OPPO, Franco
Compositore, nacque a Nuoro il 2 ottobre 1935 da Carlo Oppo Villasanta, geometra del Genio Civile, e da Olimpia Umana, secondogenito di cinque figli (Jana, Franco, Leila, Sira, Ilka). La famiglia paterna era originaria di Ghilarza, e il nonno era cugino in primo grado di Antonio Gramsci.
La nonna materna viveva nella stazione del Tirso, snodo tra la linea ferroviaria Macomer-Nuoro e quella che portava a nord, verso il Goceano, dove gestiva il punto di ristoro. Quella stazione è un luogo importante nella vicenda biografica di Franco Oppo, perché proprio lì ebbe i primi contatti con la musica: «Avevo 6-8 anni ed eravamo in piena guerra […]. I viaggiatori che sostavano in attesa della coincidenza dei treni spesso trascorrevano il tempo cantando e improvvisando versi; la sera, partito l’ultimo treno, il bar di mia nonna diventava il punto d’incontro dei pastori della zona, per giocare a carte, bere e cantare battorinas a tenore. Questa è la musica che ha accompagnato tutta la mia infanzia. Solo questa» (Spanu, 2004, p. 8). Ma nella stazione del Tirso avvenne anche un fatto che ebbe importanti conseguenze biografiche. «Nel Natale del ’48 alcuni banditi […] ci sorpresero nella cucina durante la cena; qui radunarono tutte le altre persone che stavano nei dintorni, in tutto non più di dieci. Indisturbati, portarono via tutto quello che poterono: poche masserizie, lenzuola, coperte e qualche provvista (erano dei poveracci, costretti a fare i banditi per miseria). […] Dopo un po’ di tempo arrestarono qualcuno e fummo chiamati per il riconoscimento. Non riconoscemmo nessuno ma mio padre […] temendo vendette e ritorsioni, chiese di essere trasferito a Cagliari. Avevo poco più di 14 anni» (p. 7).
L’incontro con la musica d’arte era avvenuto negli anni precedenti, grazie al pianoforte acquistato dal padre e agli ascolti, alla radio o su qualche disco a 78 giri, di Mascagni, Verdi, Puccini e dei valzer di Strauß. L’interesse spiccato per la musica dimostrato dal futuro compositore indusse i genitori a rivolgersi all’unico musicista residente a Nuoro in quegli anni, il toscano Tommaso Madrigali, che insegnava all’istituto magistrale e dirigeva il coro parrocchiale, perché impartisse lezioni private di musica al ragazzo. Una volta trasferita a Cagliari la famiglia, al momento di scegliere la scuola superiore da frequentare, la scelta cadde quasi naturalmente sul Conservatorio. A quattordici anni Oppo aveva già composto diversi brani, e quando nel 1950 sostenne l’esame di ammissione al corso di Composizione presentò «alcuni pezzi che avevano già un certo alone di modernità» (p. 9), conseguenza di numerosi ascolti radiofonici di autori come Stravinskij, Malipiero, Hindemith e anche Schönberg. «La modernità di questi autori mi affascinava e le loro opere sono diventate per me dei modelli. Ricordo la prima volta che ho ascoltato Les noces di Stravinskij: rimasi folgorato» (p. 10). Ciò che soprattutto lo attraeva era la musica non tonale, che per lui era soltanto una musica diversa da quella della sua infanzia, né più né meno di quella di Mozart e di Beethoven.
