Vedi Francia dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
La Francia si è affermata sin dall’epoca moderna come nazione leader in Europa e, nel corso del 20° secolo, si è assicurata un ruolo di primo piano anche a livello mondiale diventando uno dei maggiori membri delle più importanti organizzazioni internazionali, come le Nazioni Unite, il G8, l’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) e la Nato. Detiene, non a caso, uno dei cinque seggi permanenti del Consiglio di sicurezza.
Traumatizzata dall’esperienza della Seconda guerra mondiale e dell’occupazione nazista, Parigi ha avuto un ruolo di primo piano nella definizione dell’ordine regionale e globale postbellico. La preoccupazione era relativa soprattutto al contesto europeo: qui, l’esigenza di costruire una pace stabile si saldava con la volontà di contenere il vicino tedesco, ma in forme diverse a quelle catastroficamente attuate alla fine della Prima guerra mondiale. È in questo contesto che va letto il decisivo impegno francese, in particolare con Jean Monnet e Robert Schuman, a favore di un progetto di integrazione europea. Motore ma a tratti anche argine al processo di integrazione sul continente (per esempio per il fallimento della Comunità europea di difesa o per le tensioni dell’era di Charles de Gaulle), la Francia è stata senza dubbio un pilastro del nuovo ordine europeo, un ruolo
che ha condiviso con la vicina Germania. Con la fine della Guerra fredda, la Francia ha sostenuto un rilancio del processo di integrazione, anche nella direzione di una maggior autonomia dell’Europa rispetto al tradizionale partner statunitense, come è emerso con evidenza nell’opposizione franco-tedesca alla guerra in Iraq del 2003. Negli ultimi anni la solidarietà comunitaria è stata tuttavia meno evidente e la Francia, in particolare sotto la presidenza di Nicolas Sarkozy, si è riavvicinata maggiormente agli Stati Uniti. Tale processo, che è passato anche attraverso il reintegro della Francia nel comando congiunto della Nato (dopo l’uscita voluta da Charles de Gaulle nel 1966), non è tuttavia andato a scapito dei rapporti bilaterali con la Germania, tanto che la crisi economica europea sembra piuttosto segnalare un rafforzamento del legame franco-tedesco. È proprio attorno alla crisi dell’area euro, in particolare quella del debito, che si costruisce la politica internazionale della Francia, la quale, dalla fine del 2012, preme su gli altri leader europei affinché si attui un rafforzamento istituzionale dell’unione monetaria. Nel maggio 2013, il presidente François Hollande e la cancelliera tedesca Angela Merkel hanno proposto un unico organo di risoluzione che garantisca una supervisione fiscale ed economica centralizzata, e modifiche alla governance della zona euro.
La difficile situazione economica che la Francia sta attualmente affrontando riduce, tuttavia, la sua influenza all’interno dell’Unione e limita alle regioni dell’Africa e del Medio Oriente il territorio d’azione su cui Parigi può godere di una certa autonomia. Negli ultimi tempi ciò è stato ampiamente dimostrato in due circostanze: nel 2011, con l’attivismo profuso durante la crisi libica, e nel 2013, con il massiccio intervento dell’esercito francese in Mali per fermare l’avanzata dei ribelli islamisti.
Più in generale, il passato coloniale mantiene perduranti implicazioni sulla proiezione internazionale del paese, sia per quanto riguarda il rapporto privilegiato con le ex colonie e i mandati, sia per la sovranità sui territori dí oltremare. Lo stretto legame tra la Francia e le ex colonie africane è noto con il termine ‘Françafrique’ e si esplica con modalità ben precise. Il capo di stato francese e i capi di stato africani si incontrano regolarmente al summit Francia- Africa, che offre un foro di discussione su temi politici ed economici. Inoltre, la Francia continua a svolgere un ruolo importante nell’evoluzione politica della regione – come testimonia il cospicuo numero di militari francesi coinvolto nelle principali missioni internazionali – e sul piano economico, data la presenza massiccia sul territorio africano di multinazionali francesi interessate alle materie prime.
