FRANCIA
(XV, p. 876; App. I, p. 620; II, 1, p. 969). -
Popolazione. - In base al censimento del 10 maggio 1954 la popolazione della Francia è risultata di 42.774.174 ab., con un aumento di 5,5% in confronto al censimento del 1946. Da più recenti valutazioni, nel gennaio 1958 la popolazione era salita a 44.289.000 ab. e nel gennaio 1959 raggiungeva i 44.788.000 ab. Ma all'interno di questo generale incremento i comportamenti demografici delle varie regioni risultano in realtà diversi: vi sono regioni che manifestano degli aumenti molto rilevanti come i distretti minerarî nord-orientali (dip. della Mosella 23,7%, dip. di Meurthe e Mosella 14,8%, Ardenne 14,3%), la costa mediterranea fra il Varo e il Rodano (dip. delle Alpi Marittime 14,8% e dip. del Varo 11,4%), le basse pianure lungo la Loira (10,3%), la costa normanda lungo la baia della Senna (dip. della Senna Inferiore 11,3% e del Calvados 10,7%) e specialmente il campo urbano di Parigi (dip. di Senna e Oise 20,8% e dip. di Senna e Marna 11,4%). E vi sono aree in notevole diminuzione demografica, come l'area sud occidentale del Massiccio Centrale (dipartimenti di Lozère −9%, Creuse −8,5%, Cantal −5,2%, Aveyron −5,5%) fino alle pianure del Quercy (−4,6%), e poi la sezione mediana dei Pirenei (−4,2%), l'estremità settentrionale della Bretagna (dip. Coste del Nord −4,5%) e infine la Corsica (−8,8%). Queste variazioni sono dovute più a spostamenti e migrazioni che a puri fenomeni naturali di eccedenza dei nati sui morti (come però si registra specialmente nei dipartimenti normandi e lorenesi) o di eccedenza dei morti sui nati (come ad es. nei dipart. montanari di Ariège sui Pirenei e di Creuse nei rilievi centrali). E la conseguenza è che la popolazione dei principali complessi urbani è ancora aumentata. Ma l'incremento della popolazione francese fra il 1946 e il 1954 è dovuto in misura ben più debole che negli anni ante-guerra ad afflussi di popolazione straniera (il totale dei non francesi residenti in Francia, che era di 3 milioni nel 1931, è scemato a un milione e 453 mila nel 1954): afflussi che unicamente dopo il 1958, per la richiesta di mano d'opera industriale, si sono un po' ingrossati (nel 1958 un totale di 150 mila stranieri ha migrato in Francia per ragioni di lavoro, e di questi più di metà sono Italiani). E invece la motivazione più solida di quegli incrementi demografici seguenti al 1946 sta nel rialzo della natalità, che non è stato solo una fiammata Postbellica (nel 1946 il quoziente dei nati era di 21,4 per mille) ma è continuato fino ad oggi (la media nel periodo 1955-57 raggiunge il 18,4 per mille).
Questa reviviscenza demografica però è fenomeno di così fresca e breve ripresa che, nella struttura per età della popolazione, riesce finora a influenzare solo le età giovanili: e per quanto dal 1946 in qua si rilevi una regolare risalita quantitativa delle classi fino a 15 anni di età, la loro odierna proporzione sul totale della popolazione (21,7%) rimane il più basso di Europa. Invece la storia demografica degli anni fra le due guerre si riflette oggi nella percentuale della popolazione anziana (l'11,8% ha più di 65 anni) che è una delle più forti di Europa.
Condizioni economiche. - Il periodo tra il 1948 e il 1958 ha visto un rapido aumento di ricchezza in Francia, grazie a un dinamismo produttivo che ha prevalso anche sulle difficoltà politiche - e quindi finanziarie - causate dalle dispendiose campagne militari in Indocina e Nord Africa. L'aumento degli investimenti è salito congiuntamente a una evoluzione radicale degli imprenditori verso un'organizzazione economica più moderna, aperta e dinamica: di guisa che l'aumento della produzione industriale è stato del 50% fra il 1951 e il 1958. È da notare che questo slancio produttivo ha corrisposto a un intervento via via più rilevante dello Stato nell'economia nazionale, che oggi ha nello Stato uno dei suoi principali protagonisti. Circa 1/20 della popolazione attiva è impiegata in aziende gestite in qualche modo dallo Stato (es. ferrovie 370 mila persone, miniere nazionali di carbone 245 mila persone, telecomunicazioni 210 mila persone, fabbriche Renault 60 mila persone, ecc.).
La F. però ha conservato anche numerose zone d'ombra nella sua struttura economica: come per es. vaste zone rurali ad organizzazione invecchiata, un irrazionale gonfiamento dei prezzi dei generi di più largo consumo dovuto alla molteplicità dei punti di distribuzione, una disparità notevole nelle condizioni di vita fra le diverse regioni che è rinforzata dalla forte concentrazione industriale di alcune zone (fatto 100 il reddito medio, questo indice sale a 162 nella regione parigina, a 130 nella valle del Rodano, a 126 nei bacini minerarî di nord-est; e cala a 64 in Bretagna e a 30 in Corsica). Né le iniziative prese da varî governi per decentralizzare le industrie in zone meno sviluppate hanno conseguito finora risultati molto positivi: questa ridistribuzione dell'industria ha difficoltà a trovare in certe zone rurali (es. bacino aquitanico, fiancata sud-occidentale del Massiccio Centrale, Bretagna) mano d'opera specializzata ed è insieme inceppata dall'elevato costo delle spedizioni non voluminose, per ferrovia: in tal modo le operazioni di dispersione industriale svolte negli ultimi tre anni hanno riguardato specialmente le medie imprese che producono oggetti non voluminosi (materiale elettrico) o pregiati (confezioni) e hanno avuto luogo per metà interiormente a un raggio di 200 km da Parigi e per 1/5 in un raggio di 100 km da Lione: ma in genere si sono rivolte con più frequenza del previsto verso i villaggi di campagna, e meno di quanto si sperava verso i piccoli centri di provincia. In ogni modo una metà dei dipartimenti ne ha beneficiato.
Restano inoltre caratteristiche di questo paese la forte proporzione di artigiani (intorno a 2,5 milioni pari al 12,5% della popolazione attiva), di piccoli commercianti (per lo meno due milioni, cioè il 10% della popolazione attiva) e di piccoli proprietarî agricoli (che sono intorno a 3,5 milioni, e quindi il 17,5% della popolazione attiva) che consente alla Francia di essere meno sensibile alle crisi economiche di alcuni paesi vicini, - che sono egualmente ben dotati - ma che rendono certamente più difficili i suoi sforzi economici di rinnovamento e impediscono scelte politiche coraggiose.
Agricoltura. - Nonostante queste deficienze che gravano specialmente sul mondo rurale, l'agricoltura francese è ancora la prima dell'Europa occidentale e supera i bisogni di consumo interni; la sua produzione di vino (da 50 a 60 milioni di hl annualmente) è la più forte del mondo; i suoi allevamenti di bestiame bovino (17,5 milioni di capi) sono per quantità al primo posto in Europa occidentale. E inoltre è al primo posto per la produzione di orzo (una media di 40 milioni di q) e di avena (una media di 30 milioni di q) e, dopo la Germania, è la maggior fornitrice di patate (150 milioni di q in media nel periodo 1954-58) e di zucchero (dalla bietola: 14 milioni di q di grezzo). Nonostante ciò l'agricoltura francese partecipa solo con poco più del 10% alla formazione del cosiddetto prodotto nazionale: la qual cosa ha imposto negli ultimi anni - e specialmente dopo l'adesione del paese al Mercato Europeo Comune - un movimento generale di conversione delle sue strutture che riguarda non solamente le colture, ma anche la sua organizzazione aziendale.
Nel campo delle colture si nota uno sviluppo degli alberi da frutta e delle coltivazioni orticole (che forniscono oggi il 12% degli introiti totali dell'agricoltura); poi di alcuni cereali secondarî: sia destinati ad alimentazione umana (come il riso, di cui la Francia ha ora sufficienza: quasi un milione di q) sia riservati ai bestiami, come l'orzo e l'avena. Inflne di alcune piante industriali (la produzione del lino è fra le più alte in Europa con 400 mila q; quella del tabacco è aumentata nel dopoguerra da 400 mila q nel 1946 a 580 mila nel 1956) e soprattutto delle produzioni dell'allevamento: latte, formaggi e uova contribuiscono ora per 1/4 agli introiti dell'agricoltura; la carne bovina e suina per 1/3. In diminuzione invece è l'area a frumento (4,2 milioni di ha nel 1952 e 2,7 milioni di ha nel 1956) e stabile, con qualche contrazione dopo il 1956, quella a bietola. In fase di notevole - per quanto non facile - aggiornamento è poi la struttura aziendale: una larghissima parte degli aumenti segnati negli ultimi anni dagli introiti agricoli è stata reinvestita in maggior impiego di fertilizzanti (i cui consumi sono aumentati negli ultimi tre anni del 10%) e in macchine agricole: la F. conta oggi più di 500 mila trattrici agricole. Altro interessante fenomeno quello della ricomposizione fondiaria: la F. è, specialmente nelle regioni nord-orientali di più tipico openfield, paese di grande parcellazione e dispersione fondiaria in campi stretti (5-8 m) e lunghissimi (da cento a cinquecento metri). Questa parcellazione pregiudica fortemente la produzione e si cerca ora di eliminarla mediante un'0pera di ricomposizione fondiaria che fino ad oggi ha riorganizzato il disegno della proprietà rurale su più di 2,2 milioni di ha nell'area di tremila comuni e conseguito il risultato di far scendere di 1/5 per lo meno i costi dei lavori agresti.
Industria. - La ricchezza francese però è data oggi specialmente dall'industria che partecipa per il 48% alla formazione del prodotto nazionale. Certamente l'adesione al Mercato Europeo Comune ha creato grossi problemi per l'industria francese che in alcuni rami (per es. costruzioni navali) ha costi molto elevati, e in diversi campi (manifatture di cotoni e lane, automobili, materiali elettrici) vive con la protezione di forti dazî doganali sulle importazioni (3/4 delle merci importate sono gravati da dazî di più di 15% del loro valore). Le ricchezze naturali del paese, la grande efficienza delle vie di comunicazione, gli stretti legami che la sua posizione le consente coi principali paesi occidentali e la notevole disponibilità di capitali, mettono peraltro la F. in condizione di imprendere con buone probabilità il suo sforzo di adattamento alla nuova situazione europea. Fra il 1948 e il 1958 sono sorte industrie interamente nuove, originate da recenti scoperte e invenzioni che la F. ha seguito con notevole sforzo finanziario: fra le più sviluppate in questi campi sono l'industria elettronica - che impiega oltre 50 mila specialisti - e l'industria aeronautica, che è diventata negli ultimi anni la più progredita d'Europa (costruzioni di bireattori per usi civili, di elicotteri, ecc. in una dozzina di stabilimenti, con una produzione di 1400 velivoli annualmente, fra il 1955 e il 1958). Comunque uno dei maggiori problemi da cui è derivato il grande impulso nel dopoguerra dell'industria francese è quello della fornitura dell'energia. E si può dire che la F. è il paese della vecchia Europa nel quale si ricava oggi energia - in modo industriale o solo in via sperimentale - dalla gamma più larga di fonti naturali.
Fonti di energia. - Nonostante l'intensificata ricerca geologica del dopoguerra e qualche buona novità nel campo degli idrocarburi, non si può dire che, in linea generale, il quadro delle ricchezze minerali francesi sia mutato in misura saliente.
La produzione del carbone rimane inferiore ai bisogni nazionali, ma si è elevata in media, fra il 1953 e il 1955, a 55 milioni di t, vale a dire più di 8/10 dei consumi nazionali: e si è mantenuta a questa misura anche dopo il rilascio del distretto della Sarre, grazie all'aumento della produzione lorenese (1/4 del totale). La nazionalizzazione degli impianti carboniferi ha determinato il loro rimodernamento: la sostituzione delle perforatrici pneumatiche con macchine tagliatrici ed escavatrici adatte a una produzione massiccia, l'adozione di nuovi puntelli metallici nelle gallerie, l'impianto di razionali sistemi di elevazione del carbone alla superficie (nastri caricatori automatici, vagoni di grande capacità). E ha perciò elevato il rendimento di estrazione che è il più forte in Europa (una media di 1700 kg di carbone al giorno, per ogni minatore). Nel campo degli idrocarburi, le disponibilità naturali (dopo una larga e minuziosa indagine di specialisti svolta specialmente dopo il 1946) non paiono forti: ma là ove furono rivelati giacimenti, e cioè ai bordi dei Pirenei occidentali e nelle Landes e anche sul delta del Rodano, l'estrazione è rapidamente iniziata con ritmo industriale. I due principali complessi sono ora quelli di Lacq sul Gave de Pau e di Parentis presso l'Étang de Biscarrosse che forniscono annualmente - insieme ad altri minori: St. Marcet, Gabian, ecc. - 1,5 milioni di t di petrolio (dati del 1958) e circa 600 milioni di m3 di gas naturale, incanalati già con una buona rete di metanodotti, nella Francia sud occidentale (la rete ha raggiunto alla fine del 1958 Angoulême). La produzione metanifera (di cui si prevede uno sfruttamento in misura anche maggiore di quella odierna, per lo meno fino ai termini del secolo) ha così aperto notevoli prospettive industriali nelle regioni del sud, di cui il dopoguerra aveva messo in risalto le deficienze; ma l'estrazione petrolifera è ben lontana da coprire i bisogni francesi: e quindi il paese deve importare i 9/10 dei suoi consumi. Importazioni fino al 1958 tratte dai giacimenti iracheni (1/4 dei quali è in mano di compagnie francesi), ma che già negli ultimi mesi del 1958 si è cominciato ad attingere alla produzione sahariana. Questa grande importazione di petrolî grezzi pone in ogni modo un problema finanziario, che la Francia risolve ora raffinando in una serie di grandi stabilimenti (nella zona di Le Havre, sulle foci del Rodano, sull'estuario della Loira, nella zona di Dunkerque e infine a Strasburgo) più petrolio di quanto richiedano i suoi bisogni, cioè intorno a 28 milioni di t per un bisogno nazionale di 20 o 21: e così il resto del raffinato (cioè 1/3 circa delle importazioni) viene riesportato.
Logicamente il campo di maggior produzione di energia è quello elettrico: e in questo campo il più notevole sforzo è stato rivolto negli anni dopo il 1946 allo sfruttamento delle energie idriche (mentre non è aumentato di gran cosa il rilievo delle centrali termiche, che pur forniscono ancora più di metà della energia francese e sono numerose specialmente in Lorena). La produzione di energia è stata negli ultimi anni di 57 miliardi di kWh, di cui 27 miliardi sono dovuti a centrali idroelettriche. Le aree sulle quali ha operato più fortemente la regolazione delle acque e l'apparecchiatura industriale sono - già da prima della guerra - quelle del bacino del Rodano e i Pirenei.
Il Rodano - che nel frattempo è stato anche sagomato e riescavato con grandi lavori di canalizzazione, in modo da potenziarne la navigabilità - con i grandi sbarramenti di Génissiat presso Bellegarde (ultimato nel 1948) e con quelli più recenti di Mondragon e di Montélimar (che irrigano inoltre 300 mila ha di terra) e con l'alta caduta di Montpezat (per la quale vi si versano le acque captate dal tronco alto della Loira) dà oggi 1/5 per lo meno della energia idroelettrica francese. Per conto loro le Alpi, specialmente nel bacino dell'Isère, forniscono la metà e i Pirenei 1/10. Dopo il 1948, poi, lo sfruttamento idroelettrico ha riguardato anche le grandi valli sud-occidentali del Massif Central da cui proviene un po' meno di 1/5 dell'energia totale (da segnalare gli sbarramenti sul fiume Dordogna) e infine il Reno - mediante le cadute del grande canale di Alsazia.