Al Conservatorio i suoi primi maestri furono Franco Margola per la composizione e Marcello Abbado per il pianoforte; l’impatto fu estremamente positivo, soprattutto perché entrambi diedero al ragazzo l’apertura mentale necessaria per sottrarsi ai «condizionamenti conservativi e provinciali dell’ambiente musicale cagliaritano e alla pressione, da parte dei successivi maestri», affinché si orientasse verso modelli accademici tradizionali (pp. 11 s.). Trasferito ad altra sede Margola, la classe di composizione fu affidata a Marcello Abbado, che divenne così l’unico punto di riferimento del giovane Oppo sia per lo studio del pianoforte sia per la composizione, e che lo avviò allo studio e all’analisi delle opere degli autori contemporanei. Risultato di quel primo anno di studio (1950-51) fu un quintetto per strumenti a fiato: eseguito dai docenti dei diversi strumenti, fece scalpore perché «era inaudito, e per qualcuno addirittura intollerabile, che uno studente del primo anno di conservatorio potesse scrivere simili cose» (p. 12). Trasferito anche Abbado ad altra sede, lo studio del pianoforte continuò con Anna Paolone Zedda, mentre per la composizione iniziò un «vero calvario di incertezze e di vuoti» (p. 13), sia perché l’insegnamento veniva affidato, con ore in soprannumero, ai vari docenti che occupavano la cattedra di Armonia complementare, sia perché i rapporti spesso erano conflittuali a causa dell’eccessiva propensione dell’allievo al modernismo. Il giovane studente di composizione, alla ricerca di un compromesso che gli permettesse di scrivere musica tonale senza dover ricalcare pedissequamente modelli accademici, a un certo punto incominciò a utilizzare elementi della musica tradizionale sarda, come nella Fantasia per due pianoforti, scritta per un saggio scolastico a metà degli anni Cinquanta: aveva per tema portante un canto in la di Bosa che il padre era solito cantare accompagnandosi con la chitarra.
I problemi, nel Conservatorio, si fecero più seri nel 1956, quando la direzione fu affidata a Ennio Porrino, col quale Oppo ebbe, come egli stesso ha ammesso, un rapporto molto conflittuale. In quegli anni Porrino pensava che la ‘nuova’ strada della musica fosse quella della neomodalità, considerava follie tutte le altre correnti della musica contemporanea ed era convinto, forse riconoscendogli una predisposizione per la composizione, che quell’allievo dovesse essere musicalmente ‘rieducato’ e ricondotto sulla ‘retta via’. Vedendo però la ritrosia del giovane, Porrino assunse un atteggiamento ostile: «Sembrava farne una questione personale: il mio diniego l’offendeva e i nostri rapporti divennero veramente pessimi. Credo che lui non abbia mai avuto nessuna stima per ciò che pensavo e scrivevo […]. Era arroccato su una concezione nazionalistica della musica oltre la quale non era capace di volgere lo guardo e professava una sorta di integralismo estetico, nel nome di una ipotetica e anacronistica italianità della musica» (p. 17). Oppo concluse comunque regolarmente e brillantemente gli studi, diplomandosi, fra il 1958 e il 1960, in Pianoforte, Musica Corale e Composizione.
Molto diverso era invece stato, fin dall’inizio, l’atteggiamento di Renato Fasano, che era direttore quando Oppo cominciò a frequentare il Conservatorio: sebbene non potesse in alcun modo essere considerato un progressista, egli assunse nei suoi confronti un atteggiamento protettivo e paterno, durato anche dopo che passò a dirigere i Conservatori di Venezia e di Roma; anzi, tale benevolenza forse si accentuò, visto ch’egli favorì, grazie a borse di studio, la partecipazione del giovane musicista nuorese alle Vacanze musicali da lui stesso fondate e dirette a Venezia (duravano due mesi). Così per sei anni, dal 1958 al 1963, Oppo partecipò ai corsi internazionali estivi di perfezionamento di Venezia, dove fu allievo per il pianoforte di Gino Gorini e di Carlo Zecchi e per la composizione di Giorgio Federico Ghedini. Ma quei corsi, ai quali partecipavano giovani musicisti provenienti da tutto il mondo, oltre a costituire un’importante occasione di crescita musicale, offrivano a coloro che li frequentavano da un lato l’occasione di affacciarsi all’ambiente musicale internazionale, dall’altro di assistere ai concerti del Festival internazionale di musica contemporanea della Biennale: «Questa concomitanza rendeva prezioso il soggiorno a Venezia nel mese di settembre e per noi, giovani compositori, era proprio una pacchia, un concentrato di nuova musica, un’occasione unica per ascoltare, anno dopo anno, le novità dei più importanti compositori contemporanei: da Stravinskij a Stockhausen, da Malipiero a Maderna e Nono, da Boulez a Cage, a Feldman ecc.» (p. 24).
