggio 1924 uscirono vittoriose. E corsero alla vendetta, contro lo stesso Millerand, cui si rimproveravano interventi diretti in questioni politiche. Herriot rifiutò l'incarico di costituire il ministero. Il Millerand ricorse allora a F. François-Marsal, con il quale la Camera non volle avere rapporti. Fu giocoforza cedere e l'11 giugno il Millerand depose la presidenza della repubblica.
Fu eletto, per opera del senato e degli elementi più moderati, G. Doumergue: e sotto questo capo dello stato, cui rimproverava d'essere troppo conservatore, salì al potere il "cartello delle sinistre" con E. Herriot, che parlava di détente e proponeva di cercare la sicurezza della Francia nell'arbitrato e nel disarmo, e di riprendere le relazioni con la Russia.
Quanto alla sicurezza, il governo francese riteneva ora che si sarebbe potuta ottenere anche mediante patti di arbitrato internazionale e di non aggressione, accompagnati dal disarmo generale. Ma il governo conservatore, salito al potere in Inghilterra nel novembre 1924, non ritenne di potere accettare né il "regolamento dei dissensi internazionali" previsto nella risoluzione Herriot-Mac Donald, a Ginevra, né di concludere sia un patto anglo-franco-belga, sia uno più largo, includente cioè anche la Polonia e la Cecoslovacchia; al più, era disposto a prendere in considerazione un patto esclusivamente occidentale, ma comprendente anche la Germania. E d'altra parte, patti di quel genere, avevano come presupposto l'ingresso della Germania nella iocietà delle nazioni, subordinato a sua volta all'esecuzione del piano Dawes; così come il disarmo universale implicava nel pensiero della Francia, che prima fosse compiuto, effettivamente e sotto il controllo degli alleati e della iocietà delle nazioni, quello della Germania. La quale dal canto suo, circa il primo punto offerse alla conferenza di Londra (16 luglio-16 agosto 1924) nuove garanzie e ne ottenne in cambio lo sgombero della Ruhr; e nel febbraio 1925 offerse la stipulazione di un patto di garanzia per la frontiera del Reno e trattati d'arbitrato. D'altra parte, la Francia riconobbe il governo sovietico in Russia (28 ottobre 1924) nella speianza di ottenere anche un parziale riconoscimento dei prestiti fatti al governo zarista.
Alla preoccupante situazione finanziaria cercò di porre rimedio il nuovo gabinetto presieduto da P. Painlevé che aveva a ministro delle Finanze J. Caillaux. Ma i socialisti e i radicali-socialisti si distaccavano dalla maggioranza: nell'agosto il congresso socialista di Parigi si dichiarò per l'intransigenza. La proposta, fatta nell'ottobre dai radicali, di un'imposta sul capitale, osteggiata dal Caillaux, provocò dissensi tra i ministri e la ricomposizione del gabinetto.
La situazione era grave all'estero e all'interno: insurrezione di Abd el-Krim nel Marocco e dei Drusi in Siria; movimento per l'autonomia nell'Alsazia e nella Lorena, cui la legge 24 luglio 1925 dava un nuovo assetto amministrativo; e l'Inghilterra, impegnatasi (accordo Baldwin-Mellon, 19 giugno 1923) a pagare il suo debito verso gli Stati Uniti, riprendeva ora i principî esposti nella "nota Balfour" del 1° agosto 1922 invitando i proprî debitori a pagarla a loro volta. Onde trattative del Caillaux a Londra con W. Churchill, nell'agosto 1925, ma presto arenate. Solo elemento favorevole, il passo innanzi fatto nella questione della sicurezza, mediante gli accordi di Locarno, opera del Briand, firmati a Londra il 1° dicembre 1925. Ma subito, i nuovi progetti finanziarî provocavano nuove crisi ministerali; e la situazione divenne gravissima allorquando il nuovo gabinetto presieduto da Herriot fu rovesciato dopo due giorni, quando il cambio della sterlina era balzato da 198 a 238,50 franchi (il 20 luglio 1926), e mentre si svolgevano per le vie di Parigi dimostrazioni ostili. Ma intanto, s'erano domate le insurrezioni nel Marocco e in Siria, nella primavera del 1926; conclusa, per la Siria, la convenzione di Angora (18 febbraio 1926), con la Turchia; riprese e concluse le trattative per la questione dei debiti interalleati (accordi di Washington, del 29 aprile, e di Londra, del 12 luglio 1926); conclusa una serie di accordi, tra cui un patto di amicizia con la Romania (10 giugno 1926).
La gravità estrema della situazione finanziaria e politica interna, e i timori che questa suscitava, provocarono ancora una volta la "tregua dei partiti" e "l'unione sacra" di tutta la nazione. Nel nuovo gabinetto, presieduto da R. Poincaré, entrarono (con l'eccezione dei socialisti) rappresentanti autorevoli di tutti i partiti. E nelle elezioni dell'aprile 1928, che furono fatte a scrutinio di circondario (v. francia, XV, p. 909), secondo la legge del 21 luglio 1927, la nazione mostrò di dare il suo consenso all'opera di R. Poincaré. La quale, invece, ad alcuni apparve allora compiuta; e ingiustificata ormai la tregua. Così i radicali socialisti, nel loro congresso di Angers (novembre 1928) costrinsero i ministri Herriot, Sarraut, Queuille e Perrier a ritirarsi. Ma il Poincaré ricompose il ministero senza i radicali. Per tre anni la Francia ebbe un governo stabile e saldo, che poté attuare, con unità d'indirizzo e di metodi, una politica costante all'interno e all'estero. Fu provveduto al bilancio e alla moneta; altre leggi attuarono una conversione e un consolidamento volontario del debito fluttuante, creando una Cassa autonoma d'ammortamento. Inoltre, si riformarono l'amministrazione statale, l'esercito, la marina militare e l'aeronautica, con la creazione del Ministero dell'aria. Altre leggi provvidero alla vita economica della nazione.
Continuò a dirigere la politica estera A. Briand, il quale proseguì nell'opera mirante a garantire alla Francia la sicurezza costantemente invocata e i vantaggi economici offertile dal Trattato di Versailles, ottenendo, per quanto possibile, la piena esecuzione di questo; e, in mancanza di ciò, cercando di provvedere almeno alla sicurezza mediante trattati di alleanza o d'amicizia e la Società delle nazioni. Risultato di tale intensa attività diplomatica fu il trattato di amicizia con la Iugoslavia dell'11 novembre 1927 che finì di saldare la solidarietà tra la Francia e la Piccola Intesa, e il patto generale di rinuncia alla guerra (patto Briand-Kellogg) firmato solennemente a Parigi il 27 agosto 1928. E si ebbero segni di un certo miglioramento dei rapporti anche con la Germania con la soppressione della commissione militare interalleata di controllo, a partire dal 31 gennaio 1927 e con la dichiarazione collettiva (Belgio, Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna, Italia) del 16 settembre 1928 sull'apertura di trattative ufficiali intorno alla domanda formulata dalla Germania circa lo sgombero anticipato della Renania. Anche le relazioni con gli antichi alleati furono oggetto di cure assidue: da segnalare la visita del presidente Doumergue al re d'Inghilterra (16-19 maggio 1927), le trattative avviate con l'Italia in vista di un durevole miglioramento delle relazioni, nonché i trattati d'amicizia e d'arbitrato con la Persia (10 maggio 1929) e con la Spagna (10 luglio 1929), mentre con gli accordi di Angora (22 e 29 giugno 1929) erano risolte le questioni con la Turchia relative alla Siria. Nei rapporti economici internazionali il piano Young (7 giugno 1929) per le riparazioni tedesche se finiva con l'accordare alla Francia, da parte della Germania, molto meno dello sperato, aveva tuttavia il vantaggio di risolvere nel senso francese il grosso problema dei debiti interalleati, ormai collegati, in sostanza, alle riparazioni tedesche. Solo i rapporti con la Russia rimanevano difficili per le questioni delle proprietà francesi in Russia e dei crediti, e per la propaganda comunista sempre più estesa e accesa. Il Poincaré poteva dunque in complesso sentirsi soddisfatto, allorché si ritirò, per ragioni di salute, il 26 luglio 1929.
Riaperta la camera, il ministero Briand, successo a quello Poincaré, fu subito rovesciato, per opera non soltanto delle sinistre; il radicale Daladier non ottenne la collaborazione dei socialisti e si tornò a un gabinetto di coalizione, col Tardieu, che mantenne alla direzione della politica estera il Briand, il quale, il 5 settembre aveva annunciato alla Società delle nazioni un suo disegno di unione, federazione e collaborazione europea. E si ebbero la nuova conferenza dell'Aia per le riparazioni (3-21 gennaio 1930) con l'accettazione definitiva del piano Young da parte della Germania; la conferenza navale di Londra (21 gennaio-22 aprile), dove la proposta francese di un patto di sicurezza per il Mediterraneo nei casi contemplati dall'art. 16 del patto fondamentale della Società delle nazioni, fu freddamente accolta dall'Inghilterra, mentre le richieste francesi relative al tonnellaggio globale e il rifiuto di ammettere la parità con l'Italia fecero sì che tali questioni restassero in sospeso; il patto di amicizia con la Turchia (3 febbraio). La Renania fu sgombrata entro il giugno; ma le manifestazioni nazionaliste in Germania provovocarono in Francia nuove apprensioni e dichiarazioni governative (13 novembre) sulla necessità di tutelare la sicurezza. Il Briand tuttavia perseverava nella sua politica; e già il 17 maggio comunicava un progetto, da servire come base di discussione, per un "regime di unione federale europea".
Fu ripreso il progetto dei grandi lavori pubblici per l'outillage national; la legge 30 aprile 1930 completò il sistema delle assicurazioni sociali, ma l'applicazione di essa incontrò resistenze. Inoltre, stava per aprirsi un nuovo periodo oscuro nella politica interna. Il guardasigilli Raoul Péret, che era stato consulente del banchiere Oustric, autore di scandalose speculazioni, dovette dimettersi; il governo accettò la nomina di una commissione d'inchiesta sulle inframmettenze di uomini politici e sulle speculazioni pericolose per l'economia nazionale, ma cadde al senato. Alle manovre nella borsa e nel parlamento s'aggiunsero ben presto anche le difficoltà provocate dalle inevitabili ripercussioni della crisi dell'economia mondiale, non senza contraccolpi sulla politica estera. Le discussioni sul progetto Briand, nel settembre 1930 e nel gennaio e maggio 1931, fecero prendere in considerazione soprattutto l'aspetto economico. L'unione doganale austro-tedesca fu evitata; ma dimostrò la necessità d'intervenire a favore dell'economia dei paesi danubiani: questione assai delicata, per le divergenze d'interessi politici ed economici esistenti non solo tra questi paesi, ma anche tra alcune delle grandi potenze. D'altra parte, la crisi economica tedesca poneva la grave questione dei cosiddetti "crediti congelati" (ossia, non liquidabili) di banchieri inglesi e americani in Germania: il 20 giugno 1931 H. C. Hoover, presidente degli Stati Uniti, propose di sospendere per un anno tutti i pagamenti tra i governi. Ma la Francia aveva bisogno di riscuotere almeno quell'annualità incondizionata del piano Young su cui contava. Intense trattative non impedirono che la Germania si dichiarasse nell'impossibilità di pagare. Questa crisi tedesca e il turbamento di tutta l'economia mondiale avevano avuto gravi contraccolpi in Inghilterra, provocando l'abbandono della parità aurea della sterlina (21 settembre), e quindi, per la Banca di Francia che possedeva ingenti quantità di divisa britannica, gravì perdite, compensate rnediante una complicata operazione di credito da parte del Tesoro (convenzione del 7 dicembre 1931).
