MOMIGLIANO, Franco
– Nacque a Torino il 15 nov. 1916, di famiglia ebraica, da Adolfo, avvocato, vicino al movimento socialista, e da Bianca Treves, insegnante elementare.
Dopo aver conseguito presso il liceo Cavour la maturità classica nel 1934, il M. si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Torino, dove si laureò con Luigi Einaudi quattro anni più tardi. Una volta assolto il servizio militare come ufficiale di fanteria, collaborò per circa tre anni, dal 1939 al 1941, con il laboratorio di economia politica Cognetti De Martiis dell'ateneo torinese, del quale lo stesso Einaudi era in quegli anni vicedirettore. Dopo una breve parentesi di lavoro presso l’ufficio contabilità di un lanificio locale, fu impegnato tra il 1942 e il 1943 in alcune ricerche sulla finanza sabauda, effettuate per conto dell’ufficio studi della Banca commerciale italiana (Comit).
In questi anni il M. conobbe Luciana Nissim, una giovane biellese giunta a Torino per seguire i corsi della facoltà di medicina – che avrebbe sposato nel 1946 e da cui ebbe il figlio Alberto – e si avvicinò progressivamente all’area politico-culturale legata al movimento antifascista di Giustizia e libertà (GL). In questo ambito, dopo l’8 sett. 1943, il M. partecipò attivamente al movimento di resistenza contro l’occupazione nazista dell’Italia settentrionale, aggregandosi alla banda azionista della Val Pellice. Trasferito in seguito a Milano, venne preso prigioniero dai nazisti, cui riuscì a sfuggire grazie a un audace piano organizzato da V. Foa.
Nell’ambito del direttivo torinese del Partito d’azione (PdA) di cui il M. faceva parte, si sviluppò una originale sintesi politica incentrata sul concetto di «rivoluzione democratica» e sulla visione operaista che caratterizzò fino ai suoi albori l’ala piemontese del partito. In quanto membro di quell’esecutivo politico, il M. ebbe modo di elaborare alcune teorie, circa i rapporti tra capitale e lavoro, che avrebbero permeato la sua attività nel corso del primo decennio successivo alla guerra. Era infatti convinzione della dirigenza torinese del PdA che la rivoluzione democratica, che si voleva realizzare attraverso nuove istituzioni da definirsi ed elaborare in una successiva Costituente postbellica, avrebbe dovuto necessariamente trovare la propria legittimazione nel sostegno popolare. I consigli di fabbrica avrebbero dovuto, dunque, ricoprire un ruolo che andava ben al di là della mera funzione sindacale, favorendo, all’atto della liberazione, l’adesione dei ceti operai alla ricostruzione democratica del Paese. Imprescindibile era l’alleanza tra tutte le forze propulsive operanti all’interno del processo produttivo, l’accordo cioè tra i lavoratori e i tecnici, secondo una visione produttivistica che sarebbe tornata più volte alla ribalta nel corso della ricostruzione postbellica. Tuttavia, questa ipotesi politica, espressa chiaramente dallo stesso M. in una monografia del 1943, firmata con lo pseudonimo Luigi Uberti (Le commissioni di fabbrica, in Quaderni dell’Italia libera, 1943, n. 12), andò incontro a una netta sconfitta nel corso degli anni successivi; mentre cresceva progressivamente la presa dei partiti socialista e comunista sulle realtà di fabbrica, il PdA e la sua linea politica implicitamente interclassista, incontrarono infatti crescenti difficoltà nel trovare accoglienza presso i ceti operai. La sconfitta sul piano politico avrebbe offerto comunque al M. l’occasione per ripensare il rapporto tra i tecnici e la classe operaia, e per elaborare nuove strategie tese al superamento della frattura venutasi a creare nel corso degli anni precedenti.
Tale riflessione dette, tuttavia, i suoi frutti nel dopoguerra, nell’arco dei nove anni, a partire dal 1947, in cui il M. fu chiamato da Adriano Olivetti a dirigere le relazioni interne dell’azienda omonima quale responsabile delle relazioni sindacali, svolgendo una funzione di consulenza e di supporto ai tentativi di ripensare le relazioni industriali operati dall’alta dirigenza olivettiana. In collaborazione con lo stesso Olivetti e con Franco Fortini, il M. si occupò in particolare della redazione dello statuto del Consiglio di fabbrica, la nuova istituzione aziendale con la quale la dirigenza cercava di tradurre in pratica il suo progetto di riforma, coinvolgendo stabilmente i lavoratori e le loro rappresentanze negli organismi aziendali e ampliando le materie oggetto di contrattazione sindacale. Organica a questo tentativo era una politica di relazioni interne, gestita in prima persona dal M., attenta a non scavalcare le forze sindacali e la loro azione rivendicativa. Nella seconda metà degli anni Cinquanta, però, la mutata posizione di Olivetti, che aveva nel frattempo dato vita al movimento Comunità, portò a uno scontro diretto fra quest’ultimo e il M. proprio in materia sindacale.
Quando, nel 1955, alle elezioni della commissione interna della Olivetti fu presentata la lista di Comunità di fabbrica – l’ala sindacale del movimento politico fondato a Torino nel 1948 e di cui Olivetti era il principale animatore – il servizio Relazioni interne, diretto dal M., decise di accettare il ricorso presentato dalla Confederazione generale italiana del lavoro (CGIL) e dalla Confederazione italiana sindacati lavoratori (CISL) che contestavano la legittimità sindacale della nuova formazione. La difficile controversia fu risolta personalmente da Olivetti, che invocò e ottenne un intervento di G. Di Vittorio per dare legittimità alla nuova formazione, la quale poté così ripresentare le sue liste sotto il nome di Autonomia aziendale.
