Suarez, Francisco
Teologo spagnolo (Granada 1548 - Lisbona 1617).
Gesuita (1564), compiuti gli studi a Salamanca, insegnò filosofia a Salamanca e Segovia (1570-74) e teologia a Valladolid, Segovia e Ávila (1574-80); fu poi a Roma (1580-85). Tornato in Spagna, insegnò ancora ad Alcala (1585-93), Salamanca (1593-97) e Coimbra (1597-1617); nel periodo 1603-06 si trovò a Roma per difendersi dalla condanna pronunciata dal S. Uffizio contro la sua dottrina circa la confessione a distanza e l’asso;luzione in assenza; ebbe allora influenza, in via riservata, sull’ultimo svolgimento della controversia de auxiliis. Vastissime sono la cultura e la produzione di S.: legata in parte all’insegnamento – e quindi in relazione alle opere di Aristotele e di Tommaso, oggetto di ampi commenti – l’opera di S. costituisce uno dei più grandi monumenti della teologia moderna. Egli utilizza largamente le fonti patristiche e scolastiche, imposta in maniera organica e spesso nuova i trattati teologici: la «mariologia» può considerarsi una sua creazione.
Pur muovendosi nell’ambito dell’aristotelismo scolastico tomista, svolge in più punti originali temi tanto in teologia (ove assai larga fu l’opera di S. e notevole la sua originalità), quanto in filosofia. Risulta particolarmente significativa, nelle dottrine filosofiche di S., la valorizzazione del particolare concreto: S. pone al centro della struttura della realtà creata l’ens quod, il concreto in cui non è dato di distinguere tra essenza ed esistenza e neppure tra potenza e atto se non come distinzione logica fra due aspetti di una stessa realtà (ove la potenzialità indica la possibilità intesa come mancanza di un’interna contraddizione); l’essere concreto è individuale e non ha quindi bisogno di trovare un principio d’individuazione nella materia. Dalla priorità riconosciuta all’individuale deriva la possibilità della sua conoscenza diretta da parte dell’intelletto con un concetto proprio e distinto; l’universale è quindi posteriore alla conoscenza dell’individuale, frutto di un processo astrattivo che coglie l’elemento comune a più individui. L’astrazione è operazione compiuta dall’intelletto potenziale che non si distingue in re dall’intelletto agente, indicando l’uno e l’altro due funzioni dell’unica facoltà intellettiva. Sono evidenti in tutti questi temi suggestioni della tradizione scotista e occamista; così anche nella concezione della materia e della forma quali due entità distinte: la materia infatti ha un proprio atto di esistenza cui si unisce l’atto entitativo della forma; analoghe influenze nella dottrina del rapporto fra intelletto e volontà, ove il primo non può determinare la seconda, ma semplicemente orientarla. Dalla scolastica del 14° sec. S. riprende anche l’atteggiamento critico rispetto alle «vie» tomiste (come rispetto a ogni argomento a posteriori), di cui indica il limite nella loro incapacità di provare l’esistenza di un unico essere spirituale: decisamente esclusa la via del moto, più valida appare la via della contingenza che porta a un ens a se, ma non unico né spirituale, e la via dell’ordine che giunge a un’intelligenza spirituale, ma non necessariamente unica né infinita; è piuttosto dall’esame del concetto di ens a se che S. ritiene debba concludersi che tale ente, necessario, ha necessariamente l’esistenza e questa è sempre singolare; dall’ente a se, esistente, unico, S. deduce le altre perfezioni di Dio.
Vastissima, e anche più incisiva nella storia della teologia cattolica, è l’opera teologica di S., nutrita di amplissime letture e originalmente svolta. Uno dei temi cruciali della sua speculazione è costituito dal soprannaturale e dalla grazia, con un’accentuata separazione dell’ordine della natura dal soprannaturale, e quindi con una grande autonomia della natura umana che anche con il peccato originale avrebbe perso solo ciò che è «gratuito», e una concezione della grazia, quindi, come aggiunta esterna alla natura. Ma si può dire che in ogni problema fondamentale della teologia S. ha lasciato la sua impronta: fra le tesi più caratteristiche, l’affermazione che l’incarnazione del Verbo vi sarebbe stata anche se Adamo non avesse peccato; la dottrina delle relazioni tra le persone della trinità, l’eucaristia, la teoria della beatitudine; relativamente alla controversia sulla predestinazione e la grazia, S. ha modificato certe tesi moliniste per svolgere quello che è detto «congruismo».
S., che percorre la strada tracciata da Bellarmino, tende a limitare il potere dello Stato per esaltare la superiorità assoluta dell’autorità spirituale, di cui è depositaria la sola Chiesa. L’autorità civile ha origine umana e fine umano (il bonum commune societatis civilis); essa deriva da un atto collettivo della comunità intera, da un consenso generale che investe il principe. Se il potere assoluto, pur legittimo in origine, si muta in tirannide per esercitarsi contro il bene comune, allora il sovrano può essere combattuto, deposto, mandato a morte. La trasmissione dell’autorità dal popolo alla persona del sovrano è reversibile in casi eccezionali: la collettività può riprendere il mandato di governo o modificare la costituzione politica, qualora l’autorità sia degenerata in tirannide. Chiesa e Stato sono due società perfette, con poteri di giurisdizione che si distinguono per i fini diversi, spirituale e temporale, cui sono ordinati; quando le due autorità entrano in conflitto, quella civile, tuttavia, deve riconoscere la superiorità di quella ecclesiastica. La Chiesa esercita, dunque, sui principi cristiani un potere indiretto, ad corrigendas vel abrogandas leges civiles, quando vergere possunt in perniciem animarum. Nella polemica contro Giacomo I, S. fece valere tali principi teorici. Il re d’Inghilterra sosteneva di avere, in quanto membro principale della Chiesa, un potere assoluto sui sudditi, nella sfera spirituale e temporale. S. riconosce bensì il potere supremo del principe nell’ordine civile, ma conclude che la Chiesa, in virtù della sua autorità indiretta, può intervenire anche nell’ordine civile per la salvezza delle anime. Se il principe ignora l’appello del pontefice, questi può rivolgersi direttamente al popolo, perché resista alle cattive leggi: «si crimina sint in materia spirituali, Ecclesia potest directe ;illa punire in rege, etiam usque ad depositionem a regno». Tra le opere (che nell’edizione completa del 1747 e segg. occupano 23 voll. in folio) si ricordano: De Verbo incarnato (1590); De mysteriis vitae Christi (1592); De sacramentis (1595); Disputationes metaphysicae (1597); Varia opuscula theologica (1599); De poenitentia (1602); De censuris (1603); De Deo uno et trino (1606); De virtute et statu religionis (1608-09); De legibus (1612); Defensio fidei catholicae et apostolicae adversus anglicanae sectae errores (1613), sollecitata da Paolo V per confutare due scritti di Giacomo I, condannata in Inghilterra e in Francia perché lesiva dei diritti dello Stato. Tra le opere postume: De necessitate gratiae (1619); De gratia habituali (1619); De gratia actuali (1651); De vera intelligentia auxilii efficacis (1655). L’influenza di S., considerato il maggior teologo della Compagnia di Gesù (doctor eximius), è stata larghissima e la sua autorità più volte confermata da papi (Pio V lo disse «teologo esimio e pio»; Alessandro VII «principe dei teologi moderni») e dal Concilio vaticano I.
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