L’organo legislativo è costituito da un parlamento bicamerale: accanto all’Assemblea nazionale (577 membri eletti per cinque anni), vi è il senato, formato da 321 membri, nominati su base territoriale e in carica per nove anni, rinnovati dei due terzi ogni tre anni. All’epoca del settennato, le elezioni legislative si tenevano separatamente da quelle presidenziali e, di conseguenza, poteva accadere che vi fossero periodi in cui la maggioranza parlamentare non fosse espressione del partito del presidente. In questi casi si ha la cosiddetta ‘coabitazione’, in cui il presidente, per mantenere la fiducia in parlamento,è costretto a nominare un primo ministro della parte politica opposta. Questo è avvenuto tre volte: tra il 1986 e il 1988, tra 1993 e il 1995 e tra il 1997 e il 2002. Nell’ultima tornata elettorale per le presidenziali del maggio del 2012, François Hollande, leader del Parti Socialiste, ha vinto con il 51,6% dei voti il ballottaggio contro Nicolas Sarkozy, presidente uscente ed esponente del partito neogollista Ump (Union pour un mouvement populaire). Le successive elezioni legislative del giugno 2012 hanno ulteriormente rafforzato tale risultato, conferendo alla coalizione di centro-sinistra una cospicua maggioranza parlamentare. Le misure impopolari che Hollande si è trovato costretto ad adottare per far fronte al cattivo stato di salute dell’economia francese e agli standard imposti dall’Europa hanno però provocato al neopresidente una netta perdita di consensi. Lungi dal veder realizzarsi l’ambizioso programma di stampo progressista promosso dal presidente in campagna elettorale, che doveva creare nuovi impieghi pubblici e ridurre l’età di pensionamento, la popolazione francese affronta un salato aumento delle tasse e della disoccupazione. Le misure volte a contenere il deficit di bilancio entro il 3%, per rispondere alle condizioni dell’Eu, hanno inoltre provocato un mutamento nei sentimenti europeisti nutriti dalla popolazione francese. Il malumore è degenerato in un’avversione tale da compromettere il consenso al presidente in carica e rafforzare il partito della destra sociale fattosi portavoce dell’antieuropeismo, il Front National.
Nel sistema di governo francese il presidente ha assunto, a partire dalla presidenza di Charles de Gaulle, un ruolo ben più rilevante di quello attribuito dalla carta costituzionale. In particolare, quando la maggioranza presidenziale e quella dell’Assemblea nazionale (unica camera verso la quale l’esecutivo è responsabile) coincidono, il presidente assume, di fatto, il ruolo di vera e propria guida del governo e il primo ministro si trasforma nel suo principale collaboratore (anche se nella storia della Quinta repubblica non sono mancate tensioni tra presidenti e primi ministri). Il presidente, in altri termini, si ‘impossessa’ dell’esecutivo, dotato dalla Costituzione del 1958 di notevoli poteri in materia d’iniziativa e di dibattito legislativi e ulteriormente rafforzato dall’affermazione della logica maggioritaria. L’adozione per l’Assemblea nazionale di un sistema elettorale maggioritario a doppio turno con soglia di sbarramento (pari oggi al 12,5% degli aventi diritto al voto) e l’elezione presidenziale a suffragio universale a doppio turno con ballottaggio hanno condotto alla bi polarizzazione del sistema partitico e, dunque, alla formazione di solide e coese maggioranze parlamentari. Il fatto che la bipolarizzazione abbia preso forma soprattutto attorno ai due candidati alla presidenza presenti al secondo turno dell’elezione presidenziale ha favorito la sovrapposizione tra maggioranze presidenziali e maggioranze parlamentari e l’assunzione, da parte del presidente, del ruolo di leader effettivo anche delle seconde. La leadership di fatto della maggioranza parlamentare ha dunque consentito al presidente di estendere il suo controllo sull’esecutivo responsabile verso quella stessa maggioranza. Durante le fasi di coabitazione, invece, il presidente è stato costretto ad arretrare e il primo ministro si è riappropriato del ruolo di guida del governo riconosciutogli dalla Costituzione. La centralità del presidente è stata rafforzata dalla riforma della Costituzione introdotta nel 2000 e divenuta operativa per la prima volta nel 2002, quando le elezioni presidenziali e legislative coincisero. Con quella riforma, il mandato presidenziale è stato ridotto a cinque anni, la stessa durata dell’Assemblea nazionale. La coincidenza dei due mandati (ora altamente probabile) ha reso la maggioranza parlamentare (le elezioni presidenziali precedono in ordine di tempo quelle legislative) ancora più dipendente dalla figura del presidente, la cui elezione ha un effetto di trascinamento sulle consultazioni per l’Assemblea nazionale. Una seconda revisione della Costituzione è stata approvata nel luglio 2008 su iniziativa di Nicolas Sarkozy. Il processo di riforma aveva come obiettivi, da un lato, quello di fornire un riconoscimento costituzionale, almeno parziale, alle effettive relazioni tra presidente, primo ministro e membri del governo e legislativo; dall’altro, quello di rivalutare il ruolo di quest’ultimo (pur sempre mantenendosi in una prospettiva maggioritaria, ove l’esecutivo mantiene la preminenza sul legislativo). Il primo obiettivo, in realtà, non è stato raggiunto. Non vi è stata alcuna razionalizzazione esplicita dei rapporti tra il presidente e le altre istituzioni (fatta eccezione per la possibilità per il presidente di presentare ogni anno il proprio programma alle camere riunite, in un discorso al quale segue un dibattito senza voto e in assenza del presidente). In più, i pochi limiti posti all’esercizio del potere presidenziale riguardano non tanto il ruolo di leader della maggioranza e reale guida del governo, quanto quello di capo dello stato (va segnalata la limitazione dei mandati presidenziali a due). Risultati più significativi, invece, sono stati raggiunti in relazione al ruolo e all’operatività del parlamento. Questo è stato dotato di strumenti che dovrebbero consentire con più efficacia di contribuire alla scrittura delle leggi e di esercitare la funzione di controllo; l’esecutivo, a sua volta, ha visto una relativa attenuazione delle sue possibilità d’intervento.
