FRANCINI, Ippolito, detto il Tordo
, detto il Tordo. Nacque a Firenze il 14 sett. 1593 da Agostino di Pasquino e da Maria Ginevra di Pietro Mariani.
Il padre lavorava nelle botteghe granducali delle pietre dure, dove è documentato dal febbraio 1615. Nel marzo dell'anno successivo egli venne affiancato dal F., impiegato "a tornire colonne", e da un altro aiutante. Nel luglio dello stesso anno e nel febbraio successivo il F. è citato insieme con un aiuto che lavorava "da Tordo": il che dovrebbe indicare una prima affermazione autonoma del F. all'interno delle botteghe della Reale Galleria. Infatti, dal 1618 le liste dei lavoranti menzionano una "bottega di Tordo", nella quale sono presenti Agostino, il F. e altri aiuti. Dal 1621 Agostino non figurerà più accanto al F.; dal 1623 al 1625 i documenti nominano, nella "bottega del Francini", il nipote Giuliano di Michele Mariani, presente fino al 1626. Ancora per tre anni la "bottega del Francini", con a capo il F., figura nei libri paga della Reale Galleria, dai quali scompare dopo il 16 apr. 1629. A queste date Galileo Galilei disponeva del F. come costruttore di lenti così affidabile da poterlo mandare in Spagna in propria vece e, se il F. "spianava già le luci dei cannocchiali nel 1623", i rapporti fra i due dovevano risalire ad anni ancora precedenti.
D'altra parte, già il 7 maggio 1619 Galileo, scrivendo da Padova al segretario di Stato di Toscana B. Vinta, esprimeva l'intenzione di insegnare a qualche servitore del granduca, nel caso avesse bisogno di un aiutante, il modo di lavorare le lenti. È probabile che per Galileo si presentasse questa necessità e che fosse proprio il F. la persona più adatta al compito richiesto. Tuttavia anche a Firenze Galileo dovette continuare a servirsi della produzione degli artigiani veneziani, di cui aveva fatto uso già nel suo soggiorno padovano. Prima del 1617 pare che non esistessero, a Firenze, fornaci per la produzione di vetro fine, simile a quello prodotto dalle officine di Murano. Ma proprio in quell'anno Cosimo II stabilì la costruzione, nel giardino di Pitti, di una fornace per vetri nobili e smalto, nella quale avrebbe lavorato personale qualificato, proveniente dalla stessa Murano. Nel 1618 Galileo loda ancora l'abilità degli artigiani veneziani e, non essendovi nel suo carteggio menzione di artefici di lenti fiorentini prima del F., è probabile che la lavorazione del vetro non desse subito, a Firenze, alti risultati. Ma tra il 1617 e il 1620 i migliori collaboratori veneziani di Galileo nella fabbricazione delle lenti morirono ed egli fu forse costretto a cercare altri artigiani tra i lavoranti della Reale Galleria.
Benché non sia noto quando il F. entrò in contatto con Galileo, la sua assenza dalla bottega granducale, documentata dall'aprile del 1629 al giugno del 1636, può forse essere connessa a un intensificarsi della lavorazione di lenti a lui richiesta dal filosofo. In una lettera datata 14 sett. 1630, Esaù del Borgo, addetto all'ambasciata di Toscana in Spagna, scriveva di essere a conoscenza dei cannocchiali che "si lavorano nella Galleria di S.A. alla presenza di Galileo stesso". A quell'epoca Galileo era impegnato, già dalla fine dell'anno precedente, in una commissione ricevuta da Filippo IV: dopo la prima richiesta di un cannocchiale, il re di Spagna desiderava il cambio di una lente rotta, oltre a un nuovo apparecchio e a un microscopio. Alla fine dell'anno, pressato dagli insistenti solleciti da Madrid, Galileo proponeva di mandare in Spagna, insieme con il figlio Vincenzo, una persona capace di maneggiare il telescopio, forse lo stesso F., unico collaboratore di fiducia di cui sia rimasta menzione. Che Galileo potesse vedere nel F. un suo fiduciario, è testimoniato dal fatto che egli, il 17 dic. 1632, ritirato in casa per una malattia agli occhi, scrisse a Cosimo Del Sera, provveditore del Monte di pietà, perché gli fosse rilasciata la rendita di 75 fiorini. A ritirare la somma Galileo inviava proprio il F., al quale venne effettuato nello stesso giorno il pagamento.