I mesi invernali del 1961-62 e 1962-63 Oppo li trascorse a Roma, dove prima fece un anno di tirocinio con Virgilio Mortari, poi fu allievo di Franco Evangelisti per la musica elettronica e frequentò il corso di Goffredo Petrassi all’Accademia nazionale di Santa Cecilia: per ammissione dello stesso Oppo, esso rappresentò il momento di consolidamento e di sintesi di tutte le esperienze precedenti e chiuse il lungo periodo della sua formazione.
Il 1963 fu un anno molto importante, per Oppo, che compose il Lamento dal salmo XIII per coro e strumenti a percussione, opera che segnò la sua «definitivaadesione al movimento della musica cosiddetta d’avanguardia» (p. 25): fu eseguita al teatro La Fenice di Venezia il 13 settembre 1964, diretta da Andrzej Markowski. Nello stesso anno Oppo ottenne una borsa di studio del ministero degli Affari esteri che gli permise di soggiornare per due anni in Polonia, paese scelto per ragioni musicali – a Venezia e a Roma Oppo aveva conosciuto numerosi musicisti «spesso più preparati e in generale molto più colti di noi: non potevano che avere alle spalle una buona scuola» (p. 28) – ma anche politiche, e in particolare per la curiosità nei confronti del mondo di là dalla cosiddetta cortina di ferro: tanti amici musicisti polacchi e ungheresi gliene avevano dipinto la situazione come assai meno drammatica di quanto non sostenesse la propaganda anticomunista in quegli anni di guerra fredda.
Il primo anno lo trascorse a Cracovia, dove poté proseguire lo studio del pianoforte con ottimi maestri. Lì si consolidò l’amicizia con due musicisti che aveva conosciuto a Venezia, Krzysztof Okoń, violoncellista, e Andrzej Markowski, direttore stabile dell’orchestra sinfonica di quella città. I risultati di quel primo anno polacco furono l’abbandono dello studio del pianoforte, la cui strada gli appariva «stretta e incerta» (p. 30), per dedicarsi completamente alla composizione, e l’esplorazione delle risorse tecniche ed espressive del violoncello, grazie all’amichevole collaborazione di Okoń; il lavoro si concretizzò in due composizioni, il Concerto per violoncello e orchestra (1964), eseguito agli Internationale Ferienkurse für Neue Musik di Darmstadt nel 1966, direttore Markowski e solista Okoń, e il Trio per violino, violoncello e pianoforte (1968), dedicato a Okoń e agli altri due componenti del Trio di Cracovia. Il secondo anno polacco Oppo lo trascorse a Varsavia, dove fu allievo di Piotr Perkowski e dove conobbe una musicista, Ewa Maria Zawadzińska (Częstochowa 1944 - Milano 1975), che nel 1967 divenne sua moglie (e dalla quale si separò nel 1974).
Oppo tornò stabilmente in Sardegna alla fine del 1965, per assumere l’insegnamento di Armonia e contrappunto nel Conservatorio di Cagliari. Lui stesso ha chiarito i suoi rapporti con il mondo musicale italiano affermando che aveva l’impressione che la poetica della cosiddetta avanguardia postweberniana avesse prodotto una forma di neo-accademismo non meno nocivo dell’accademismo vecchio stampo: «Non c’è niente da fare, l’applicazione religiosa di rigidi canoni chiude la porta a tutto ciò che se ne discosta: una non piccola contraddizione per una musica che voleva essere a tutti i costi progressiva e innovativa e che invece, spesso, finiva per essere piatta e indistinguibile. Per uno come me, che per tanti anni aveva dovuto difendersi dall’accademismo imperante nei conservatori italiani, era impossibile condividere queste posizioni. Per questo motivo, forse, non ho mai fatto parte di una precisa cerchia di compositori né, tanto meno, di un gruppo di potere» (p. 31).