La Francia è, dopo la Germania, il paese demograficamente più rilevante dell’Unione Europea (Eu), con un tasso di crescita demografica (0,5%) al di sotto della media mondiale (1,1%), ma comunque più alto della maggior parte dei paesi europei.
La lenta ma costante crescita demografica francese è dovuta sia a un tasso di fecondità notevole (poco più di due figli per donna), sostenuto da politiche sociali volte al sostegno della famiglia, sia a ingenti flussi migratori. Dalle ex colonie nel Sud-Est asiatico e nell’Africa settentrionale è giunta in Francia negli anni Sessanta una massiccia ondata di immigrati, in particolar modo provenienti da Algeria, Marocco, Tunisia e Vietnam. Un fenomeno di rilievo a partire dal 1962, anno dell’indipendenza dell’ex colonia algerina, è stato il rimpatrio dei cosiddetti ‘Pieds Noirs’, i francesi nati in Algeria. A oggi, il numero di persone provenienti dall’estero, soprattutto dall’area del Maghreb, è di circa 5 milioni.
Tuttavia, va fatta una differenziazione tra le cosiddette prime generazioni (persone arrivate in Francia da altri paesi) e la seconda e terza generazione (persone nate in Francia e, quindi, francesi a tutti gli effetti). In particolare l’acquisizione della cittadinanza, compiuti i 18 anni, da parte di persone nate nel territorio francese da genitori non francesi è stata resa automatica nel 1997 grazie alla legge sulla nazionalità. Ciò non ha però sciolto le tensioni legate soprattutto alla scarsa integrazione di queste comunità nel sistema socioeconomico francese. Tali problemi, soprattutto dopo l’11 settembre 2001, riguardano in particolare la comunità musulmana francese, la più numerosa d’Europa, pari a circa il 10% della popolazione. Il disagio degli abitanti di alcuni quartieri periferici dei centri urbani, in gran parte di origine africana, è più volte sfociato in atti di violenza e guerriglia contro le forze dell’ordine. L’approccio dell’ex presidente Sarkozy, che legava strettamente sicurezza e immigrazione, lo ha posto talvolta in contrasto con l’Eu: è il caso delle espulsioni della minoranza Rom nel 2010. Sul versante della coabitazione interna, l’attenzione del dibattito pubblico francese ed europeo è stata attratta dal rapporto tra laicità dello stato e uso di simboli religiosi in luoghi pubblici.
Il sistema di protezione sociale francese è fondato sul principio di solidarietà nazionale e su un approccio universalistico al welfare. Tale approccio si traduce nell’allocazione di una quota consistente della spesa pubblica alle misure di protezione sociale. Ciò pone la Francia tra i primi paesi al mondo per rapporto tra risorse destinate al welfare e pil. Per mantenere inalterata questa spesa – che funge da ammortizzatore sociale e comprende politiche di sostegno alla maternità, pensioni e sussidi di disoccupazione – e per rispondere, allo stesso tempo, all’esigenza di ridurre il deficit di bilancio, il governo Hollande ha deciso di agire sul fronte fiscale, abbassando il tetto della detrazione.
La totalità della popolazione francese è assicurata tramite un regime di base (Régime général o Régimes spéciaux). Nell’ultimo decennio, la Francia ha speso circa l’11% del pil per la sanità e, nonostante una riforma volta a responsabilizzare maggiormente l’utenza, tale cifra non sembra destinata a ridursi. Il sistema scolastico francese si basa sul principio, sancito dalla Costituzione del 1958, che l’insegnamento pubblico obbligatorio e laico a tutti i livelli è un dovere dello stato. Per quanto concerne il livello universitario, due istituti superiori francesi rientrano nella classifica stilata dall’Osservatorio internazionale sull’eccellenza e il posizionamento accademico (Ireg): l’École Normale Supérieure de Paris, al 33° posto, e l’École Polytechnique, posizionata al 36°.
La Francia è la patria della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, precorritrice di successivi strumenti giuridici a tutela dei diritti umani, e del motto ‘libertà, uguaglianza, fratellanza’.
Dopo la riforma costituzionale del 2008 che ha istituzionalizzato la parità di genere, sociale ed economica, nel maggio 2013 la Francia si è distinta con un’altra conquista sul fronte delle libertà civili: con un emendamento all’articolo 143 del Codice civile il parlamento francese ha riconosciuto e legalizzato i matrimoni tra persone dello stesso sesso. Le disposizioni che ne derivano, come l’età degli sposi o alcuni impedimenti, rimangono gli stessi della precedente legislazione.
