BARESI, Franco
Italia. Travagliato (Brescia), 8 maggio 1960 • Ruolo: libero • Esordio in serie A: 23 aprile 1978 (Verona-Milan, 1-2) • Squadre di appartenenza: 1977-97: Milan • In nazionale: 81 presenze e 1 rete (esordio: 4 dicembre 1982, Italia-Romania, 0-0) • Vittorie: 6 Campionati italiani (1978-79, 1987-88, 1991-92, 1992-93, 1993-94, 1995-96), 3 Coppe dei Campioni/Champions League (1988-89, 1989-90, 1993-94), 2 Coppe Intercontinentali (1989, 1990), 3 Supercoppe Europee (1988, 1989, 1994), 4 Supercoppe Italiane (1988, 1992, 1993, 1994), 1 Mitropa Cup (1981-82)
Il difensore per eccellenza, libero in possesso non soltanto di una superiore visione della regia arretrata ma pure di una tecnica eccelsa, peraltro mescolata alla durezza dei tackles e alla straordinaria velocità nei recuperi. Non è un caso, pertanto, che la formidabile retroguardia su cui prima Sacchi e poi Capello costruiscono i loro successi in rossonero, si coaguli attorno a lui. Campione dagli interminabili silenzi, cresce nel Milan dopo essere stato scartato dall'Inter ("Troppo gracile" sentenziano i talentscout neroazzurri), che invece tessera suo fratello Beppe, di due anni più vecchio di lui, e con il quale darà vita a epici derby. Nelle sue 16 stagioni all'Inter, Beppe vincerà due scudetti (1979-80, 1988-89), una Coppa UEFA (1990-91), due Coppe Italia (1977-78, 1981-82) e una Supercoppa Italiana (1989) ma non potrà eguagliare i successi di Franco, il 'piscinin', con la maglia del Milan. Il primo scudetto, quello della stella rossonera, Franco Baresi lo conquista addirittura a 18 anni, alla prima stagione da titolare, grazie all'intuito di Nils Liedholm che individua in lui il futuro fuoriclasse. Con il Milan gioca pure due stagioni in serie B (1980-81 e 1982-83), la prima a causa dello scandalo-scommesse. Con l'arrivo di Berlusconi e dopo qualche incomprensione iniziale con Arrigo Sacchi che lo porta a considerare l'ipotesi di raggiungere il fratello all'Inter, diviene l'autentico leader del Grande Milan. Dopo vent'anni e 719 partite ufficiali complessive in maglia rossonera, il suo coraggio e l'attaccamento alla bandiera ne faranno il simbolo della tifoseria, tanto che, al suo addio, il club milanista decide di ritirare per sempre la maglia numero 6 che gli era appartenuta, cosa mai accaduta in Italia. Chiude carico di trofei, ma sfiorando soltanto quel Pallone d'oro che pure avrebbe più che meritato (nel 1989 è infatti secondo alle spalle del compagno Marco Van Basten e davanti a Frank Rijkaard, un altro rossonero). Inizialmente tormentata anche la sua avventura con la maglia azzurra. Enzo Bearzot, che lo convoca (peraltro senza mai farlo giocare) nel gruppo che vincerà il Mondiale spagnolo del 1982, si intestardisce a utilizzarlo come mediano ma, a partire dalla gestione di Azeglio Vicini, sarà lui a prendere per mano anche la difesa italiana, con cui nel 1994 sfiorerà un secondo titolo mondiale, a Pasadena, nella finale giocata contro il Brasile. Il suo pianto irrefrenabile in quella drammatica partita, subito dopo avere sbagliato il rigore decisivo, conferisce una dimensione umana a un fuoriclasse che, tra i vari soprannomi, si è visto affibbiare pure quello, significativo, di 'Ufo'.