Vedi Francia dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
La Francia si è affermata fin dall’epoca moderna come leader in Europa e, nel corso del Ventesimo secolo, è stata capace di assicurarsi la ribalta nelle più importanti organizzazioni internazionali. In virtù del suo ruolo nelle Nazioni Unite (dove detiene uno dei cinque seggi permanenti del Consiglio di Sicurezza), nel G8, nell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) e nella Nato, si trova oggi ad affrontare una fase impegnativa nel gioco della parti proprio della politica internazionale. Fautrice dell’ideale di Europa unita sin da quando esso ha preso forma, Parigi per molti versi fatica a rimanere sul podio dei condottieri e rischia di essere temporaneamente arginata nelle retroguardie, insieme agli altri paesi (economicamente meno virtuosi) del Mediterraneo. Nel 2015 il rapporto deficit/pil si è mantenuto ancora una volta al di sopra del 3%, il debito pubblico continua a crescere e la ripresa economica stenta a decollare. François Hollande, presidente del paese dal 2012, è soggetto a un drammatico calo dei consensi che ha cercato di recuperare mostrando i muscoli in politica estera attraverso le missioni militari in Africa e gli interventi in Medio Oriente, puntando così a mantenere l’egemonia della Francia laddove si presenti ancora la possibilità di rivendicarla. Ciò è stato ampiamente dimostrato negli ultimi anni, quando, all’attivismo profuso da Nicolas Sarkozy durante la crisi libica del 2011 hanno fatto seguito nel 2013 il massiccio intervento dell’esercito francese in Mali per fermare l’avanzata dei ribelli islamisti, la missione nella Repubblica Centrafricana avviata nello stesso anno, e il sostegno logistico e militare ai militanti curdi in Iraq nel 2014.
Presso le sue ex colonie Parigi ha ancora la possibilità di giocare da protagonista, ma sul fronte interno sembra rassegnarsi a condurre una politica puramente gestionale, nonostante numerosi settori dell’imprenditoria e dell’opinione pubblica in generale reclamino un approccio più coraggioso e radicale. Nella speranza di attenuare il rigore imposto dalla Germania, Hollande ha pure momentaneamente abbandonato il tradizionale asse franco-tedesco per puntare su un insolito triangolo, avente Madrid e Roma quali altri vertici, che comunque si presenta con scarsi spazi di manovra. La marginalità del ruolo francese in Europa e i giochi al ribasso del suo presidente rischiano inoltre di rivelarsi controproducenti per la difesa della moneta unica, oggi più minacciata che mai dall’ascesa degli euroscettici, dalle mire isolazioniste del Regno Unito e dalla sempre più consolidata divisione tra paesi del nord e paesi del sud.
Oltreoceano Parigi mantiene i consueti rapporti con gli Stati Uniti, ancora più forti in seguito al reintegro della potenza francese nel comando congiunto della Nato (dopo l’uscita voluta da Charles de Gaulle nel 1966) e alla linea politica adottata durante la presidenza di Nicolas Sarkozy. Negli ultimi anni però l’attenzione si è spinta anche verso l’Estremo Oriente, focalizzandosi sempre più sul continente oggi cuore dell’economia mondiale e centro delle più significative tensioni geopolitiche. La Francia sta espandendo il proprio raggio di azione verso Oriente, nel tentativo di migliorare la propria bilancia commerciale e di accaparrarsi una quota degli investimenti cinesi diretti in Europa e contesi tra diverse potenze, Germania e Regno Unito in prima fila. Tuttavia, in misura maggiore di quanto stia facendo Berlino, la diplomazia francese ha rafforzato la cooperazione con i paesi asiatici anche in materia di sicurezza, in particolare con il Giappone. Persino la vendita di armi alla regione è aumentata notevolmente, rischiando gravi implicazioni economiche e politiche. Come altri paesi europei, la Francia ha comunque evitato di prendere posizione circa le tante questioni territoriali aperte che riguardano la regione asiatica ma, a differenza di altri stati membri dell’Eu, si ritrova sempre più legata alle sorti di alcuni dei suoi principali protagonisti.
La Francia è una repubblica costituzionale, a regime parlamentare semipresidenziale (con forti poteri in mano al presidente della repubblica) e, in seguito alla riforma costituzionale del 2003, a organizzazione decentrata. L’organo legislativo è costituito da un parlamento bicamerale: accanto all’Assemblea nazionale (577 membri eletti per cinque anni), vi è il Senato, formato da 321 membri nominati su base territoriale e in carica per nove anni, rinnovati dei due terzi ogni tre anni. All’epoca del settennato, le elezioni legislative si tenevano separatamente da quelle presidenziali e, quindi, poteva accadere che la maggioranza parlamentare non fosse espressione del partito del presidente. In questi casi si aveva la cosiddetta ‘coabitazione’: il presidente, per mantenere la fiducia in parlamento, era costretto a nominare un primo ministro della parte politica opposta. Questo è avvenuto tre volte: tra il 1986 e il 1988, tra 1993 e il 1995 e tra il 1997 e il 2002.