Poiché le disponibilità idriche per produzione di energia sono state quasi completamente messe in opera, ora si è reso indispensabile affrontare il problema della produzione di energia nucleare. La F. possiede un certo numero (una decina) di modesti giacimenti di uranio, attualmente in lavorazione, nei distretti di Grury e La Chaux (nel Forez settentrionale), poi a La Crouzille (20 km a N di Limoges) e in Vandea, con una produzione limitata ma che garantisce per ora l'indipendenza del paese nel campo dei combustibili nucleari.
In ogni modo a Marcoule funziona dagli ultimi mesi del 1958 la prima centrale termonucleare, che è stata incaricata di fornire plutonio alle future centrali (ne ha prodotto 20 kg nel 1958). Un'altra centrale ha cominciato a operare nel 1959 a Avoine con una potenza di 60.000 kW.
Ma negli ultimi anni la Francia con iniziative pionieristiche ha fatto appello ad altre fonti di energia: e precisamente a quella marina, sfruttando con 38 gruppi di turboalternatori le correnti che le forti maree producono nell'estuario della Rance in Bretagna (è prevista una produzione di 800 milioni di kWh), e a quella solare ricavata a Mont-Louis, nei Pirenei, mediante uno specchio gigante che trasforma l'energia del sole in elettricità.
Industria pesante. - Una delle principali utilizzazioni dell'energia desunta da così numerose fonti è l'industria pesante, fra cui primeggia la siderurgica, che si concentra per 2/3 in Lorena e dintorni e per 1/5 nei dipartimenti settentrionali e che è stata radicalmente rimodernata dopo il 1948 con investimenti poderosi. La F. rimane al primo posto nel continente per l'estrazione di minerale di ferro (58 milioni di t in media negli ultimi anni, a un tenore però di contenuto di ferro che non supera il 35%) e ha, dopo quelle inglesi e quelle tedesche, una fra le più alte produzioni di acciaio: 15 milioni di t (ricavate per il 60% con convertitori Thomas, per il 10% con forni elettrici, per il 30% con diversi sistemi) a cui sono da aggiungere 10 milioni di t di laminati. La prossima già concertata canalizzazione della Mosella nel quadro della Comunità Europea per il carbone e l'acciaio dovrebbe favorire l'esportazione di tali produzioni verso Rotterdam. A questa industria, che dà occupazione a 120 mila operai, tien dietro, per valore, quella dell'alluminio, alimentata dai forti giacimenti alpini di bauxite, che soddisfano per intero le richieste nazionali (la produzione di alluminio è stata fra il 1955 e il 1957 di 160 mila t, in buona parte dagli stabilimenti di St. Jean de Maurienne). pure saliente la fornitura di potassa (1,5 milioni dai giacimenti alsaziani) e discreta quella dello zinco (130 mila t).
Una posizione di grande importanza ha preso nel dopoguerra, fra le industrie che forniscono macchine, la automobilistica (che dà lavoro a 175.000 operai) e degli accessorî relativi (specialmente gomme e apparecchiature elettriche): in questo campo primeggia la Renault che ha raggiunto nel 1958 una produzione di 950 mila macchine (di cui 1/3 esportate).
Industria chimica. - L'industria chimica è quella che, per lo meno negli ultimi anni, ha segnato il maggior slancio, raddoppiando l'entità delle sue produzioni fra il 1952 e il 1958; essa (vi sono impegnati circa 200 mila operai) è sparsa un po' ovunque nel paese, ma raccolta specialmente intorno ai grandi porti, come Marsiglia e Nantes, o intorno ai principali centri come Parigi o nelle regioni industriali di nord-est.
Le più notevoli produzioni sono fondate sui fertilizzanti fosfatici e azotati (1,8 milioni di t nel 1958), il carbonato sodico, l'acido solforico, le lavorazioni del cloro e la manipolazione dei derivati da idrocarburi (da segnalare lo stabilimento di materiali plastici a Manzingarbe nella Francia settentrionale) e anche sui materiali coloranti e i farmaceutici (intorno a 250 stabilimenti di rilievo).
Industria tessile. - Invece vicende ondeggianti e in complesso poco favorevoli ha avuto la vecchia industria tessile: ancor oggi essa dà occupazione a più di 500 mila persone ma non si trova più nelle floride condizioni di un tempo e le sue esportazioni sono in calo (1/4 del totale delle vendite francesi nel 1950, 1/7 del totale nel 1958): il fenomeno - comune del resto alle industrie tessili di altri paesi europei e determinato soprattutto dalla divulgazione delle fibre sintetiche e da concorrenza delle nuove industrie nei paesi tropicali, coltivatori - ha colpito in special modo la lavorazione dei cotoni sia nella regione dei Vosgi sia nei centri lungo la Senna: la produzione cotoniera non ha superato in media, negli ultimi anni, le 300 mila t di filati. Diversamente si è sostenuta abbastanza l'industria della lana, che si svolge in modo particolare nella zona di Roubaix e Tourcoing, e poi presso il Reno e nel bacino parigino, e dà più di 150 mila t di tessuti. Forse in condizione di stabilità - dopo il grave declino degli anni fra le due guerre - è la manifattura della seta (27.000 t di filati). Ma brillante è l'incremento dei tessuti artificiali e sintetici: la produzione dei primi, raddoppiata dopo il 1952, ha sfiorato nel 1958 i 120 mila q e per i secondi (nailon in varî opifici lungo la Mosa e rilsan a Marsiglia e Valence) le 30.000 t.
Comunicazioni. - Congiunta, in parte, a questo generale impulso industriale sta la riorganizzazione dei servizî destinati ai traffici, che partecipano per il 33% alla formazione del prodotto nazionale. La Société Nationale des Chemins de Fer è riuscita ad aumentare di 3/4, rispetto agli anni anteguerra, l'utilizzazione di ogni km di rotaia, mediante la razionalizzazione dei centri di smistamento e degli itinerarî (molti tronchi secondarî sono stati aboliti), con l'avanzata elettrificazione delle principali linee (la Parigi-Lione, la Parigi-Tolosa, la Parigi-Bayonne, la Tolosa-Nimes: in totale 5200 km sono già ultimate; la Parigi-Lilla, la Parigi-Strasburgo, la Lilla-Strasburgo, la Lione-Marsiglia sono in corso di ultimazione), con l'adozione di locomotori di maggior potenza e di carri più capaci, con l'installazione di binarî a nastro (costituiti da sezioni di 700 m) che diminuiscono fortemente le vibrazioni delle carrozze e le spese di manutenzione dei binarî, ecc. Oggi la rete ferroviaria francese si estende per 40.000 km e assorbe il 30% del traffico nazionale viaggiatori e il 60% di quello per merci. Il resto del traffico viaggiatori si svolge per il 68% su strada e per il 2% con mezzi aerei; e il traffico merci per il 30% su strada e per il 10% su vie d'acqua. La rete stradale, fittissima e in genere ottima, è basata su 82 mila km di strade principali (classificate come "nazionali") e su 270 mila di strade dipartimentali (a cui sono da aggiungere 370 mila di strade locali): e vi circolano 4 milioni di automobili e 2 milioni di veicoli commerciali e industriali. La maglia dei canali è oggi di 8 mila km e lungo essa una buona flotta mercantile interna (più di 10 mila battelli per 3,8 milioni di t in totale) convoglia annualmente intorno a 64 milioni di t di merci - specialmente carboni, idrocarburi e materiale da costruzione. Per quanto riguarda la navigazione esterna è da segnalare negli anni del dopoguerra un aumento rilevante del traffico che figura nel 1958 pari al doppio di quello del 1938. Il tonnellaggio del naviglio con bandiera francese è oggi di 4 milioni di t; nei porti francesi negli ultimi anni furono sbarcati e imbarcati annualmente da 3 a 4 milioni di passeggeri e si è avuto un movimento totale di più di 80 milioni di t di merci (per 1/4 rappresentato dal traffico marsigliese). Grande impulso alfine ha ricevuto il traffico aereo che fra il 1955 e il 1958 ha interessato annualmente una media di 4 milioni di passeggeri. La grande società Air France, di gestione statale, vola sui cinque continenti con una rete che supera i 200 mila km; e ci sono inoltre una decina di società private per i servizî di collegamento interiormente al paese, e fra la Francia e i paesi vicini.
Finanze. - Gli aspetti finanziarî dell'economia francese durante l'ultimo decennio possono essere indicati in quattro fasi alterne che hanno avuto una duplice fisionomia: di relativa stabilità monetaria dal 1949 alla prima metà del 1950 e dal 1952 al 1955; d'inflazione aperta dalla metà del 1950 (guerra di Corea) fino al primo semestre del 1952 e dalla fine del 1955 agli ultimi mesi del 1958. Le pause che si sono registrate nel processo inflazionistico hanno coinciso con un rallentamento della produzione e quindi con uno sviluppo attenuato della domanda. Ma anche allora il timore di nuove insorgenze inflazionistiche ha continuato a dominare la scena monetaria francese e ha condizionato le iniziative in corso. Il persistente movimento a sfondo inflazionistico ha avuto come causa predominante l'eccesso di spesa da parte dei settori produttivi, sostenuto dalla continua espansione dei crediti bancarî, cui si è aggiunto quello del settore pubblico, finanziato in larga misura con mezzi forniti dalla banca centrale (fino al 1957).
In un primo tempo, il massiccio aiuto americano sotto forma di grants e crediti ha assicurato in buona parte il finanziamento dei piani allestiti dalle autorità di governo, soprattutto del piano Monnet (1947-51), che, come il successivo piano Hirsch (1954-57), mirava ad accrescere le capacità produttive e ad ammodernare le strutture industriali. Con il declino di tali mezzi, dal 1952 in poi, lo sviluppo della produzione ha potuto essere mantenuto solo a prezzo di un deficit elevato nella bilancia dei pagamenti con l'estero, il quale ha inciso fortemente sulle riserve valutarie del paese. In questo secondo momento l'apporto di beni e servizî dall'estero ha consentito di realizzare i programmi d'investimento previsti, malgrado la formazione insufficiente del risparmio nazionale.
L'esperienza francese del decennio 1948-58 presenta analogie causali con quella di altri paesi. Essa ha avuto però caratteri proprî che la distinguono. Nel caso della Francia, circostanze particolari hanno corroborato le tendenze espansive che si sono protratte per quasi l'intero anno 1958, quando già gli altri paesi erano entrati in una nuova fase di rallentamento economico. Fra queste, sono da ricordare elementi di natura psicologica e impegni politici e di prestigio, che hanno condotto il paese a costose campagne belliche. L'instabilità politica, inoltre, ha minorato l'efficienza amministrativa dei poteri pubblici e le possibilità di azione e di controllo delle autorità monetarie. Il buon successo della politica finanziaria francese è stato infine compromesso dalla molteplicità degli obiettivi di volta in volta proposti all'azione dei varî governi succedutisi, obiettivi che sono risultati spesso incompatibili fra di loro.
La natura inflazionistica dei mezzi finanziarî mobilitati per la copertura delle spese pubbliche ha costituito un volano per cui il processo inflazionistico ha potuto intensificarsi e protrarsi. La raccolta di fondi sul mercato dei capitali da parte dello stato e degli enti pubblici è stata effettuata a condizioni specialmente onerose; le particolari contingenze del mercato hanno indotto ad emissioni di titoli speciali (indexés) ancorati al prezzo dell'oro e all'indice del costo della vita. In casi di emergenza, più di una volta, la banca centrale è dovuta intervenire per ripristinare le risorse di cassa del Tesoro. Il finanziamento diretto della Banca di Francia con lo sconto di effetti pubblici e di portafogli mobilizzabili a medio termine ha rappresentato un canale cospicuo di fuoriuscita di biglietti. L'offerta monetaria (circolazione monetaria e depositi a vista presso le banche) è salita nel decennio 1949-1959 di 3,1 volte circa. Nel contempo i risparmî liquidi presso il sistema delle aziende di credito (banche e casse di risparmio) sono aumentati di quasi 6 volte.
Gli effetti più appariscenti dello squilibrio fra domanda e offerta di beni e servizî si sono manifestati dapprima nei confronti dei prezzi, ma ancor più, dei salarî, che sono saliti continuamente fino ad un livello pari a 2,9 volte quello iniziale. Mentre la progressione dei costi interni ha indebolito la capacità competitiva delle industrie francesi di esportazione, l'eccessiva domanda interna ha portato negli ultimi anni a gravi scompensi nell'equilibrio dei pagamenti con l'estero. Questi, nel momento più critico del 1957, hanno potuto essere fronteggiati mediante la dilazione dei termini di pagamento e l'utilizzo di linee di credito estere (in particolare del Fondo monetario internazionale e dell'Unione europea dei pagamenti) e ciò dopo che le riserve valutarie esistenti erano già state profondamente intaccate. Infine, la crisi nella bilancia dei pagamenti è stata superata mediante drastici provvedimenti di controllo quantitativo e qualitativo e con il ripetuto aggiustamento dei cambî. Tale risultato è collegato anche al mutamento intervenuto nel clima politico interno, dopo l'istituzione della Quinta Repubblica, e alla favorevole congiuntura internazionale.
Nella fase più acuta di tensione monetaria, la mobilitazione delle riserve valutarie in precedenza accumulate ha esercitato un'azione calmieratrice sui prezzi dei prodotti importati. Questo effetto è stato rafforzato dal declino dei prezzi delle materie prime dal 1956 in poi. Nell'intervallo di tempo che va dal 1954 al 1958, l'influsso deflazionistico connesso con l'andamento deficitario della bilancia dei pagamenti ha moderato il ritmo del processo d'inflazione e ha concorso in tal modo a lasciare un più ampio margine allo sviluppo reale della produzione. L'aumento produttivo si è pertanto riflesso in un incremento del reddito nazionale a prezzi costanti che è stato maggiore di quello realizzato nel periodo precedente. In questo secondo periodo, il ritmo di espansione reale degli investimenti è cresciuto di continuo, contrariamente a quanto si è verificato negli anni dal 1948 al 1953 in cui il volume degli investimenti aveva cessato praticamente di accrescersi.
Con la formazione del governo De Gaulle numerosi provvedimenti sono stati adottati nel campo finanziario in applicazione dei poteri eccezionali concessi dal parlamento. Gli effetti di tali provvedimenti sono stati immediati e notevoli per il favore popolare nei confronti del nuovo governo e per la coincidenza del movimento depressivo che ha interessato l'economia francese dalla fine del 1958 ai primi mesi del 1959. Verso la fine del 1958 dunque, varie misure furono prese per raggiungere la stabilità dei prezzi e ridare fiducia al franco. Esse hanno riguardato la riduzione del deficit del bilancio statale mediante un aumento degli introiti fiscali e una decurtazione delle spese per la sicurezza sociale, per le pensioni ai reduci e per i sussidî statali a un folto numero di prodotti. Inoltre sono stati aboliti i meccanismi che ancoravano i salarî e i prezzi agli indici della vita e, infine, il franco è stato svalutato.
A partire dal 29 dicembre 1958, il contenuto aureo del franco è stato fissato a o,0018 grammi di oro fino, con una parità ufficiale di 493,706 franchi per un dollaro statunitense. Prima di quella data il cambio ufficiale era stato fissato, dopo una serie di svalutazioni nell'immediato dopoguerra, a 350 franchi per dollaro dal settembre 1949 all'agosto 1957. A questa data il cambio fu mutato praticamente a 420 franchi, salvo che per alcuni tipi di importazioni ed esportazioni. Nell'ottobre 1957 il nuovo cambio fu esteso a tutte le specie di transazioni, ed è rimasto in vigore fino all'epoca della nuova svalutazione alla fine del 1958. Secondo le disposizioni già deliberate un anno prima il franco è stato sostituito, a partire dal 1° gennaio 1960, da una nuova unità monetaria (nuovo franco, che comunemente è detto anche franco pesante) che ha un valore corrispondente a 100 franchi di vecchio tipo ritirati dalla circolazione.