Per quanto riguarda la situazione delle donne, nell’ambito lavorativo risulta che, a parità di mansioni, guadagnino in media ancora il 25% in meno degli uomini. Sono previste ‘quote rosa’ in alcune consultazioni elettorali, tra cui quelle europee, per effetto di una legge varata nel 1999, ma alle elezioni parlamentari del 2012 solo il 27% dei seggi sono stati conquistati da donne. Di fatto rimangono sottorappresentate nelle posizioni dirigenziali pubbliche e private. La disuguaglianza economico-sociale appare invece in diminuzione in Francia, che si presenta come uno dei pochi paesi sviluppati nei quali il rapporto tra la fascia più ricca e quella più povera della popolazione è andato riducendosi nell’ultimo trentennio.
I media sono liberi e rappresentano un’ampia gamma di opinioni politiche. La maggior parte degli oltre cento quotidiani francesi sono di proprietà di privati e alcuni hanno forti legami con esponenti politici di rilievo. Come avvenuto altrove in Europa, l’introduzione di misure antiterrorismo ha comportato negli ultimi anni una parziale restrizione di alcune libertà. In particolare, nel 2006 è stata adottata una legge che prevede che i sospettati di terrorismo trattenuti dalla polizia abbiano diritto a un avvocato soltanto dopo 72 ore; in più la loro facoltà di rimanere in silenzio durante un eventuale interrogatorio non è esplicitamente riconosciuta nel Codice di procedura penale. Inoltre, il Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite ha espresso preoccupazione circa l’uso di lunghe carcerazioni preventive – fino a quattro anni e otto mesi – in caso di terrorismo e crimine organizzato. La legislazione permette anche di sorvegliare luoghi specifici come le moschee. L’accesso a Internet è libero e nel 2012 gli utenti Internet costituivano quasi l’80% della popolazione. La legge antiterrorismo permette però di controllare l’accesso di sospetti terroristi. Inoltre dal 2009 è entrata in vigore una legge per la diffusione delle opere dell’ingegno e la tutela dei diritti su Internet che prevede la possibilità di sospendere la connessione – per un massimo di un anno, senza un’ordinanza di un giudice – agli utenti che scaricano illegalmente musica o altri materiali protetti da diritto d’autore.
Con un pil che supera i 2 biliardi di euro, la Francia è la quinta economia mondiale e la seconda a livello europeo.
Benché il governo abbia avviato, dagli anni Ottanta in poi, una parziale o completa opera di privatizzazione che ha coinvolto molte grandi aziende (tra cui Air France, France Telecom, Renault e Thales), il sistema economico prevede una presenza massiccia dello stato. Il governo controlla in particolare settori chiave quali energia, trasporto pubblico e industrie della difesa. I leader francesi, adoperando leggi, politiche fiscali e un sistema di welfare che privilegia l’equità sociale, si sono, inoltre, quasi sempre ispirati a un modello di capitalismo in cui siano ridotti la disparità di reddito e l’impatto del libero mercato, in materia soprattutto di salute pubblica e benessere. La crisi economica, manifestatasi in un nuovo periodo di stagnazione nel 2012 e in un tasso di disoccupazione pari all’11,2% nel 2013, ha portato a un ulteriore rafforzamento dell’intervento pubblico.
Il settore primario rappresenta meno del 2% del pil, ma ha una forte rilevanza politica. La Francia rimane il maggiore produttore agricolo dell’Eu, in un contesto in cui il settore agricolo ha perso drasticamente la sua centralità. Lo stato ha sempre esercitato grande influenza nella definizione della politica agricola comune dell’Unione Europea (Cap) e ne è stata storicamente la prima beneficiaria (nel 2013, per esempio, ha ricevuto circa 10 miliardi di euro – equivalenti al 20% del totale dei fondi Cap). Da tempo in Europa si discute della necessità di riformare questo strumento, elaborando una riforma in grado di promuovere la modernizzazione del sistema agricolo e diminuire i sussidi agli agricoltori. In questo contesto, la Francia mira a mantenere intatti i sussidi esistenti, posponendo ogni tentativo di autentica riforma. Proprio questa necessità di sostenere la Cap rende la Francia, assieme al resto dell’Eu, oggetto di critiche da parte dei paesi meno sviluppati, che denunciano gli effetti distorsivi della Cap sui mercati agricoli internazionali. A fronte di tali implicazioni, la portata della cooperazione francese ed europea allo sviluppo ne esce fortemente ridimensionata.
A rappresentare un’importanza notevole è il settore terziario. Con almeno 79 milioni di turisti stranieri all’anno, la Francia è il paese più visitato al mondo e ricava dal turismo la terza più grande quota di reddito.