A partire dalla presidenza di Charles De Gaulle, nel sistema di governo francese il capo dello stato ha assunto un ruolo ben più rilevante di quello attribuito dalla carta costituzionale. Più in dettaglio, quando la maggioranza presidenziale e quella dell’Assemblea nazionale (l’unica camera nei confronti della quale l’esecutivo è responsabile) coincidono, il presidente assume, di fatto, il ruolo di vera e propria guida del governo e il primo ministro si trasforma nel suo principale collaboratore (nonostante nella storia della Quinta repubblica non siano mancate tensioni tra presidenti e primi ministri). Il presidente, in altri termini, si ‘impossessa’ dell’esecutivo, dotato dalla Costituzione del 1958 di notevoli poteri in materia d’iniziativa e di dibattito legislativo e ulteriormente rafforzato dall’affermazione della logica maggioritaria.
L’adozione per l’Assemblea nazionale di un sistema elettorale maggioritario a doppio turno con soglia di sbarramento (pari oggi al 12,5% degli aventi diritto al voto) e l’elezione presidenziale a suffragio universale a doppio turno con ballottaggio hanno condotto alla bipolarizzazione del sistema partitico e, dunque, alla formazione di solide e coese maggioranze parlamentari. Tale bipolarizzazione ha preso forma attorno alla figura di due candidati alla presidenza, in grado di superare il primo turno elettorale e sfidarsi nel secondo, favorendo così la sovrapposizione tra maggioranze presidenziali e maggioranze parlamentari. L’assunzione, da parte del presidente, del ruolo di leader effettivo anche delle maggioranze parlamentari ha dunque consentito al presidente di estendere il suo controllo anche sull’esecutivo.
Durante le fasi di coabitazione, invece, il presidente era costretto ad arretrare e il primo ministro si riappropriava del ruolo di guida del governo riconosciutogli dalla Costituzione. La centralità del presidente è stata rafforzata dalla riforma della Costituzione introdotta nel 2000 e divenuta operativa per la prima volta nel 2002, quando le elezioni presidenziali e legislative coincisero. Con quella riforma, il mandato presidenziale è stato ridotto a cinque anni, la stessa durata dell’Assemblea nazionale. La coincidenza dei due mandati (ora altamente probabile) ha reso la maggioranza parlamentare ancora più dipendente dalla figura del presidente (dal momento che le elezioni presidenziali precedono in ordine di tempo quelle legislative), la cui elezione ha un effetto di trascinamento sulle consultazioni per l’Assemblea nazionale.
Un’altra revisione della Costituzione è stata approvata nel luglio 2008 su iniziativa di Nicolas Sarkozy. Il processo di riforma aveva come obiettivi, da un lato, quello di fornire un riconoscimento costituzionale, almeno parziale, alle effettive relazioni tra presidente, primo ministro e membri del governo e legislativo; dall’altro, quello di rivalutare il ruolo di quest’ultimo (pur sempre mantenendosi in una prospettiva maggioritaria, ove l’esecutivo mantiene la preminenza sul legislativo).
Il primo obiettivo, in realtà, non è stato raggiunto. È mancata infatti una razionalizzazione esplicita dei rapporti tra il presidente e le altre istituzioni, fatta eccezione per la possibilità per il presidente di presentare ogni anno con un discorso di fronte alle camere riunite il proprio programma, che viene poi discusso in un dibattito senza voto e in assenza del presidente. In più, i pochi limiti posti all’esercizio del potere presidenziale riguardano non tanto il ruolo di leader della maggioranza e reale guida del governo, quanto quello di capo dello stato (va segnalata la limitazione dei mandati presidenziali a due). Risultati più significativi, invece, sono stati raggiunti in relazione al ruolo e all’operatività del parlamento. Questo è stato dotato di strumenti che dovrebbero consentire con più efficacia di contribuire alla scrittura delle leggi e di esercitare la funzione di controllo; l’esecutivo, a sua volta, ha visto una relativa attenuazione delle sue possibilità d’intervento.
Nell’ultima tornata elettorale per le presidenziali del maggio del 2012, François Hollande, leader del Partito socialista, ha vinto con il 51,6% dei voti il ballottaggio contro Nicolas Sarkozy, presidente uscente ed esponente del partito neogollista Union pour un mouvement populaire (Ump), ribattezzato a maggio 2015 con il nome di Les Républicains. Le successive elezioni legislative del giugno 2012 hanno ulteriormente rafforzato tale risultato, conferendo alla coalizione di centro-sinistra una cospicua maggioranza parlamentare. Le misure impopolari che Hollande si è trovato costretto ad adottare per far fronte al cattivo stato di salute dell’economia francese e agli standard imposti dall’Europa hanno però provocato al neopresidente una netta perdita di consensi. L’ambizioso programma di stampo progressista promosso dal presidente in campagna elettorale, che doveva creare nuovi impieghi pubblici e ridurre l’età di pensionamento, non è stato rea;lizzato, e la popolazione francese è costretta ad affrontare un salato aumento delle tasse e della disoccupazione. Le misure volte a contenere il deficit di bilancio entro il 3% per rispondere alle condizioni dell’Eu, hanno inoltre provocato un mutamento nei sentimenti europeisti nutriti dalla popolazione francese. Nell’agosto del 2014 le discussioni interne al fronte di maggioranza sull’indirizzo di politica economica della Francia, hanno portato alle dimissioni del primo ministro Manuel Valls. Nonostante queste siano rientrate, vi è stato un rimpasto di governo, sintomo di una situazione politica sempre più difficile.