Lo scontro tra le due linee di politica sindacale all’interno dell’azienda era, comunque, ormai aperto e si concluse con la rimozione del M. e della moglie la quale, sempre nel 1956, fu sollevata dall’incarico di responsabile dei servizi sociali dell’azienda, che ricopriva da due anni. Il M., tuttavia, non venne licenziato bensì assegnato alla recentemente costituita Direzione commerciale Italia della Olivetti, che aveva sede a Milano. Qui gli fu affidata la responsabilità di un piccolo ufficio studi che si sarebbe dovuto occupare di introdurre progressivamente nella pratica commerciale le tecniche statistico-matematiche che venivano in quegli anni raccomandate dalle principali scuole manageriali.
Il lavoro, cominciato piuttosto in sordina, venne ad assumere sempre maggiore rilevanza nel corso degli anni successivi. Uno sviluppo testimoniato dall’accrescersi dei campi di interesse dell’ufficio che, se iniziò la sua attività occupandosi di specifici problemi di configurazione della rete commerciale, ben presto applicò le metodologie avviate al suo interno a problemi sempre più complessi: da quelli legati alla localizzazione dei nuovi stabilimenti, alla configurazione delle strategie commerciali a livello nazionale così come internazionale, fino ad arrivare, dieci anni più tardi – ormai divenuto responsabile della Direzione studi economici e programmazione dell’azienda –, a stilare il primo piano pluriennale dell’intero gruppo.
Nel medesimo tempo il M. che, dopo lo scioglimento del PdA si era avvicinato al Partito socialista italiano (PSI) e in particolare ad A. Giolitti, in quegli anni uno dei principali sostenitori della necessità di istituire meccanismi di programmazione nazionale, cominciò a collaborare in qualità di consulente con le segreterie tecniche del ministero del Bilancio incaricato, a partire dai primi anni Sessanta, della redazione dei piani economici nazionali. In tal modo si avviò una proficua e pluriennale collaborazione tra il M. e gli organismi deputati a disegnare le politiche economiche e industriali nazionali. In questo ambito il M. si impegnò su temi diversi, sempre strettamente legati all’attività di ricerca svolta entro la direzione olivettiana di cui era responsabile: gli incentivi alla localizzazione industriale, il controllo dei prezzi, l’utilizzo di tecniche econometriche per la programmazione delle attività economiche, le politiche a sostegno di ricerca e sviluppo, la ristrutturazione e la riconversione industriale e, più in generale, la politica industriale, specialmente a favore dei settori tecnologicamente più avanzati, in particolare quello dell’elettronica.
Parallelamente, nel 1971, il M. iniziò la carriera accademica in qualità di docente di economia e politica industriale presso l’Ateneo torinese. Attività, quest’ultima, cui si dedicò in maniera quasi esclusiva a partire dal 1980, anno in cui divenne professore ordinario e dette le dimissioni dalla Olivetti.
Il M. morì a Milano il 29 sett. 1988.
Dell’ampia produzione bibliografica del M. si segnalano, in particolare, oltre al già citato saggio pubblicato con lo pseudonimo di L. Uberti, la curatela degli atti di uno dei più importanti convegni internazionali sulle trasformazioni industriali degli anni del miracolo economico, Lavoratori e sindacati di fronte alle trasformazioni del processo produttivo. Atti del congresso internazionale di studio sul progresso tecnologico e la società italiana,... 1960, Milano 1962; Sindacati, progresso tecnico, programmazione economica, Torino 1966; il manuale di economia industriale, Lezioni di economia industriale e teoria dell’impresa, I-III, ibid. 1972.
Fonti e Bibl.: Un sicuro riferimento per la ricostruzione della biografia professionale del M. è il suo archivio personale, conservato a Ivrea, presso l’Archivio storico Olivetti, il quale raccoglie una copiosa documentazione, a testimonianza dei suoi molteplici interessi. Non direttamente legato alla figura del M., ma utile per comprendere il clima culturale e politico entro il quale avvenne la sua formazione è il volume di A. d’Orsi, La cultura a Torino tra le due guerre, Torino 2000, ad indicem. Sugli anni della Resistenza e della clandestinità si veda: G. De Luna, Storia del Partito d’azione 1942-1947, Torino 2006, in partic. pp. 79-82, 106-111, 187-190. Per quanto concerne l’attività a Ivrea fino al 1956: G. Berta, Le idee al potere. Adriano Olivetti tra la fabbrica e la Comunità, Milano 1980, pp. 85-124; in particolare, sulla formazione del Consiglio di gestione della Olivetti: S. Musso, La partecipazione nell’impresa responsabile: storia del Consiglio di gestione della Olivetti, Bologna 2009, pp. 33-68. Per il lavoro nell’ambito dell’Ufficio studi economici dell’azienda di Ivrea e della sua Direzione studi economici e programmazione, così come per tutto quanto concerne le consulenze per gli organi della programmazione economica nazionale si rimanda a F. Lavista, La stagione della programmazione. Grandi imprese e Stato dal dopoguerra agli anni Settanta, Bologna 2010, in partic. pp. 139-213, 398-460.