Intanto, continuavano le trattative per il disarmo. Il disaccordo con l'Italia circa le forze navali (argomento che interessava anche l'Inghilterra in virtù della "clausola di salvaguardia" del trattato tripartito di Londra) fu discusso nell'agosto e settembre del 1930 e di nuovo dopo un viaggio dei ministri inglesi A. Henderson e A. V. Alexander a Roma e a Parigi; ma i tecnici francesi non riuscirono ad accordarsi (19 marzo-7 maggio) con i loro colleghi italiani e inglesi nell'interpretazione delle basi di accordo accettate dal Briand il 1° marzo 1931. Intanto, anche la Francia finiva con aderire alla proposta italiana (8 settembre 1931) di una "tregua degli armamenti" per un anno, allo scopo di preparare la conferenza generale sulla limitazione degli armamenti, che si riunì a Ginevra il 2 febbraio 1932. Ma nella conferenza del disarmo, la tesi francese dell'interdipendenza degli armamenti e della necessità di costituire una forza armata internazionale al servizio della Società delle nazioni, urtarono contro molte obiezioni e difficoltà; mentre altre, non meno gravi, si opponevano alle proposte di assistenza economica ai paesi danubiani.
Con l'elezione del nuovo presidente della repubblica, A. Lebrun, dopo l'assassinio di P. Doumer, e col rinnovo del parlamento, nel maggio 1932, ma non meno con la fine delle riparazioni tedesche, che già appariva inevitabile, si può considerare che cominci un periodo nuovo. Ma si apriva tra difficoltà gravi di politica interna; e la crisi che seguì le dimissioni del ministero Tardieu fu lunga e laboriosa. Per quanto, infatti, le sinistre prevalessero nella nuova camera, questa era tuttavia talmente suddivisa che neppure il gruppo più forte, quello dei radicali (circa 160), era in grado di mantenersi al potere senza l'appoggio non solo di qualche piccolo gruppo più affine, ma o dei socialisti (circa 130) o dei varî partiti del centro (fra tutti, circa 165). Invece Herriot, cui toccò di formare il nuovo governo, non poté accettare le condizioni postegli dai primi, né desiderava l'appoggio della Concentration républicaine comprendente uomini di destra; e affrontò con un ministero di sinistra la grave situazione economica. Per diminuire la disoccupazione, si cercò di frenare l'immigrazione. Per alleggerire il bilancio, si convertirono al 4 ½ % numerosi prestiti precedenti (legge 17 settembre 1932). Ma, nonostante questo e altri provvedimenti, il disavanzo previsto per il 1933 restava enorme. E ciò, mentre la conferenza per le riparazioni, riunita a Losanna (16 giugno-9 luglio), eliminava l'introito delle riparazioni per il bilancio francese. Un altro "accordo di fiducia" con l'Inghilterra, del 12 luglio 1932, impegnava i due governi a cooperare nella ricerca di una soluzione da proporre alla conferenza del disarmo e a preparare una conferenza economica mondiale. A questa, parve fosse un avviamento la conferenza per la ricostruzione finanziaria ed economica dell'Europa centrale e orientale che, dopo lunga attività delle diplomazie francese e italiana, si riunì a Stresa (5-20 settembre) sotto la presidenza del deputato francese G. Bonnet. Ma nella conferenza del disarmo, come già prima in trattative dirette con la Francia, la Germania avanzò la sua richiesta di uguaglianza con gli altri stati e, vistala contrastata, si ritirò. Onde nuove apprensioni francesi. E venne il "progetto costruttivo" pubblicato il 14 novembre a Ginevra dal delegato francese J. Paul-Boncour, secondo il quale, ogni guerra mossa in violazione del patto di Parigi avrebbe dovuto provocare da parte di tutti gli stati firmatarî un'azione comune e l'interruzione di ogni rapporto economico e finanziario con lo stato aggressore; da parte degli stati membri della Società delle nazioni, l'applicazione delle "sanzioni" previste nell'art. 16 del patto fondamentale di questa, sostenuta da una forza internazionale, formata di contingenti specializzati forniti dai diversi paesi, a disposizione della Società delle nazioni, secondo aveva già proposto il Tardieu il 5 febbraio. Intanto, il governo francese concludeva un patto di non aggressione con l'U.R.S.S. (29 novembre) e d'altro canto accettava di riconoscere, con la dichiarazione italo-franco-inglese di Ginevra (11 dicembre), una "parità di diritti in un regime comportante la sicurezza per tutte le nazioni" alla Germania, che rientrava pertanto nella conferenza del disarmo. Inoltre, Herriot (novembre) affermava la sua volontà di migliorare le relazioni della Francia con l'Italia, e cercava altresì un avvicinamento con la Spagna. Sennonché, alla vigilia della scadenza di una rata del debito verso gli Stati Uniti, che questi avevano consentito a prorogare, Herriot, proponendo di pagarla con riserva, si vide rovesciato alla camera dall'improvvisa unione dei gruppi di destra con i socialisti e i comunisti. Ma la nazione era turbata per altre ragioni: al disagio economico generale si erano aggiunti gravi dissesti provocati da frodi (basterà ricordare la celebre Madame Hanau) e scandali per la scoperta di azioni illecite compiute da funzionarî e uomini politici ("affari") della Compagnie Aéropostale e delle frodi fiscali, nel novembre 1932). Da varie parti si segnalava l'esistenza, accanto a quella economica, d'una ben più grave crisi morale e politica. Problema fondamentale, tuttavia, quello del bilancio: a colmare il disavanzo cominciava a mostrarsi necessario il tagliare sulle spese, diminuendo numero e assegni degl'impiegati, e l'aumentare le entrate. Onde lamentele e manifestazioni ostili al governo, anche da parte dei sindacati di funzionarî. Circa il bilancio, ì socialisti presentarono un loro progetto, con proposte che la commissione parlamentare di finanza in parte accolse. Il compito di far approvare il bilancio (con notevoli riduzioni nelle spese) passò così al ministero Daladier, cui i socialisti accordarono, non collaborazione, ma appoggio, a condizione però che si desse "una rude e decisiva battaglia contro le forze del denaro e della reazione". E appunto a proposito di questo appoggio al Daladier, si ebbe nel maggio, al congresso del partito in Avignone, la scissione dei socialisti: i più rimasero con L. Blum, intransigenti; altri seguirono il Renaudel, che, disapprovato anche dal congresso socialista internazionale dell'agosto, finì col formare un partito per conto proprio (Socialistes de France). Intanto, la disoccupazione rimaneva grave, il commercio estero si contraeva ancora. La Francia rimase tuttavia fedele al principio della stabilità della moneta su base aurea, principio che sostenne, contro l'Inghilterra e gli Stati Uniti, anche nella conferenza economica mondiale di Londra (12 giugno-27 luglio 1933). Intanto, dopo delicate trattative diplomatiche, parve che la pace e il riconoscimento delle legittime aspirazioni di ciascun paese fossero assicurati all'Europa mediante il "Patto a quattro" (Francia, Germania, Inghilterra, Italia) concluso a Roma il 7 giugno 1933. Ma ben presto ecco profilarsi di nuovo la necessità dell'Anschluss e la Germania uscire dalla Società delle nazioni. La situazione interna e quella internazionale rendevano tanto più urgente e necessario provvedere all'equilibrio del bilancio, in quanto il governo intendeva riprendere il grande progetto dei lavori pubblici per l'outillage national. Oltre alla lotteria nazionale, il Daladier propose riduzioni degli assegni e degli stipendî, e fu rovesciato. Il ministero Sarraut, che gli succedette, non durò nemmeno un mese. C. Chautemps compose un altro ministero radicale, che cercò di provvedere alla situazione finanziaria, ma che cadde ben presto, moralmente scosso da nuovi scandali finanziarî: più grave di tutti l'affare Stawisky", iniziato con la scoperta, nel dicembre 1933, dell'emissione, da parte di un monte di pietà (il Crédit municipal di Baiona), di buoni di cassa falsificati, scontati poi presso istituti di credito e società di assicurazioni. Apparvero implicati nella faccenda magistrati, uomini politici, giornalisti: le accuse si moltiplicarono, da ogni parte. Conseguenza di ciò, una grave eccitazione dell'opinione pubblica, che ebbe per effetto il sorgere di nuove associazioni politico-militari. Sorgono le nuove associazioni delle Croix de feu, antichi combattenti decorati della croce di guerra, con qualche gruppo affine, della Ligue des patriotes, della Solidarité française, delle Jeunesses patriotes (poi Mouvement national populaire) e dei Francistes: cui si aggiungeva buona parte degli ex-combattenti.
Dopo un vano tentativo di formare un ministero di unione nazionale, con G. Doumergue, E. Daladier il 6 febbraio 1934 si presentò alla camera. In una seduta tempestosa, ottenne un voto di fiducia, anche da parte dei socialisti, che intendevano con ciò non sostenere il governo ma combattere la "reazione". Fuori della Camera, però, ex-combattenti, giovani delle associazioni patriottiche, camelois du roi, tumultuavano contro il governo; pare che si frammischiassero a loro dei comunisti, e individui anche più torbidi. Nella Place de la Concorde la truppa fece uso delle armi: vi furono una trentina di morti.
Il Daladier lasciò il potere. E allora, come altre volte nei momenti di crisi, mentre pareva quasi inevitabile lo scoppio d'una guerra civile, trionfò nuovamente l'unione. G. Doumergue, già presidente della repubblica, assunse il potere in condizioni estremamente difficili, con un ministero di unione nazionale: nel quale prevalevano bensì gli uomini di sinistra, ma entravano 6 ex-presidenti del consiglio tra cui, ministri senza portafoglio, i due rappresentanti più cospicui delle tendenze opposte, Herriot e Tardieu, e personalità estranee alla politica militante, dal maresciallo Pétain a G. Rivollet, segretario della confederazione degli ex-combattenti. Rimasero fuori i comunisti, i socialisti e alcuni gruppi di sinistra. Tutti questi, anzi, si unirono anche nel cosiddetto Front populaire; e contro le associazioni patriottiche, con le loro formazioni "paramilitari" si organizzarono le Jeunesses socialistes e i Jeunes gardes socialistes, e le Jeunesses communistes.
Fatto approvare il bilancio per il 1934, il gabinetto Doumergue si accinse all'opera di assestamento; e nello stesso tempo si adoperò in vario modo per alleviare gli effetti della crisi economica e riprese la politica dei lavori pubblici, per venire incontro ai disoccupati (345.783 nel marzo, 310.934 nel giugno, 323.365 nel settembre).
Nella politica estera, gli armamenti tedeschi e l'uscita della Germania dalla Società delle nazioni fecero apparire più compromessa che mai la sicurezza della Francia e resa vana la politica degli accordi. Tutto da rifare, dunque. E infatti il Barthou, ministro degli Esteri, si preparava ad attuare un suo vasto piano politico mirante alla conclusione di nuovi patti di garanzia reciproca, cui accedesse anche la Germania, per dare alla Francia quella sicurezza cui la Società delle nazioni non bastava più a garantire.
Presupposti di tale politica erano la conservazione dell'indipendenza dell'Austria, il pieno accordo tra la Francia e l'Italia (e quindi tra l'Italia e la Piccola Intesa, tra questa e l'Austria e l'Ungheria), le buone relazioni tra i diversi stati dell'Europa orientale, specie tra la Polonia e l'U.R.S.S., ambedue ormai legate alla Francia, e l'ingresso dell'U.R.S.S. nella Società delle nazioni. Una intensa attività diplomatica, viaggi del Barthou a Varsavia, a Praga, a Bucarest, a Belgrado, prelusero al progetto Barthou dell'8 luglio di un "patto orientale" comprendente Francia, U.R.S.S., Polonia, Cecoslovacchia e paesi baltici: progetto che, trasformato mettendo sullo stesso piano di reciprocità Francia, Germania e U.R.S.S. ("Locarno orientale") ebbe l'approvazione dell'Inghilterra e dell'Italia. Si parlò allora anche di un "patto mediterraneo" e dell'eventuale creazione di basi aeronautiche inglesi in Francia. Nel frattempo l'U.R.S.S., dopo lunghe discussioni e trattative laboriose era, non senza difficoltà, ammessa nella Società delle nazioni (18 settembre) con un seggio permanente nel consiglio.