Dopo l’importante esperienza, nel 1966, dei Ferienkurse di Darmstadt, nuove occasioni di incontri, di discussioni e di nuove amicizie furono offerte dalla partecipazione al Concorso Gaudeamus di Bilthoven, dove nel 1970 fu eseguito il Trio per violino, violoncello e pianoforte e nel 1971 Digressione per coro femminile e orchestra. «In quel clima culturale cosmopolita potei constatare che gli anni del conformismo seriale e post-seriale erano ormai finiti» (p. 33).
Dopo appena pochi anni, la scelta da parte di Franco Oppo di vivere e di lavorare in Sardegna divenne definitiva. Fra il 1974 e il 1975 rinunciò infatti a due incarichi lusinghieri, che aveva ottenuto partecipando ad altrettanti concorsi: la direzione della Scuola di musica Giuseppe Verdi di Ravenna e la cattedra di Armonia e contrappunto nel Conservatorio di Milano. A questa decisione non fu certamente estraneo il legame affettivo con la pianista cagliaritana Ida Allegretto (Cagliari 1950), che sposò nel 1976 e che gli diede due figlie: Irene (Cagliari 1977) e Carla Ivana (Cagliari 1985).
Partito da posizioni neoclassiche, che vanno probabilmente messe in relazione con le scelte stilistiche del suo maestro Goffredo Petrassi, con il Lamento dal salmo XIII, Epitaffio e Don Chisciotte (tutte del 1963), Oppo si attestò su posizioni che si possono definire genericamente d’avanguardia. Ma soltanto dopo l’importante soggiorno polacco raggiunse uno stile personale e originale alla base del quale c’era l’esigenza di controllare l’aleatorietà – ben presto individuata da molti dei compositori italiani e stranieri della sua stessa generazione come il più utile strumento per sfuggire al dogmatismo strutturalista del serialismo integrale – per mezzo di elementi linguistici e formali capaci di dare coerenza al linguaggio musicale. Così nelle opere vocali e nel Concerto per violoncello la parte solistica assume la funzione di elemento strutturante, sul quale gli strumenti intervengono reagendo alle sollecitazioni del solista; così in lavori come la Musica per chitarra e quartetto d’archi, Rondeau (entrambe del 1975) e Amply (1976) i procedimenti combinatorii tendono a neutralizzare – senza tuttavia escluderlo – il caso; e in Praxodia per soprano, basso e otto strumenti (1976) tutti i parametri musicali sono determinati dalle caratteristiche semantico-fonematiche del testo, tratto dal poeta angolano Agostinho Neto. Le partiture di questo periodo, che lo stesso Oppo definì «autoanalizzate» (p. 40), sono particolarmente interessanti anche dal punto di vista grafico: a esse, infatti, l’autore affida non soltanto il compito di fornire agli interpreti tutte le indicazioni necessarie per l’esecuzione (come peraltro accade normalmente), ma anche di descrivere in modo esplicito i procedimenti compositivi adottati.
A partire dal 1976 e in particolare con Praxodia – eseguita per la prima volta al XX Festival di musica contemporanea di Varsavia il 22 settembre del 1976, nel novembre dello stesso anno ottenne il primo premio della giuria e il primo premio del pubblico al IV Seminario internazionale dei compositori di Boswil, mentre nella versione scenica vinse la prima Rassegna internazionale di teatro da camera della Filarmonica umbra di Terni nel 1978 e fu eseguita a Spoleto il 29 settembre 1979 nel corso della XXXIII Stagione del Teatro sperimentale Adriano Belli – le suggestioni del ricco patrimonio della musica popolare della Sardegna incominciarono a fornire al compositore da un lato il substrato culturale, dall’altro un preciso e costante supporto linguistico che non si contrapponeva alle soluzioni avanguardistiche, ma si affiancava a esse.