Sul piano commerciale la Francia è un attore di primo piano, poiché è il sesto esportatore mondiale. Il suo principale partner commerciale è la Germania e tra i prodotti più esportati nel mondo figurano quelli alimentari, aerei Airbus, autoveicoli e attrezzature militari. Tuttavia, la bilancia commerciale francese è peggiorata notevolmente negli ultimi anni. Di rilievo anche l’entità degli investimenti francesi all’estero, che nel 2010 erano diretti per oltre tre quarti ai paesi dell’Eu (di cui oltre la metà verso la zona euro), per il 10% circa a paesi Oecd, quali Stati Uniti e Svizzera, e per il 12% al resto del mondo (di cui il 3% verso il Brasile). Viceversa, nella prima metà del 2012 la Francia è stata la quarta destinazione al mondo per investimenti diretti esteri.
La posizione delle maggiori imprese francesi risulta rilevante anche sul piano internazionale, soprattutto nel settore dei servizi. In particolare, Gdf Suez, Électricité de France, Vivendi e Pernod Ricard sono tra le cento multinazionali al mondo con le maggiori quote di attività all’estero.
L’industria dell’energia rappresenta il 2,1% del valore aggiunto, il 25% degli investimenti industriali e il 2,8% degli investimenti totali. Il panorama energetico francese è tradizionalmente dominato dall’industria nucleare, che conta 19 centrali e un totale di 58 reattori attivi.
La produzione elettronucleare transalpina è seconda solo a quella statunitense e fornisce il 79% dell’elettricità prodotta in Francia, nonché il 42% del mix energetico francese. La produzione nucleare rende inoltre la Francia il primo esportatore di elettricità dell’Eu, per un controvalore annuo di 2,6 miliardi di euro. Belgio, Germania, Italia, Spagna, Svizzera e Regno Unito sono i suoi maggiori partner. Allo stesso tempo, la Francia rimane un paese importatore di idrocarburi, soprattutto petrolio (circa 1,7 milioni di barili al giorno), proveniente in gran parte dai paesi dell’ex Unione Sovietica, dall’Arabia Saudita e dalla Norvegia.
La Francia è largamente dipendente anche per l’approvvigionamento di gas naturale, importato soprattutto da Norvegia, Paesi Bassi, Russia e Algeria. Nonostante le potenzialità, la produzione interna di gas da giacimenti non convenzionali è al momento bloccata per preoccupazioni relative all’impatto ambientale.
Il mercato dell’energia francese è solo parzialmente liberalizzato, come dimostrano i richiami dell’Unione Europea e dell’Agenzia internazionale dell’energia (Iea), e ancora dominato da campioni nazionali (Edf, Gdf Suez) a controllo statale.
Benché quasi la metà della domanda di energia venga ancora soddisfatta dal petrolio, il livello di emissioni di CO2 pro capite derivanti dall’utilizzo di elettricità è diminuito, grazie allo sviluppo del nucleare e dell’energia idroelettrica, tradizionalmente la principale fonte rinnovabile francese, che sfrutta gli invasi montani delle Alpi e dei Pirenei. La Francia è ottava nella classifica dei paesi con minori livelli di emissioni in Europa e sesta nella classifica internazionale della performance ambientale. Il governo ha avviato inoltre un ambizioso programma ambientale, denominato ‘Grenelle de l’environnement’, e ha recentemente adottato alcune leggi volte ad aumentare il risparmio energetico e la percentuale di energia rinnovabile.
La Francia è una potenza nucleare e possiede circa 300 testate atomiche. Sebbene Parigi inizialmente non abbia firmato il Trattato sulla messa al bando totale degli esperimenti nucleari (Comprehensive Test Ban Treaty), lo ha ratificato nel 1996 e ha firmato il Trattato di non proliferazione nucleare (Npt), ratificandolo nel 1992. All’interno dell’Eu, è una sostenitrice convinta dello sviluppo della Politica europea di sicurezza e difesa comune (Esdp), progetto all’interno del quale si sono svolte le prime missioni di peacekeeping dell’Unione, come quelle nei Balcani, nella Repubblica Democratica del Congo, nel teatro caucasico e in quello mediorientale. L’aumento dell’influenza francese nel continente africano e nell’area del Medio Oriente è testimoniato proprio dalla partecipazione alle più importanti missioni. In Africa, la Francia partecipa, tra le altre, all’Operazione Liocorno in Costa d’Avorio (dove ci sono ancora 450 militari) e a Minurcat (Missione delle Nazioni Unite nella Repubblica Centrafricana e in Ciad); in Afghanistan contribuisce alla missione Isaf della Nato (con 2418 soldati dispiegati) e in Libano alla missione delle Nazioni Unite, Unifil II. L’Operazione Liocorno, ora sotto l’egida delle Nazioni Unite e rinominata Unoci (Missione Un in Costa d’Avorio), ha una rilevanza particolare rispetto alle altre, in quanto nel 2002 la Francia ha dato il via a tale missione in maniera autonoma, senza l’intervento delle Nazioni Unite, arrivate solo in un secondo momento; ciò a testimonianza di