A metà dell'anno successivo Galileo scriveva al F., richiedendogli due lenti. Non avendo ricevuto alcuna risposta, Galileo gli spedì un'altra lettera, indirizzata alla sorella Virginia, suora del convento di S. Matteo in Arcetri. Dalla risposta di suor Maria Celeste al padre, in data 15 ott. 1633, si apprende che il F. si trovava in quel momento ricoverato in ospedale per una malattia infettiva dell'apparato respiratorio. Nonostante l'infermità del F., le richieste di Galileo non cessarono immediatamente. Infatti il 3 e il 7 dic. 1633 B. Conti gli scriveva relativamente a un acquisto di polvere di lapislazzuli, da lui effettuato, ma ordinato da Galileo, per realizzare forse lenti colorate. In una lettera datata 24 nov. 1636, Arrigo Robinson informava Galileo di avere intenzione di acquistare "due occhiali da quel tale Ippolito che lavora in Galleria", desiderandoli "di tutta perfezione". Non molto tempo dopo, il 24 febbr. 1637, Nicolò Fabri di Peiresc richiedeva a Galileo, suo amico, un cannocchiale del F., dal momento che gli strumenti di questo erano "più perfetti d'ogni altro". A partire da quell'anno, e ininterrottamente fino al 1653, è di nuovo documentata, nelle liste dei lavoranti per la Reale Galleria, la "bottega del Francini" alla quale appartenne, fra gli altri, anche il nipote Giuliano di Michele.
Il F. dovette acquisire una specializzazione tecnica che lo rese benemerito agli occhi di Ferdinando II. Quasi un secolo dopo la sua morte, egli è ricordato ancora dal Bechi come "famigliare del Serenissimo Granduca". Infatti il nome del F. compare nella lista di un libro di conti di casa Medici, saldati tra il 1632 e il 1645, alla voce "Diversi". Al F. spettavano 1.3 scudi al mese, per compiti non specificati, oltre a 5 scudi, per il vitto di un certo Francesco Masselli.
Del F. Galileo continuò a servirsi anche quando, dopo il processo del 1633, non frequentò più personalmente la Reale Galleria. Avendo ricevuto una commissione di tre coppie di lenti per il re Ladislao di Polonia, egli inviò il 7 febbr. 1637, tramite D. Peri, una lettera al segretario di camera Guerrini che rispose di aver immediatamente fatto chiamare il Tordo. Il favore di cui pare godesse il F. presso il granduca dipendeva anche dalla passione per l'ottica nutrita da Ferdinando II il quale, secondo una lettera del 22 genn. 1637 scritta da D. Peri, era riuscito a realizzare, insieme con il F., lenti migliori di quelle di Galileo. Se è vero che l'allievo entrò in competizione con il maestro, proprio nel 1637 cominciava a farsi apprezzare un rivale dello stesso F., il napoletano F. Fontana. Erano sue le tre lenti convesse inviate, nell'ottobre del 1637, a Galileo che le giudicò, tuttavia, inferiori a quelle del F., mentre un cannocchiale del Fontana acquistato a Napoli risultava preferibile a uno della medesima lunghezza realizzato dal Francini. Nonostante la presenza di un concorrente, il F. non dovette perdere il suo credito se, anni dopo, il 10 ott. 1645, il padre M. Mersenne ricorderà in una lettera a E. Torricelli le lenti lavorate dal F. a Firenze. Ancora nel novembre del 1646 la visione degli occhiali del F. meritava di essere annotata nei Voyages di B. de Monconys.