Il malumore è degenerato in un’avversione tale da compromettere il consenso al presidente in carica e rafforzare il partito della destra sociale portavoce dell’antieuropeismo, il Fronte nazionale, affermatosi come primo partito del paese alle elezioni europee del maggio 2014. In questa difficile situazione politica, è difficile ipotizzare una riconferma di François Hollande e dello stesso Ps alle elezioni presidenziali previste per il 2017. I disastrosi sondaggi presupporrebbero addirittura una sua esclusione dal secondo turno elettorale, ipotizzando uno scenario inedito di sfida tra il Fronte Nazionale e Les Republicains. Se alla guida del Fronte nazionale resta salda la figura di Marine Le Pen, all’interno del partito repubblicano francese sembra profilarsi una sfida tra l’ex primo ministro Alain Juppé e l’ex presidente Nicolas Sarkozy. Una sfida in cui quest’ultimo sembra però poter godere dei benefici dati dai recenti successi elettorali, ottenuti come presidente del partito.
La Francia è, dopo la Germania, il paese demograficamente più rilevante dell’Unione Europea (Eu), con un tasso di crescita demografica (0,4%) al di sotto della media mondiale (1,1%), ma comunque più alto della maggior parte dei paesi europei.
La lenta ma costante crescita demografica francese è dovuta sia a un tasso di fecondità notevole (poco più di due figli per donna), sostenuto da politiche sociali volte al sostegno della famiglia, sia a ingenti flussi migratori. Dalle ex colonie nel Sud-Est asiatico e nell’Africa settentrionale è giunta in Francia negli anni Sessanta una massiccia ondata di immigrati, in particolar modo provenienti da Algeria, Marocco, Tunisia e Vietnam. Un fenomeno di rilievo a partire dal 1962, anno dell’indipendenza dell’ex colonia algerina, è stato il rimpatrio dei cosiddetti ‘Pieds Noirs’, i francesi nati in Algeria. L’acquisizione della cittadinanza, compiuti i 18 anni, da parte di persone nate nel territorio francese da genitori non francesi è stata resa automatica nel 1997 grazie alla legge sulla nazionalità. Ciò non ha però sciolto le tensioni legate soprattutto alla scarsa integrazione di queste comunità nel sistema socioeconomico francese. Tali problemi, soprattutto dopo l’11 settembre 2001 e gli attentati di Parigi del gennaio 2015, riguardano in particolare la comunità musulmana francese, la più numerosa d’Europa, che rappresenta il 7,5% circa della popolazione. Il disagio degli abitanti di alcuni quartieri periferici dei centri urbani, in gran parte di origine africana, è più volte sfociato in atti di violenza e guerriglia contro le forze dell’ordine. L’approccio dell’ex presidente Sarkozy, che legava strettamente sicurezza e immigrazione, lo aveva posto talvolta in contrasto con l’Eu: è il caso delle espulsioni della minoranza Rom nel 2010. Per quanto riguarda la coabitazione interna, l’attenzione del dibattito pubblico francese ed europeo è stata attratta recentemente dai sentimenti di manifesta avversione nei confronti della comunità ebraica da parte di gruppi di giovani francesi.
Il sistema di protezione sociale francese è fondato sul principio di solidarietà nazionale e su un approccio universalistico al welfare. Nella pratica, tale approccio si traduce nell’allocazione di una quota consistente della spesa pubblica alle misure di protezione sociale, che fungono così da ammortizzatore sociale e comprendono politiche di sostegno alla maternità, pensioni e sussidi di disoccupazione. La Francia è infatti tra i primi paesi al mondo per rapporto tra risorse destinate al welfare e pil, ma una tale scelta economica si mostra insostenibile in anni di crisi: da qui il disagio del popolo francese nei confronti delle misure di contrazione della spesa pubblica che i governi degli ultimi anni si sono visti costretti ad adottare. La totalità della popolazione francese è assicurata tramite un regime di base (Régime général o Régimes spéciaux). Il sistema scolastico francese si basa sul principio, sancito dalla Costituzione del 1958, che l’insegnamento pubblico obbligatorio e laico a tutti i livelli è un dovere dello stato. Per quanto concerne l’ambito universitario, due istituti d’istruzione superiore rientrano nella classifica stilata dal QS University World Rankings nel 2015-2016 e approvata dall’Osservatorio internazionale sull’eccellenza e il posizionamento accademico (Ireg): l’École Normale Supérieure de Paris, situata al 23° posto, e l’École Polytechnique, al 40° posto.
La Francia è la patria della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, precorritrice di successivi strumenti giuridici a tutela dei diritti umani, nonché del motto ‘libertà, uguaglianza, fratellanza’.
Dopo la riforma costituzionale del 2008 che ha istituzionalizzato la parità di genere, sociale ed economica, nel maggio 2013 la Francia si è distinta per un’altra conquista sul fronte delle libertà civili: con un emendamento all’articolo 143 del Codice civile il parlamento francese ha riconosciuto e legalizzato i matrimoni tra persone dello stesso sesso. Le disposizioni che ne derivano, come l’età degli sposi o alcuni impedimenti, rimangono gli stessi della precedente legislazione.
Per quanto riguarda la situazione delle donne, nell’ambito lavorativo risulta che, a parità di mansioni, guadagnino in media ancora il 25% in meno degli uomini. Sono previste ‘quote rosa’ in alcune consultazioni elettorali, tra cui quelle europee, per effetto di una legge varata nel 1999, ma alle elezioni parlamentari del 2012 solo il 27% dei seggi sono stati conquistati da donne. Di fatto rimangono sottorappresentate nelle posizioni dirigenziali pubbliche e private.