A questo proposito va sottolineato che l’approccio di Oppo alla musica popolare sarda di tradizione orale è affatto personale e originalissimo, con un percorso non lineare che va dagli sporadici riferimenti per così dire ‘criptati’ – talvolta semplici allusioni o suggestioni – di opere come il Concerto per violoncello e il Trio per violino, violoncello e pianoforte, alla convergenza strutturale fra i modi di essere della musica di tradizione orale e quelli della musica d’arte. Ma il suo legame con la cultura e la musica sarda, il cui patrimonio culturale, come si è detto, fu spontaneamente assimilato da Oppo durante l’infanzia e l’adolescenza, è un aspetto fondamentale per comprenderne lo stile compositivo.
Nei lavori che tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta svilupparono l’esperienza della Musica per chitarra e di Praxodia, l’incontro tra la ricerca sonora e linguistica d’avanguardia e le particolarità fonetiche e strutturali della musica di tradizione orale divenne più stretto e organico, e la musica della Sardegna incominciò a fornire alle composizioni di Oppo elementi costitutivi grazie ai quali il compositore realizzava una sorta di ‘stocastica’ (il riferimento è alla prassi compositiva di Iannis Xenakis) in cui le leggi fisiche, le strutture di un edificio o il calcolo delle probabilità venivano sostituiti, come generatori di forme musicali, dalle strutture del canto popolare sardo. L’attenzione di Oppo si concentrò sulle componenti linguistiche della musica sarda, e in breve quei procedimenti combinatorii e quel tipo di organizzazione strutturale si insinuarono nelle sue composizioni. E ciò in maniera sempre meno sporadica e sempre più programmatica da quando, alla fine degli anni Settanta, Oppo ebbe deciso di non lasciare la Sardegna.
L’originalità dell’approccio di Oppo alla musica sarda di tradizione orale consiste nel fatto che egli non prendeva in prestito monodie, frammenti polifonici, ritmi o strumenti tradizionali per impiegarli come elementi estranei, esotici rispetto al linguaggio musicale occidentale di tradizione scritta, ma ricercava in essa le regole che la strutturano. Oppo, insomma, considerava la musica sarda come un linguaggio organizzato, edificato mediante un insieme di regole stratificate e standardizzate nel tempo, altrettanto ‘forti’ e ‘nobili’ di quelle della musica scritta, classico-romantica o contemporanea che sia.
Nell’impiego della musica popolare da parte di Oppo, Alessandro Milia ha individuato tre diverse tipologie. Le prime due sono le trascrizioni fedeli e le elaborazioni (ma va precisato che spesso anche nelle trascrizioni per così dire fedeli ci sono elaborazioni di uno o più elementi musicali per adattarle al linguaggio musicale e ai mezzi tecnici della musica di tradizione scritta). La terza, probabilmente la più interessante e feconda, è quella in cui nelle composizioni di Oppo si trovano o si percepiscono allusioni alla musica sarda senza che poi, né all’ascolto né all’analisi, sia possibile rintracciare dei frammenti citati o elaborati. In esse infatti il compositore include aspetti esclusivamente strutturali del canto monodico sardo o della prassi delle launeddas – Oppo studiò lo strumento in occasione di una ricerca sul campo svoltasi nel 1987 e finanziata dall’Istituto superiore regionale etnografico di Nuoro (Oppo, 1994) – senza effettivamente impiegare un materiale originale proveniente dalla musica sarda, ma mutuandone la logica compositiva (Milia, 2011, pp. 72-81).