Bibl.: A. Chatelain, La répartition de la richesse des populations en France, in Revue de Géogr. de Lyon, 1955; J. Fauchon, Économie de l'agriculture française, Parigi 1954; L. Gachon, L'évolution de l'agriculture française depuis 1940, in Revue Économique; J. Chardonnet, La sidérurgie française, Parigi 1954; R. Rabeil, L'industrie cotonnière française, Parigi 1955; Électricité de France, Dix ans d'efforts, 1956. Inoltre la sec. ediz. di Atlas de France, in corso di pubblicazione dal 1957. Per le finanze, oltre alle pubblicazioni ufficiali dell'I.N.S.E.E. (Études économiques e Bulletin mensuel de statistique), del Ministère des Finances (Statistiques et Études Financières e Supplements), della Banque de France (Rapports annuels), del Conseil National du Crédit (Rapports annuels e Annexes) e alle riviste: Banque, Revue d'économie politique, Économie appliquée, v.: P. Dieterlen, Quelques enseignements de l'évolution monétaire française de 1948 à 1952, Parigi 1954; M. Duverger, Institutions financières, Parigi 1956; J. S. G. Wilson, French banking structure and credit policy, Londra 1957; P. Bauchet, L'expérience française de planification, Parigi 1958; M. Pellenc, Les conditions d'un redressement français, Parigi 1958; A. De Lattre, Les finances extérieures de la France (1945-1958), Parigi 1959.
Storia.
In nessun altro paese del mondo occidentale, il decennio 1949-1959 fu così ricco di avvenimenti storici come in Francia. Uscita dalla guerra alla testa di un grande impero coloniale, la nazione transalpina si trovò a dover affrontare contemporaneamente le difficoltà proprie di un assestamento reso difficile dagli spunti di una lotta civile, e la pressione del moto di affrancamento dei popoli coloniali d'Asia e d'Africa.
La storia di questo decennio è in sostanza la storia della disperata ed alla fine vana resistenza opposta dalle classi politiche tradizionali intorno alla fragile costruzione della Quarta Repubblica, e del sorgere di un regime nuovo sotto la spinta di una sommossa presto trasformatasi in rivoluzione.
Questo decennio si può suddividere in tre fasi, aventi ciascuna elementi distinti. La prima, che va sino al 1954, è quella tipica dell'assestamento interno ed internazionale, analogamente a quanto avviene nel resto dell'Europa occidentale; la seconda, che va sino alla fine del 1957, è caratterizzata dai tentativi, talvolta immaginativi (governo Mendès-France), talvolta spregiudicati (spedizione di Suez) per risolvere i problemi di fondo. La terza infine, va dalla crisi del regime e dalla sommossa di Algeri, all'avvento al potere del gen. De Gaulle ed alla Quinta Repubblica.
Tra queste fasi esiste una continuità repubblicana indubbia, continuità spesso espressa nelle stesse persone dei protagonisti. Eppure in nessun paese del "mondo libero" si può osservare una così radicale trasformazione come quella avvenuta in F. nel decennio qui esaminato.
Difficile fase di assestamento (1947-54). - Dal 1947 al 1954, la F. attraversò una fase di assestamento interno ed internazionale abbastanza uniforme. Due avvenimenti condizionarono gli sviluppi della situazione, l'esclusione dal governo (4 maggio 1947) e quindi l'isolamento del partito comunista e la rapida fortuna e l'altrettanto rapida decadenza del movimento fondato da De Gaulle, il RPF (Rassemblement du peuple français).
Due avvenimenti destinati ad avere immediate conseguenze, tra cui lo spostamento a destra dell'asse governativo e l'ingresso della F. nel Patto atlantico. La lotta politica, sganciata dalla forzosa solidarietà post-liberazione, riprese forme e metodi più consoni alla tradizione francese: come si vide subito dalla limitata durata dei governi e dallo scoppiare di qualche scandalo. Dalla fine del 1947 al giugno 1954, si susseguirono ben tredici governi, di cui uno solo, il primo dei tre costituiti dal radicale H. Queuille, la figura dominante di questa fase, resistette più di un anno, cioè dal 10 settembre 1948 al 27 ottobre 1949.
La funzione di "cerniera" in questi governi di coalizione passò dai socialisti e dai repubblicano-popolari alla sparuta schiera radicale. Il gioco parlamentare riprese un predominio quasi irresistibile, ed il formarsi ed il disfarsi dei governi, in cui quasi sempre gli stessi uomini si scambiavano i posti, fu spesso motivato da distinzioni veramente raffinate. La precarietà dei governi divenne precarietà del regime.
La ricerca di un certo equilibrio tra entrate e spese dello stato, rappresentò l'ostacolo principale per la vita dei governi. La vivace reazione comunista condotta attraverso i sindacati e gli organismi professionali, senza riuscire agli scopi politici che i capi si proponevano, servì però ad aumentare la confusione.
Tra la fine del 1948 ed i primi mesi del 1949, il problema prezzisalarî divenne acuto. Il governo Queuille abolì il razionamento del pane, iniziò la liberazione del settore commerciale e decise il blocco dei prezzi e dei salarî. Si affacciò così una tendenza avversa ad un eccessivo dirigismo (si decise di rivedere anche il funzionamento delle industrie nazionalizzate), e favorevole ad una molto graduale liberazione del processo economico interno. Tendenza facilitata dal fatto che il Piano Monnet cominciava a dare i suoi frutti: adottato nel 1947 allo scopo di aumentare la produzione industriale del 25% entro il 1952, alla fine del 1949 aveva già investito ben mille miliardi nella riconversione del macchinario.
Ma la congiuntura imperiale (Indocina soprattutto) ed internazionale avanzò le sue esigenze: crediti militari (385 miliardi, di cui 106 per l'Unione francese, cioè il 5,5% del reddito nazionale) e investimenti urgenti resero sempre più difficile la quadratura del bilancio. Queuille, che cercò di compensare una politica di liberalizzazione con una di economie, si trovò ben presto di fronte ad una opposizione di destra e moderata, formata dai deputati contadini, dagli indipendenti e dal RPF.
Nell'autunno del 1949, la situazione apparve seria: la svalutazione della sterlina favorì quella del franco (per il 22,4% rispetto al dollaro). Era la terza svalutazione operata in Francia nel giro di appena undici mesi: e come tale, destinata ad influire sui costi. Si ruppe il già precario equilibrio prezzi-salarî, e sotto le pressioni sindacali, socialiste e MRP, Queuille decise di dimettersi. La crisi fu lunga (5-28 ottobre); alla fine un tripartitismo precario si ristabilì sotto la presidenza di G. Bidault, ma con Queuille vicepresidente del consiglio, Robert Schuman agli Esteri, il socialista J. Moch agli Interni e l'indipendente M. Petsche alle Finanze.
Le dimissioni di P. Pflimlin (MPR) da ministro dell'Agricoltura sul problema sempre difficile dei prezzi dei prodotti agricoli e, poco dopo, quelle dei ministri socialisti su questioni salariali, dimostrarono che il governo non aveva saputo superare le difficoltà. Bidault fu costretto a porre la questione di fiducia a ripetizione: un sistema eroico grazie al quale riuscì a far approvare il bilancio ed a resistere sino all'estate del 1950.
Consiglio d'Europa e Patto atlantico. - Il 1949 fu per la F. un anno assai importante soprattutto nel settore della sua politica estera: essa infatti consolidò la sua evoluzione verso il campo occidentale. Il ministro degli Esteri Schuman partecipò a Londra (27-28 gennaio) alla fondazione del Consiglio d'Europa, con sede a Strasburgo. Poco prima (24 gennaio), la F. aveva riconosciuto de facto il nuovo stato d'Israele, legandosi così a questo con solida amicizia. Ma la conclusione del Patto atlantico fu l'avvenimento che doveva por fine alle superstiti velleità di una politica di "grandeur" oscillante tra l'Est e l'Ovest. In verità i Francesi più avvertiti si erano già accorti che di fronte all'eventualità di un'aggressione da Oriente, l'Europa rimaneva paurosamente scoperta. Senza l'apporto degli S. U. A. e del Canada, il patto di Bruxelles (17 marzo 1948) a ben poco sarebbe servito. Da notarsi che il testo del Patto atlantico, pubblicato prima della sua firma, soddisfaceva il vivo desiderio francese di garantire anche i territorî algerini. Subito dopo la conclusione dell'Alleanza atlantica (4 aprile) i membri del patto di Bruxelles chiesero agli S. U. A. l'invio urgente di aiuti militari. Contemporaneamente, gli accordi di Washington (8 aprile) tra Francia, Gran Bretagna e S. U. A., permisero alla Germania, in cui già si vedeva una futura associata, di compiere un grande passo sulla via dell'autonomia e della ricostruzione. Come le minacce russe e la campagna pacifista di Thorez non avevano impedito che la Francia sottoscrivesse il Patto atlantico, così gli incidenti sollevati dai deputati comunisti non impedirono all'Assemblea nazionale di ratificarlo con 395 voti contro 189.
Dfficoltà in Indocina e nel Nordafrica. - Intanto la situazione in Indocina (v., in questa App.) si faceva sempre più grave.
Il governo francese doveva fronteggiare da una parte la ribellione comunista del Vietminh, dall'altra le rivendicazioni nazionali di Bao Dai, volte ad ottenere in pratica l'indipendenza. Il 30 dicembre una serie di accordi con Bao Dai pose fine alla Federazione franco-indocinese, sostituendola con tre Stati indipendenti: Laos, Cambogia, Vietnam.
Dopo che le truppe comuniste di Mao Tse-Tung si furono attestate alla frontiera e che Pechino ebbe riconosciuto ufficialmente (19 gennaio 1950) il regime di Ho Chi-Minh, la situazione parve ai più come pregiudicata. Nel marzo scoppiarono a Saigon violentissimi incidenti, mentre le truppe del Vietminh lanciarono la prima importante offensiva nella provincia Travinh. Nell'autunno successivo le truppe francesi subirono una serie di gravi sconfitte; il governo decise il precipitoso invio del gen. J. De Lattre de Tassigny ed i successivi viaggi dello stesso a Washington e a Londra.
Nella metropoli l'agitazione dei comunisti contro la guerra indocinese provocò incidenti, che il presidente della repubblica, V. Auriol, stigmatizzò pubblicamente come tentativi di sabotaggio. Il consiglio dei ministri fu indotto a rafforzare le misure di vigilanza, specie contro i comunisti stranieri. Alla fine di aprile, lo scienziato comunista F. Joliot-Curie venne allontanato dal posto di alto commissario per l'energia atomica, che fu poi affidato a Francis Perrin.
La F. conobbe, a partire dal 1950, altre difficoltà: inizio dell'attività terroristica in Tunisia, dove il futuro capo dello stato, Habib Bourguiba, formulò le rivendicazioni nazionaliste del Neo-Destur, e in Marocco, dove il partito nazionalista Istiqlal attaccò il regime di protettorato. Dopo una serie di incidenti sempre più sanguinosi, il governo francese decise di esiliare Bourguiba a l'Ile de Groix (gennaio 1952) ed il sultano Sidi Mohamed Ben Youssef ed i suoi due figli in Corsica (estate 1953). Sidi Mohamed Ould Moulay Arafa fu fatto eleggere nuovo sultano; il ministro per gli Affari europei, F. Mitterand, si dimise in segno di protesta contro questa politica.
Condizioni esterne ed interne spinsero la Francia a mutare il suo atteggiamento verso la Germania, che così si avviò rapidamente verso l'eguaglianza e lo status di alleata. Il piano Pleven per la costituzione di una forza difensiva integrata europea (CED) con la partecipazione della Germania, aprì però un lungo dibattito interno. Vennero conclusi nuovi accordi tra Francia e Saar, una convenzione per l'unione doganale franco-italiana (23 giugno 1950), degli accordi italo-francesi di consultazione, detti di Santa Margherita (14 febbraio 1951), e l'importantissimo piano Schuman per il pool europeo del carbone e dell'acciaio (13 aprile).
Elezioni del 17 giugno 1951. - Sotto il presidente del consiglio Queuille, che aveva sostituito R.-J. Pleven nel marzo, ebbero luogo le elezioni generali. I risultati, se confermarono, in parte moderandolo, l'orientamento indicato dalle consultazioni amministrative del 1947, costituirono un profondo mutamento rispetto alle elezioni del 1946. In complesso, notevole fu lo spostamento a destra dell'elettorato.
Due vincitori: il RPF (Rassemblement du peuple français) e il RGR (Rassemblement des gauches républicaines); due sconfitti: MRP (Mouvement républicain populaire) e PCF (Parti communiste fr.); moderati e socialisti mantennero le loro posizioni. Il partito di De Gaulle (RPF) ottenne il maggior numero di eletti: 117. Seguì il PCF ed apparentati con 101 (- 78): quest'ultimo però rimase, con i suoi 4.910.547 voti (25,67% dei votanti) il partito più forte. Lo seguì il RPF con 4.125.492 voti (21,56%). Il RGR, che dal 1946 raggruppava oltre ai radicalsocialisti e all'UDSR (Union démocratique et socialiste de la résistance) anche formazioni minori (quali il Parti républicain socialiste e il Socialiste démocratique, Réconciliation française, i Socialistes indépendants), ottenne 94 deputati con un guadagno di ben 34. Ma ciò grazie all'abile politica degli apparentamenti in seno alla "Terza Forza" (RGR, MRP, SFIO [Section française de l'internationale ouvrière]), e tra questa e i moderati, piuttosto che come guadagno netto di voti. L'MRP con un totale di 84, perdette da solo 59 seggi, scendendo da 5.058.307 voti nel 1946 a 2.369.778 nel 1951. Continuò anche l'emorragia dei voti socialisti: la SFIO, con un totale di 2.744.842, ne perdette circa settantamila, anche se riuscì a guadagnare cinque seggi (totale 104). I moderati, che avevano raggruppato le loro forze nel Centre national des républicains indépendants et paysans (fondato dal sen. Roger Duchet nel febbraio 1951) e nel quale confluì (luglio) il PRL (Parti républicain de la liberté), diventarono il quarto partito dopo comunisti, gollisti e socialisti. Essi ottennero circa due milioni e mezzo di voti e 98 seggi (+ 12). Nella nuova assemblea i margini di "democrazia pura" divennero assai ristretti, dato che i due gruppi più numerosi, quello comunista e quello gollista, non potevano dirsi tali.
Curiosa situazione invero quella della Quarta Repubblica, nata appunto grazie all'apporto congiunto dei gollisti e dei comunisti, e che deve ora la sua sopravvivenza a uomini della Terza come Queuille, A. Pinay, J. Laniel. Ma nel momento stesso in cui questi ultimi erano costretti ad una disperata lotta su due fronti, la Terza Forza si spaccò a proposito della legge Barangé, approvata nel novembre 1951 e che concesse un sussidio a tutte le scuole primarie, ivi comprese quelle cattoliche. I socialisti, difensori del laicismo ad ogni costo, decisero di passare all'opposizione: il nuovo governo formato da R.-J. Pleven, con un programma di austerità economica, dovette appoggiarsi sui moderati. Davanti ad un'assemblea sovrana, esso fu costretto ad una politica precaria, senza né forza né la possibilità di prendere quelle radicali misure che la situazione economica-sociale del paese imponeva.
Difficoltà di bilancio e gli aiuti militari. - Per questo l'approvazione parlamentare del bilancio divenne un ostacolo quasi insormontabile. Paese ricco, solo in parte danneggiato dalle spese straordinarie in Indocina e nell'Africa del Nord, ma paese che non sapeva decidersi tra dirigismo e liberalismo, né darsi un costume di austerità né fare uno sforzo produttivistico. È opinione generale che senza gli aiuti americani di vario genere (per circa mille miliardi di franchi all'anno) il regime sarebbe crollato nella bancarotta. Secondo statistiche pubblicate dal ministero statunitense della Difesa, nel decennio 1949-59 la F. è stata la principale beneficiaria degli aiuti militari americani con 4.502.053.000 dollari: il che rappresenta un terzo del totale degli aiuti dati ai paesi europei.
Sullo scoglio del bilancio cadde il governo Pleven (7 gennaio 1952), e quello successivo di Edgar Faure (29 febbraio 1952). Antoine Pinay, indipendente, tipico rappresentante come Queuille della provincia e di una politica del piede di casa, formò il governo con un programma di stabilità monetaria, di economie e di stimolo produttivistico. Niente nuove imposte, ma lancio di un prestito che ottenne moderato successo: qualche miglioramento ci fu innegabilmente, grazie a una politica di maggior liberismo. Quest'ultima suscitò contro Pinay che si dimise (23 dicembre) l'ostilità della SFIO e la defezione del MRP.