La disuguaglianza economico-sociale appare invece in diminuzione in Francia, che si presenta come uno dei pochi paesi sviluppati nei quali il rapporto tra la fascia più ricca e quella più povera della popolazione è andato riducendosi nell’ultimo trentennio.
I media sono liberi e rappresentano un’ampia gamma di opinioni politiche. La maggior parte degli oltre cento quotidiani francesi sono di proprietà di privati: alcuni hanno forti legami con esponenti politici di rilievo. Come avvenuto altrove in Europa, l’introduzione di misure anti-terrorismo ha comportato negli ultimi anni una parziale restrizione di alcune libertà. In particolare, nel 2006 è stata adottata una legge che prevede che i sospettati di terrorismo trattenuti dalla polizia abbiano diritto a un avvocato soltanto dopo 72 ore; in più la loro facoltà di rimanere in silenzio durante un eventuale interrogatorio non è esplicitamente riconosciuta dal Codice di procedura penale. Inoltre, il Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite ha espresso preoccupazione circa l’uso di lunghe carcerazioni preventive – fino a quattro anni e otto mesi – in caso di terrorismo e crimine organizzato. La legislazione permette anche di sorvegliare luoghi specifici come le moschee.
L’accesso alla rete è libero e nel 2015 gli utenti Internet costituivano circa l’85% della popolazione. La legge antiterrorismo permette però di controllare l’accesso di sospetti terroristi. Dal 2009 è entrata in vigore una legge per la diffusione delle opere dell’ingegno e la tutela dei diritti su Internet che prevede la possibilità di sospendere la connessione – per un massimo di un anno, senza l’ordinanza di un giudice – agli utenti che scarichino illegalmente musica o altri materiali protetti da diritto d’autore. Nel luglio 2015 è stata promulgata una legge sui servizi segreti, la cosiddetta ‘loi sur le renseignement’, che presenta alcune controverse misure per potenziare il controllo anti-terrorismo da parte dello stato: in particolare, la legge prevede di istallare delle ‘scatole nere’ presso i principali operatori delle telecomunicazioni per incamerare in tempo reale i dati di connessione di possibili sospetti. Analizzati attraverso un algoritmo segreto, questi dati possono servire a identificare persone terze con cui il sospetto entri in contatto e spetta al primo ministro piuttosto che al giudice la decisione di togliere l’anonimato su questi dati. La legge facilita inoltre la possibilità per il governo nei casi di ‘urgenza assoluta’ di dare il via libera alle indagini senza il giudizio preliminare di una commissione tecnica imparziale composta in parte anche da magistrati.
Con un pil superiore ai 2.000 miliardi di euro, la Francia è la sesta economia mondiale e la terza in Europa dopo la Germania e il Regno Unito. Benché il governo abbia avviato dagli anni Ottanta una parziale o completa privatizzazione che ha coinvolto molte aziende (tra cui Air France, France Telecom, Renault e Thales), il sistema economico prevede una presenza massiccia dello stato. Il governo controlla settori chiave: energia, trasporto pubblico e industrie della difesa. I leader francesi, adoperando leggi, politiche fiscali e un sistema di welfare che privilegia l’equità sociale, si sono quasi sempre ispirati a un modello di capitalismo in cui siano ridotti la disparità di reddito e l’impatto del libero mercato, in materia soprattutto di salute pubblica e benessere.
Il settore primario rappresenta meno del 2% del pil, ma ha una forte rilevanza politica. La Francia rimane il maggiore produttore agricolo dell’Eu, in un contesto in cui il settore agricolo ha perso drasticamente la sua centralità. Lo stato ha sempre esercitato grande influenza nella definizione della politica agricola comune dell’Unione Europea (Cap) e ne è stata storicamente la prima beneficiaria. Nel 2013 la Cap è stata sottoposta a una parziale revisione, con l’obiettivo tra gli altri di ridurre il disequilibrio tra i pagamenti destinati ai paesi dell’Europa occidentale e quelli per l’Europa orientale. Il valore nominale dei finanziamenti destinati dalla Cap all’agricoltura non sarà in ogni caso ridotto per il periodo di programmazione 2014-2020, attestandosi attorno ai 360 mila miliardi di euro (circa il 38% del budget complessivo programmato dall’Eu per i prossimi anni). Una notizia che è in parte venuta incontro alle richieste francesi di mantenere intatti i sussidi esistenti. Proprio questa necessità di sostenere la Cap continua a rendere la Francia, assieme al resto dell’Eu, oggetto di critiche da parte dei paesi meno sviluppati, che denunciano gli effetti distorsivi della politica agricola comune sui mercati internazionali. A fronte di tali implicazioni, la portata della cooperazione francese ed europea allo sviluppo ne esce fortemente ridimensionata. A rappresentare un’importanza notevole è il settore terziario. Con oltre 84 milioni di turisti stranieri all’anno, la Francia è il paese più visitato al mondo: il turismo rappresenta la terza maggiore voce del reddito dell’economia nazionale.