Il catalogo delle opere di Oppo comprende 88 composizioni. Oltre a quelle già citate, vanno almeno ricordati i due lavori teatrali, Praxodia II (1979) ed Eleonora d’Arborea (1986, dall’omonimo «racconto drammatico» di Giuseppe Dessì), le Variazioni su tema di Mozart per orchestra (1991), la Musica per 11 strumenti ad arco (1992), i due Concerti per pianoforte e orchestra (1995-97 e 2002), Alcune verità indimostrabili per 6 strumenti (2004), lavoro, quest’ultimo, scritto in occasione del centenario della nascita di Petrassi, nel quale Oppo ha voluto sintetizzare ciò che l’incontro con il Petrassi uomo, compositore e docente gli aveva lasciato: «ascendenze innegabili, ma difficili da argomentare e da rintracciare nelle mie partiture» (Oppo, 2004, p. 26).
Accanto all’attività di compositore, e anzi intrecciata ad essa, va ricordata quella didattica, che vide Oppo adoperarsi per lo svecchiamento dei programmi di studio, della metodologia didattica e, più in generale, per lo sviluppo di una mentalità musicale moderna e attuale e formare, in un trentennio, una vera e propria ‘scuola’, una nuova generazione (in realtà due e forse addirittura tre) di compositori sardi con forte personalità e con differenti atteggiamenti stilistici, l’uno diverso dall’altro e tutti diversi dal Maestro. La classe di Nuova didattica della composizione, poi conosciuta come Composizione sperimentale, per molti anni fu una sorta di laboratorio, frequentato non soltanto da aspiranti compositori, ma anche da strumentisti, musicologi, studenti di storia dell’arte e di linguistica.
L’atmosfera vivace e la qualità del dibattito fra il docente e gli allievi furono stimolanti anche per Oppo, che piano piano cominciò a individuare la sua Teoria delle unità di articolazione musicali, alla quale incominciò a lavorare, usandola anche a fini didattici, durante gli anni dell’insegnamento e alla cui formalizzazione, rimasta purtroppo incompiuta, fu dedicata la maggior parte del tempo e delle energie degli ultimi anni. Sarebbe dovuto essere un grosso volume dal titolo Segmentazione, unità di articolazione e modelli strutturali della musica, nel quale Oppo, servendosi di numerosi esempi tratti soprattutto dalla letteratura classico-romantica, puntava a dimostrare che il linguaggio musicale si sviluppa attraverso una successione di unità di articolazione di vario livello (dalle più minuscole ed elementari a quelle più ampie e complesse), individuabili grazie alla presenza di chiari segnali iniziali e finali (Oppo, 1984).
Oppo può essere giustamente definito un musicista «organico», nel senso che questo epiteto aveva avuto per Antonio Gramsci prima e per Luigi Nono poi. Infatti nella sua attività musicale si mescolò, davvero gramscianamente, alla vita pratica, facendo non soltanto il compositore e l’insegnante, ma anche il sindacalista, l’organizzatore di attività musicali, l’amministratore dell’Istituzione dei concerti e del teatro lirico di Cagliari intitolata a Giovanni Pierluigi da Palestrina, che per un breve periodo diresse, sempre dimostrandosi fautore di una musica intesa non come privilegio per pochi, ma come strumento di crescita sociale.
Per alcuni anni Oppo ebbe un ruolo attivo nella federazione regionale del Partito comunista italiano, assumendo anche l’incarico di responsabile per le attività musicali. Ma lo spazio per poter incidere concretamente sulla politica musicale regionale era assai ristretto, e di quell’esperienza non rimangono tracce tangibili. Più incisiva fu invece la partecipazione al consiglio d’amministrazione dell’Istituzione dei concerti e del teatro lirico di Cagliari, che negli anni Settanta era la vera sede del confronto fra Democrazia cristiana e Partito comunista sulla politica regionale dello spettacolo. Oppo era consigliere nella sua qualità di segretario regionale del Sindacato Musicisti Italiani, del quale per qualche tempo fu segretario nazionale Goffredo Petrassi, e in un paio di occasioni fu anche il candidato della sinistra per la sovrintendenza, risultando però entrambe le volte sconfitto dal candidato democristiano. Ma nel 1977, grazie alla concomitanza di diverse circostanze fortunate, nel consiglio d’amministrazione del Palestrina, nell’impossibilità di trovare l’accordo sul nome di un sovrintendente e per evitare il commissariamento, si raggiunse un compromesso nominando una commissione consiliare di sovrintendenza, formata da due musicisti (Oscar Crepas e Franco Oppo) e da un ‘amministrativo’, l’ingegner Flavio Dessy Deliperi. Grazie al lavoro e all’apertura mentale di quella terna illuminata, e in particolare grazie all’impegno di Oppo, nel 1977 e nel 1978 fu possibile raggiungere un obiettivo straordinario per Cagliari: la realizzazione delle due edizioni delle Giornate di musica contemporanea, un festival internazionale che ebbe grande successo di pubblico e attirò l’attenzione dei maggiori quotidiani italiani.