Dopo varî tentativi, l'Assemblea ricorse ad una eminenza grigia della Quarta Repubblica, il radicale René Mayer (vicepresidente Queuille). Ma il nuovo governo fu di transizione e cadde subito sui progetti finanziarî (21 maggio 1953).
La crisi fu lunghissima, e segnò un deciso spostamento a destra. L'indipendente Joseph Laniel riuscì a costituire una coalizione con gollisti dissidenti e RGR, avente tre vicepresidenti del Consiglio, H. Queuille, P. Reynaud, J. Teitgen (28 giugno). Alle Finanze, Edgard Faure proseguì la politica di Pinay. Nonostante gravissimi scioperi nella città e nelle campagne, il governo-Laniel durò in carica poco meno di un anno.
Il 17 dicembre si iniziarono, in un'atmosfera di confusione, gli scrutinî per l'elezione del secondo presidente della Quarta Repubblica. Otto candidati si presentarono al primo turno, tra cui lo stesso Laniel, Bidault, Y. Delbos (rad.), Naegelen (soc.), ecc. Nessuno ottenne la prescritta maggioranza: solo al 13° turno i voti si concentrarono finalmente su di un senatore poco noto, René Coty, repubblicano indipendente (23 dicembre). Per ragioni di età e di salute, Èdouard Herriot si dimise dalla presidenza della Camera. A sostituirlo venne eletto il socialista A. Le Troquer. Il radicale socialista Gaston Monnerville, originario della Guiana, fu rieletto alla presidenza del Conseil de la République (Senato).
Crisi del RTF - Il ritiro di De Gaulle. - Il governo Pinay, oltre ad aver indicato una nuova via per il risanamento economico del paese, esercitò un'efficace attrazione sulla parte liberale e moderata della composita formazione gollista. Ventisette deputati si dimisero dal RPF nel luglio 1952, seguiti da una diecina di senatori, in segno di protesta per l'eccessiva disciplina interna del partito e per il suo misticismo programmatico. Essi si costituirono in gruppo ARS (Action républicaine et sociale) ed entrarono a far parte della maggioranza. Il fosso tra l'ala possibilistica del gollismo (guidata da J. Soustelle) che trovava più conveniente partecipare al "sistema" ed i "mistici" fermi al "tutto o niente" (guidati da R. Capitant) divenne sempre più profondo, con conseguente perdita di credito nell'opinione pubblica. Le elezioni amministrative del 1953 segnarono per il RPF una vera disfatta: 10 eletti a Parigi invece di 52 nel 1947, 4 contro 25 a Marsiglia, 7 contro 23 a Lione, ecc. Sconfitta a vantaggio dei moderati, del MRP e del RGR, che progredirono sensibilmente. Attristato, De Gaulle decise (6 maggio 1953) di abbandonare i deputati del RPF "ai giochi, ai veleni, e alle delizie del sistema"; concesse loro libertà di voto, e rinviò la conquista del potere a quando si sarebbe verificata "una grave scossa del paese" di fronte al pericolo. Il gruppo parlamentare gollista si costituì allora in Union républicaine d'action Sociale: ma altri deputati preferirono unirsi ai partiti tradizionali. Il nuovo ritiro di De Gaulle condannò il movimento gollista perché gli tolse quella "mistica del capo", che costituiva appunto il suo vero e solo tessuto connettivo.
Dien Bien-Phu e il primo colpo al regime. - Il governo Laniel si resse più per l'abilità nell'evitare i grossi problemi del paese che per la volontà di risolverli. In una situazione di malessere economico e sociale, e di ripresa terroristica nell'Africa del Nord, la caduta di Dien Bien-Phu (7 maggio 1954) nelle mani delle forze comuniste vietnamite, dopo due mesi di assedio (v. indocina, in questa App.) costituì la prima della "gravi scosse" che finiranno con l'uccidere la Quarta Repubblica. Da parte francese, quattromila soldati erano rimasti sul terreno della battaglia, ottomila uomini e mille feriti catturati dai Vietnamiti insieme a un imponente bottino di materiale bellico.
In Francia l'emozione fu enorme: non solo la strategia del gen. H. Navarre, comandante in capo in Indocina, ma l'intera politica di Laniel furono messe sotto accusa. Cosa ancor più grave il "sistema" stesso, cioè il regime della Quarta Repubblica, venne in discussione. Gli uni rimproverarono che si fossero ignorate le conclusioni cui era giunto il gen. Leclerc nella sua missione del 1945-46, conclusioni favorevoli ad un'intesa con Ho Chi-Minh. Gli altri criticarono le esitazioni dei varî governi tra negoziati e condotta a fondo della guerra, riscontrabili nello stesso episodio di Dien Bien-Phu. Infine, con sentimento quasi generale, si biasimò il regime per non essere riuscito a guadagnare alla causa francese l'intervento totale degli S. U. A.: tanto più opportuno in quanto in Indocina si difendevano posizioni occidentali.
Benché in vario modo articolato - né si può ignorare la larga influenza della propaganda comunista e le reazioni da questa sollevate specie negli ambienti militari - il sentimento generale fu che la Francia avesse bisogno di nuove idee ed uomini nuovi.
L'audace esperimento di Pierre Mendès-France. - All'Assemblea nazionale, Mendès-France pronunciò una vera requisitoria sostenendo che non esisteva un problema dell'Indocina a sé stante, ma una serie di problemi interdipendenti, che richiedevano il risanamento dei costumi e del regime.
Laniel fu costretto a porre la questione di fiducia: venne battuto per 306 voti contro 293 (12 giugno 1954). Mendès-France formò subito un nuovo governo, riservandosi gli Esteri ed affidando gli Interni a F. Mitterand, la Difesa al gen. P. Koenig, e le Finanze ad Edgard Faure. L'asse della coalizione governativa venne così riportato bruscamente a centro-sinistra, non ostante che la SFIO preferisse rimanere fuori. Era la prima volta che l'incarico di formare il governo veniva affidato a chi aveva assunto il compito di una opposizione aperta e pubblica. Ed era la prima volta che l'incaricato riusciva a formare un governo in brevissimo tempo. Ed era infine la prima volta che il governo sfuggiva alla presa della ventina di "notabili" della Quarta: tutti i ministri tranne quattro non avevano appartenuto al governo Laniel. La reazione dell'opinone pubblica fu pronta ed, al principio, entusiasta.
Quello di Mendès-France rimane un esperimento unico nel suo genere, ed uno dei più difficili da definire. Si stacca nettamente da ogni precedente, grazie anche all'utilizzazione di maggioranze di ricambio, e ad un dinamismo senza eguali nella storia della Quarta.
Divenuto presidente del consiglio, Mendès-France, che professava una chiara preferenza per il metodo anglosassone, seppe coalizzare le forze di democrazia attiva in un momento in cui sembrava stessero per essere travolte da un colpo di stato. Recatosi a Ginevra, dove la Conferenza internazionale sull'Indocina si trascinava faticosamente, riuscì a raggiungere un accordo (21 luglio) che pose fine ad una guerra che durava da circa otto anni ed in cui il corpo di spedizione francese aveva avuto 92 mila morti, 114 mila feriti e 28 mila prigionieri. Sostanza dell'accordo: spartizione del VietNam in una repubblica popolare a nord (capitale Hanoi) ed in una democratica a sud (cap. Saigon); Laos e Cambogia, stati indipendenti in seno all'Unione francese.
L'abilità e la rapidità con cui Mendès-France aveva condotto a termine questa delicata operazione sollevarono l'entusiasmo generale: pochi giorni dopo egli si recò in Tunisia, in compagnia del mar. A. Juin, riuscendo a riaprire il dialogo per l'avvio all'indipendenza negoziata. Ma ciò doveva sollevargli contro l'opposizione dei "coloni", e dei nazionalisti, opposizione che doveva ingrossare in seguito al fallimento della CED, cioè del patto per l'istituzione di un esercito integrato europeo (30 agosto), alla forzata accettazione del riarmo tedesco (accordi di Parigi, 23 ottobre), ed allo scoppiare dell'insurrezione algerina (1° novembre). La defezione del MRP gli fu fatale e Mendès-France cadde malamente (15 febbraio 1955) senza aver potuto dare piena misura di sé. Senza dubbio egli fu vittima di atteggiamenti personali che, nonostante la sua indiscussa intelligenza, non seppe moderare e contenere. Fece uso di un moralismo che esorbitava dalle funzioni governative, mentre l'eccessivo ricorso al trasformismo divenne alla fine controproducente. Individualista, non seppe sostituire un'équipe di governo a quella che aveva rovesciato. Tuttavia non vi possono essere dubbî sulla serietà del tentativo da lui fatto di ridare alla Quarta Repubblica, abituata all'ordinaria amministrazione, un governo vero ed efficiente. Perciò egli finì per attirarsi l'odio di chi già da allora tramava per il rovesciamento del regime.
La fine della guerra d'Indocina liberò forze che riusciranno mortali per il "sistema": i reduci e soprattutto gli ufficiali di carriera riportarono nella metropoli i principî ed i metodi della "guerra rivoluzionaria" loro imposta dai comunisti indocinesi. Una guerriglia, più che una guerra, altamente politicizzata e con largo uso della propaganda e dei cosiddetti mezzi psicologici. Dopo gli accordi di Ginevra, il risentimento per la sconfitta di Dien Bien-Phu si accompagnò a quello per l'abbandono nelle vendicative mani comuniste di una parte delle truppe indocinesi che avevano combattuto per la causa francese. L'associazione degli ex combattenti d'Indocina e dell'Unione francese, che prima aveva avuto un compito puramente assistenziale, divenne da quel momento uno dei principali centri di cospirazione clandestina per il rovesciamento della Quarta Repubblica.
Il governo Edgar Faure e le elezioni anticipate del 2 gennaio 1956. - Dopo varî tentativi, toccò a un altro radicale, Edgar Faure, di formare un governo di coalizione con l'MRP, i repubblicani sociali e gli indipendenti, avente Pinay quale ministro degli Esteri. Nonostante l'accesa rivalità tra Faure e Mendès-France, il primo si sforzò di continuare l'opera del secondo, sia pure riportandola nell'ambito del "sistema". Gli riuscì così di far ratificare gli accordi di Parigi dal Consiglio della repubblica (28 marzo), e le convenzioni che consacrarono la pratica indipendenza della Tunisia (Assemblea nazionale, 8 luglio; Consiglio della Repubblica, 3 agosto). Le truppe francesi vennero ritirate dal Fezzan (2 dicembre).
Si fece intanto sempre più sanguinoso il terrorismo nel Marocco ed in Algeria. Edgar Faure decise l'invio di rinforzi in questa ultima, ma si propose di risolvere diplomaticamente il problema marocchino, richiamando il sultano Ben Youssef e promettendo l'indipendenza (6 novembre). Ciò provocò la defezione dei ministri repubblicano-sociali, ed allora Faure si decise ad indire elezioni anticipate (2 dicembre). Mendès-France, che nel frattempo era divenuto primo vicepresidente del partito radicale (presidente Édouard Herriot), e che, come i ministri radicali, era contrario allo scioglimento delle Camere, fece espellere Faure dal partito.
Le elezioni si svolsero il 2 gennaio 1956 con il sistema degli "apparentamenti": ma la rottura tra SFIO e MRP, e la frattura tra radicalsocialisti e il RGR (che rimase fedele a Faure), ne limitarono l'impiego. Socialisti, radicali mendesisti e UDSR, costituirono il cosiddetto Front Républicain. A destra sorse un movimento di tipo "qualunquista", l'Union de défense des commerçants et des artisans, fondata da Pierre Poujade, che ebbe tanto rapida quanto illusoria fortuna. L'Algeria costituì il principale tema della campagna elettorale. Per bocca di Mendès-France, il Fronte repubblicano propose una politica fondata non sulla repressione ma sulla conciliazione.
I risultati delle elezioni recarono, rispetto a quelli del 1953, due sorprese importanti: il crollo dei repubblicani-sociali (ex RPF), che raccolsero appena 948.854 voti perdendone oltre tre milioni, ed il successo di Poujade che ne ottenne, insieme ad alleati minori, 2.451.555. Comunisti e socialisti guadagnarono circa mezzo milione di voti ciascuno. I radicali ed alleati ne guadagnarono circa 800 mila e i moderati 600 mila. L'MRP con 2.374.921 mantenne le sue posizioni. Il PCF si confermò di gran lunga il più forte partito: 25,38% dei voti e 151 deputati.
Lo scopo propostosi da Faure di ottenere una maggioranza stabile e sicura era fallito. Il rafforzarsi all'estrema destra ed all'estrema sinistra di due opposizioni nettamente anticostituzionali, peggiorò la situazione precedente. La maggioranza di governo fu ridotta ad un margine di pochi voti. E all'interno stesso di questa maggioranza di misura, le divisioni erano profonde, addirittura inconciliabili su tutte le questioni di fondo, l'Algeria, la scuola, la funzione dello stato nell'economia, ecc. In tali condizioni riusciva impossibile governare nel vero senso della parola: e la sensazione sempre più diffusa che la Quarta Repubblica sarebbe crollata al minimo urto, autorizzava tutti i complotti e tutte le audacie.
I socialisti al potere e l'intervento in Egitto. - Toccò al leader socialista Guy Mollet di formare un nuovo governo di coalizione, con Mendès-France ministro senza portafoglio, Mitterand alla Giustizia, e Pinay agli Esteri. La ribellione algerina cominciò a condizionare non solo la vita del governo francese ma l'avvenire di tutto il paese. Recatosi ad Algeri, Mollet fu accolto da una manifestazione fortemente ostile da parte dei coloni francesi, in seguito alla quale il nuovo residente gen. G. Catroux (che aveva preso il posto di J. Soustelle) si dimise e fu sostituito da Robert Lacoste. La sera stessa (6 febbraio) si costituì ad Algeri il primo Comitato di salute pubblica, con lo scopo di conservare alla Francia l'Algeria anche a costo di rovesciare il regime.
Nonostante i poteri speciali ottenuti con una maggioranza schiacciante, la politica di Mollet-Lacoste, basata sul trinomio, "pacificazione, elezioni, negoziati" non uscì da una certa contraddittorietà: liberale nella metropoli, fu con il "proconsole" Lacoste autoritaria in Algeria e in pratica si rivelò inefficace. Ciò portò alle dimissioni del deluso Mendès-France (23 maggio), e per reazione alla secessione dal partito radicalsocialista di H. Queuille, di A. Morice e di altri (14 ottobre), che fondarono un nuovo partito radicale dissidente, più conservatore e favorevole ad una soluzione "francese" in Algeria.
Il governo Mollet finì ben presto in un'impasse. Per domare la ribellione occorrevano soldati ed armi: la base socialista si opponeva ai richiami (che ciò nonostante vennero fatti ripetutamente) e pretendeva che si procedesse piuttosto sulla via delle costose riforme sociali; le destre, d'altra parte, mentre insistevano perché la repressione venisse condotta in Algeria con la massima forza, resistevano all'imposizione di nuove tasse. Infine alcuni tentativi segreti di negoziati con il Fronte di Liberazione Nazionale (F.L.N.) algerino si arenarono di fronte alla richiesta dell'indipendenza immediata formulata da quest'ultimo.