Sul piano commerciale la Francia è un attore di primo piano, poiché è il sesto esportatore mondiale. Tuttavia, il paese registra un forte deficit commerciale strutturale. Il peso delle importazioni continua a superare quello delle esportazioni a causa dei prezzi più competitivi delle merci importate rispetto a quelle prodotte a livello nazionale. In aggiunta a questo e nonostante gli sforzi del governo per favorire l’innovazione, le esportazioni francesi presentano un valore aggiunto ancora relativamente basso. Tuttavia il secondo trimestre del 2015 ha fatto registrare per la prima volta dal 2007 un surplus nella bilancia commerciale, dato in parte dal buon andamento delle esportazioni e dall’altra dalla diminuzione del costo del petrolio, di cui la Francia è importatrice.
Il principale partner commerciale della Francia è la Germania e tra i prodotti più esportati nel mondo figurano aerei Airbus, autoveicoli, attrezzature militari e prodotti farmaceutici. Sebbene intrattenga i suoi rapporti commerciali principalmente entro l’Unione Europea, Parigi sta coltivando un proprio terreno d’affari anche nella regione asiatica, nel tentativo di fermare il declino dei dati commerciali. La bilancia commerciale con l’Asia è infatti migliorata, e la Francia presenta un surplus con l’Australia, la Corea del Sud, la Malesia, Hong Kong e Singapore. Anche le vendite in Giappone sono aumentate, così come le esportazioni verso l’India. Dopo aver annunciato ufficialmente la rinuncia all’acquisto di 126 aerei Rafale, il premier indiano Narendra Modi in visita a Parigi ha dichiarato l’intenzione da parte del governo indiano di acquistare 36 aerei da combattimento: un possibile affare da otto miliardi di dollari per la ditta francese Dassault Aviation. Prospettive importanti per l’export francese si stanno inoltre profilando in Cina, paese che potrebbe diventare entro il 2030 la seconda meta di destinazione dei prodotti francesi, soppiantando Regno Unito e Usa. Durante la visita in Francia del presidente cinese Xi Jinping, nell’aprile 2014, ad esempio, sono stati stipulati negoziati per un valore di 18 miliardi di euro, che includono il trasferimento di mille elicotteri civili nel corso dei prossimi anni.
La volontà di incrementare i rapporti bilaterali con i paesi asiatici potrebbe da un lato migliorare la situazione economica del paese, ma dall’altro rischia di danneggiare la linea sempre sostenuta da Parigi circa la necessità di adottare un approccio unico a livello comunitario rispetto alle politiche commerciali e di investimento.
L’industria dell’energia rappresenta il 2,1% del valore aggiunto, il 25% degli investimenti industriali e il 2,8% degli investimenti totali. Il panorama energetico francese è tradizionalmente dominato dall’industria nucleare, che conta 19 centrali e un totale di 58 reattori attivi. La produzione elettronucleare transalpina è seconda solo a quella statunitense e fornisce il 75% dell’elettricità prodotta in Francia, nonché il 47% del mix energetico francese. La produzione nucleare rende inoltre la Francia il primo esportatore di elettricità dell’Eu, per un controvalore annuo di oltre 3 miliardi di euro. Belgio, Germania, Italia, Spagna, Svizzera e Regno Unito sono i suoi maggiori partner. Allo stesso tempo, la Francia rimane un paese importatore di idrocarburi, soprattutto petrolio (circa 1,7 milioni di barili al giorno), proveniente in gran parte dai paesi dell’ex Unione Sovietica, dall’Arabia Saudita e dalla Norvegia.
La Francia è largamente dipendente anche per l’approvvigionamento di gas naturale, importato soprattutto da Norvegia, Russia, Paesi Bassi e Algeria. Nonostante le potenzialità, la produzione interna di gas da giacimenti non convenzionali è al momento bloccata per preoccupazioni relative all’impatto ambientale. Il mercato dell’energia francese è solo parzialmente liberalizzato, come dimostrano i richiami dell’Unione Europea e dell’Agenzia internazionale dell’energia (Iea), e ancora dominato da campioni nazionali (Edf, Gdf Suez) a controllo statale.
Benché quasi la metà della domanda di energia venga soddisfatta dal petrolio, il livello di emissioni di CO2 pro capite derivanti dall’utilizzo di elettricità è diminuito, grazie allo sviluppo del nucleare e dell’energia idroelettrica (pari al 2,1% del mix energetico nazionale), tradizionalmente la principale fonte rinnovabile francese, che sfrutta gli invasi montani delle Alpi e dei Pirenei. Tuttavia la Francia ha registrato un notevole calo nell’indice globale di performance ambientale, passando dal sesto posto nel 2012 al 27° nel 2014. Tra il 2009 e il 2010 il governo ha avviato un ambizioso programma ambientale, denominato ‘Grenelle de l’environnement’, adottando alcune leggi volte ad aumentare il risparmio energetico e la percentuale di energia rinnovabile.