Quanto all'Italia, con cui le relazioni erano già molto migliori, pur restando parecchie questioni da risolvere e difficoltà da superare, le trattative ormai bene avviate dovevano essere spinte verso la conclusione da una visita del re Alessandro di Iugoslavia a Parigi e da una di Barthou a Roma. Dopo l'assassinio del re e del ministro francese a Marsiglia, il 9 ottobre, l'opera iniziata dal Barthou venne continuata dal suo successore, P. Laval; solo per poco, tuttavia, nel gabinetto presieduto dal Doumergue.
Deciso a introdurre riforme nell'organismo dello stato, in modo da rendere più agile e più decisa l'azione del govemo, il Doumergue, pur mostrando di non volere la dittatura, nella serie di misure in cui pare consistesse il suo progetto, attribuiva al presidente del consiglio titolo e autorità di primo ministro, al governo la facoltà di prorogare per un anno il bilancio, quando la camera non avesse dato la sua approvazione in tempo utile, ad esso esclusivamente l'iniziativa di nuove spese, nonché la facoltà di sciogliere la camera senza la preventiva autorizzazione del senato. Inoltre, una legge, che non avrebbe consentito l'abbandono ingiustificato del lavoro, doveva regolare in maniera definitiva lo stato giuridico degl'impiegati statali. Da ciò l'apprensione dei partiti di sinistra, e, quando il Doumergue decise di chiedere - appunto per poter attuare la sua riforma - l'esercizio provvisorio del bilancio per tre mesi, le dimissioni dei ministri radicali-socialisti. L'8 novembre il Doumergue presentò le dimissioni dell'intero gabinetto.
La politica di tregua fu continuata, tuttavia, dal gabinetto Flandin. L'azione conciliativa dell'Italia nel "Comitato dei tre" permise la stipulazione dell'accordo economico con la Germania (firmato a Roma il 3 dicembre 1934) relativo al bacino della Saar, dove il plebiscito si svolse regolarmente (13 gennaio 1935). Le trattative con l'Italia sboccarono negli accordi conclusi a Roma dal ministro P. Laval, il 7 gennaio 1935, e approvati dalla camera il 22 marzo e dal senato il 26, per la delimitazione dei confini tra la Libia e l'Africa Equatoriale e Occidentale Francese, nonché tra la Colonia Eritrea e la Costa francese dei Somali, con una lieve rettifica territoriale a vantaggio dell'Italia; per la partecipazione del capitale italiano nella ferrovia da Gibuti ad Addis Abeba; per lo stato degl'Italiani nella Tunisia; e per la conclusione di un patto di garanzia e non ingerenza negli affari interni, da concludersi tra l'Italia, la Germania, l'Austria, la Cecoslovacchia, la Iugoslavia e l'Ungheria, e aperto all'adesione della Francia, della Polonia e della Romania. I due governi concludevano constatando il loro accordo e la loro ferma volontà di collaborare. Questo accordo permise di risolvere senza troppe difficoltà la vertenza tra la Iugoslavia e l'Ungheria, accusata di aver dato aiuto a fuorusciti iugoslavi, organizzatriri dell'attentato di Marsiglia. Nonostante qualche segno di distensione, la situazione rimaneva però grave per l'atteggiamento della Germania, i cui armamenti avevano già nel novembre vivamente impressionato il parlamento francese: perciò agli accordi di Roma seguì una visita dei ministri francesi Flandin e Laval, a Londra, e tra l'11 e il 14 aprile 1935 si ebbe la conferenza di Stresa fra i tre capi di governo, B. Mussolini, P.-E. Flandin e J. R. Mac Donald, che diede origine al cosiddetto "fronte di Stresa" d'altronde di effimera vita, tra Italia, Francia e Inghilterra (v. stresa: La Conferenza di Stresa, XXXII, p. 846). Mentre la Polonia, e soprattutto la Germania, riluttavano al progetto del patto orientale, il 2 maggio veniva firmato a Parigi un patto di assistenza reciproca tra la Francia e la Russia. Poco dopo (10-18 maggio) il Laval si recava a Mosca e a Varsavia, dove dava assicurazioni al governo polacco.
Ma la situazione interna rimaneva assai grave: preoccupanti erano le condizioni del bilancio, prevedendosi un disavanzo (comprese le ferrovie) di circa 11 miliardi per il 1935. Sicché nel maggio il governo dovette chiedere ampî poteri per il risanamento del bilancio e la difesa della valuta, contro la quale fu compiuta un' "offensiva borsistica" che provocò, tra il 29 marzo e il 31 maggio, un esodo di oro per 10.856 milioni. Il ministro Germain-Martin si dovette dimettere. Il Flandin stava per sostituirlo, allorché la richiesta dei pieni poteri provocò il voto ostile della camera, il 31 maggio.
Dopo un brevissimo gabinetto Bouisson, che non ottenne i pieni poteri richiesti, questi furono concessi, ma solo fino al 31 ottobre, al ministero - pure di concentrazione - costituito da P. Laval. Esso emanò una serie di decreti-legge tendenti a fronteggiare il disavanzo, ridurre il costo della vita, alleviare la disoccupazione, mantenere l'ordine pubblico, sostenere la valuta: misure che provocarono vivaci proteste (19 luglio) e conflitti, nell'agosto, a Tolone, Bret e Le Havre. Grave era anche la situazione interna per il contrasto tra le "leghe" e il "fronte popolare": il 14 luglio, in punti diversi di Parigi, si ebbero manifestazioni contemporanee delle Croix de feu e del "fronte popolare".
Di fronte al riarmo tedesco, la Francia cercò di mantenere saldo il "fronte di Stresa": ma tale sforzo veniva reso vano dalla grave situazione delineatasi in seguito all'acuirsi del conflitto italoetiopico, e all'atteggiamento assunto dall'Inghilterra e poi anche dalla Francia. Dopo il fallimento delle trattative fra le tre potenze, a Parigi (16-18 agosto) e il concentramento della flotta inglese nel Mediterraneo nel settembre, una serie complicata di trattative tra Parigi e Londra conduceva alla conclusione di una specie di "patto mediterraneo", dapprima solo franco-britannico, poi esteso ad altre potenze, per il caso di un attacco italiano contro l'Inghilterra, sia prima, sia durante l'applicazione delle "sanzioni" contro l'Italia: sanzioni che la Francia approvò e applicò. A Ginevra, il Laval dichiarò come principî e scopi della politica francese la fedeltà agli obblighi imposti alla Francia dalla Lega e insieme il mantenimento dell'amicizia franco-italiana, intesa come strumento indispensabile al mantenimento della pace; e pose come caposaldo il concetto che l'opera della Società delle nazioni dovesse mirare alla soluzione del conflitto. In un incontro del Laval con il ministro inglese sir Samuel Hoare, furono formulate (dicembre) proposte di preliminari di pace, presentate ai belligeranti e al consiglio della Società delle nazioni: ma esse vennero subito ripudiate dallo stesso governo inglese, e così falliva il tentativo del Laval di cercare di salvare ad un tempo i rapporti franco-inglesi e quelli franco-italiani. Intanto, la situazione interna rimaneva grave: non solo i partiti del "fronte popolare" insistevano per un'azione più vigorosa contro l'Italia, ma i tumulti non cessavano mentre le sinistre vedevano di malocchio alcuni dei provvedimenti governativi e il ritardo frapposto nel sottoporre all'approvazione del parlamento il trattato con l'U.R.S.S. Il Laval riportava bensì, nel dicembre, ancora dei successi alla camera, ma la sua posizione era nel complesso indebolita, soprattutto per l'ostilità del partito radicale, già delineatasi nel congresso del partito a Parigi, nell'ottobre. E le dimissioni presentate dai ministri radicali, condussero, il 19 gennaio, alle dimissioni del ministero, alla vigilia della discussione di una nuova riforma elettorale, preludio pur essa a nuove elezioni.
Il non facile compito di chiudere la vecchia legislatura e di preparare la nuova toccò al ministero costituito il 25 gennaio con A. Sarraut alla presidenza e agl'Interni, P.-E. Flandin agli Esteri; ma la sua breve vita fu turbata, oltre che dal perdurare delle difficoltà interne e dalla situazione esterna anormale creata dal regime sanzionistico ai danni dell'Italia, anche da un improvviso gesto di forza tedesco diretto a sgretolare l'edificio, già più volte compromesso, di Versailles.
La Germania infatti, con la nota del 7 marzo 1936, mentre dichiarava di non considerarsi più legata al patto di Locarno (affermando che tale patto aveva cessato di esistere dopo la conclusione del trattato franco-russo), comunicava altresi l'occupazione militare della zona renana. Il consiglio dei ministri francese ritenne inaccettabile il memorandum tedesco, si appellò alla Società delle nazioni (richiamando l'art. 4 del patto renano) e convocò a Parigi (10 marzo) i firmatarî di Locarno. Le riunioni furono proseguite a Londra (12-19 marzo), ma tra le proposte delle potenze locarniste (20 marzo) e le risposte del governo tedesco (24 e 31 marzo) apparve una distanza di vedute non facilmente superabile. Anche un tentativo francese (6 aprile) di conciliazione nel quadro della Società delle nazioni e in armonia con il principio della sicurezza collettiva non ebbe migliore esito. Unico risultato, per la Francia, fu l'assicurazione inglese d'un eventuale aiuto e di misure militari comuni in caso di necessità (2 aprile).
All'interno, l'opera degli ultimi ministeri, nella lotta contro la crisi economica, aveva stancato il paese con i sacrifici necessarî, ma non sufficienti per sé stessi, imposti da una politica di stretta deflazione. Le diminuite esportazioni e il crescere della disoccupazione, il rialzo dei saggi d'interesse, la perdita d'oro delle riserve, l'aumento del debito pubblico, tali i frutti di una politica che sembrava portare all'asfissia economico-finanziaria. Le elezioni si svolsero il 26 aprile e si imperniarono su un duello tra i partiti di sinistra coalizzati nel "fronte popolare" e i gruppi del centro e della destra che - pur rimanendo autonomi - procedevano d'intesa. Le forze di sinistra condussero la campagna elettorale sull'equivoca formula: né deflazione, né svalutazione, ma accrescimento del potere d'acquisto delle masse. Sia nel primo scrutinio sia nel ballottaggio, il "fronte popolare" ottenne un clamoroso successo: 381 seggi, contro 237 al centro e alla destra. In attesa dell'apertura della nuova camera il ministero Sarraut rimase in carica, ma già Léon Blum, capo designato del futuro governo e leader dei socialisti (S.F.I.O.), fece dichiarazioni programmatiche sui giornali e in riunioni di partito, affermando la necessità "di difendere e di sviluppare nel paese la libertà democratica", di perseguire nel campo internazionale un rafforzamento della sicurezza collettiva attraverso la solidarietà degli stati aderenti alla Lega e mediante la progressiva attuazione d'un piano di disarmo generale. I comunisti dichiararono che avrebbero accordato al governo delle sinistre un appoggio leale e senza riserve (in realtà le riserve e le limitazioni furono tutt'altro che lievi), ma rifiutarono una partecipazione diretta alla responsabilità del potere. Il nuovo ministero Blum fu costituito il 5 giugno 1936, mentre dilagava uno sciopero generale, con occupazione delle fabbriche, che si poté - a fatica - comporre accordando ai lavoratori un aumento di salarî variabile dal 15% sui minimi al 7% sui massimi. Ottenuta la fiducia del parlamento (384 voti contro 210), L. Blum fece approvare rapidamente (11-18 giugno) un gruppo di leggi di carattere sociale (settimana di 40 ore, ferie retribuite, contratti collettivi di lavoro, miglioramento di stipendî agli statali) che costituivano un maggior onere per il bilancio senza assicurare, se non in modo transitorio ed effimero, un più alto tenore di vita alle classi beneficate. Tuttavia il governo di L. Blum fruì, mi primi mesi, d'un favore abbastanza largo anche in taluni settori estranei al blocco delle sinistre. La novità del tentativo, il ritmo accelerato impresso all'opera legislativa, una visibile volontà di fare, ravvivando la macchina parlamentare con iniziative a getto continuo, diedero l'impressione d'una forza positiva che beneficamente potesse reagire alla politica di compressione degli anni precedenti. Ma se il governo poté godere sul terreno parlamentare di un'effettiva sicurezza, le difficoltà gli vennero, all'esterno, da talune insospettate resistenze delle classi padronali e - soprattutto - dalla marea crescente ed eterogenea dei seguaci, dalle masse che, poste in movimento, moltiplicavano reclami e richieste. E il governo, da parte sua, aggravò quest'impressione, che cioè le masse organizzate comandassero nel paese, riaffermando ogni giorno di voler rendere conto del proprio operato ai sindacati dei lavoratori e chiederne l'approvazione. In un'atmosfera siffatta non è meraviglia che la legge delle 40 ore, concepita per sanare la piaga della disoccupazione, si snaturasse fino a diventare un motivo di paralisi dell'attività produttrice della nazione, e che la teoria della maggiore capacità d'acquisto, addotta per giustificare gli aumenti di salario, rivelasse - alla prova dei fatti - l'intima sua debolezza. D'altra parte il peggioramento della situazione finanziaria e monetaria, l'insuccesso dell'emissione dei buoni del Tesoro "Auriol" (17 luglio-23 settembre 1936), il ritmo allarmante dell'esodo d'oro dalla Banca di Francia, ponevano sul tappeto il problema della svalutazione del franco, nella fiducia di promuovere una ripresa economica che ristabilisse l'equilibrio. Era una rinuncia agl'impegni elettorali e alle dichiarazioni più recenti; inoltre si temeva una reazione delle classi medie risparmiatrici, che di fatto non avvenne. Ciò spiega le esitazioni del governo che solo il 25 settembre 1936 dichiarò di voler "adeguare il valore del franco alla situazione economica esistente". Il progetto di legge fu annunciato come parte d'un accordo monetario anglo-franco-americano (26 settembre).