La nazionalizzazione del canale di Suez da parte dell'Egitto (26 luglio), oltre a ledere i cospicui interessi francesi nella Compagnia, suscitò un'ondata patriottica in Francia a causa degli aiuti dati da ‛Abd an-Nāṣir ai ribelli algerini. Una missione del ministro degli Esteri Pinay al Cairo, che si era risolta in nulla nonostante le promesse, aveva convinto la maggior parte dei ministri, tra cui il residente Lacoste, che la vittoria d'Algeria passava dalla capitale egiziana. Incitamenti all'azione contro l'Egitto venivano anche dal Marocco, dove il sultano Maometto V, che pure era favorevole all'indipendenza algerina (preferibilmente mediante un'intesa con la Francia), vedeva nelle ambizioni rivoluzionarie del colonnello egiziano una seria minaccia alla sua posizione spirituale e al suo trono. Infine, come sempre, la Francia si dimostrò assai sensibile ai disperati appelli d'Israele assediato. Questo stato venne rifornito abbondantemente di armi modernissime, e il suo primo ministro D. Ben Gurion, venuto segretamente in Francia in settembre, ottenne da Mollet l'assicurazione che il governo di Parigi non avrebbe permesso che fosse schiacciato dagli eserciti arabi. In realtà l'intervento franco-inglese contro l'Egitto (5 novembre) si risolse per varie ragioni (v. suez, in questa App.) in un fallimento. Il contraccolpo della fallita spedizione fu particolarmente severo in Algeria, dove la ribellione riprese slancio e audacia. All'interno, le reazioni sull'intervento si mescolarono a quelle provocate dall'acutizzarsi della ribellione algerina e, per quel che riguarda l'atteggiamento ostruzionistico dei comunisti, alle drammatiche impressioni provocate dalla rivolta ungherese. In complesso l'intervento in Egitto venne approvato a larghissima maggioranza dal parlamento, ma il suo esito sollevò molti dubbî sull'abilità del governo a direzione socialista. Quest'ultimo inoltre finì con l'inimicarsi il MRP per la sua dichiarata intenzione di abrogare la legge Barangé sui sussidî alle scuole private. Intanto l'indipendenza del Marocco venne perfezionata (2 marzo), gli stabilimenti francesi dell'India vennero ceduti all'Unione Indiana (28 maggio) e fu raggiunto un accordo con il regno di Libia per la delimitazione del confine tra l'Algeria ed il Fezzan (29 dicembre).
L'indecisa politica algerina, un programma sociale senza riferimento alle disponibilità finanziarie, ed il ricorso al fisco, sollevarono contro il governo l'opposizione degli indipendenti e dei moderati. Mollet venne rovesciato alla Camera (21 maggio 1957) sul programma finanziario: gli si attribuì tuttavia l'abilità di aver preferito abbandonare in tal modo il potere, piuttosto di rischiare la frattura della SFIO sulla politica algerina. Infatti datano da quell'epoca le prime importanti defezioni dalle file socialiste, che contribuirono alla nascita della Union de la gauche socialiste (8 dicembre 1957), in cui confluirono la Nouvelle Gauche, l'Action socialiste, l'Unité socialiste e la maggior parte della Jeune République. La nuova formazione politica professò un socialismo rivoluzionario e, soprattutto, si dichiarò in favore della fine della guerra d'Algeria. Il 25 marzo 1957 la F. partecipò in Roma alla firma degli strumenti costitutivi della Comunità Economica Europea e dell'Euratom.
La fase di transizione: i governi di Bourgès-Maunoury e di Gaillard. - Fallito anche l'esperimento socialista, la direzione del governo ritornò nelle mani dei professionisti di centro-sinistra, in una evidente fase di transizione. Il giovane radicale M. Bourgès-Maunoury costituì un governo (11 giugno) con i socialisti ed i radicali dissidenti: gli riuscì di far approvare nuove misure fiscali, ma fallì sulla cosiddetta "loi-cadre" dell'Algeria, che comportava una specie di statuto federale franco-algerino (30 agosto). Non miglior sorte toccò al non meno giovane radicale Félix Gaillard, che si era messo in luce nei mesi precedenti quale ministro delle Finanze, riuscendo tra l'altro abilmente nella difficile operazione di una nuova svalutazione della moneta. Costituito (4 novembre) un governo di radicali, socialisti, MRP e moderati, egli riuscì a far approvare la "loi-cadre" con poche modifiche: ma dovette far fronte subito dopo ad una grave tensione con il Marocco e soprattutto con la Tunisia, che insisteva per la partenza dei presidî francesi e chiedeva riparazioni per il sanguinoso bombardamento di Sakhiet (8 febbraio 1958) da parte di aerei francesi. Le truppe tunisine avevano messo il blocco intorno agli accantonamenti di quelle francesi, creando una situazione assai minacciosa. Gran Bretagna e S. U. A. offrirono allora i loro "buoni uffici" per risolvere la vertenza.
La missione del diplomatico americano Robert Murphy e dell'inglese Harold Beeley allarmò sin dall'inizio la destra francese timorosa di una implicita internazionalizzazione del problema algerino, principale pomo di discordia tra Parigi e Tunisi. Bidault, Soustelle, Morice, Debré e Duchet reclamarono un "governo di salute pubblica". Si creò così, soprattutto nella capitale francese dove la polizia, messasi in sciopero, aveva manifestato violentemente davanti all'Assemblea nazionale, un clima di confusione e di disordine. Le pazienti trattative di Murphy e Beeley permisero di risolvere tutti i punti del contenzioso franco-tunisino, tranne il più importante: quello del controllo della frontiera tra Tunisia ed Algeria. Il governo francese respinse la partecipazione di un "osservatore" delle N. U. per il timore che ciò portasse ad una "internazionalizzazione" del conflitto algerino.
Solo in seguito all'esortazione di Eisenhower, Gaillard si decise a rilanciare "i buoni uffici", accettando la soluzione dei punti già concordati e rinviando a più tardi la questione del controllo della frontiera. Ma venne rovesciato dalla Camera in una tumultuosa seduta (15 aprile). Sotto l'accesa guida di Soustelle, di Duchet e di Bidault, la destra era scesa in campo, decisa a difendere l'Algérie Française" ad ogni costo: tanto più che i primi importanti carichi di petrolio del Sahara erano giunti in quel tempo alle sponde mediterranee. La questione algerina divenne così il centro stesso della politica interna francese. Anche l'esercito combattente prese un interesse sempre maggiore alla politica. Il malessere, i rancori, le recriminazioni lasciate in esso dalla guerra d'Indocina, dalla perdita della Tunisia e del Marocco, e dall'interrotta spedizione di Suez si coalizzarono in una vasta cospirazione, che si estese ad una parte dei moderati alla Duchet, ai gollisti e persino alla famigerata "cagoule". Per tutti costoro meglio valeva rovesciare l'imbelle regime della Quarta Repubblica, piuttosto che accettare una soluzione moderata del problema algerino.
Il governo Pflimlin ed il colpo di stato del 13 maggio 1958. - La politica francese entrò in un periodo convulsivo, di cui una disamina sicura è ancora impossibile. Fallito il tentativo di Bidault di formare un governo per la difesa a oltranza dell'Algeria, si approfondì la frattura tra i nazionalisti ed i colonialisti da un lato e l'Assemblea nazionale dall'altro. Quest'ultima, nella notte tra il 13 ed il 14 maggio, diede l'investitura al leader cattolico P. Pflimlin (274 voti contro 129 e 137 astensioni); ma lo stesso giorno la popolazione europea di Algeri insorse per il timore di una nuova Dien Bien-Phu diplomatica e guadagnò progressivamente l'appoggio dell'esercito. Il generale dei paracadutisti J. Massu, divenuto presidente di un Comitato di salute pubblica, inviò un irrispettoso telegramma al presidente Coty - chiedendogli la formazione di un governo di Salute pubblica - ed un appello al gen. De Gaulle. L'Assemblea nazionale reagì votando a Pflimlin, che aveva allargato il governo includendovi i socialisti (Mollet vicepresidente, Moch ministro degli Interni e A. Gazier ministro delle Informazioni, ma non gli indipendenti che ricusarono), lo "Stato di urgenza" con 462 contro 112. Mentre il gen. P. Ely si dimetteva da capo di S. M. generale, il gen. De Gaulle, dichiaratosi pronto ad assumere il potere (19 maggio), attrasse sulla sua persona favori sempre più grandi. Il pericolo di una guerra fratricida parve imminente: nella metropoli, disciolte per legge, le formazioni di estrema destra (Front d'action national, Phalange française, Mouvement jeune nation, Parti patriote révolutionnaire) si organizzarono nella clandestinità quelle di sinistra e democratiche nel Comitato di difesa repubblicana. In Algeria, dove era giunto tra gli altri Soustelle con una spettacolare fuga, si prepararono audaci piani d'invasione della Francia. Commandos provenienti dall'Algeria occuparono la Corsica (24 maggio) quale testa di ponte per l'invasione della metropoli. De Gaulle apparve ai più come il solo uomo in grado di evitare la guerra civile, di restaurare l'autorità dello stato e di conservare il regime repubblicano. Dopo uno scambio di lettere con Mollet ed un abboccamento con Pflimlin, De Gaulle annunciò di aver iniziato "il processo necessario allo stabilimento regolare di un governo repubblicano capace di assicurare l'unità e l'indipendenza del paese" (27 maggio). Il giorno successivo il governo si dimise. A Parigi si svolse una grande manifestazione antifascista: alla testa dell'imponente corteo marciarono Daladier, Mendès-France, Mitterand, André Philip, ecc.
Designato dal presidente Coty con procedura eccezionale, De Gaulle formò un ministero "nazionale", avente Mollet, Pflimlin e F. Houphouet-Boigny (UDSR) come ministri di stato, Michel Debré alla Giustizia, Pinay alle Finanze, M. Couve de Murville agli Esteri e il prefetto E. Pelletier agli Interni. Egli ottenne l'investitura, senza dibattito, con 329 voti contro 224 (1° giugno). Il 2 giugno il parlamento votò tre progetti di legge voluti da De Gaulle: proroga dei poteri speciali in Algeria, pieni poteri per la durata di sei mesi, revisione della costituzione per referendum. Il giorno dopo il parlamento si aggiornò.
De Gaulle al potere, referendum costituzionale ed elezioni legislative. - Recatosi ripetutamente in Algeria, De Gaulle, postosi come arbitro dei destini della nazione, pose le basi di una nuova politica e di una nuova strategia. Con la Tunisia poté concludere quell'accordo liberale che ai governi precedenti non era stato possibile per l'opposizione dei moderati, e che prevedeva la soppressione di tutti i presidî francesi, salvo quello di Biserta (17 giugno). Un grande prestito lanciato da De Gaulle e dal ministro Pinay ottenne grande successo (17 giugno-12 luglio). De Gaulle completò il suo governo ai primi di luglio, affidando tra l'altro a J. Soustelle il ministero delle Informazioni.
Le conseguenze dell'avvento di De Gaulle si fecero sentire anche tra i partiti. Una nuova formazione raggruppante i diversi movimenti gollisti prese il nome di Union pour la nouvelle république (UNR). In dissenso con Pflimlin, Bidault fondò, con scarsa fortuna, il Mouvement de la démocratie chrétienne; dalla parte opposta, elementi della sinistra socialista, minoritarî della SFIO (che poi uscirono dal partito), radicali guidati da Mendès-France, e l'UDSR con Mitterand fondarono l'Union des forces démocratiques, che prese la testa dell'opposizione democratica. Gaillard divenne presidente del partito radicale ortodosso.
Il 28 settembre la metropoli ed i territorî associati furono chiamati a pronunciarsi, per referendum, sul progetto costituzionale preparato da un apposito comitato consultivo ed approvato dal Consiglio dei ministri. Esso introduceva alcune innovazioni importanti: un'organizzazione dei pubblici poteri che costituiva una forma temperata di regime presidenziale, un parlamento ridotto nei poteri e nelle funzioni, ed una libera Comunità tra la Francia ed i territorî Oltremare.
Il referendum si risolse in un grande successo personale del gen. De Gaulle. Su poco meno di 46 milioni di elettori, 36 milioni e mezzo votarono, di cui 31.066.502 per il "sì" e 5.419.749 per il "no". In Algeria, dove l'esercito organizzò la votazione non sempre imparzialmente, si ebbero 3.357.763 "sì", 118.631 "no", ed un milione di astensioni. Fece eccezione la Guinea che, votando per il "no" (1.136.324 contro 56.981 sì), si proclamò indipendente e ricusò di entrare nella Comunità. Tra novembre e dicembre si ebbero le proclamazioni delle repubbliche del Madagascar, del Sudan, del Congo, del Niger, del Senegal, della Mauritania, del Ciad, del Gabon, del Centrafrica (Ubanghi-Sciari), ecc., ma tutte nell'ambito della Comunità.
De Gaulle proseguì nella sua opera di trasformazione radicale della fisionomia politica del paese. Fece approvare una legge elettorale con un sistema uninominale maggioritario a due turni, inteso all'isolamento dei comunisti. Le elezioni, svoltesi il 23 e 30 novembre, confermarono il trionfo personale di De Gaulle: l'UNR ottenne, al secondo turno, il 28,1% dei voti, i comunisti il 20,5, la SFIO il 13,8, indipendenti e moderati il 18,5 ed i radicali il 5,7%. Ma per comprendere bene l'incidenza del sistema elettorale, bisogna tener conto del numero dei deputati eletti: che furono 189 per l'UNR, 130 per gli indipendenti e moderati, 40 per la SFIO, 57 per l'MRP, 13 radicalsocialisti ed appena 10 comunisti. Non furono eletti, tra gli altri, Mendès-France, Edgar Faure, Pineau, Moch, A. Gazier, Morice, Mitterand, G. Defferre, Duclos. Il 21 dicembre De Gaulle fu eletto presidente della Repubblica e della Comunità.
Restaurazione dell'autorità dello stato. L'evoluzione della Comunità. - L'8 gennaio 1959 René Coty trasmise i poteri di presidente della Repubblica al gen. De Gaulle: poteri, come si è detto, assai più vasti di quelli goduti dall'ex capo dello stato. A dirigere il nuovo governo, formato da una coalizione di UNR, MRP, indipendenti e tecnici (ma assente la SFIO), venne chiamato l'ex guardasigilli Michel Debré: Couve de Murville rimase agli Esteri, Pinay alle Finanze, mentre Soustelle divenne ministro delegato presso il primo ministro, con speciale competenza sulle ricerche nucleari e sullo sviluppo del Sahara (petrolio). Il programma del governo venne approvato dall'Assemblea nazionale con 453 voti contro 53, e poco dopo terminò il periodo di quattro mesi previsto per i poteri speciali (5 febbraio).
De Gaulle provvide intanto ad insediare gli istituti previsti dalla costituzione: presiedette all'Eliseo la prima riunione del comitato esecutivo della Comunità (3 febbraio), presenziò all'inaugurazione del Consiglio costituzionale (5 marzo) ed iniziò una serie di prese di contatto con le popolazioni delle province francesi, e dei paesi della Comunità. Se la popolarità del capo dello stato non fece che aumentare, il contrario è vero per quella del governo: le elezioni municipali (8-15 marzo) segnarono un regresso dell'UNR. La ripresa delle formazioni politiche tradizionali venne confermata dalle elezioni senatoriali, condotte col sistema di secondo grado: l'85% dei senatori uscenti fu rieletto. Mentre l'Assemblea nazionale si scelse un nuovo presidente nella persona di J. Chaban-Delmas, Gaston Monnerville venne rieletto alla presidenza del senato. A metà luglio si riunì per la prima volta il senato della Comunità, la sola nuova assemblea creata dalla costituzione del 1958: G. Monnerville ne assunse la presidenza. Alla ripresa autunnale dei lavori parlamentari, il governo Debré incontrò le prime difficoltà, in tema di bilancio. Difficoltà ancor maggiori provocò il progetto scolastico del governo, che risuscitò la inevitabile polemica tra cattolici e laicisti. Il ministro dell'Istruzione nazionale, il socialista indipendente Boulloche, si dimise per contrasti con il primo ministro Debré (23 dicembre). Ciò nonostante il parlamento finì con l'adottare il progetto governativo (24 e 30 dicembre).
Anche la creazione della Comunità, in sostituzione della Unione francese d'Oltremare, si rivelò difficoltosa ed insufficiente e finì per entrare in seria crisi (v. comunità francese, in questa App.)
Politica economica e internazionale di De Gaulle. - Il ministro delle Finanze Pinay attuò un programma liberista basato su due principî fondamentali: 1) rispetto degli impegni presi verso il Mercato Comune Europeo e verso la liberazione degli scambî; 2) svalutazione della moneta del 17,55% allo scopo di favorire il commercio con l'estero: creazione nel contempo di un "franco nuovo" (uguale a cento franchi precedenti) allo scopo di meglio stabilizzare la moneta.