quanto siano importanti gli interessi francesi in quell’area. Importanza riemersa durante la crisi della Costa d’Avorio del 2010-11, a seguito delle contestate elezioni presidenziali, in cui l’esercito francese ha avuto un ruolo di primaria importanza per la cattura e la destituzione dell’ex presidente Laurent Gbagbo. Analogamente, la Francia ha assunto la leadership delle operazioni militari contro il regime libico di Muammar Gheddafi a fine marzo 2011, poi passate sotto comando Nato, dopo che – su iniziativa della stessa Francia – le Nazioni Unite (attraverso la risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza) avevano autorizzato l’intervento aereo. L’autorizzazione era giustificata dalla protezione della popolazione civile. La Francia ha inoltre una serie di basi militari all’estero, soprattutto nei territori delle ex colonie come Costa d’Avorio, Ciad, Gabon, Senegal e Gibuti, e ha inaugurato da poco una base militare negli Emirati Arabi Uniti (Uae). Le relazioni con il Medio Oriente e l’Africa si estendono anche alla cooperazione al settore della difesa. Il principale mercato di esportazione dell’industria francese della difesa sono proprio gli Emirati Arabi Uniti (al primo posto) e rilevanti sono le esportazioni verso Arabia Saudita, Marocco, Libia, Egitto e Israele. La Francia coopera intensamente in materia di sicurezza con i paesi della sponda sud del Mediterraneo in un’ottica di stabilizzazione politica, sia per contenere la minaccia terrorista, sia per limitare i flussi migratori. In tale prospettiva, per fermare l’espansione di gruppi jihadisti come Aqmi, Ansar el-Din e Mujao in seguito alla crisi nel nord del Mali, nell’ottobre del 2012 Parigi si è fatta promotrice di una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che ha autorizzato l’intervento di una forza multinazionale africana. Di fronte all’aggravarsi della situazione, la Francia è tuttavia intervenuta unilateralmente a fianco dell’esercito maliano per bloccare l’offensiva dei gruppi terroristi, contemporaneamente all’arrivo nel paese dei primi soldati della Misma, Mission internationale de soutien au Mali, sotto l’egida della Ecowas.
Nel quadro dell’Operation Serval, integrata in seguito nella Minusma (la Missione delle Nazioni Unite in Mali), 5000 soldati, affiancati dalle forze aeree, hanno combattuto nelle zone attorno alle principali città tuareg a Gao, Kidal e Timbuctù, respingendo i jihadisti oltre confine. In seguito alla stabilizzazione del Mali, che aveva permesso a Hollande di visitare il paese nel febbraio 2013, e al buon svolgimento delle elezioni presidenziali, il contingente francese avrebbe dovuto essere progressivamente ridotto, ma la recrudescenza di attentati nel nord del paese e l’uccisione di due giornalisti francesi ha indotto Parigi a prorogare i termini della missione.
Da quando si è insediato al potere, nel maggio 2012, François Hollande ha visto diminuire progressivamente la fiducia riposta in lui dai francesi fino a raggiungere, a fine 2013, un tasso di gradimento pari solo al 15%: il più basso mai registrato per un presidente in carica. Un tale risultato non può essere slegato dal malcontento legato ai danni della crisi economica e alle misure di austerity introdotte. I francesi sono, in particolare, scontenti dell’aumento di molte tasse, che ha portato la Francia a raggiungere un cuneo fiscale molto più alto rispetto alla media dei paesi OECD.
A raccogliere il favore dei cittadini più amareggiati è stato pronto il Front National (FN), partito di estrema destra e antieuropeista che in Francia sta guadagnando rapidamente terreno, sollecitato dalla carismatica figura di Marine Le Pen. Facendo leva sui temi economici più scottanti (disoccupazione, tasse, lotta all’ultraliberismo, difesa del servizio pubblico), rendendosi capace di una presenza capillare su tutto il territorio, approfittando dei disordini interni ai partiti di destra da un lato e dell’impopolarità di Hollande dall’altro, il FN è persino diventato il primo partito di Francia, stando ai sondaggi condotti in vista delle elezioni europee del 2014. Il consenso è stato confermato anche alle elezioni locali di Brignoles, alla qualii, sebbene abbia votato meno della metà degli elettori, il candidato di FN Laurent Lopez ha raccolto il 53,9% dei voti contro il 46,1% di Catherine Delzers dell’Unione per un movimento popolare.
Il Front National - che ambisce anche a conquistare l’Eliseo - ha intenzione di formare un gruppo autonomo al prossimo Europarlamento. Per raggiungere tale obiettivo bisogna avere almeno 25 deputati (su un totale di 766) e bisogna avere eletti in un quarto degli stati membri, dunque sette. La Le Pen ha trovato un alleato nell’olandese Geert Wilders e nel suo Partito per la libertà (PVV); non si esclude la partecipazione al progetto della Lega in Italia.