Nel campo internazionale, mentre si avviava a soluzione la crisi etiopica, sorgevano nuovi e non meno gravi problemi. Il ministro degli Esteri Y. Delbos, in seguito al voto per l'abrogazione delle sanzioni contro l'Italia (entro il 15 luglio) emesso dal comitato della Lega, si uniformò alle misure delle altre potenze, e poco dopo vennero firmati a Roma (11 agosto) i nuovi accordi commerciali franco-italiani. Fino dal 9 luglio un comunicato Havas aveva annunciato che il governo francese, d'accordo con quello britannico, considerava decaduti, in seguito alla revoca delle sanzioni, gli accordi mediterranei (8 dicembre 1935-22 gennaio 1936) di mutua assistenza. Alla conferenza di Montreux per gli Stretti (22-25 giugno, 6-20 luglio), la Francia, rappresentata da Paul-Boncour, sostenne, in massima, il punto di vista russo (Litvinov) e ottenne, ma non senza sforzi, l'adesione britannica.
Intanto il punto nevralgico si era spostato verso la Spagna; lo scoppio della guerra civile costituiva per la Francia una fonte di preoccupazioni dirette e di estrema delicatezza: contiguità delle frontiere, timori per l'avvenire delle linee di comunicazione tra l'Africa del nord e la metropoli, eventuali ripercussioni nel Marocco francese, vincoli inerenti all'affinità dei partiti al potere a Madrid e a Parigi. Il governo francese (1° agosto) rivolse alle potenze interessate un appello "per la sollecita adozione e per la rigorosa osservanza, nei riguardi della Spagna, di regole comuni di non intervento". Ottenute le prime adesioni (il governo italiano, aderendo, chiese che il "non intervento" fosse "integrale"; v. italia, App.), Y. Delbos sottopose ai governi il testo di una convenzione e il 15 agosto vietò ogni esportazione di materiale bellico dalla Francia verso la Spagna. In seguito a colloquî tra le cancellerie diplomatiche, iniziatisi il 26 agosto, si giunse alla creazione del "Comitato di non intervento" che fu convocato per la prima volta a Londra il 9 settembre. Ma le direttive ufficiali del governo francese apparvero, fin dai primi mesi del conflitto spagnolo, compromesse da esigenze di politica interna, da correnti d'ordine ideologico, da pressioni diplomatiche di altri paesi (U.R.S.S.), dal timore della prevalenza di nuove forze nel Mediterraneo occidentale: donde i larghi rifornimenti di armi e munizioni dalla Francia al governo rosso spagnolo, donde il reclutamento di volontarî a favore di questo stesso governo.
Gli accadimenti spagnoli e il crescente riarmo tedesco (ferma biennale) riportarono l'attenzione dei socialisti francesi e degli stessi comunisti sui problemi militari e sulle loro necessità tecniche e finanziarie. Fu emanato un decreto per la nazionalizzazione delle industrie di guerra (26 giugno 1936), fu approvato (7 settembre), un progetto di legge per l'accrescimento delle forze armate, con una spesa di 14 miliardi. Un altro credito di 500 milioni venne votato per estendere a nord la linea Maginot; si stabilì di non ridurre la ferma e di accrescere il potenziale bellico. Insomma, un vasto piano di riarmo in cui il parlamento ritrovava la sua unanimità, ma che veniva in parte frustrato dalle agitazioni estremiste, dagli scioperi, dalle difficoltà tecniche.
Tra il 12 agosto e il 14 settembre si effettuarono le visite del generale Gamelin a Varsavia, del generale E. Rydz-Śmigly (ispettore generale dell'esercito polacco) a Parigi, del ministro francese del commercio P. Bastid a Varsavia. Questo scambio di visite, insieme con nuovi legami economico-finanziarî (il 29 dicembre la camera francese approvò senza contrasti un prestito di 1350 milioni di franchi alla Polonia per spese militari e ferroviarie) segnarono una parziale ripresa degli stretti vincoli franco-polacchi che datavano dal 1921, ma che si erano alquanto affievoliti in seguito agli accordi tedesco-polacchi del 1934.
Nel mondo extra-europeo la Francia, in qualità di potenza mandataria, si trovò seriamente impegnata in Siria, dove era scoppiata una rivolta nazionalista (19 gennaio 1936) che poté essere repressa solo con misure di forza e dopo l'arresto di parecchi capi. Susseguenti trattative portarono alla firma d'un trattsto d'alleanza (9 settembre), il quale riconosce l'indipendenza siriana, ma contempla un impegno di collaborazione nella politica estera e di mutua assistenza diplomatica e militare (v. siria: Storia, App.). Una conseguenza dell'accordo franco-siriano fu l'analogo trattato d'alleanza tra Francia e Libano (Beirut, 13 novembre 1936). Ma la vittoria del nazionalismo siriano induceva la Turchia a risollevare (settembre 1936) la questione del Sangiaccato di Alessandretta (v. alessandretta, App.): questione che diede origine a reiterati attriti franco-turchi, fino a che venne consentito l'ingresso delle truppe turche ad Alessandretta (luglio 1938) per collaborare con le forze francesi al mantenimento dell'ordine.
Intanto, fino dai primi mesi del 1937, si era notato un progressivo peggiorare della situazione economica e finanziaria; per effetto delle nuove leggi sociali i costi di produzione erano aumentati in misura superiore al margine di svalutazione, annullandone ogni beneficio (la svalutazione Auriol era stata del 33%, l'aumento dei costi di produzione dal giugno 1936 al giugno 1937 del 50%). Il 21 febbraio L. Blum dichiarò di voler rallentare il ritmo delle riforme e proclamò la necessità di una "pausa" nella lotta politica e sociale, anche in vista della prossima esposizione universale di Parigi (inaugurata, con ritardo, nel maggio). Ma la gravità del male non poteva essere sanata da una semplice tregua: il bilancio del 1936 si era chiuso con sei miliardi di deficit; il debito pubblico aveva superato i 355 miliardi (285 nel 1932); fu necessario contrarre un prestito di 40 mila sterline sul mercato londinese per fronteggiaie le urgenze di cassa, ed emetterne un altro di 10 miliardi sul mercato interno per la difesa nazionale (rapidamente sottoscritto). Nel giugno, di fronte all'imponente esodo d'oro dalla Francia (8 miliardi in un solo mese), il ministro V. Auriol chiese i pieni poteri per il risanamento finanziario. Ma la fiducia del paesc era scossa, e se la richiesta venne accolta dalla camera (16 giugno: 346 voti, contro 247), fu poi respinta dal senato (19 giugno: 188 voti contro 72); Il gabinetto Blum si dimise (20-21 giugno), e la successione fu assunta dal radicale C. Chautemps (L. Blum alla vicepresidenza, Y. Delbos agli Esteri). Il blocco delle sinistre rimaneva al qotere, ma con la caduta di L. Blum, poteva considerarsi esaurita l'esperienza socialista in veste parlamentare. C. Chautemps e il nuovo ministro delle Finanze G. Bonnet ottennero i pieni poteri, ma con l'impegno di non ricorrere al controllo dei cambî. Si procedette a una nuova svalutazione, adottando il cosiddetto franc flottant che, attraverso oscillazioni e sbalzi, scese fino ad un valore di 10 centesimi rispetto al franco d'anteguerra. La situazione finanziaria migliorò, ma in virtù di misure tecniche e di rimedî contingenti, più che di provvidenze radicali e profonde.
In politica estera Y. Delbos non mutò in modo troppo sensibile le proprie direttive; se mai accentuò i legami con la Gran Bretagna. Il 24 aprile una dichiarazione franco-britannica aveva stabilito l'estinzione dei vincoli che legavano il Belgio alla Francia e all'Inghilterra, pur confermando la promessa delle due potenze di assistere il Belgio qualora fosse stato attaccato. Anche i rapporti con la Germania subirono una distensione: sul terreno politico, mediante lo scambio di assicurazioni circa l'integrità del territorio spagnolo (11 gennaio 1937), sul terreno commerciale, per effetto della visita di H. Schacht a Parigi (27 maggio).
La collaborazione franco-britannica aveva modo di manifestarsi più volte e dinnanzi a diversi problemi: convenzione di Montreux (8 maggio) per l'abolizione delle capitolazioni egiziane; accordo franco-inglese per le capitolazioni nel Marocco e a Zanzibar (29 luglio); conferenza di Nyon.
Verso la fine dell'anno le visite di Chautemps e di Delbos a Londra (29-30 novembre) confermarono l'armonia esistente tra i due paesi, ma non ebbero - né potevano avere - quell'importanza che l'opinione giornalistica, in Francia, cercò di attribuirvi.
Il rinnovo (13 ottobre 1937) del trattato franco-iugoslavo, stipulato l'11 novembre 1927, pur dimostrando che in un decennio non si erano esauriti i presupposti da cui era scaturita l'intesa tra i due stati, tuttavia non poté eliminare l'impressione di un sensibile mutamento nella posizione reciproca dei contraenti, massime per le nuove possibilità offerte alla Iugoslavia dalle relazioni amichevoli con l'Italia e con la Germania. Poco dopo (4-17 dicembre) Y. Delbos compì un viaggio nell'Europa centro-orientale (Varsavia, Bucarest, Belgrado, Praga): poco feconde le prime tre visite, non ostante le espressioni di cordialità ufficiale; migliore il successo diplomatico a Praga.
Nel settore coloniale, le maggiori difficoltà vennero dall'Africa settentrionale, sotto forma di manifestazioni molto serie, a volte anche cruente, del nazionalismo tunisino (neo desturiani), algerino, marocchino. Le misure del governo francese culminarono nella creazione (2 ottobre) di un organo di coordinamento nordafricano con il compito di svolgere, parallelamente, una politica di forza e di prestigio e un programma di miglioramento morale ed economico di quelle regioni.