Il governo dovette però ricorrere a nuove pressioni fiscali e ad un prestito per far fronte ad un bilancio aumentato, rispetto a quello precedente, di oltre seicento miliardi (per un totale di 6.189 miliardi). Per la prima volta nella storia post-bellica della Francia, la bilancia commerciale invertì la sua tendenza, e le esportazioni equilibrarono le importazioni. Le riserve, quasi esauste, di oro e di divise aumentarono considerevolmente. Per tutto il 1959 l'espansione della produzione mantenne un ritmo soddisfacente: i progressi più promettenti si ebbero nel settore della chimica, dell'industria automobilistica, della produzione petrolifera, dell'edilizia.
Occorre aggiungere però che un costante per quanto modesto aumento del costo della vita (dovuto in parte all'abolizione dei sussidî governativi), ed una vera crisi economica nelle campagne diffusero, verso la fine del 1959, un certo malcontento. Una parte degli esperti, tra cui il ministro delle Finanze Pinay, che poco dopo si dimetterà dal governo, si convinsero dell'impossibilità per l'economia francese di sostenere contemporaneamente le spese di un programma di espansione, quelle della guerra d'Algeria e di una politica di "grandeur".
Nell'ambito infatti della politica internazionale, l'azione del gen. De Gaulle e la sua nota tendenza per una politica di prestigio e di grandezza, si fecero subito sentire. Se accettò di rispettare gli impegni presi dal suo paese per quanto riguardava la Comunità Economica Europea ed il Patto atlantico, egli non nascose la sua avversione per una politica militare basata sull'"integrazione" nei comandi delle forze armate alleate. A questa oppose la sua fiducia in una stretta collaborazione tra la Francia e la Germania occidentale, nella speranza forse di ottenere da quest'ultima il riconoscimento della leadership europea. Tra il settembre 1958, ed il dicembre 1959 si ebbero ben quattro incontri tra De Gaulle ed Adenauer.
In verità fin dal 24 settembre 1958, il gen. De Gaulle aveva indirizzato una lettera personale (il cui testo non è stato ancora reso noto) al presidente Eisenhower ed al primo ministro Macmillan, chiedendo in sostanza: 1) la partecipazione della Francia, su di un piede di parità con gli S. U. A. e la Gran Bretagna, alle consultazioni su tutti i problemi della politica mondiale; 2) la riorganizzazione dell'alleanza atlantica, in modo da tener conto, sul piano politico, della richiesta sopra riportata e sul piano militare della preferenza francese per formule "associative" su quelle "integrative". De Gaulle rivendicò ancora dagli alleati ed in special modo dagli S.U.A., una maggior assistenza nel campo delle ricerche nucleari ed un atteggiamento più favorevole e comprensivo sul problema algerino.
Nonostante alcuni tentativi di compromesso, nonostante la cordialità che contrassegnò i colloqui parigini del presidente Eisenhower (2-4 settembre 1959), le richieste francesi non vennero accolte anche per la reazione opposta dagli altri alleati, ed in particolare dal Canada, contro la creazione in seno al Patto atlantico di un triunvirato o di un direttorio delle grandi potenze. A sua volta il gen. De Gaulle rifiutò la creazione su suolo francese di depositi di missili e di armi nucleari; negò l'integrazione dell'aviazione da caccia francese con quella alleata, e sottrasse la flotta del Mediterraneo al comando alleato per il caso di guerra. Inoltre De Gaulle si sentì autorizzato ad una maggiore autonomia nei confronti dei suoi alleati: il 21 ottobre l'Eliseo annunciò che il presidente russo Chruščëv sarebbe venuto a Parigi. La capitale francese venne scelta a sede della conferenza occidentale, che riunì il presidente Eisenhower, il primo ministro Macmillan, il gen. De Gaulle ed il cancelliere Adenauer (19-21 dicembre), e in cui fu decisa l'accettazione di un incontro alla sommità con l'URSS, da tenersi pure a Parigi.
In occasione del centenario della guerra franco-piemontese del 1859 contro l'Austria, il gen. De Gaulle compì una visita ufficiale ai campi di battaglia della Lombardia, accompagnato dal presidente Gronchi, ed a Roma, dove venne ricevuto al Quirinale ed in Vaticano.
La politica algerina e la vana ricerca di una soluzione. - Forte del successo ottenuto nel referendum, De Gaulle si recò per la quarta volta in Algeria, dove annunciò il Piano di Costantina per lo sviluppo economico e sociale del paese (2-5 ottobre 1958). Il 23 ottobre lanciò un appello ai ribelli per una "paix des braves" ed invitò i capi della ribellione a venire a Parigi per discutere le modalità tecniche di un armistizio. Questo programma, che trovò opposizione solo negli ambienti francesi di estrema destra, venne respinto dal Fronte di Liberazione Nazionale algerino che pose come condizione la discussione non solo degli aspetti militari ma anche di quelli politici di un armistizio. Dopo un quinto viaggio in Algeria, De Gaulle restituì l'amministrazione alle autorità civili: Paul Delouvrier fu nominato delegato generale del governo (12 dicembre). Il 30 gennaio del 1959 il gen. De Gaulle, nel corso della sua prima conferenza stampa radiodiffusa, parlò ancora di una "soluzione politica per l'Algeria dopo la cessazione delle ostilità mediante condizioni onorevoli". Ma Michel Debré, nominato primo ministro, presiedendo ad Algeri la prima riunione del Piano di Costantina (9-11 febbraio) ribadì che "la Francia rimarrà in Algeria perché ciò costituisce un'esigenza storica". De Gaulle sembrò fare un passo indietro quando nella conferenza stampa del 26 marzo affermò tra l'altro, che "ciò che importa è che l'Algeria si riveli a sé stessa" ed affermò che "una tale opera non è immaginabile senza la presenza e l'azione della Francia". A sua volta Debré ribadì (24 aprile) "che la pacificazione verrà condotta sino alla fine". Una certa contraddittorietà in queste dichiarazioni e, soprattutto, il niente di fatto (la lotta continuò in Algeria con il solito stillicidio di attacchi e di attentati) provocarono, per opposte ragioni, un certo malcontento alle due estreme dello schieramento politico, e nuove preoccupazioni tra i partiti di centro. Il governo chiese allora all'Assemblea nazionale di pronunciarsi sulla sua politica algerina, ed ottenne 476 voti contro 53. L'operazione "Jumelles" lanciata (22 luglio) dal comando militare per liberare la Cabilia dai ribelli, non raggiunse lo scopo. Dopo un nuovo viaggio in Algeria (27-30 agosto), De Gaulle proclamò solennemente (16 sett. 1959), nel corso di una dichiarazione alla radio-televisione, il principio dell'autodeterminazione. Toccherà agli Algerini, egli disse, di decidere del loro destino, non oltre quattro anni dopo il ristabilimento della pace. Essi verranno chiamati a scegliere, mediante referendum tra "francesizzazione", indipendenza, oppure l'associazione con la Francia.
Nessun governo francese si era spinto mai tanto lontano. Il cosiddetto governo provvisorio algerino, emanazione del F. L. N., approvò il riconoscimento del principio dell'autodeterminazione, ma rinnovò lasua richiesta di partecipare alla discussione delle condizioni politiche dell'armistizio.
Dopo un nuovo appello di De Gaulle per la "pace dei valorosi" e dopo un nuovo invito ai rappresentanti del F. L. N. di venire a Parigi per discutere le condizioni militari dell'armistizio (10 novembre) il governo provvisorio algerino si decise a nominare, quali suoi delegati, Ben Bella ed altri quattro esponenti del F. L. N., detenuti in Francia. De Gaulle rifiutò ed aggiunse che egli avrebbe riconosciuto solo delegati appartenenti alle forze combattenti.
La politica adottata da De Gaulle impressionò favorevolmente gli osservatori internazionali, tanto che alle N. U. (13 dicembre) la mozione dei paesi afro-asiatici, favorevole all'immediato inizio di negoziati tra la Francia ed il F. L. N. sulla base dell'autodeterminazione, non ottenne la prescritta maggioranza dei due terzi. Ma essa provocò all'interno e soprattutto negli ambienti dei coloni di Algeria una vivissima opposizione. Di fronte alla probabilità di perdere le posizioni preminenti godute in Algeria, e di venir sommersi dai voti algerini nel referendum, questa opposizione non esitò a schierarsi contro lo stesso De Gaulle. L'inaugurazione (5-6 dicembre) dell'oleodotto Hassi-Messaoud-Bougie, grazie al quale le immense ricchezze petrolifere del Sahara vennero collegate al Mediterraneo, costituì un avvenimento di grande portata economica e politica.
La nota di precarietà con cui si chiuse l'anno 1959 per quanto riguarda il problema algerino non si è mutata nel corso del 1960. Esso ha dominato e determinato la politica della Francia, interna ed estera: De Gaulle nella ricerca di una soluzione ha continuato a rimanere stretto fra l'esigenza di non scontentare il milione di "coloni" e i militari e le destre, da un lato, e la necessità, dall'altro lato, di adeguarsi anche nell'Africa settentrionale alle aspirazioni del mondo coloniale in sfacelo. Di qui, sul piano internazionale, la politica di potenza e di prestigio che l'ha portato, dopo il fallimento del "vertice" (Parigi 16-17 maggio 1960), a calcare la mano contro le N. U. (da lui considerate incapaci di intervenire nei grandi contrasti di potenza) e a chiedere la revisione della NATO, perseguendo, intanto, contro il principio dell'integrazione, un programma di difesa, anche atomico, esclusivamente francese; circa l'Europa, ha affacciato l'idea di una "confederazione" politica limitata ai sei, destinata ad assorbire tutti gli organismi europei (conferenza stampa del 5 settembre 1960). Questa presa di posizione non ha fatto che accentuare l'isolamento diplomatico della Francia di De Gaulle nonostante l'accostamento franco-tedesco.
Questo isolamento di De Gaulle si è manifestato anche sul piano interno; se, in gennaio, dopo la fallita rivolta di Algeri, egli ebbe di nuovo con sé tutto il paese, a pochi mesi di distanza - anche in conseguenza del fallito approccio con gli Algerini del F.L.N. (giugno 1960) - egli si trovò a dover far fronte ad una triplice opposizione: l'estrema destra. i coloni e gli ultras - in collusione con parte dell'esercito - sono sempre pronti a scendere in campo; l'estrema sinistra vuole la pace negoziata immediata per l'Algeria, ma col proposito di abbattere il potere personale di De Gaulle; vi è, infine, una opposizione forse più ferma, che va dai socialisti agli indipendenti, decisa a dare battaglia a De Gaulle in parlamento soprattutto in fatto di politica estera.
Al di là di queste opposizioni De Gaulle ha proseguito per la sua strada e, dopo le dichiarazioni di Ferhat Abbas del 31 ottobre che sembravano chiudere la porta ad un negoziato, il 4 novembre 1960 - anche di fronte alla possibilità di una internazionalizzazione del conflitto algerino - ha prospettato la creazione di una "Repubblica algerina" che dovrebbe essere "decisa dall'autodecisione e potrà essere costruita o con la Francia o contro la Francia" e, in ogni caso, senza il F.L.N. L'opposizione dei civili e soprattutto dei militari non si è fatta attendere, con la protesta del generale Salan e soprattutto del maresciallo Juin (11 novembre) per il quale ritenere che l'Algeria possa uscire dall'ambito della Repubblica significa mettere in pericolo la Francia, l'Europa, il mondo libero".
L'ambiguità della formula "Repubblica algerina" (organismo che dovrebbe decidere, da sé stesso, il grado dei suoi legami con la Francia, una volta raggiunta la pace) e l'opposizione di cui si è detto, non sono venute meno con il referendum dell'8 gennaio 1961: con esso De Gaulle, scavalcando le forze ed i partiti politici, si è appellato direttamente al paese per ottenere la premessa di consensi necessaria per il proseguimento della sua politica. I voti ottenuti dànno un totale di oltre il 70% per il sì, complessivamente nella F. metropolitana e in Algeria; ma va notato l'alto livello delle astensioni fra i musulmani d'Algeria (circa 2 milioni) che fa scendere questo totale al 55% e, con riguardo alla sola Algeria, a meno del 40%. Ciò nonostante si può dire che il referendum segni la sconfitta della politica oltranzista e che i Francesi sperano che De Gaulle possa così risolvere il problema algerino, e trovare la sospirata "terza via" di pace, prima inesistente, fra una Dien Bien-Phu algerina e l'écrasement, rivelatosi impossibile dopo ben sei anni, della rivolta. Questo risultato ha indubbiamente dato forza alla linea di De Gaulle e ha reso forse meno intransigenti gli stessi capi del F.L.N., in vista di una soluzione del conflitto che conduca l'Algeria, e con essa la F., veramente alla pace.
Bibl.: L'Année Politique, Parigi dal 1949 al 1959 (esce un volume all'anno; introd. A. Siegfried sino a tutto il 1958; in seguito al decesso del S. l'introd. del 1959 è di J. Chastenet); M. Duverger, Les partis politiques, Parigi 1954; Autori varî (sotto la direzione di M. Duverger), Partis politiques et classes sociales en France, Parigi 1955; A. Werth, France: 1940-1955, Londra 1956; A. Siegfried, De la IIIe à la IVe République, Parigi 1956; M. Vaussard, Histoire de la Démocratie Chrétienne; France, Belgique, Italie, Parigi 1956; M. e S. Bromberger, Les secrets de Suez, Parigi 1957; id., Les 13 complots du 13 mai, Parigi 1959; J. Fauvet, La France déchirée, Parigi 1957; id., La IVe République, Parigi 1959; E. Serra, La lotta tra rinnovamento e restaurazione nell'esperienza politica francese, in Rassegna di Politica e di Storia, dic. 1957; J. Soustelle, Le drame algérien et la décadence française, Parigi 1957; M. Debré, Refaire une démocratie, un état, un pouvoir, Parigi 1958; G. Mollet, Bilan et perspectives socialistes, Parigi 1958; R. Aron, L'Algérie et la République, Parigi 1958; F. Fontaine, La Démocratie en vacances, Parigi 1959; J. R. Tournoux, Secrest d'état, Parigi 1960; P. Viasson-Ponté, Risque et chances de la Ve République, Parigi 1960.
Letteratura.
Diverse fra le personalità di scrittori più in rilievo nel periodo tra le due guerre o già all'inizio del secolo sono scomparse o sono rimaste inattive nell'ultimo decennio. Tra gli scomparsi si annoverano Gide (1951), Alain (1951), J. Baruzi (1953), H. Bernstein (1953), P. Éluard (1952), Ch. Maurras (1952), J. Benda (1956), Céline (1958), Fr. Carco (1958), Valéry-Larbaud (1957), R. Martin du Gard (1958). L'operosità di altri anziani è invece continua anche se più che apportare delle reali innovazioni, costituisce il ribadimento e talvolta l'approfondimento di motivi già manifesti.
