Bradley, Francis Herbert
Filosofo inglese (Clapham, Londra, 1846 - Oxford 1924). Influenzato da Green, lettore e ammiratore di Hegel, propose una critica sistematica delle conclusioni dell’empirismo e del positivismo del sec. 19° e fu, con Bosanquet e Mactaggart, tra i maggiori esponenti del neoidealismo inglese. Con Ethical studies (1876) polemizza sia contro l’etica edonistica e utilitaristica di J.S. Mill e dei positivisti inglesi, sia contro il formalismo dell’etica kantiana; B. ritiene che i doveri morali non derivino dalla natura del singolo individuo ma dal suo ruolo e dalla sua funzione nella società. In Principles of logic (1882) B. polemizza contro ogni tentativo di fondare la logica sulla psicologia e in partic. sull’associazione delle idee. Critica quindi la logica induttiva di J.S. Mill, nel tentativo di delineare un’interpretazione del processo conoscitivo per la quale l’elemento primario non è il dato particolare, ma piuttosto l’idea universale che guida e regola l’acquisizione dei dati. Il suo sistema filosofico, esposto nell’opera Appearance and reality (1893; trad. it. Apparenza e realta, cui seguirono altri interventi raccolti in Essays on truth and reality, 1914), è ispirato all’esigenza dell’identità di essere e conoscere, ma tale identità è concepita più come un ideale irraggiungibile che non come una realtà in atto. B. sottopone a una critica serrata gli oggetti dell’esperienza e del pensiero e mette in luce una serie di contraddizioni che vietano di considerarli ‘reali’ e li condannano alla sfera della ‘apparenza’. Ciò che soprattutto manifesta la contraddizione in ciascuno di quegli oggetti è il loro carattere relazionale; la contraddittorietà che inerisce a ogni relazione vieta di considerarla reale. Reale e ideale diventano termini che cercano una reciproca adeguazione, ma non riescono a trovarla. Dimostrata la contraddittorietà della ontologia pluralistica e atomistica propria delle filosofie empiristiche e positivistiche, B. presenta una metafisica rigorosamente monistica che concepisce la realtà come un’unità armonica senza temporalità e priva di collocazione spaziale. Secondo B., infatti, la realtà vera o l’assoluta verità è eterna, extratemporale ed extraspaziale, sì che la conoscenza umana, limitata alle cose finite, non può essere altro che apparenza. Perché le apparenze possano mutarsi in realtà, sarebbe necessario che esse cessassero di essere cognizioni parziali e divenissero cognizione totale: raggiungessero cioè quell’assoluto che è negazione di ogni processo e stasi perfetta. Conclusione agnostica, come ha riconosciuto lo stesso B., ammettendo «il sano scetticismo per cui tutta la conoscenza in un certo senso è vanità». L’idealismo di B., però, si delinea come scettico e mistico a un tempo. Tale connotazione mistica deriva dalla tesi che l’assoluto può essere determinato solo negativamente, cioè asserendo ciò che non è: ogni determinazione positiva dell’assoluto, infatti, implicherebbe delle relazioni, per cui esso verrebbe ridotto ad apparenza.