Nell'autunno le elezioni cantonali (10-17 ottobre 1937) segnarono un successo dei radicali e quindi un ripiegamento centrista del paese (Fronte popolare: 864 seggi; Centro e Destre: 661 seggi), nonostante l'abile propaganda comunista (80 mila iscritti al partito nel 1935, 400 mila alla fine del 1936) che fece leva anche sui sentimenti patriottici e non lesinò appelli ai lavoratori cattolici. Notevole, del resto, il risveglio delle forze cattoliche in Francia e la loro volontà di concorrere au redressement social (discorso del cardinale Liénart al congresso cattolico di Lilla, 1937); imponenti le manifestazioni tributate al legato pontificio card. Pacelli durante le cerimonie religiose di Lisieux (luglio 1937).
Un nuovo ministero, sempre presieduto da C. Chautemps, ma con E. Daladier alla vicepresidenza e alla Difesa nazionale, accentuò la direzione radicale del governo (19 gennaio-11 marzo 1938). Ormai i socialisti rimanevano al potere non per fare opera costruttiva, ma per controllare i ministri radicali e costringerli a non liquidare le leggi sociali del gabinetto Blum. Sennonché, proprio alla vigilia della crisi austriaca, i gruppi parlamentari social comunisti negarono la fiducia al ministero Chautemps. Così, nel momento in cui la Germania proclamava l'annessione dell'Austria, la Francia era senza governo. Il nuovo ministero (presieduto da L. Blum, con Paul-Boncour agli Esteri), quarto del fronte popolare, centesimoquarto della Terza Repubblica, durò l'espace d'un matin (14 marzo-8 aprile 1938). Scartata la soluzione d'un governo d'union sacrée, É. Daladier assunse il compito di dirigere le sorti del paese (10 aprile). La nuova formazione (con G. Bonnet agli Esteri) risultò più compatta e suscettibile di più lunga vita. Dopo nuovi slittamenti, il franco venne stabilizzato a un livello più basso (circa 8 centesimi d'anteguerra). All'interno le agitazioni sociali conobbero una sosta. L'intimità dei rapporti franco-britannici ha ottenuto una nuova conferma con la visita dei sovrani inglesi a Parigi (19 luglio 1938).
Bibl.: J. Prévost, Histoire de France depuis la guerre, Parigi 1932; R. Racouly, De Bismarck à Poincaré. Soixante ans de diplomatie républicaine, ivi 1932; G. Suarez, Soixante années d'histoire française: Clemenceau, voll. 2, ivi 1932; Roux (marquis de), Origines et fondation de la troisième République, ivi 1933; David, Histoire de la troisième République, ivi 1934; G. Lachapelle, Les finances de la troisième République, ivi 1937; E. Driault, La paix de la France (1918-1935), ivi 1936; G. Peel, The economic policy of France, Londra 1937; M. Leroy, Les tendences du pouvoir et de la liberté en France au XXe siècle, Parigi 1937.
Diritto (p. 1014).
Diritto civile. - Dal 1789 al Code civil. - Questo periodo, detto del diritto intermedio, segna la transizione dal diritto francese antico al moderno. L'opera della rivoluzione francese si è certo esplicata in maniera più considerevole nel campo del diritto pubblico; tuttavia le assemblee della rivoluzione hanno introdotto varie riforme importantissime anche nel diritto privato. Esse hanno mirato soprattutto a due scopi fondamentali: rendere stabile l'unità del diritto francese mediante la soppressione delle contrastanti consuetudini, e far sparire anche le ultime tracce del feudalismo nei rapporti civili. Questa duplice azione si è sviluppata soprattutto in due campi: quello della proprietà fondiaria e quello delle successioni.
Nella notte del 4 agosto (p. 946), l'Assemblea costituente affermò il principio della proprietà individuale e assoluta, consacrando una riforma che si veniva realizzando già da varî secoli. Il regime di questa proprietà venne poi organizzato dalle leggi del 9 messidoro anno III (27 giugno 1795) e dell'11 brumaio anno VII (1° novembre 1798) che istituivano la pubblicità delle ipoteche e dei trasferimenti immobiliari. La proprietà fondiaria così ordinata costituisce anche oggi la base dell'organizzazione sociale della Francia.
Del diritto successorio feudale non molto sussisteva ancora al momento della rivoluzione. Ma questa fece sparire gli ultimi residui dei maggioraschi e dei privilegi dei maschi, proclamando l'8 aprile 1791 la completa uguaglianza fra gli eredi. Queste tendenze livellatrici furono esagerate dall'infelice legge del 17 piovoso anno II (5 febbraio 1794), la quale vietava qualsiasi disposizione testamentaria a favore di un solo erede, e assimilava i figli naturali ai figli legittimi: misure troppo radicali che si dovettero presto abrogare. Nello stesso tempo si ebbero i primi tentativi di ottenere la redazione di un codice civile; ma, nella confusione delle idee e nell'agitazione politica del periodo rivoluzionario, fu impossibile far votare i tre progetti preparati dal Cambacérès (v.; v. anche: codice: Storia della codificazione moderna, X, p. 678 seg.).
Il Code civil. - I progetti di un codice civile furono tradotti in atto grazie alla volontà del Bonaparte: nominata nel 1800 una commissione di quattro membri (Tronchet, Portalis, Bigot-Préameneau e Malleville), i lavori preparatorî furono condotti rapidamente e il Code civil poté essere promulgato il 30 ventoso anno XII (21 marzo 1804). La Francia godeva allora all'interno e all'estero la pace procuratale dal Consolato. Pertanto il codice civile fu una conciliazione tra le diverse influenze di cui, per alcune da dieci secoli, il diritto francese sentiva l'azione: diritto romano, diritto canonico, consuetudini feudali, idee filosofiche del sec. XVIII e della rivoluzione. A questa conciliazione, come ai suoi cospicui pregi di forma, il codice civile francese è debitore del successo grandissimo che ebbe (v. anche: codice, X, p. 679).
I tre libri del Code civil contengono gli elementi fondamentali del diritto civile francese.
Il diritto delle persone è fondato sulla laicizzazione della famiglia e del matrimonio; i registri dello stato civile sono tenuti dai funzionarî municipali; il matrimonio è un contratto che può essere risoluto mediante il divorzio. Ma, accanto a queste, sono passate nel diritto moderno varie regole del diritto antico, p. es., la patria potestà.
Nel diritto delle cose domina la concezione della proprietà individuale e assoluta. Fatto per un popolo di contadini e di proprietarî fondiarî, il Code civil regola minuziosamente la proprietà immobiliare, i muri, edifizî e fossi comuni, e le servitù; dedica solo pochi articoli alla proprietà mobiliare; una sola disposizione concerne i beni mobili incorporali. Il regime delle ipoteche s'ispira alle regole della specialità e della pubblicità, ma per non aver saputo ripudiare le ipoteche legali occulte del diritto antico, i redattori del codice hanno imposto alla proprietà fondiaria gravi oneri ai quali non s'è ancora potuto trovare rimedio. La prescrizione è regolata dalle idee generali del diritto romano; ma ad esse porta una notevole eccezione l'articolo 2279, risultato dello sviluppo del commercio dal sec. XVI in poi, il quale permette l'acquisto dei beni mobili corporali in base al semplice possesso di buona fede.
Ma lo spirito conciliativo del codice civile si è manifestato soprattutto nel regime delle successioni. Come in diritto romano, a fondamento della devoluzione ereditaria è l'idea dell'unità patrimoniale; per contro, a imitazione del droit coutumier, la successione ab imestato è considerata come la vera successione, e la saisine (v., XXX, p. 481), ereditaria (cioè il passaggio immediato del patrimonio o di una quota all'erede, anche a sua insaputa, investendolo del possesso civile anche senza la detenzione: le mort saisit le vif) ha una funzione importantissima. A loro volta, le idee della rivoluzione hanno fatto introdurre il concetto dell'uguaglianza assoluta degli eredi e accordare ai figli naturali certi diritti nella successione dei loro genitori.
Il regime delle donazioni e dei testamenti è ispirato direttamente dalle ordinanze reali del sec. XVIII. La riserva ereditaria ha un nuovo e più libero regime. Certo, non si è ristabilita la grande libertà testamentaria del diritto romano; ma il Code civil ignora la grande rigidità della riserva del droit coutumier, ancora rafforzata dal diritto della rivoluzione: esso limita la riserva agli eredi in linea diretta e ammette la disponibilità di una quota, che può essere fino della metà dell'asse ereditario, e di cui il testatore ha diritto di usare anche a vantaggio degli eredi.
I rapporti patrimoniali tra coniugi sono anch'essi regolati sotto l'ispirazione prevalente del diritto antico: la comunione dei beni tra coniugi, che costituisce il diritto comune dei Francesi, è un istituto del droit coutumier. Ma, su richiesta delle popolazioni del Mezzogiorno, i redattori del codice hanno conservato il regime dotale del diritto romano come regime oggetto di convenzione. Su tutte queste norme regna il principio di droit coutumier dell'immutabilità delle convenzioni matrimoniali.
Per contro, il diritto romano domina tutta la materia delle obbligazioni. Esso ispira direttamente i capitoli del codice dedicati ai contratti e alle obbligazioni che si contraggono senza convenzione, alla vendita, alla locazione e a tutti gli altri contratti civili. Solo alcune regole hanno origine diversa. Il diritto francese antico ha fatto passare nel capitolo della vendita il principio del trasferimento della proprietà per effetto del solo consenso; e alle idee della rivoluzione i redattori del codice hanno attinto la regola (art. 1780) che nessuno può locare la propria opera per un tempo indeterminato.
Per grandi che fossero i suoi meriti, il codice civile non poteva certo arrestare definitivamente lo sviluppo del diritto civile francese. Da una parte, alcune delle sue disposizioni erano notoriamente difettose; per es., la posizione della donna maritata e la pubblicità dei trapassi d'immobili. E d'altra parte, nel corso dei secoli XIX e XX apparvero nuovi istituti che non erano, o erano in maniera insufficiente, regolati dal codice civile: per es., le assicurazioni, le persone morali. Da ciò la necessità di un continuo lavoro legislativo allo scopo di migliorare o completare il codice; si tratta però sempre soltanto di perfezionamenti o complementi e il Code civil rimane la base del diritto civile francese.
La legislazione posteriore. - L'attività legislativa in materia di diritto civile fu in Francia assai limitata fin oltre la metà del secolo XIX.
Al più interessa di segnalare la legge dell'8 maggio 1816 con cui il governo della Restaurazione abrogava il divorzio e quella del 30 giugno 1838 che assicurava la protezione degli alienati non interdetti. Sotto la Seconda Repubblica e il Secondo Impero le leggi di puro diritto civile sono ancora pochissime: citiamo soltanto la legge del 23 marzo 1855 che ristabilisce la trascrizione dei trapassi d'immobili sul modello della legislazione rivoluzionaria e quella del 14 luglio 1866 sulla proprietà letteraria e artistica. Ma è di quel tempo l'apparizione della legislazione sociale che, in favore degli operai, interviene a regolare l'attività professionale: tali la legge del 9 settembre 1848 sulla durata del lavoro e quella del 25 maggio 1864 sul diritto di sciopero.
Con la Terza Repubblica il movimento legislativo s'intensifica straordinariamente. Le ragioni di questo fenomeno sono molteplici.
In primo luogo, potente fattore di modificazioni delle leggi civili sono le trasformazioni economiche. La Francia non è più soltanto un paese agricolo; le imprese commerciali e industriali si sono assai sviluppate ed esigono una legislazione nuova, anche civile. Così, la legge del 26 febbraio 1880 assicura la protezione dei valori mobiliari nel patrimonio degl'incapaci.
In secondo luogo, il suffragio universale ha come risultato lo sviluppo della legislazione sociale già iniziata sotto i regimi precedenti. La legge del 21 marzo 1884 permette la formazione dei sindacati professionali, quella del 9 aprile 1898 sistema la responsabilità dei datori di lavoro nei casi d'infortunî sul lavoro e la legge del 28 dicembre 1910 promulga i primi libri del codice del lavoro. Nello stesso tempo, le concezioni individualistiche della rivoluzione tendono a sparire e si manifesta la necessità di autorizzare, sottoponendole a regolamento, le associazioni (legge 1° luglio 1901).