La Francia è una potenza nucleare e possiede circa 300 testate atomiche. Sebbene Parigi inizialmente non abbia firmato il Trattato sulla messa al bando totale degli esperimenti nucleari (Comprehensive Test Ban Treaty), lo ha ratificato nel 1996 e ha firmato il Trattato di non proliferazione nucleare (Npt), ratificandolo nel 1992. All’interno dell’Eu, è una sostenitrice convinta dello sviluppo della Politica europea di sicurezza e difesa comune (Esdp), progetto all’interno del quale si sono svolte le prime missioni di peacekeeping dell’Unione, come quelle nei Balcani, nella Repubblica Democratica del Congo, nel teatro caucasico e in quello mediorientale. L’aumento dell’influenza francese nel continente africano e nell’area del Medio Oriente è testimoniato proprio dalla partecipazione alle più importanti missioni. In Africa, la Francia partecipa, tra le altre, all’Opération Licorne in Costa d’Avorio (dove ci sono ancora 450 militari) e a Operation Sangaris (Missione nella Repubblica Centrafricana); in Libano alla missione delle Nazioni Unite, Unifil II. L’Opération Licorne, ora sotto l’egida delle Nazioni Unite e rinominata Unoci (Missione Un in Costa d’Avorio), ha una rilevanza particolare rispetto alle altre, in quanto nel 2002 la Francia ha dato il via a tale missione in maniera autonoma, senza l’intervento delle Nazioni Unite, arrivate solo in un secondo momento; ciò a testimonianza di quanto siano importanti gli interessi francesi in quell’area. Importanza riemersa durante la crisi della Costa d’Avorio del 2010-11, a seguito delle contestate elezioni presidenziali, in cui l’esercito francese ha avuto un ruolo di primaria importanza per la cattura e la destituzione dell’ex presidente Laurent Gbagbo. Analogamente, la Francia ha assunto la leadership delle operazioni militari contro il regime libico di Muammar Gheddafi a fine marzo 2011, poi passate sotto comando Nato, dopo che le Nazioni Unite (attraverso la risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza) avevano autorizzato l’intervento aereo. L’autorizzazione era giustificata dalla protezione della popolazione civile.
La Francia ha inoltre una serie di basi militari all’estero, soprattutto nei territori delle ex colonie come Costa d’Avorio, Ciad, Gabon, Senegal e Gibuti, e ha inaugurato da poco una base militare negli Emirati Arabi Uniti (Uae). Le relazioni con il Medio Oriente e l’Africa si estendono anche alla cooperazione al settore della difesa. Il principale mercato di esportazione dell’industria francese della difesa sono proprio gli Emirati Arabi Uniti e rilevanti sono le esportazioni verso Arabia Saudita, Marocco, Libia, Egitto e Israele. La Francia coopera intensamente in materia di sicurezza con i paesi della sponda sud del Mediterraneo in un’ottica di stabilizzazione politica, sia per contenere la minaccia terrorista, sia per limitare i flussi migratori. In tale prospettiva, per fermare l’espansione di gruppi jihadisti come Aqim, Ansar al-Din e Mujao in seguito alla crisi nel nord del Mali, nell’ottobre del 2012 Parigi si è fatta promotrice di una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che ha autorizzato l’intervento di una forza multinazionale africana. Di fronte all’aggravarsi della situazione, la Francia è tuttavia intervenuta a fianco dell’esercito maliano per bloccare l’offensiva dei gruppi terroristici, contemporaneamente all’arrivo nel paese dei primi soldati della Misma, Mission Internationale de Soutien au Mali, sotto l’egida della Ecowas. Nel quadro dell’Operation Serval, integrata in seguito nella Minusma (la Missione delle Nazioni Unite in Mali), 5000 soldati, affiancati dalle forze aeree, hanno combattuto nelle zone attorno alle principali città tuareg a Gao, Kidal e Timbuctù, respingendo i jihadisti oltre confine. In seguito alla stabilizzazione del Mali, che aveva permesso a Hollande di visitare il paese nel febbraio 2013, e al buon svolgimento delle elezioni presidenziali, il contingente francese avrebbe dovuto essere ridotto, ma la recrudescenza di attentati nel nord, l’uccisione di due giornalisti francesi e la diffusione della presenza jihadista ha indotto Parigi a prorogare i termini della missione, rimodulando i contingenti in Africa. Serval e Epervier cessano di esistere per fondersi in un’unica missione di counter-terrorism nel Sahel dal nome Barkhane. La Francia è impegnata attivamente in Iraq e in Siria a fianco della coalizione internazionale di lotta allo Stato islamico. A seguito degli attentati del 13 novembre 2015 a Parigi, la Francia ha esteso il proprio impegno contro lo Stato islamico, bombardando direttamente postazioni dell’Is in Siria e Iraq.