Nel frattempo, già dal 1642 Torricelli aveva preso il posto di Galileo in qualità di primo matematico e filosofo del granduca. I suoi rapporti con il F. dovettero essere improntati a una certa cordialità. In una lettera datata 26 maggio 1647, indirizzata a padre Ricci, Torricelli racconta di essere stato alla villa granducale di Poggio Caiano, dove si trovava anche il F., da una decina d'anni sempre al seguito di Ferdinando II, e dove essi avevano esaminato le lenti fabbricate dallo scultore A. Novelli. Intanto Galileo si era ritirato a trascorrere la sua vecchiaia ad Arcetri da dove scriveva, il 2 ott. 1640, al cognato del F., C. Monti, per dargli notizie del figlio Luchino. Il F., infatti, aveva fatto da intermediario fra i due perché il bambino, mentalmente ritardato, potesse essere istruito e mantenuto dal filosofo. All'epoca il F. doveva godere ormai di una certa sicurezza economica, come prova l'acquisto di una casa con bottega in via della Lambertesca a Firenze, per la somma di 675 fiorini, vendutagli dai Nove consiglieri della giurisdizione del dominio fiorentino e della giurisdizione nel 1641. Tre anni dopo, il 17 ottobre, risulta che il F. abitava a quell'indirizzo da più di un anno.
Se l'acquisto di una casa rappresentò l'investimento dei risparmi di una vita di lavoro, bisogna ritenere che il F. possedesse ancora un buon margine di risorse. Infatti egli cominciò a ospitare in casa propria i ragazzi abbandonati dai genitori o venuti dalla campagna a Firenze in cerca di lavoro. Successivamente riuscì a procurarsi un magazzino nel vicolo di ser Bivigliano Baroncelli, dove faceva arrivare da casa propria i pasti ai ragazzi, servendoli anche di persona. Aumentando sempre di numero i giovani che trovavano ricovero nel magazzino, il F. ottenne dal cardinale Leopoldo de' Medici un locale del demanio. Ma proprio in quel luogo, nell'ottobre del 1653, egli rimase gravemente ferito, essendo intervenuto per porre fine a una lite fra due ragazzi. Il 13 dello stesso mese fece testamento, lasciando alla moglie B. Monti l'usufrutto di tutti i beni da lui posseduti, e dichiarando come suo erede il nipote Giuliano di Michele Mariani insieme con i figli di quest'ultimo legittimi e naturali. Morì il giorno stesso, e fu sepolto, secondo le sue ultime volontà, nella chiesa di S. Francesco in Palazzuolo a Firenze il giorno dopo.
Fra i testimoni del testamento compaiono Filippo Franci e Benedetto Salvi, i quali proseguirono l'iniziativa intrapresa dal Francini.
Fonti e Bibl.: Firenze, Bibl. Riccardiana, Mss. 1831, c. 195r; Ibid., Bibl. nazionale, Poligrafico Gargani 861, nn. 245, 251, e 854, nn. 226, 230, 242; B. de Monconys, Journal des voyages en… Italie…, I, Paris 1695, p. 229; E. Torricelli, Lettere… fin qui inedite… precedute dalla vita scritta da G. Chinassi, Faenza 1864, pp. 28, 39; G. Galilei, Opere (ed. naz.), XIX, p. 449; Dal carteggio e dai documenti, pagine di vita di Galileo, a cura di I. Del Lungo - A. Favaro, Firenze 1915, p. 415; N. Bechi, Vita del venerabile servo di Dio F. Franci, Firenze 1741, pp. 37 s.; G.B.C. Nelli, Vita e commercio letterario di G. Galilei, I, Losanna 1793, pp. 191, 193; A. Favaro, G. Galilei e suor Maria Celeste, Firenze 1891, pp. 410, 412, 415; C.V. Varetti, L'artefice di Galileo I. F. detto Tordo, in Rend. della R. Accad. dei Lincei, cl. di scienze morali, stor. e filol., s. 6, XV (1939), pp. 204-297.