La proiezione della Francia a livello internazionale è data dal possesso, che affianca il cosiddetto territorio metropolitano e le sue 22 regioni, di altri 13 territori, a loro volta divisi in:
• Regioni d’oltremare (Guadalupa, Guyana francese, Martinica e Riunione)
• Collettività d’oltremare (Mayotte, Polinesia francese, Saint-Barthélemy, Saint-Pierre e Miquelon, Saint-Martin, Wallis e Futuna)
• Nuova Caledonia
• Territori australi e antartici francesi
• Atollo di Clipperton. In totale, questi territori comprendono circa 3 milioni di abitanti; quello più popoloso risulta essere l’Isola della Riunione, situata nell’Oceano Indiano, a circa 650 km ad est del Madagascar.
‘Il matrimonio - si legge nell’articolo 143 del Codice civile francese - è un contratto tra due persone
di sesso opposto o dello stesso sesso’. Con queste ultime tre parole la Francia ha sugellato il diritto per i gay di unirsi in matrimonio e di adottare bambini. È il secondo grande paese a maggioranza cattolica e il 14° al mondo ad abbracciare un nuovo concetto di famiglia. La legge del 18 maggio 2013 è passata con 331 voti a favore e 225 contrari. Se alcune associazioni gay e gli oppositori dell’omofobia hanno annunciato la vittoria come ‘seconda rivoluzione francese’, destinata a influenzare il continente come ai tempi di Napoleone, altre componenti del paese hanno espresso platealmente il loro dissenso. Centinaia di persone dei movimenti cattolici e dei partiti più conservatori si sono riversate nelle piazze di Parigi per contestare la legge. Alcuni sindaci hanno chiesto di abolire la legge in quanto anticostituzionale, oppure di includere almeno una clausola che permetta di rifiutarsi in nome della ‘libertà di coscienza’. Le richieste sono state respinte dalla Corte costituzionale, ma gli oppositori hanno annunciato che faranno ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Il riconoscimento delle nozze gay in Francia, se da un lato ha innalzato gli standard normativi di liberté ed égalité, dall’altro ha inflitto un altro colpo alla fraternité, del popolo francese, che si mostra sempre più diviso tra liberali e conservatori, europeisti e antieuropeisti, ottimisti e pessimisti.
La crisi economica si è tradotta in Francia in una contrazione del PIL reale del 2,5%, un aumento del 4% nel tasso di disoccupazione tra il 2008 e il 2013, e un innalzamento sia del deficit di bilancio sia del debito pubblico, che hanno raggiunto rispettivamente il 4,8% e il 90% del PIL nel 2012. Il deterioramento della posizione fiscale della Francia è evidenziato anche dal downgrading del merito di credito francese operato dalle agenzie di rating per ben due volte in meno di due anni. Se Sarkozy, durante il suo mandato, ha reagito a tale stato di cose implementando misure di austerity che contenessero il deficit entro il tetto del 3% stabilito per la zona euro, Hollande mirava inizialmente ad attuare politiche economiche pro crescita. Su questo percorso ha però incontrato drastici limiti.
Di fronte a un debito superiore al 90% e a un tasso di crescita che nel 2013 non ha raggiunto neppure l’1%, il nuovo presidente ha dovuto più che altro dare la priorità a misure – impopolari – di contenimento della spesa pubblica e a severe imposizioni fiscali. Le attuali politiche economiche non sono considerate sostenibili da parte di alcuni economisti che pronosticano per la Francia – in assenza di riforme radicali – una grave crisi finanziaria nei prossimi tre, cinque anni. Il governo francese è stato più volte giudicato incapace di portare avanti misure coraggiose necessarie per far fronte alle deficienze economiche. Vale a dire: riduzione della spesa (la più grande in Europa rispetto al PIL), introduzione di iniziative per sbloccare il potenziale di crescita, consolidamento del bilancio. La risposta trovata da Hollande a queste esigenze finora è stata soprattutto l’innalzamento (reiterato più volte) del cuneo fiscale, che supera già di molto i livelli medi europei.
Un altro ostacolo alla crescita è individuato nel mercato del lavoro che, nonostante sia stato alleggerito dalla recente riforma, risulta ancora troppo rigido. La vera spina nel fianco del governo di François Hollande al momento è la disoccupazione (quella giovanile ha superato il 22%), che indebolisce il sostegno per ulteriori misure rilevanti di politica fiscale e strutturale. Paradossalmente, il tema che ha fatto da cavallo di battaglia della campagna elettorale e che ha condotto Hollande alla vittoria rischia anche di essere quello più compromettente per la sua carriera politica.
La ‘rottura’ annunciata dal candidato ‘normale’ Hollande rispetto all’‘iper-presidente’ Sarkozy riguardava principalmente l’ambito interno. In occasione delle presidenziali del 2012 le questioni geopolitiche erano state messe ai margini dei programmi e la priorità, in politica estera, appariva a tutti gli effetti l’Unione Europea e la gestione dei problemi dell’eurozona.