Inoltre, le nuove tendenze politiche ed economiche modificano profondamente l'organismo della famiglia: il divorzio è ristabilito (legge 27 luglio 1884); le condizioni richieste per il matrimonio sono gradatamente mitigate, specie relativamente al consenso dei genitori (leggi 21 giugno 1907, 27 giugno 1917, 2 febbraio 1933); la legge del 25 marzo 1896 allarga i diritti di successione dei figli naturali e quella del 16 novembre 1912 permette la ricerca della paternità naturale; la condizione della donna maritata che esercita un mestiere è notevolmente migliorata con la legge del 13 luglio 1907.
Queste tendenze si affermano anche più nettamente dopo la guerra mondiale, mentre il numero delle leggi civili aumenta di continuo. Numerosissime disposizioni organizzano la protezione dei locatarî, introducendo nel diritto francese una nozione di revisione dei contratti, che è in assoluto contrasto con le antiche tendenze. Le leggi del 5 aprile 1928 e del 30 aprile 1930 organizzano un regime completo di assicurazioni sociali che è in opposizione diretta con l'individualismo del secolo precedente. Il contratto di assicurazione è regolato con la legge del 13 luglio 1930.
Nel corso degli ultimi anni, la legislazione sociale si è ancor più sviluppata sotto la pressione delle forze operaie che hanno fatto votare la legge 24 giugno 1936, sui contratti collettivi di lavoro, la legge 31 dicembre 1936 sull'arbitrato obbligatorio nelle controversie collettive del lavoro.
La legge 18 febbraio 1938 ha soppresso l'incapacità della donna sposata, ma poiché non sono ancora state modificate le disposizioni del codice civile sul regime matrimoniale, soltanto nel caso di ottenuta separazione dei beni le donne godranno di tale capacità e il patrimonio delle altre, viventi sotto il regime della comunione dei beni, resterà per ora soggetto all'amministrazione del marito.
Infine, il ritorno dell'Alsazia e della Lorena alla Francia rende necessario uno sforzo di adattamento della legislazione civile francese: la legge del 1° giugno 1924 rimette in vigore il codice civile nei dipartimenti riacquistati, pur lasciando sussistere alcuni istituti del regime tedesco, quali la tutela e i libri fondiarî.
Di fronte al moltiplicarsi di queste leggi civili, sembra a taluni che l'intero Code civil avrebbe bisogno di essere ammodernato; ma l'opinione pubblica francese è ostile a tale riforma generale di un testo che ha fatto le sue prove. Tutt'al più l'Union législative des peuples alliés ha elaborato il progetto di un codice delle obbligazioni che sarebbe comune alla Francia e all'Italia, e che non è stato ancora discusso dal parlamento.
L'interpretazione delle leggi civili. - Se la legge costituisce, in Francia, l'unica fonte del diritto, avviene tuttavia che, attraverso l'interpretazione di essa, ogni giorno s'introducano nella vita giuridica regole nuove, senz'alcun intervento del legislatore.
Questa interpretazione è in primo luogo opera della pratica, specialmente di quella notarile: i notai e i legali si valgono di tutte le risorse giuridiche per soddisfare ai bisogni della vita degli affari. Ma i loro sforzi non sono coronati da successo se non quando i tribunali ratificano le loro soluzioni.
Pertanto, la giurisprudenza è l'agente principale dell'interpretazione delle leggi. Essa rappresentò una parte di prim'ordine durante tutto il sec. XIX, prima per stabilire il senso degli articoli del codice civile, poi per adattare le disposizioni di questo alle nuove necessità, cui hanno dato origine i mutamenti economici. Da questo sforzo della giurisprudenza sono nati diversi istituti civili, quali il mandato tacito della donna maritata e l'inalienabilità della dote mobiliare.
La dottrina ha anch'essa una funzione di prim'ordine nell'interpretazione delle leggi civili. Subito dopo il codice civile, la dottrina francese s'è contentata di una stretta esegesi dei testi (Malleville, Toullier, Delvincourt, Troplong); poi il metodo è stato trasformato da Aubry e Rau (Cours de droit civil français, 1ª ed., 1838-47) la cui opera, spesso ripubblicata, costituisce una costruzione razionale e critica, dal Demolombe (Cours de Code Napoléon, 1844 segg., voll. 31, incompleto, opera ormai molto invecchiata) e dal Laurent (Principes du droit civil français, 1ª ed. 1869, voll. 33) le cui soluzioni troppo rigide gli hanno sovente alienato l'animo dei pratici. Durante l'ultimo quarto del sec. XIX si sono introdotti nella dottrina due nuovi elementi: lo studio della giurisprudenza, che si estrinseca nelle note pubblicate dalle raccolte di sentenze, e lo studio del diritto comparato (soprattutto per opera di R. Saleilles). Ravvivata da questi elementi, la dottrina francese ha prodotto nell'ultimo trentennio una serie di opere complete per l'insegnamento e la pratica del diritto.
Diritto commerciale. - Il codice di commercio e i commercianti. - Il Code de Commerce del 1807 è stato redatto rapidamente, in seguito alla dura crisi commerciale che aveva infierito in Francia nel 1805; s'ispirava direttamente alle ordinanze di Luigi XIV (del 1673 sul commercio terrestre, del 1681 sul commercio marittimo). Molte di queste disposizioni erano già invecchiate fin dalle origini, altre invecchiarono ben presto, sicché una lunga serie di leggi nuove dovette completarle.
Il diritto commerciale francese, elaborato all'indomani della rivoluzione, non poteva essere proprio di una classe particolare di cittadini; e così esso si applica a tutti gli atti di commercio, qualunque sia la persona che li compie. Tuttavia era indispensabile che certe disposizioni fossero limitate a coloro che fanno del commercio la loro professione abituale, i commercianti: tali sono l'obbligo di tenere i libri di commercio, l'obbligo di pubblicare il contratto di matrimonio, il fallimento.
Il codice di commercio taceva sull'azienda e la proprietà commerciale. Leggi posteriori hanno colmato questa lacuna, regolando la vendita e la dazione in pegno delle aziende commerciali (legge 17 marzo 1909) e dando ai commercianti un diritto al rinnovo del contratto di locazione (legge 30 giugno 1926); una legge del 18 marzo 1919 ha organizzato il registro di commercio, semplice repertorio che non è in Francia, come in certi paesi, lo strumento legale della pubblicità commerciale.
Le società commerciali. - Le regole del contratto di società erano state fissate dal codice civile. Il Code de commerce regolò perciò esclusivamente quelle il cui oggetto essenziale era il compimento di atti di commercio. Le società commerciali sono persone morali: possiedono cioè un patrimonio sociale sul quale i creditori della società hanno un privilegio in confronto dei creditori dei singoli soci; solo le associazioni in partecipazione sono prive di personalità morale (legge 24 giugno 1921).
Le società commerciali si dividono nelle due grandi categorie delle società di persone, società in nome collettivo con responsabilità solidale e illimitata dei soci, e delle società di capitali, o anonime, in cui ciascun socio è responsabile nei limiti della sua quota. Intermedie tra queste due categorie, le società in accomandita comprendono soci accomandatarî responsabili illimitatamente di tutte le obbligazioni sociali, e soci accomandanti tenuti solo per l'ammontare della loro quota. Le società anonime per azioni sono state sottoposte a norme minuziose dalla legge 24 luglio 1867; possono essere create liberamente, ma il loro funzionamento è soggetto a regole precise. Nel 1925 è sembrato indispensabile sottrarre a queste disposizioni talune società di minore importanza, i cui membri volevano tuttavia godere del beneficio d'una limitazione di responsabilità; e la legge creò le società a responsabilità limitata.
Durante la crisi finanziaria seguita al 1931, parve indispensabile proteggere il risparmio modificando alcune disposizioni della legge 24 luglio 1867 sulle società per azioni. A questo orientamento rispondono la legge 13 novembre 1933 sulle azioni a voto plurimo, e i decreti-legge dell'8 agosto e del 30 ottobre 1935, del 30 luglio e del 31 agosto 1937. Di particolare interesse è il decreto-legge 31 ottobre 1935, che ha disciplinato il regime giuridico delle "masse di obbligazionisti".
Contratti commerciali e titolî di credito. - I contratti commerciali sono dominati dal principio della prova orale, il che costituisce una grave deroga alle regole del diritto civile. I contratti su merci, vendita, pegno, trasporto, sono regolati da norme particolarmente semplificate. I contratti su valori mobiliari, abitualmente conchiusi nelle borse valori, sono per lo più retti soltanto da norme consuetudinarie e giurisprudenziali.
I decreti-legge del 30 ottobre 1935 hanno introdotto in Francia le convenzioni internazionali sull'uniformità della cambiale (1930) e dell'assegno (1931). Servendosi delle riserve previste dalle convenzioni stesse, detti decreti si sono mantenuti fedeli alla teoria del cambio francese che si fonda sull'esistenza di un vincolo indissolubile tra l'effetto di commercio e il credito che gli ha dato vita e hanno conservato il principio del trasferimento della proprietà della provvista, grazie al quale il portatore dell'effetto non subisce mai il concorso dei creditori del traente.
Fallimento e liquidazione giudiziaria. - Le norme del codice di commercio intorno al fallimento erano assai difettose e furono sostituite da quelle della legge 28 maggio 1838. Essa comporta severe privazioni di diritti nei riguardi dei falliti; e pertanto è parso necessario attenuarne le disposizioni in favore dei commercianti di buona fede vittime della mala sorte istituendo (legge 4 marzo 1889) la liquidazione giudiziaria.
Il giudizio dichiarativo del fallimento o della liquidazione giudiziaria non può aver luogo che in caso di "cessazione dei pagamenti"; esso crea una massa dei creditori chirografarî i cui interessi sono rappresentati dal curatore o dal liquidatore giudiziario, essendo sospese tutte le azioni personali. Se i creditori non possono accordarsi col fallito per concedergli un concordato, le cui clausole sono imposte alla minoranza dalla maggioranza dei creditori, bisogna arrivare all'"unione", procedura di realizzazione dei beni del fallito.
In seguito alle conseguenze della crisi commerciale e finanziaria sulla situazione di molte imprese, sembrò necessario riformare varie disposizioni sulla procedura fallimentare (decreto-legge 8 agosto 1935) e istituire una specie di concordato amichevole sottoposto all'approvazione del tribunale di commercio (decr. legge 25 agosto 1937 sul regolamento amichevole omologato).
Diritto e procedura penale. - La legge penale e i reati. - Fin dal 26 agosto 1789, nella Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, la rivoluzione manifestò la sua volontà di farla finita con il diritto penale dell'antico regime; essa proclamò dei principî, i quali, ispirati direttamente dall'opera di C. Beccaria, davano nuovi fondamenti alla repressione dei reati: legalità e personalità delle pene, soppressione delle repressioni arbitrarie, limitazione del diritto penale ai fatti contrarî all'ordine sociale. In base a queste idee furono redatti i codici del 1791 e dell'anno IV (1795-96): spingendo all'estremo il principio della legalità, questi codici stabilivano per ciascun reato una pena fissa e definitiva.
Ma questi codici apparvero presto insufficienti; e furono poco dopo sostituiti da quello del 1810 che costituisce ancor oggi la legge penale della Francia. Esso è ispirato alle dottrine della scuola utilitaristica; cerca d'impedire il delitto mediante l'intimidazione di coloro che potrebbero essere tentati di commetterlo; la nozione dell'emendamento del colpevole vi è ignorata completamente. Nel corso dei secoli XIX e XX tutta una serie di leggi dovette introdurre nel diritto penale francese mitigazioni delle pene, per lo più ispirate al concetto dell'individualizzazione della pena.
I reati sono distinti, secondo le pene relative, nelle tre categorie dei crimini comportanti una pena criminale, dei delitti (pene correzionali) e delle contravvenzioni (pene di semplice polizia). In linea di principio, il crimine e il delitto suppongono nel delinquente una intenzione delittuosa, cioè la coscienza di violare la legge, mentre nelle contravvenzioni l'elemento intenzionale può anche mancare.