Gli attacchi terroristici che hanno segnato il 2015 di Parigi sono stati i più impressionanti e sanguinosi della storia recente francese. Gli attentati del gennaio e del novembre 2015 al settimanale satirico Charlie Hebdo e al supermercato kosher – costati la vita a 16 persone – e quelli al Bataclan e allo Stade de France (oltre 130 vittime) hanno drammaticamente evidenziato l’esistenza di una crescente minaccia interna portata dal terrorismo islamico. Durante il 2015 sono stati numerosi gli episodi che hanno rimarcato la crescita di questo trend: ad aprile uno studente algerino, Sid Ahmed Ghlam, è stato arrestato con il sospetto di voler compiere un attentato in una chiesa di Villejuif; in giugno un cittadino francese, Yassin Salhi, ha dapprima ucciso il proprio datore di lavoro e poi ha tentato un attacco suicida in un impianto di gas a Saint Quentin Fallavier, nei pressi di Lione; il 25 agosto Ayoub el-Khazzani, ha cercato di lanciare un attacco a bordo di un treno tra Amsterdam e Parigi; infine, il 29 ottobre, un marocchino aveva attaccato senza fortuna la base navale francese di Tolone. Di fronte a questi episodi ripetuti, il premier Valls ha dichiarato che i francesi dovranno aspettarsi di fronteggiare anche in futuro nuove situazioni simili: secondo i dati del governo, circa 3000 francesi sarebbero implicati in attività variamente legate al jihadismo. Molti degli attentatori erano già noti ai servizi segreti, segnalati con la celebre ‘fiche S’, dove S sta per sicurezza (Securité) dello stato. Con questo sistema l’intelligence francese assegna un grado di pericolosità a diversi soggetti, dal grado 16 al grado 1, dove 1 è il più pericoloso. Un meccanismo di segnalazione senza reali implicazioni operative se non per quanto riguarda i controlli rafforzati alla frontiera. A giugno 2015 la ‘fiche S’ contava 400.000 nomi (non solo possibili jihadisti ma anche attivisti anti-nucleare, militanti di estrema destra, etc.). Per dotarsi di un meccanismo di intelligence più pervicace il parlamento ha approvato una legge di potenziamento dei servizi segreti, promulgata nel luglio 2015, chiamata ‘loi sur le reinsegnement’: un dispositivo che contiene, tra le altre, alcune norme di controllo sulle telecomunicazioni che hanno rilanciato il dibattito sui confini tra libertà individuale e sicurezza collettiva. Dopo gli attacchi del 13 novembre il presidente Hollande ha rafforzato ulteriormente tale quadro normativo, approvando un nuovo pacchetto di misure straordinarie: ampliamento del budget all’intelligence, reclutamento di nuovi agenti ed estensione dello stato d’emergenza a tre mesi. Una strategia necessaria ma probabilmente non sufficiente per affrontare l’attuale situazione.
A un anno di distanza dalle prossime elezioni presidenziali la corsa all’Eliseo è già avviata. I disastrosi sondaggi elettorali e il drammatico calo di consensi di cui è stato oggetto François Hollande hanno rafforzato le speranze del centro-destra di emergere come possibile vincitore. Nel maggio 2015 l’Union Mouvement Populaire (Ump), guidato dall’ex presidente Nicolas Sarkozy, ha cambiato nome passando a Les Republicains. Una mossa dettata in parte dalla necessità di rompere con il passato dell’Ump, tormentato dagli scandali legati al finanziamento della campagna elettorale del 2007 e dalle accuse di corruzione riguardanti lo stesso Sarkozy. Per la possibile corsa a candidato presidenziale la disfida è aperta tra l’ex presidente Nicolas Sarkozy, l’ex primo ministro François Fillon e l’attuale sindaco di Bordeaux, nonché ex primo ministro, Alain Juppé. I buoni risultati elettorali ottenuti dall’ex Ump nelle elezioni amministrative del marzo 2015 potrebbero giovare alla corsa dell’ex presidente Sarkozy; l’altro favorito è Alain Juppé, la cui candidatura potrebbe inoltre contribuire a estendere maggiormente la base di supporto del partito.
A sinistra uno dei possibili candidati potrebbe essere Manuel Valls, attuale primo ministro, appartenente all’area cosiddetta liberale del Parti Socialiste. François Hollande non esclude ancora formalmente una propria ricandidatura, nonostante il suo consenso risulti il più basso tra quello di tutti i presidenti della storia della Repubblica. Il Front National ha rafforzato molto la propria posizione e non è da escludere un ottimo risultato nelle prossime elezioni presidenziali: la sfida al secondo turno potrebbe essere dunque tra Marine Le Pen e il candidato scelto per rappresentare Les Republicains. Nonostante i notevoli successi elettorali raccolti a livello locale tuttavia, è difficile immaginare che il Fn possa realisticamente ambire a superare la soglia del doppio turno presidenziale e conquistare l’Eliseo: ampio e trasversale è infatti il fronte di opposizione al Fn, le cui idee nazionaliste e xenofobe sono ancora avversate da buona parte della popolazione francese.
Il mercato della difesa è un settore storicamente sviluppato e ben presente in Francia, con alcune tra le più grandi multinazionali attive a livello globale in tutti i principali ambiti militari, tra queste Dassault (aereonautica), Dcns (marina), Thales (elettronica e armi leggere), Nexter (mezzi di terra). Negli ultimi anni tuttavia, il business delle armi ha vissuto un vero e proprio exploit, portando la Francia ad affermarsi nel 2013 e nel 2014 come il terzo esportatore di armi a livello mondiale, seconda soltanto a Stati Uniti e Russia. In un paese fortemente colpito dalla crisi economica, l’industria delle armi ha aperto spazi di ripresa, raggiungendo nel 2014 un valore di vendite pari a 8 miliardi di euro e generando, solo nei primi mesi del 2015, circa 30.000 nuovi posti di lavoro. I principali partner commerciali sono il Marocco, la Cina, l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti e l’India, in una classifica sempre pronta al mutamento a seconda delle grandi commissioni che vengono assegnate. Un boom dell’industria che certo non ha mancato di sollevare qualche critica da parte di anti-militaristi e attivisti per i diritti umani, considerato lo scarso record di difesa dei diritti umani di paesi quali Arabia Saudita e Cina. Inoltre la vendita di armi è stata spesso criticata perchè vista come uno dei principali fattori di destabilizzazione del Medio Oriente. Per dare un’idea del corto circuito tra business delle armi e politica internazionale, basti pensare che la Francia è la principale esportatrice europea di armi verso l’Arabia Saudita, paese ostile al governo siriano di Bashar al Assad e impegnata in una sorta di guerra per procura con l’Iran per la caduta del regime di Damasco. La radicalizzazione del conflitto in Siria ha tuttavia portato il governo francese ad intervenire direttamente con bombardamenti aerei contro lo Stato islamico: una mossa a lungo rimandata da Parigi proprio per paura di favorire e rafforzare la posizione di Assad.