All’indomani dell’ingresso all’Eliseo di Hollande, l’Africa e il Mediterraneo hanno invece riacquisito una centralità inattesa nell’agenda diplomatica francese. Emblematico è stato l’intervento militare in Mali, nel gennaio 2013, in seguito alla risoluzione 2085 del Consiglio di sicurezza delle UN. In questo stato del Sahel, confrontato all’offensiva islamista, la Francia non è intervenuta in solitaria: il lancio dell’Operazione Serval è stato accompagnato dall’invio di truppe da parte del Ciad di Idriss Déby e, soprattutto, dall’avvio della Missione internazionale di sostegno al Mali (MISMA) da parte dell’Unione Africana (UA) e della Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale (CEDEAO), che ha coinvolto gli eserciti di quindici paesi africani. Benché la situazione in Mali non sia ancora stabilizzata e si affaccino inquietudini relative ai progetti del neopresidente, Ibrahim Boubakar Keita, la reattività di Hollande è stata apprezzata dall’opinione pubblica francese (63% di favorevoli all’intervento), mentre il coordinamento con le istituzioni internazionali e con un’organizzazione intergovernativa africana (di cui il Mali è membro) ha contribuito a depotenziare le accuse di neocolonialismo che avevano investito Sarkozy all’indomani dell’intervento in Libia.
Una dinamica simile si è riproposta, undici mesi dopo, nella Repubblica Centrafricana, con il varo da parte della Francia dell’Operazione Sangaris, il 5 dicembre 2013, all’indomani della risoluzione 2127 delle Nazioni Unite, che ha autorizzato il ricorso alla forza per ripristinare la sicurezza del paese. L’attivismo africano di Hollande ha sollevato diverse critiche, soprattutto in considerazione del fatto che in campagna elettorale il candidato socialista si era esplicitamente impegnato (punto 58.2 del programma) a «porre fine alla Françafrique» (promessa peraltro rinnovata da tutti gli inquilini dell’Eliseo da Mitterrand in avanti). A determinare questo interventismo è il triplice obiettivo di restituire a Parigi prestigio internazionale attraverso la tradizionale strategia dell’interventismo «umanitario»; di neutralizzare l’opposizione interna e di far recuperare all’esterno dei confini nazionali la credibilità e la statura presidenziale che il capo dello stato fatica a conservare in patria. Tuttavia la ‘dottrina Hollande’, ribadita in occasione del 23° vertice franco-africano svoltosi all’Eliseo il 6-7 dicembre 2013, si fonda su due pilastri che la differenziano notevolmente rispetto alla politica africana dei suoi predecessori (a partire dalle missioni di Sarkozy in Libia e Costa d’Avorio): l’‘africanizzazione’ delle truppe e la ricerca di un ampio consenso internazionale – a partire dai partner africani – per legittimare gli interventi.
Hollande non ha invece mantenuto il medesimoprotagonismo sulla scena mediterranea. Al di là del cimitero di iniziative incompiute che ha ereditato – dal processo di Barcellona (1995), passando per la politica europea di vicinato e il progetto di Unione per il Mediterraneo (UFM, 2008) – l’azione del presidente francese è stata limitata da tre elementi di criticità.
Innanzitutto le rivoluzioni arabe hanno profondamente trasformato il quadro geopolitico di un bacino mediterraneo sempre meno coeso e viepiù atomizzato, nel quale il ripristino di un’azione multilaterale (punto 57.4 del programma di Hollande) appare ormai impraticabile. In secondo luogo il ruolo tradizionalmente svolto da Parigi è oggi sfidato dalla penetrazione in quest’area di attori extra-regionali che si impongono sul fronte commerciale (Cina, India e Brasile), che tornano alla ribalta su quello militare (Russia) e che attuano una diplomazia economica e religiosa (Qatar e Arabia Saudita). Infine Hollande è confrontato con le fratture che in Francia – a sinistra come a destra, e financo all’interno del governo Ayrault – oppongono i sostenitori di una politica estera atlantista, sensibile alle priorità di Washington,agli eredi della dottrina gollista-mitterandiana,più propensa ad avviare relazioni bilaterali con i paesi della sponda sud del Mediterraneo.
Il sommarsi di questi vincoli ha finito per paralizzare la politica mediterranea di Hollande. Le principali iniziative degne di nota su questo versante sono state un cauto recupero dei rapporti con la Turchia (peraltro frenato dai sommovimenti interni al governo Erdoğan) e il tentativo di rilanciare la moribonda UFM, attraverso la convocazione a Parigi dei 43 paesi membri, nel settembre 2013, con l’obiettivo di avviare un percorso comune di rafforzamento della partecipazione femminile alla vita politica, economica e sociale. Un tema certo rilevante ma che testimonia l’abbandono degli ambiziosi progetti di cooperazione economica ed energetica che avevano accompagnato la nascita dell’UFM.