Alle varie decine delle sue opere G. Duhamel ha aggiunto altri romanzi: La pesée des âmes (1951), Cri des profondeurs (1951), Le complexe de Théophile (1958) e i cinque volumi di ricordi, Lumières sur ma vie. Non gli è da meno J. Romains con Violation des frontières (1951), Le fils de Jerphanion (1956), Une femme singulière (1957) e con una raccolta di poesie, Maisons (1957). A P. Morand si devono Le flagellant de Séville (1951, rom.) e i libri di novelle: La folle amoureuse (1956) e Fin de siècle (1957); a B. Cendrars (morto il 21 gennaio 1961) le prose di Emmène-moi au bout du monde (1955) e Trop, c'est trop (1957). J. Chardonne, osteggiato nel dopoguerra per motivi politici e poi quasi dimenticato, ha pubblicato Vivre à Madère (1952, rom.), le Lettres à Roger Nimier (1952) e i saggi di Matinales (1956) mentre vengono stampandosi le sue opere complete in 7 volumi. Assai attivo, anche come giornalista politico, Fr. Mauriac ha proseguito validamente la sua analisi tragica dell'uomo nel Journal, nel Bloc notes (1958), nei saggi di La pierre d'achoppement (1948), affiancati dai brevi romanzi psicologici Le Sagouin (1951), Galigaï (1952), L'agneau (1954) e dai drammi Passage du Malin (1948), Le feu sur la terre (1951), Le pain vivant (1955). Non meno intensi questi anni per il disincantato Montherlant che al teatro ha dato Pasiphaé (1949), Celles qu'on prend dans ses bras (1950), La ville dont le Prince est un enfant (1951), Port-Royal (1954), Brocéliande (1956), Don Juan (1958); alla narrativa La rose de sabre (1954) e Les Auligny (1956), alla poesia la raccolta Encore un instant de bonheur (1954) ed alla memorialistica i Textes sous une occupation (1953), e i Carnets (1957). La produzione tratrale di A. Salacrou si è arricchita di numerosi drammi e commedie: Le soldat et la sorcière, Une femme trop honnête (1955), Le miroir (1957), Dieu le savait. A. Malraux pare invece trascurare la narrativa per dedicarsi ai problemi critici e teorici dell'arte. Psychologie de l'art (1949), Les voix du silence (1951), Le musée imaginaire de la sculpture mondiale (1952-54), La métamorphose des Dieux (1957) sono libri assai belli per l'efficacia delle descrizioni e la vivacità dell'avvicinamento, di tipo tuttavia estetizzante, alle opere figurative. Sartre e Camus hanno alternato i saggi con le opere creative; il primo con la sua fervida partecipazione ideologica alle vicende politiche mondiali dagli Entretiens (1949) al libro sulla rivolta d'Ungheria (1956-57), alle polemiche che ne seguirono, alle Questions de méthode (1957), in cui viene sempre più cercando l'accostamento del suo esistenzialismo al marxismo nonché con l'enorme arringa apologetica Saint-Genêt comédien et martyr (1952), ove sono spinti all'estremo i suoi principî critici e con le "pièces" Le diable et le bon Dieu (1951), la ripresa del Kean (1954) dumasiano, Nekrassov (1955), Les séquestrés d'Altona (1959); A. Camus (m. 1960) evidenziando ancor meglio la sua concezione della vita e della letteratura nei saggi più recenti di Actuelles, in L'homme révolté (1951), nelle Réflexions sur la peine capitale (1957); non meno considerevoli le opere creative: le prose d'arte di L'eté (1954), i racconti di L'exil et le royaume (1957), le confessioni d'un contemporaneo (La chute, 1956); i drammi Les Justes (1949) e Requiem pour une nonne (1956), adattamento drammatico da Faulkner.
Anche al di fuori delle figure la cui importanza appare ormai sancita dalla raggiunta fama internazionale e dal costituirsi di un'ampia discussione critica nei loro confronti, la letteratura odierna appare solitamente caratterizzata da un impegno ideologico nel senso più ampio. Tende perciò, più o meno consapevolmente, alla condizione del saggio; ed a siffatta condizione si approssima la narrativa e soprattutto il romanzo, "genere" tuttora dominante, sebbene ormai lontano dalla sua forma tradizionale e sottoposto a contrarie sollecitazioni innovatrici. Cattolici e comunisti nelle varie sfumature confermano la loro prevalenza; l'avanguardismo "sperimentale" perde di efficacia nella misura in cui la presa di coscienza della sua gratuità e, spesso, della sua futilità, si va facendo sempre più chiara. L'esistenzialismo stesso ormai cede il posto ad una spregiudicata e disinteressata osservazione analitica che, abolendo l'oggettivismo naturalistico, vuol fondarsi soltanto sull'ammissione della pluralità del possibile e della relatività, dell'angustia del punto di vista individuale, ma di questi stessi limiti e difficoltà alla rappresentazione degli accadimenti si fa un'arma fruendone come del solo mezzo concesso all'uomo di penetrare concretamente nel proprio e nell'altrui comportamento. È sorto così il "regard nouveau" narrativo. In realtà si accomunano, in questa definizione riassuntiva, personalità di orientamento diverso e varî procedimenti stilistici, tuttavia convergenti nell'intensità di uno sguardo analitico e freddo che aggredisce l'interiorità con un accumulo di reazioni psichiche e sensoriali in apparenza di scarso peso, ma di fatto provvedute di un grande acume d'individuazione. Si determina così un accostamento totale agli oggetti ed alla vita comune, depotenziata di ogni circostanza culminante, ma pur sempre guardata da una sensibilità straordinariamente attenta. forse questa la tendenza letteraria più importante venuta in rilievo in questi anni. A N. Sarraute, a A. Robbe-Grillet (v. in questa App.) possono accostarsi Jean Lagrolet (n. 1914) con Le Pire (1953) e Les vainqueurs du jaloux (1957), il Piroué di Les limbes (1959). Alla nuova dimensione del monologo interiore di ascendenza proustiana, che forse attualmente ha in M. Butor (v. in questa App.) il più fine esponente, si possono ascrivere C. Simon (n. 1913 a Tananarive) autore di La corde raide (1948), Gulliver (1952), Le sacre du printemps (1954), Le vent (1957) e R. Pinget (n. 1920 a Ginevra) con i suoi romanzi Entre Fantoine et Agapa (1950), Mahu ou le matériau (1952), Baga (1956), Graal Flibuste (1957); Cl. Mauriac (n. 1914). Tra i populisti si distinguono Marcel Aymé (n. 1902), dall'ispirazione rabelaisiana, e Louis Guilloux (n. 1899) che ebbe un periodo di grande notorietà alla fine della guerra: il suo romanzo Le Jeu de patience (1949) ottenne il premio Théophraste-Renaudot. Dei marxisti la più interessante tra le nuove figure di narratori è Roger Vailland (n. 1907) che in Les mauvais coups (1948), Bon pied, bon oeil (1950), Un jeune homme seul (1952), Beau Masque (1954),325.000 francs (1955), La loi (1957) si è mostrato capace di dare voce a realtà e passioni investendole della sua fede comunista che più volte riesce a sottrarsi ai dettami convenzionali del realismo estrinseco. Non del tutto esaurita la voga dei romanzi ciclici; essa del resto risponde al bisogno di storicizzare la vita quotidiana, che è un intento tra i più costanti della nostra epoca. Emergono i tre volumi dei Boussardel di Ph. Hériat (pseud. di Raymond-Gérard Payelle, n. 1898) e i cicli assai più estesi, ma meno elaborati ed efficaci, di P. Vialar (n. 1898): La mort est un commencement, Chronique française du XXe siècle, La chasse aux hommes.
Ma i narratori abili, che riescono se non altro ad istituire con i lettori una intelligente comunicazione umana, non mancano certo nella Francia odierna. J. Roy (n. 1907) ha fra i suoi temi dominanti quello della guerra. Più amara la concezione delle cose che P. Gadenne (1908-1954) espresse nei suoi romanzi Siloé (1947), Le vent noir (1947), La rue profonde (1949), L'avenue (1949), La plage de Scheveningen (1952), L'invitation chez les Stirl (1955), traendo lo spunto sia dalle tristezze della vita cittadina sia dalla malinconica suggestione dei paesaggi nordici; mentre il dublinese Samuel Beckett (n. 1906) che da parecchio tempo si serve della lingua francese, viene affermandosi tanto nei racconti che nel teatro come uno degli scrittori attuali più ricchi di forza e di originalità per il suo paradossale ma vivissimo tormento della inanità di qualunque tentativo di espressione nell'arte non meno che nella vita.
Ad una tendenza realistica possono ricondursi, nella varietà dei loro modi, e con infinite sfumature ed attenuazioni, Hervé Bazin (n. 1911), Jean Louis (n. 1917), Romain Gary (n. 1914), Serge Groussard (n. 1920), Félicien Marceau (n. 1913), Michel de Grossourdi de Saint-Pierre (n. 1916), André Schwarz-Bart (n. 1928). Da altri, invece, l'esplorazione interiore della coscienza viene sospinta ai margini del simbolismo e del misticismo in una prosa suggestiva contesta di evocazioni e di allusioni. Così, in una vasta gradazione di peculiarità personali, René Daumal (n. 1900), Raymond Abellio (n. 1907), Pierre Gascar (n. 1916), attento a cogliere le risonanze suscitate nell'animo umano da certe esperienze necessarie eppure moralmente sgradevoli o fisicamente repugnanti, André Pieyre de Mandiargues (n. 1909), Georges Bataille (n. 1897) e Maurice Blanchot con la loro esplorazione del silenzio che parrebbe sboccare in una negazione della possibilità del romanzo. Tale diffuso pessimismo trova un acuto riscontro anche nelle opere di Jean-Bloch Michel (n. 1912), Robert Merle (n. 1908), François-Régis Bastide (n. 1926), Roger Ikor (1912), José-André Lacour. Tuttavia questi scrittori, pur essendo consapevoli della precarietà di ciò che esiste, preferiscono procedere verso una ricostruzione di quanto, nei sentimenti e nell'azione, è aperto ad un esito positivo. Considerevole l'apporto dato al romanzo "storico" da Maurice Druon (n. 1918) nella trilogia La fin des hommes (1948-53) ov'è protagonista una classe dirigente nel suo dissolvimento.
Tra le scrittrici, in questi anni si sono anche affermate con notevole vigore, oltre la Sarraute, Fr. Sagan e Fr. Mallet-Joris, Béatrix Beck (n. 1914) i cui contenuti subiscono un'impronta autobiografica, e Célia Bertin, che è venuta anche lei orientando in senso attivo l'originario pessimismo: entrambe animate da una spregiudicata passione della realtà.
Nella poesia è possibile avvertire una certa ripresa di metri e modi tradizionali, con risultati non privi di nobiltà soprattutto in V. Muselli (1879-1957), autore di Les douze pas des muses (1952), La barque allait entre ces rives (1954), Intus et sursum (1956) e Ph. Chabaneix (n. 1898), cui si devono Les nocturnes (1950), Mémoires du coeur (1952), Aux sources de la nuit (1955). Folto è il gruppo dei poeti nuovi d'ispirazione cristiana: Lanza del Vasto (Le chansonnier populaire); J. Grosjean (n. 1912), che si rifà a temi biblici (Hypostases, 1950; Le livre du juste, 1952; Fils de l'Homme, 1954; Les prophètes, 1955); J. Cayrol (Le charnier natal, 1950; Les mots sont aussi des demeures, 1952; Pour tous les temps, 1955); J.-C. Renard (Haute mer; Métamorphoses du monde, 1951; Père, voici que l'homme, 1955) forse il più dotato e il più intenso. Tra i marxisti sono notevoli Guillevic (n. 1907) cui si devono, tra l'altro, Les chansons d'Antonin Blond, Envie de vivre, Terre à bonheur; J. Marcenac (n. 1911), verseggiatore militante, Ch. Dobzinsky (n. 1929), Cl. Sernet. Nell'ambito della seconda generazione surrealistica l'inclinazione al saggio e al romanzo è prevalente; i poeti possono considerarsi degli epigoni. Alcuni tuttavia, particolarmente tra quanti si sono alimentati al surrealismo come ad una fonte di formazione, riescono ad esprimere una Personalità non trascurabile: così R. Ganzo (n. 1898), G. Audisio (n. 1900), R. Goffin (n. 1898), A. Borne (n. 1915), J. Tardieu (n. 1903) e soprattutto M. Leiris (n. 1901) sospinto dalla sua cultura etnologica alla rappresentazione di un rituale erotico-mistico.
Altre notevoli figure di poeti sono J. Follain (n. 1903; Chef-Lieu, Les choses données, Territoires, 1953; Toui instant, 1958) orientato verso un prosaicismo recitativo; M. Fombeure (n. 1906) che in Les étoiles brûlées (1950), Pendant que vous dormez (1953), Une forêt de charme (1955) esprime una musicalità popolare; A. Frénaud, tendente alla poesia metafisica. Tra i giovani emergono A. Bosquet (n. 1919; À la mémoire de ma planète, 1948; Langue morte, 1951; Quel royaume oublié?, 1955; Premier testament, 1957), idealmente vicino al Becket, ma volgente all'umorismo; Ch. le Quintrec (n. 1926; La lampe du corps, 1949; Les temps obscurs, 1954; Les noces de la terre, 1957), cattolico ed ammiratore di Rimbaud; R. Sabatier (n. 1923; Les fêtes solaires, 1955) dal verso musicale ispirato ad una concezione ottimistica cui contrasta il nuovo ribellismo "surromantico" di J.-C. Ibert (n. 1928; Portes ouvertes, 1951; Le pètil de vivre, 1951; L'espace d'une main, 1952; Le saut de l'ange, 1957).
Le "avanguardie" poetiche sono pressoché in via di esaurimento anche per mancanza di una polemica che ne contesti gli estremismi e ne riattivi l'interesse.
Niente di notevole, infatti, se non le personalità di H. Pichette (n. 1924; Apoèmes, 1947; Le point vélique, 1950; Revendications, 1958) che risolve il suo lirismo nello slancio delle iterazioni e delle enumerazioni, ma ormai tenta anch'egli una ricostruzione umanistica; di Y. Bonnefoy (n. 1923; Du mouvement et de l'immobilité de Douve, 1954; Hier régnant désert, 1958) i cui versi si reggono su un gioco, spesso monotono, di antitesi e I. Isou (n. 1925) il cui "lettrismo" altro non è se non un fonetismo asemantico perennemente in bilico tra la piacevolezza e il ridicolo.
Il teatro contemporaneo va sempre più affermandosi come teatro d'idee. Poche però le personalità rivelatesi nell'ultimo decennio. Notevole quel che è stato definito come "antiteatro metafisico" basato sull'abolizione non soltanto delle convenzioni sceniche, ma della stessa dichiaratività del linguaggio drammatico.
In questo senso le esperienze più interessanti appaiono quelle di A. Adamov (La parodie, 1950; L'invasion, 1951; La grande et la petite manoeuvre, 1951; Tous contre tous; Le professeur Taranne, 1953; Paolo Paoli, 1957), il cui sentimento dominante è quello di una disadorna e distruttiva ironia; e di E. Ionesco (n. 1912; La cantatrice chauve, 1949; La leçon, 1950; Jacques ou la soumission; Les chaises, 1952; Victimes du devoir, 1953; Amédée, 1954; Le nouveau locataire, 1954; L'impromptu de l'Alma; Tueur sans gage), il cui assurdo consiste di solito nel sostituire al dramma della realtà il dramma allucinante di situazioni immaginate, ma non vissute, dai protagonisti. Ancora più radicalmente negativa l'ídea del teatro di Beckett (En attendant Godot, 1952; Fin de partie, 1957; Acte sans parole, 1957; Tous ceux qui tombent, 1957); l'attesa del nuovo non è se non l'attesa della morte in una vita veduta come semplice rinvio del morire. Niente di positivo interviene a riscattare questo svuotamento dei contenuti esistenziali in una permanente situazione di terrore.
Bibl.: R. M. Albérès, Bilan littéraire du XXe siècle, Parigi 1856; M. Arland, Nouvelles lettres de France, ivi 1954; La grâce d'écrire, ivi 1955; B. d'Astorg, Aspects de la littérature européenne depuis 1945, ivi 1952; M. Blanchot, L'espace littéraire, ivi 1955; B. de Boisdeffre, Des vivants et des morts, ivi 1954; Une histoire vivante de la littérature d'aujourd'hui, ivi 1959; A. Bosquet et P. Seghers, Les poèmes de l'année, 1955, 1956, ecc., ivi; P. Brodin, Présences contemporaines, ivi 1954-57; R. Escarpit, Sociologie de la littérature, ivi 1958; R. Étiemble, Hygiène des lettres, ivi 1952-54; É. Henriot, Maîtres d'hier et contemporains, ivi 1956; R. Kemp, La vie des livres, ivi 1955; id., La vie du théâtre, ivi 1956; Cl. Mauriac, La littérature contemporaine, ivi 1958; Ch. Moeller, Littérature du XXe siècle et christianisme, ivi 1953-57; H. Nahas, La femme dans la littérature existentielle, ivi 1957; R. Poulet, La lanterne magique, ivi 1957; A. Rousseaux, Littérature du XXe siècle, voll. IV-VI, ivi 1954-58; J. Rousselot, Panorama critique des nouveaux poètes français, ivi 1952; num. speciale di "Esprit" dedicato al "Nouveau roman", luglio-agosto 1958.
Arte.