Il codice penale conosce la distinzione dei reati in reati politici e reati di diritto comune. I primi sono puniti con pene speciali; e questi sono stati particolarmente oggetto di mitigazioni: abolizione della pena di morte e del carcere per debiti (leggi 4 novembre 1848 e 30 dicembre 1928).
Il tentativo è punito per tutti i crimini e per quei delitti rispetto ai quali il legislatore lo ha specificato formalmente; non è invece mai punito per le contravvenzioni. Il tentativo è punito come il reato consumato: è questa una sopravvivenza della severità del Code pénal, mitigata in pratica dal gioco delle circostanze attenuanti.
Il delinquente e la pena. - L'evoluzione del diritto penale francese è stata rivolta all'individualizzazione della pena, specialmente in relazione ai recidivi e a chi delinque per la prima volta.
La recidiva, considerata come una circostanza aggravante della pena, era già prevista dal codice; ma la legge 26 maggio 1891, detta legge Bérenger, l'ha notevolmente estesa, specie in materia di delitti. Dopo la legge 27 maggio 1885 alcuni recidivi, considerati come delinquenti abituali, incorrono in una pena speciale: la relegazione, pena coloniale destinata a eliminare definitivamente i delinquenti inassimilabili. Per contro, la posizione di chi delinque per la prima volta è stata migliorata dalla condanna condizionale, periodo di prova durante il quale il condannato è dispensato dall'esecuzione della pena.
Le pene criminali sono la morte, i lavori forzati a vita o a tempo (pena scontata alla Guiana) e la reclusione. La prigionia e l'ammenda costituiscono le pene correzionali e di semplice polizia. Il regime cellulare è praticato dal 1875 e la liberazione condizionale funziona dal 1885 per la reclusione e la prigionia.
Procedura penale. - Regolata dal Code d'instruction criminelle del 1808, la procedura penale è stata modificata da diverse leggi, specialmente dalla legge 8 dicembre 1897, miranti ad accordare agli accusati il massimo di garanzie.
Per le contravvenzioni e i delitti, i tribunali della giurisdizione civile sono competenti anche in materia penale. Per i crimini esiste una giurisdizione particolare, cioè la corte d'assise, che comprende due elementi: la giuria, che si pronuncia sui fatti, e la corte, composta di magistrati, che applica la pena. La sezione penale (chambre criminelle) della corte di cassazione può cassare le decisioni e i giudizî contrarî al diritto.
L'azione pubblica è intentata dal Pubblico Ministero il quale si rivolge al giudice istruttore; questo è investito di poteri estesi, ma l'istruzione da lui compiuta è segreta. Per contro, in udienza, l'istruzione è orale, pubblica e in contraddittorio.
Procedura civile e ordinamento giudiziario. - Ordinamento qiudiziario e competenza. - L'ordinamento giudiziario francese è fondato sul principio della separazione dei poteri; ma dopo la rivoluzione questo principio non è stato sempre rispettato fedelmente.
Fino dall'inizio del periodo rivoluzionario, l'Assemblea costituente stabilì, nella legge 16-24 agosto 1790, i principî essenziali del nuovo regime giudiziario: uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla giustizia, doppio grado di giurisdizione, unità della giurisprudenza consacrata dall'esistenza di un tribunale di cassazione. I giudici allora erano elettivi e l'arbitrato particolarmente in onore. Questa organizzazione venne modificata sotto l'Impero da una serie di leggi, la più importante delle quali è quella del 20 aprile 1810; queste leggi hanno abolito l'elezione dei giudici, organizzando la loro nomina da parte del potere esecutivo, e hanno istituito le corti d'appello come secondo grado di giurisdizione. Dopo di allora, l'ordinamento giudiziario è stato modificato pochissimo.
L'organo giurisdizionale di diritto comune è il tribunale di prima istanza (un tribunale per ogni circondario, salvo per quelli dove la popolazione è troppo scarsa), competente in ultima istanza fino al valore di 7500 franchi (decreto legge 28 marzo 1934). Quando vi è luogo ad appello, esso è portato davanti ad apposita corte: le corti di appello sono in numero di 27.
A fianco di queste giurisdizioni di diritto comune esistono tre giurisdizioni eccezionali: 1. il Juge de paix, competente per gli affari meno importanti (fino a 1500 franchi in ultima istanza e fino a 4500 franchi in prima istanza, con appello al tribunale civile), è un giudice unico, e ve n'è uno per ogni cantone; 2. il tribunale di commercio, uno per circondario, composto di giudici eletti dai commercianti e scelti tra essi; hanno competenza per i soli affari commerciali, ma illimitata per valore e soggetta ad appello innanzi alle corti d'appello; 3. il consiglio dei probiviri, composto di giudici eletti da imprenditori e operai, per giudicare delle piccole contestazioni relative ai contratti di lavoro; l'appello si porta al tribunale civile.
Al disopra dei varî organi giurisdizionali è la Corte di cassazione, incaricata di mantenere l'unità della giurisprudenza. Essa non statuisce sul fatto, ma esercita il solo controllo di legittimità; in seguito a cassazione di una sentenza, la controversia è rinviata ad altro organo giurisdizionale dello stesso grado di quello da cui emanava la sentenza cassata; se questo decide nello stesso senso del primo, il litigio può essere nuovamente sottoposto alla Corte di cassazione, la quale, a sezioni unite, può o respingere il ricorso oppure cassare per la seconda volta, rinviando a un terzo organo giurisdizionale che, questa volta, deve attenersi alla massima fornita dalla corte suprema.
Ogni processo, in linea di principio, è portato dinnanzi al tribunale del domicilio del convenuto. Questa regola ha però molte eccezioni, e in particolare le controversie relative a immobili dipendono dal tribunale nel cui distretto l'immobile è situato, e quelle relative a una successione sono obbligatoriamente portate al tribunale del luogo d'apertura della successione, cioè dell'ultimo domicilio del de cuius.
Regole di procedura civile. - La rivoluzione aveva tentato di organizzare una procedura semplificata all'estremo; ma a ciò si dovette rinunciare e il Code de procédure civile del 1806 ha dovuto in molti punti ritornare alle regole dell'ordinanza del 1667. Varie leggi posteriori hanno tentato di modernizzare la procedura; ma una riforma generale è tuttora oggetto di studio.
La procedura è dominata dal principio dell'oralità e della pubblicità; il giudice conosce la controversia in base alle allegazioni delle parti; tuttavia i testimonî sono sentiti davanti a un giudice delegato a tale scopo e le loro deposizioni sono consegnate per iscritto. Il giudice è passivo: tocca alle parti far valere i loro mezzi di attacco o di difesa.
Il processo comincia con un preliminare di conciliazione, davanti al presidente del tribunale, salvo nei casi urgenti in cui le pani ne sono dispensate. Se le parti non si sono conciliate, l'attore chiama il suo avversario davanti al tribunale per atto d'usciere (citazione). La controversia è poi portata davanti al giudice all'udienza del tribunale e finisce con una sentenza.
Contro questo giudizio sono aperti varî mezzi d'impugnazione. L'appello, allo scopo di far riformare una sentenza di primo grado, è portato davanti al grado superiore di giurisdizione. L'opposizione si ha quando una delle parti è mancata al processo: la si porta dinnanzi allo stesso tribunale della prima istanza. La revocazione è aperta in tutti i casi in cui la decisione del giudice è stata falsata da manovre o da un errore di fatto; è presentata allo stesso grado di giurisdizione. Infine il ricorso per cassazione è autorizzato solo per la violazione della legge contro una decisione resa in ultima istanza ed è presentato alla corte suprema.
Con uno dei decreti-legge del 30 ottobre 1935 si è compiuto uno sforzo per accelerare la procedura davanti ai tribunali civili. Si è sopra tutto stabilito che ogni causa sia particolarmente seguita da un giudice, incaricato di evitare i ritardi e investito del diritto d'imporre alcune determinate misure d'istruzione; questa disposizione segna un passo notevole verso il regime della procedura diretta dai giudici e non più dagli avvocati. Inoltre il decreto ha soppresso alcuni procedimenti che avevano la sola conseguenza pratica di ritardare la soluzione del processo.
La giustizia amministrativa. - Il sistema francese della giustizia amministrativa ha le sue origini nella legislazione della rivoluzione e nell'organizzazione amministrativa del Consolato. Nel 1790 l'Assemblea costituente, consacrando del resto l'essenza di soluzioni già acquisite alla fine dell'antico regime, costruì per la risoluzione del contenzioso amministrativo, un sistema composto di due elementi. Da una parte essa vietò ai tribunali ordinarî di conoscere delle liti sorte dal funzionamento dell'amministrazione: divieto connesso col principio della separazione dei poteri, ma ispirato soprattutto da sfiducia verso i tribunali ordinarî, sospetti di ostilità verso l'amministrazione. Questo divieto contenuto, nella legge 16-24 agosto 1790 e ribadito da quella del 16 fruttidoro anno III (2 settembre 1795), costituisce la regola, essenziale per il diritto amministrativo francese, della "separazione delle autorità, amministrativa e giudiziaria". D'altra parte, l'Assemblea costituente, dopo aver preso in considerazione l'istituzione di tribunali amministrativi, vi rinunciò per un criterio di semplificazione, e rimise la decisione sul contenzioso amministrativo agli organi stessi dell'amministrazione, direttori di distretto e di dipartimento, consiglio del re e dei ministri.
Organizzazione. - Questa seconda parte del sistema sparì presto. Per dare un minimo di garanzia ai privati, il Consolato, senza creare veri tribunali amministrativi, utilizzò per la risoluzione del contenzioso amministrativo due dei consigli previsti dalla costituzione dell'anno VIII, e cioè il Consiglio di stato e i consigli di prefettura, che oltre alle funzioni consultive ebbero quella di giudicare sui reclami contenziosi rivolti contro l'amministrazione. Così la legislazione francese si trovò avviata sulla strada che in complesso ha seguito sempre e che, con numerose riforme nei particolari, ha condotto all'organizzazione vigente. Completata dalla creazione progressiva di una serie di giurisdizioni speciali: Corte dei conti, Consiglio di revisione (per il contenzioso del reclutamento militare), giurisdizioni in materia d'istruzione pubblica e, dopo la guerra mondiale, di pensioni militari, di certe imposte, ecc., l'organizzazione della giustizia amministrativa francese presenta i seguenti caratteri generali:
1. In nessun caso, la giustizia amministrativa è esercitata da organi dell'amministrazione attiva. - Per molto tempo questo principio ha sofferto un'eccezione notevole, nel caso del ministro giudice. Si riteneva che quando il ministro decideva di reclami contenziosi portati davanti a lui, nella sua qualità di superiore gerarchico o di giudice, egli pronunciava come giudice di prima istanza. Per molto tempo anzi si era ravvisato in lui il giudice di diritto comune in prima istanza per il contenzioso amministrativo. Ma questa teoria, sotto l'uno e l'altro aspetto, fu del tutto scartata dalla giurisprudenza, a partire dal 1890 circa.
2. La giustizia amministrativa è, tutta quanta, delegata. - Nella costituzione dell'anno VIII la giustizia amministrativa, nel secondo grado, era stata riservata al capo dello stato; il Consiglio di stato non faceva se non emettere pareri, ai quali il capo dello stato poteva non aderire (di fatto, vi si conformava sempre) e che soltanto la sua firma trasformava in sentenze. La legge del 24 maggio 1872 ha conferito un potere di giurisdizione propria al Consiglio di stato e al tribunale deí conflitti; della giustizia riservata resta ora solo una traccia: in materia di prede marittime, in caso di appello decide mediante un decreto il presidente della repubblica.