Approfondimento
La Francia del 2015 è in preda a una profonda crisi identitaria. Il malessere francese parte da lontano. È dall’esaurimento della fase dei ‘gloriosi trent’anni’ (1945-75) che la Francia si interroga e, guardandosi allo specchio, ritrova l’ombra di se stessa. Questa sindrome del declino si è aggravata con l’esplodere della crisi economica e si è ulteriormente acuita nel corso della presidenza Hollande, come testimoniano le tante Cassandre che annunciano a colpi di best seller (si pensi, tra il 2014 e il 2015, ai successi di Nicolas Baverez, Michel Houellebeck, Eric Zemmour o Emmanuel Todd) la fine della Repubblica e il ‘suicidio’ francese. Un’angoscia che si manifesta sotto molteplici forme: clima generalizzato di antipolitica, trionfo del voto sanzione, populismo virulento impersonato da Marine Le Pen, radicale euroscetticismo, tensioni xenofobe e timori di una progressiva islamizzazione della società.
Una percezione diffusa di declino nazionale il cui primo combustile è evidentemente la crisi economica, con la sua preoccupante coda di 3,5 milioni di disoccupati. Su questo terreno il 2015 non ha portato l’attesa inversione di rotta. Apertosi a gennaio con il sorpasso da parte del Regno Unito sulla Francia come quinta potenza economica mondiale, è proseguito con la stagnazione registrata al secondo trimestre, che si è accompagnata a un incremento sostanziale del debito pubblico, che a ottobre 2015 ha raggiunto il 97% del PIL (a fronte del 64,4% ereditato da Sarkozy nel 2007 e dell’85,2% lasciato da quest’ultimo a Hollande nel 2011). A confermare queste difficoltà è intervenuto, a settembre 2015, il taglio del rating francese (da AA1 a AA2) operato da Moody’s. L’agenzia americana ha sottolineato come l’anemia economica transalpina proseguirà a medio termine a causa dei vincoli istituzionali e politici che nell’attuale contesto si sommano a un alto tasso di disoccupazione strutturale e alla perdita di quote di mercato internazionale.
Proprio la dimensione esterna rappresenta un ulteriore elemento di crisi identitaria per una nazione abituata a giocare un ruolo geopolitico di primo piano. Se l’ultimo biennio ha fatto registrare un ritrovato attivismo francese tanto in Medio Oriente quanto in Africa, il declino internazionale di Parigi è visibile soprattutto in Europa dove lo storico asse franco-tedesco appare ormai un ricordo del passato. L’arrivo di Hollande all’Eliseo era stato presentato come l’occasione per ridefinire alleanze ed equilibri nell’Eu, con l’obiettivo di porre fine alla spirale d’austerità imposta dal tandem Merkel-Sarkozy e rilanciare la crescita. Verificata l’impraticabilità di una rivendicazione di autonomia da Berlino e consapevole del potenziale divisivo delle tematiche europee all’interno del proprio partito e dell’opinione pubblica, Hollande sconta una crescente marginalità nell’Eu (emblematica l’irrilevanza di Parigi a fronte del protagonismo tedesco nell’emergenza migratoria dell’estate 2015). L’ultimo fronte di questa crisi identitaria è propriamente politico e investe direttamente la massima carica istituzionale francese. Da subito il crollo di popolarità del capo dello stato è stato impressionante. A partire dal 2013 Hollande ha ripetutamente battuto qualsiasi record negativo nella storia della Quinta Repubblica: il 70% di scontenti raggiunto da Chirac nel giugno 2006 e il 72% totalizzato nell’aprile 2011 da Sarkozy sono stati superati da Hollande già dalla primavera 2013; a ottobre 2015, prima degli attentati del 13 novembre, la percentuale di coloro che si dichiarano scontenti dell’attuale capo dello Stato toccava il 76%.
Al pari del suo predecessore Hollande sconta un’incapacità di risultati di fronte alla crisi ma esiste anche un problema specifico legato alla sua figura e alla sua interpretazione della funzione presidenziale. Se l’immagine di una ‘presidenza normale’ si è rivelata molto utile durante la campagna elettorale, una volta all’Eliseo essa ha rappresentato un’anomalia all’interno di un sistema politico caratterizzato da una tradizionale solennità della funzione, in cui il capo dello stato assurge al ruolo di vero e proprio monarca repubblicano, soprattutto in tempi di crisi e di angoscia collettiva. Tuttavia se il contesto politico resta estremamente difficile e Hollande appare oggi come il più debole tra i presidenti della Quinta Repubblica, il clima nei suoi confronti è progressivamente cambiato nel corso del 2015. Dai tragici attentati terroristici di gennaio e novembre Hollande non è più guardato dai francesi come un capo dello stato assente e molle ma come un presidente rispettabile. Questo non ha modificato in maniera sensibile il suo livello di popolarità né consente di ipotizzare che Hollande possa rivaleggiare con Marine Le Pen o Sarkozy nella corsa all’Eliseo del 2017. Ma il cauto recupero di autorevolezza presidenziale rappresenta un barlume di speranza di arginare il disincanto democratico che da anni ha investito la Francia, convincendola dell’inevitabilità del suo declino.
di Riccardo Brizzi