Pittura. - Più ci inoltriamo nel secolo meglio ci rendiamo conto che il decennio 1908-1915 è stato il momento più alto della creazione nelle arti plastiche e ha condizionato lo svolgimento ulteriore del gusto sino ad oggi. Allora i pittori francesi e quelli che s'inserirono nella cosiddetta "École de Paris" dettero il tono al mondo intero. Perciò è opportuno raccogliere gli echi dell'attività di quei pittori negli ultimi dieci anni.
Alcuni sono morti. Henri Matisse (1869-1954) negli ultitni anni di vita ha creato opere astratte con il suo eccezionale senso del colore, ma è morto senza continuatori. Nemmeno Georges Rouault (1871-1958) poteva lasciare allievi dato il carattere appartato e fuori gruppo della sua pittura. Ciò non toglie che non manchi in tutti i paesi un ricordo dei valori drammatici del suo colore. Fernand Léger (1881-1955) invece ha impersonato così paradigmaticamente il bisogno ossessivo della plastica che molti, anche giovani, ricorrono oggi al suo esempio. In un crepuscolo di dimenticanza sono morti Albert Gleizes (1881-1953), cubista e forse il migliore teorico del "cubismo, e Francis Picabia (1897-1953) che ebbe un'azione notevole nel trasformare il cubismo e nel contribuire alla nascita dell'astrattismo, del dadaismo e del surrealismo. Certo la sua importanza nella storia del gusto è grande; ma forse gli è mancato l'impegno creativo, la concentrazione dello spirito, per cui si sopravvive.
Il più vitale tra i maestri del principio del secolo è certamente Pablo Picasso (n. 1881) che produce molto e spesso con la sua consueta altezza creativa. Le due serie delle varianti sulle Demoiselles de la Seine di Courbet (1956) e sulle Meniñas di Velazquez (1957) contengono molti esercizî da virtuoso ma anche creazioni mirabili. Malgrado egli sia rimasto il protagonista nella scena della pittura e anche della scultura, i giovani oggi imparano da lui, ma non l'amano perché non partecipano del suo bisogno di polemica.
Georges Braque (n. 1882) continua in maniera dignitosa quello stile che un tempo era molto vitale.
Invece Jacques Villon (n. 1875), che occupava un posto assai secondario al tempo del cubismo, sentì presto il bisogno dell'astratto; e fu la sua fortuna. Oggi ha la fama di uno dei massimi maestri, seduce col suo fascino poetico, attrae molti giovani artisti e continua a lavorare senza alcuna flessione creativa. Egli è uno dei più incoraggianti fenomeni in tutta la pittura moderna. Altrettanto, ma in tono minore, si dica di Roger Bissière (n. 1888) che ha sviluppato la pittura astratta dal cubismo e che è assai apprezzato anzi esaltato come maestro a Parigi, nonostante che egli viva e lavori in un ritiro di campagna.
Marc Chagall (n. 1887) recò alla Parigi anteriore al 1914 un mondo sconosciuto di fantasia sfrenata che ha costituito le premesse al surrealismo. L'impronta personale ch'egli ha dato al suo stile non può mutare nemmeno oggi malgrado le molte esperienze, e tuttavia si nota nelle sue ultime opere un maggiore distacco dal soggetto e una più libera espressione pittorica.
Nessuno forse dei maestri dell'inizio del secolo ha oggi una posizione più influente di quella di Jean Arp (n. 1887), uno dei fondatori di Dada (1916), che poi partecipò ai gruppi del surrealismo e dell'astrattismo, e che ha raggiunto in scultura, in pittura e nell'incisione un'arte così personale che è inimitabile. Egli ha impersonato la tendenza degli artisti creatori di forme elementari caricate di tale intensità vitale da suggerire un valore magico.
Gli artisti francesi che si oppongono alle tendenze astrattistiche hanno scarso valore. André Fougeron (n. 1912), in ottemperanza alle regole comuniste, dipinge figure che vorrebbero essere fotografiche della realtà. Maggior fortuna ha avuto Bernard Buffet (n. 1928) che dipinge figure e nature morte, gracili e spolpate, con neri contorni, così che sembrano segnate a lutto per rappresentare l'angoscia esistenzialistica del nostro tempo. È un'opera retorica di nuovo tipo atta a deprimere anzi che ad esaltare l'animo di chi guarda. Ha avuto un enorme successo che sta declinando.
Nel 1942, al tempo dell'invasione tedesca, un gruppo di giovani volle tornare alla tradizione francese del cubismo e dell'astrattismo, risuscitando la fama di Jacques Villon. Il loro capo spirituale era Jean Bazaine (n. 1904), un pittore colto e raffinato, un colorista squisito, che di recente ha accentuato le sue simpatie per Monet e per Renoir. Per questo il gruppo di Bazaine è stato chiamato astratto-impressionistico, o anche astratto-concreto. Tra i maggiori rappresentanti del gruppo sono Alfred Manessier (n. 1911), un pittore sinceramente religioso, che riesce a esprimere per mezzo di forme astratte le sue visioni mistiche. Astratti-concreti e cioè pittori che non disdegnano allusioni a oggetti reali tra le forme astratte sono Maurice Estève (n. 1904), Jean Le Moal (n. 1909), Gustave Singier (n. 1909), Pierre Tal Coat (n. 1905).
Alcuni accentuano la rappresentazione figurativa pur senza rinunziare alle esperienze astratte. Si ricordano a questo proposito André Beaudin (n. 1895) e Maria Elena Vieira de Silva (n. 1908), una portoghese della scuola di Parigi, la cui pittura ha una grazia che ha affascinato il mondo. La tradizione neo-plastica alla Mondrian ha trovato sviluppi in Auguste Herbin (1882-1960), Victor Vasarely (n. 1908) e alcuni altri.
Più vitale è la tradizione surrealistica che ha alcuni campioni viventi e operanti come Joan Miró (n. 1893), uno dei maggiori artisti oggi viventi, ch'è un catalano della scuola di Parigi, e André Masson (n. 1896), di uno stile vario, ora più astratto ora più realista, sempre pieno di spirito.
Sia il surrealismo sia l'espressionismo hanno posto l'esigenza di una intensificazione spirituale nelle forme astratte. Un esempio è Hans Hartung (n. 1904) che crea un rapporto tra i suoi pochi segni e lo spazio infinito del fondo con un'ansia affettuosa di alto valore lirico. Pierre Soulages (n. 1919) segue una simile via con minore profondità e con effetto brillante. Nicolas de Staël (1919-1955) ha saputo dare una grande illusione di realtà a zone di colore fantastiche, con una rara energia spirituale, e si è tormentato per trovare il rapporto tra la rappresentazione e le forme astratte. André Lanskoy (n. 1902) ha avuto problemi non dissimili da quelli di De Staël ma li ha risolti con un colore facile e brillante. Con i due precedenti Sergio Poliakoff (n. 1900) completa l'apporto attuale dei Russi alla scuola di Parigi. Anch'egli intensifica il valore spirituale delle forme astratte sino a dar loro un valore magico.
Sin qui abbiamo ricordato pittori che si riallacciano a tradizioni anteriori alla seconda guerra mondiale. Ora occorre parlare di una pittura che, pur essendo impensabile senza il surrealismo e l'espressionismo, è qualcosa di essenzialmente nuovo. È un'arte che porta varî nomi, il più comune è informale, oltre tachisme e art autre come vorrebbe il suo teorico Marcel Tapié.
Gli artisti più opposti ai costruttivi di tradizione Mondrian, vogliono annullare la forma plastica e finita per trarre dalla stessa materia pittorica l'espressione, una esplosione del loro modo di sentire e di essere. Il maggiore di essi è certamente Wols (1913-1951), un tedesco divenuto francese, il cui nome autentico è O. A. Schulze Battman. La carica nervosa ch'egli imprime nelle sue forme senza forma e nel suo colore senza precisi colori è eccezionale. Baudelaire diceva che i mostri di Goya sono "viables". Altrettanto si può dire delle macchie di Wols. Jean Fautrier (1898) è il raffinato tra gl'informali, ha un gusto del colore estremamente felice, è il rappresentante di una pittura pura che presenta una materia elaborata dal senso della bellezza. Jean Dubuffet (n. 1901) è partito dal primitivismo e dalla satira e ha un'anima semplice, seria, estremamente veritiera. Nel 1959 ha compiuto una serie di pitture per la esaltazione del suolo e ha rivelato la vitalità della terra con una forza creatrice eccezionale. Anche Camille Bryen (n. 1907) ha portato un contributo proprio al gusto informale.
La Biennale di Parigi del 1959, formata da artisti d'ogni luogo al di sotto dei 35 anni, ha dimostrato che la maggiore e migliore parte di coloro che arrivano all'arte dipinge in modo "astratto". I giovani si distinguono dalla generazione di mezzo per un impulso più deciso verso la espressione diretta della vita interiore.
Scultura. - Come per la pittura, anche per la scultura alcuni degli artisti che nei primi venti anni del secolo avevano contribuito al rinnovamento del linguaggio plastico, hanno continuato nell'ultimo decennio un'attività forse meno importante della loro precedente, ma comunque spesso di alta qualità.
In alcuni casi si è trattato delle opere di quegli stessi artisti di cui abbiamo parlato già come pittori; Picasso per esempio, la cui esperienza di scultore assume la stessa importanza, e rivela la stessa grandissima libertà di fantasia, dell'esperienza più propriamente pittorica; Georges Braque, raffinato e immaginoso ricercatore di miti plastici, realizzati in scultura con quella appropriatezza e fedeltà al mestiere artigianale che è propria di tutta la sua attività; Jean Arp, pittore, poeta, ma scultore soprattutto, che fu costantemente in contatto con le avanguardie europee e che ad esse ha saputo dare il contributo della sua fantasia, tutta rivolta a ricostituire il valore della forma primordiale per ritrovare il senso più nascosto della purezza delle cose. E più giovane di tutti Joan Miró che ha trasfuso nelle ceramiche eseguite in collaborazione con Artigas la stessa carica surreale e la stessa felicità cromatica che sono proprie della sua pittura. Accanto ad essi, alcuni dei più grandi scultori del secolo: Costantin Brancusi (nato a Pestisani Gorij, in Romania, nel 1876 e morto a Parigi nel 1957), audace creatore di una nuova mitologia della forma, purificata da ogni determinismo, fantastica e reale al tempo stesso; Antoine Pevsner (n. 1884), creatore col fratello Gabo della scultura costruttivista e proteso, ancora oggi, a ricercare il significato di realtà della forma e dello spazio plastico; Henri Laurens (Parigi 1885-1954) e Ossip Zadkine (n. 1890).
La generazione successiva a questi maestri non ha segnato il passo ed ha continuato con originalità la ricerca di una sempre nuova espressione plastica: Alberto Giacometti (nato a Stampa in Svizzera nel 1901) appartiene di pieno diritto all'École de Paris, per il contributo che ad essa ha dato con le sue sculture surreali, solitarie e non prive di contrasti drammatici pur nella semplicità della concezione; André Bloc (n. 1896) e Émile Gilioli (n. 1911) hanno invece indirizzato la loro ricerca su una modulazione geometrica delle forme, prive di ogni contatto e di ogni allusione alla realtà. E il modulo geometrico è anche presente nelle opere di Berto Lardera (nato a La Spezia nel 1911, a Parigi dal 1948) e di Robert Jacobsen (nato a Copenaghen nel 1912, a Parigi dal 1947), ma è superato da una certa risoluzione surreale a cui gli artisti pervengono lavorando nel corpo stesso, e nello spazio, generati dalle strutture metalliche delle composizioni. E la purezza della geometria viene impiegata per la costruzione di una ideale figurazione antropomorfica nelle sculture di Henri Georges Adam (nato a Parigi nel 1904), pittore e incisore di notevole qualità oltre che scultore. Germaine Richier (nata a Grans nel 1904, morta a Parigi nel 1959) portava anch'essa la propria figurazione su un piano surreale che poteva richiamare quello di Giacometti o, a volte, dello stesso Picasso, ma con un diverso impegno morale, con una architettura logica della forma che correggeva ogni dato automatico delle composizioni. François Stahly (nato a Costanza in Svizzera nel 1911) dà un senso quasi di germinazione spontanea alla forma, Alicia Penalba (nata a Buenos Aires nel 1918) realizza concrezioni formali che hanno un sapore squisitamente allusivo della realtà.
Étienne Hajdu (nato a Turda, in Romania, nel 1907) è passato da una concezione antropomorfica dell'immagine astratta ad una nuova impostazione del problema dei rapporti plastici, in una sorta di informale scultoreo che non sembra voglia porsi dei limiti né di spazio né di superfici. Un cammino in un certo senso analogo è quello di scultori più giovani, come César (César Baldaccini, nato a Marsiglia nel 1921), passato da figurazioni surreali di enormi insetti a superfici variamente ondulate, con piccole forme frantumate sulla superficie, rivelatrici di immaginazione spigliata e di grande sapienza di mestiere. E accanto a César, tra i più promettenti dei giovani scultori della École de Paris, è da porre J. C. Delahaye (nato nel 1928) che già ha rivelato, nell'ambito del gusto autre, una propria originalità.
Architettura. - Nel decennio 1949-59 l'architettura francese sembra ancora dominata dalla stragrande personalità di Le Corbusier. Non sono mancati architetti di generazioni più giovani, e tra i migliori è da annoverare Pierre Vago, che hanno saputo sviluppare e arricchire tematicamente il razionalismo architettonico, con edifici realizzati soprattutto nei territorî d'oltremare; ma tra i fatti più salienti, o almeno più discussi, accaduti in Francia sono da ricordare ai primi posti la costruzione della unité d'habitation, realizzata da Le Corbusier a Marsiglia tra il 1945 e il 1954 e la costruzione della cappella di Notre Dame du Haut a Ronchamp eseguita dallo stesso Le Corbusier tra il 1950 e il 1953.
Si tratta di due costruzioni apparentemente diverse, e non solo per la diversità di tematica, ma che tuttavia rivelano la unità fantastica dello stile di Le Corbusier. L'unité d'habitation, che successivamente è stata ripetuta, leggermente modificata, a Berlino, sembra realizzare perfettamente quella che è stata l'idea di base della poetica di Le Corbusier: un razionalismo fatto a misura dell'uomo, non tanto come individuo isolato, quanto come membro di una complessità sociale che ha esigenze comuni oltre che particolari. Notre Dame du Haut è una architettura meno rigida, meno impegnata in un modulo, e quindi variata sottilmente nel giuoco dei piani e delle superfici, più pittorica che ogni altra architettura precedente del maestro. Non va dimenticato inoltre che Le Corbusier, in modo del tutto coerente alla sua poetica, non ha mai dimenticato il valore della pianificazione urbanistica, come ne è prova la mole di costruzioni che egli da più anni va eseguendo in India per la nuova città di Chandigarh (v., in questa App.).
Altri interessanti esperimenti non sono mancati nell'architettura francese, come per esempio l'impiego di quella che è stata definita policromia architettonica in edifici in cui si è avuta una collaborazione tra architetti e pittori. Per l'ospedale di Saint-Lo, dovuto agli architetti Nelson, Gilbert, Mersier, Sebillotte, era stata infatti chiesta la collaborazione di Fernand Léger per la determinazione cromatica dell'edificio.
Un esempio di stretta collaborazione fra le varie arti è rappresentato dal complesso dell'Unesco, progettato e costruito a Parigi dagli architetti Marcel Breuer, Bernard Zehrfuss e Pier Luigi Nervi, sotto la supervisione di un comitato internazionale composto da Le Corbusier, Walter Gropius, Lucio Costa, Sven Markelius e Ernesto N. Rogers. Sculture, pitture e mosaici di alcuni dei maggiori artisti del mondo intero costituiscono la decorazione di questo complesso architettonico, da Picasso a Arp, Miró, Calder, Afro, Tamayo, ecc.
Un altro complesso degno di nota, e che è stato terminato di recente, è il Centre des Industries et des Techniques, costruito al Rond-point de la Defense, a Puteaux, dovuto alla collaborazione di architetti e ingegneri tra cui Camelot, de Mailly, Zehrfuss e Pier Luigi Nervi. Vedi tav. f. t.
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