3. La giurisdizione amministrativa è esercitata da tribunali, di cui la maggior parte è ancora costituita da organi dell'amministrazione consultiva. Alcune delle giurisdizioni create dopo la guerra mondiale sono unicamente tribunali, con l'unica funzione di giudicare (tribunale delle pensioni, tribunale amministrativo d'Alsazia e Lorena, ecc.); ma la maggior parte di esse continua a essere costituita dagli organi dell'amministrazione consultiva: consigli di prefettura, Consiglio di stato, ecc. Il principio della riforma dell'anno VIII vige dunque tuttora. Ma all'organizzazione di questi consigli incaricati inoltre di attribuzioni contenziose, per garantire il migliore esercizio di queste, sono state apportate riforme, soprattutto con l'eliminare l'influenza dell'amministrazione attiva. Col sostituire ai consigli di prefettura dipartimentali 22 consigli di prefettura interdipartimentali, il decr. 6 settembre 1926 ne ha migliorato la composizione e messo fine alla presidenza - a dir vero, teorica - del prefetto. Le attribuzioni consultive dei consigli di prefettura, senza essere soppresse, sono state assai ridotte; essi sono diventati quasi esclusivamente organi giurisdizionali, cosicché il decreto 5 maggio 1934 ha potuto estenderne la competenza, attribuendo loro il contenzioso della responsabilità e dei contratti delle amministrazioni locali. Quanto al Consiglio di stato, una serie di riforme, dal 1830 in poi, ha finito col differenziare entro di esso l'organo consultivo e l'organo giurisdizionale. Esso esercita le sue attribuzioni giurisdizionali mediante la sezione del contenzioso (suddivisa a sua volta in due organi giudicanti e in sottosezioni d'istruzione) e l'assemblea pleuaria del contenzioso (decreti 5 maggio e 11 luglio 1934) che sono distinte dagli organi amministrativi (sezioni amministrative; assemblea generale). Dagli organi del contenzioso sono esclusi i membri del consiglio appartenenti al personale politico o all'amministrazione attiva (ministri, consiglieri di stato in servizio straordinario); vi appartengono solo i consiglieri di stato in servizio ordinario, appartenenti al personale di carriera, nominati per lo più in seguito a concorso, e la cui partecipazione alle attribuzioni consultive del Consiglio di stato ha come solo effetto di dar loro, del funzionamento reale dell'amministrazione, quella conoscenza profonda che li rende particolarmente adatti a esercitare le loro attribuzioni giurisdizionali. Si riconosce universalmente in Francia che il Consiglio di stato offre tutte le garanzie desiderabili di competenza giuridica e d'imparzialità; ed è da osservare che nel funzionamento della giustizia amministrativa, essa ha una parte eminentissima. Il Consiglio di stato è infatti il giudice ordinario in prima istanza, e davanti ad esso può essere portata ogni controversia che la legge non attribuisca a un altro tribunale. D'altra parte, riguardo alle altre giurisdizioni, il Consiglio è giudice sia d'appello, sia di cassazione, di modo che tutto quanto il contenzioso amministrativo è sottoposto al suo controllo. La giurisprudenza del Consiglio di stato costituisce nella realtà il diritto amministrativo; e il diritto per tale via elaborato, specie circa la teoria della responsabilità amministrativa e circa quella dei ricorsi per eccesso di potere, assicura ai privati un'efficacissima protezione contro arbitrî dell'amministrazione.
Competenza. - Del sistema rivoluzionario sussiste l'elemento negativo, il divieto ai tribunali ordinarî di conoscere degli "atti d'amministrazione". Se ci si riferisce ai motivi che lo ispiravano, è certo che il divieto si riferisce a tutti gli atti amministrativi; e così fu inteso dapprima. Ma in seguito all'affermarsi dell'idea che i soli tribunali ordinarî fornivano ai privati garanzie sufficienti di fronte all'amministrazione, la nozione di "atti d'amministrazione" venne ristretta, comprendendosi in essa soltanto quegli atti dell'amministrazione i quali presentano un carattere specificamente amministrativo, lasciando ai tribunali ordinarî quegli atti la cui natura non differisce da quella di tutti gli atti privati e che, giuridicamente, sono "atti civili").
In questa definizione dell'atto d'amministrazione, la dottrina e la giurisprudenza sono passate per diverse tappe. Per un certo tempo la questione fu regolata mediante la distinzione fra atti di impero e di gestione. Dal 1900 circa, prevale un'altra interpretazione che ha la sua base nella teoria della gestione pubblica costruita soprattutto da M. Hauriou. Essa procede dall'idea che la maggior parte degli atti compiuti per assicurare il funzionamento dei servizî pubblici (in contrapposto alla gestione nel campo privato), anche quando appartengano alle stesse categorie giuridiche generali degli altri atti di diritto privato (p. es., alla categoria dei contratti), presentano tuttavia particolarità in cui si manifestano le prerogative dell'amministrazione, quale pubblico potere. Pertanto tali atti sono di natura "amministrativa" e il loro regime giuridico non è determinato dal codice civile ma dalle regole e dai principî del diritto amministrativo. A tale titolo, tutte le liti alle quali tali atti dànno origine sono di competenza amministrativa. Soltanto, bisogna distinguere i casi in cui, per assicurare il funzionamento dei servizî pubblici, l'amministrazione impiega puramente e semplicemente i procedimenti del diritto privato, compiendo atti in tutto e per tutto identici a quelli dei privati. Ma ciò non accade se non per operazioni d'importanza minima. Normalmente, l'amministrazione utilizza i procedimenti del diritto pubblico, in cui essa trova agevolazioni e mezzi di agire che i procedimenti del diritto privato non potrebbero assicurarle. Questa determinazione di competenza giunge dunque ad attribuire alla giustizia amministrativa la grandissima maggioranza del contenzioso dei servizî pubblici; e così il contenzioso della responsabilità per danni causati dal funzionamento dei servizî pubblici, tanto di amministrazioni locali quanto dello stato; e così, anche, il contenzioso delle operazioni contrattuali concluse per i servizî pubblici, per le ragioni esposte.
In conclusione, la competenza dipende meno dalla natura dell'atto considerato in sé stesso che dal suo regime giuridico, dalla natura, civile o amministrativa, delle regole fondamentali che reggono l'atto o l'operazione che dà luogo alla lite. Se la soluzione di questa dev'essere cercata nell'applicazione di regole del diritto amministrativo, la competenza è amministrativa; essa è giudiziaria solo nei casi in cui la soluzione può essere assicurata dall'applicazione delle regole del diritto privato.
Così la ragion d'essere della giustizia amministrativa s'è trasformata. Nella concezione attuale, la sua giustificazione non è più la necessità di proteggere l'amministrazione contro la presunta ostilità dei tribunali, bensì il vantaggio, per la buona amministrazione della giustizia, di riservare a un giudice specializzato le controversie la cui soluzione dipende dall'applicazione di quelle regole e di quelle teorie giuridiche speciali, che costituiscono quel diritto, distinto dal diritto civile, ch'è il diritto amministrativo. Reciprocamente, è l'esistenza della giustizia amministrativa che, con l'adattare i principî generali del diritto alle condizioni dei servizî pubblici, ha permesso la formazione del diritto amministrativo come disciplina giuridica autonoma.
Bibl.: A. Grandin, Bibliographie générale des sciences juridiques de 1800 à 1925-1926, Parigi 1927, voll. 3, con supplementi annuali, ivi 1928 segg. - Sul periodico rivoluzionario: A. Esmein, Histoire du droit français de 1789 à 1814, ivi 1929; Ph. Sagnac, La législation civile de la Révolution, ivi 1898. - Per il codice civile: P. Fenet, Recueil complet des travaux préparatoires, ivi 1827-29, voll. 15; J. Locré, Législ. civ., commerc. et crimin. de la France, ivi 1827-32, voll. 31; Code civ. annoté Dalloz, 2ª ed., ivi 1900-05, voll. 5 e i suppl. 1921; Code civ. ann. Sirey, 5ª ed., ivi 1911-20, voll. 4; Code civ. ann. Fuzier-Hermann, ivi 1882-98, voll. 4 e i suppl., a cura di T. Griffond, 1900-06, voll. 2; Le code civil: livre du centenaire, ivi 1914, voll. 2, pubbl. a cura della Société d'études législatives.
Diritto civile: Raccolte di giurisprudenza: Recueil Sirey, con la giurisprudenza dal 1701; Recueil Dalloz, la cui collezione corrente risale al 1843. Trattati: Baudry-Lacantinerie, serie di trattati isolati, costituenti una vasta opera, Parigi 1894-1905, voll. 29 e 5 voll. di supplementi, a cura di J. Bonnecase, 1924-30; M. Planiol e G. Ripert, Traité élémentaire de droit civil, 17ª ed., ivi 1935, voll. 3; id. (e collaboratori diversi), Traité pratique de droit civil, 1925-34, voll. 15; Ch. Beudant, Cours de droit civil français, ivi 1896 segg., voll. 11; 2ª ed., 1931 segg.; A. Colin e H. Capuitant, Cours élém. de droit civil français, 8ª ed., ivi 1931, voll. 3; L. Josserand, Cours de droit civil positif français, 2ª ed., ivi 1933-34, voll. 3; J. Bonnecase, Précis de droit civil, ivi 1934 segg. - Riviste: Revue trimestr. de droit civil, 1902 segg.; Bull. de la Société d'études législ., 1902 segg. (lavori della Società).
Diritto commerciale: Ch. Lyon-Caen e L. Renault, Traité de droit commercial, 5ª ed., Parigi 1921 segg., voll. 8; E. Thaller, Traité élémentaire de droit commercial, ivi 1931, voll. 2; L. Lacour e I. Bouteron, Précis de droit commercial, ivi 1929; A. Wahl, Précis théorique et pratique de droit commercial, ivi 1922; id., Précis théor. et prat. de droit maritime, ivi 1924. - Riviste: Annales de droit commercial; Journal des sociétés.
Diritto e procedura penale: R. e P. Garraud, Traité théorique et pratique de droit pénal, 3ª ed., Parigi 1913 segg. (voll. 5 al 1924); id., Traité théorique et pratique d'instruction criminelle, ivi 1907-29, voll. 6; E. Garçon, Code pénal annoté, ivi 1901-11.
Procedura civile: E. Glasson, A. Tissier e R. Morel, Traité théorique et pratique d'organisation judiciaire, de compétence et de procédure civile, 3ª ed., Parigi 1930 segg. (voll. 4 al 1932); E. Garsonnet e C. Cézar-Bru, Traité théorique et pratique de procédure civile, 3ª ed., ivi 1912-25, voll. 9.
Giustizia amministrativa. - Giurisprudenza: Recueil des arrêts du Conseil d'État et du Tribunal des Conflits, dal 1821, con indici periodici per materie (il più recente, Table vicennale 1905-1924, voll. 4). Le principali decisioni sono pubblicate anche nei Recueil Sirey e Recueil Dalloz cit.; e così pure nella Revue du droit public et de la science politique. - Le note pubblicate da M. Hauriou, dal 1892 al 1928, sono state riunite e ordinate da A. Hauriou, Parigi 1929, voll. 3; M. Hauriou, Précis de droit administratif et de droit public, 13ª ed., ivi 1933; R. Bonnard, Précis de droit administratif, ivi 1935; Ed. Laferrière, Traité de la juridiction administrative et des recours contentieux, voll. 2, 2ª ed., ivi 1895; R. Jacquelin, Les principes dominants du contentieux administratif, ivi 1898; E. Artur, Séparation des pouvoirs et séparation des fonctions de juger et d'administrer, ivi 1904; Waline, Manuel élélementaire de droit administratif, ivi 1905; J. Appleton, Traité élémentaire de contentieux administratif, ivi 1926; R. Bonnard, Le contrôle juridictionnel de l'administration. Étude de droit administratif comparé, ivi 1934; P. de Font-Réaulx, Les Pouvoirs devant le Conseil d'État contre les décisions des autres tribunaux administratifs, ivi 1931; G. Teissier, La responsabilité de la puissance publique, ivi 1927; J. Tournyol du Clos, Essai sur le recours pour excès de pouvoir, ivi 1912; R. Alibert, Le controle juridictionnel de l'administration par le recours pour excès de pouvoir, ivi 1934; P. Duez, Les actes de gouvernement, ivi 1935.