Chiusa quell’esperienza, per alcuni anni Oppo si adoperò perché le Giornate di musica contemporanea non rimanessero senza seguito e nel 1982 fondò, con alcuni allievi, l’associazione Spaziomusica e il suo festival, del quale fu a lungo il direttore artistico, che nel giro di pochi anni portò a Cagliari compositori importanti come Luigi Nono, Iannis Xenakis, Karlheinz Stockhausen e Mauricio Kagel e nel 1986 ottenne il prestigioso premio Abbiati, assegnato dai critici musicali italiani alla miglior iniziativa musicale, grazie a una serie di concerti e a un convegno internazionale di studi dedicati al tema «Federico García Lorca nella musica contemporanea».
Oppo morì a Flumini di Quartu (frazione di Quartu Sant’Elena) il 14 gennaio 2016, pochi mesi dopo che nell’aula consiliare del Comune di Cagliari, il 2 ottobre 2015, si era tenuta una solenne cerimonia, alla quale aveva partecipato anche il sindaco, per festeggiare i suoi 80 anni.
Il 19 gennaio 2017 il lascito di Oppo, comprendente manoscritti, partiture, schizzi, abbozzi, appunti, lettere, fotografie, manifesti, libri annotati, compact disc, nastri magnetici e tutto ciò di cui si servì per la sua attività musicale, è stato donato dalla moglie e dalle figlie alla Fondazione Giorgio Cini di Venezia, dove, una volta terminata la catalogazione, i materiali saranno messi a disposizione degli studiosi.
A. Trudu, Fra alea e stocastica. “La Musica per chitarra e quartetto d’archi” di F. O. Un esempio di impiego della teoria dell’informazione nella composizione musicale, in Annali della Facoltà di Magistero dell’Università di Cagliari, nuova serie, IV (1980), pp. 67-100; F. Oppo, Per una teoria generale del linguaggio musicale, in Musical grammars and computer analysis, a cura di M. Baroni - L. Callegari, Firenze 1984, pp. 115-130; F. O. “Eleonora d’Arborea”, Poema drammatico in due parti da un testo di Giuseppe Dessì adattato da Marco Gagliardo, programma di sala, Istituzione dei Concerti e del teatro lirico di Cagliari [Cagliari 1986] (con scritti di N. Jotti, F.C. Casula, U. Cardia, A. Trudu, M. Gagliardo, S. Bullegas, G. Dessì e G. Colli); A. Trudu, O., F., in Dizionario enciclopedico universale della musica e dei musicisti. Le biografie, V, Torino 1988, p. 453; F. Oppo, Il sistema dei cunzertus nelle launeddas, in G.N. Spanu, Sonos. Strumenti della musica popolare sarda, Nuoro 1994, pp. 156-161; C. Colomo, Musica colta e musica popolare: l’esperienza di F. O., tesi di laurea, Facoltà di Scienze della formazione, Università di Cagliari, a.a. 1997-98; L. Rotili, F. O. Catalogo dell’opera musicale, tesi di laurea, Facoltà di Lettere e filosofia, Università di Bologna, a.a. 2003-04; G.N. Spanu, Conversazione con F. O., in F. O., Musiche per pianoforte solo e con strumenti, cd-book a cura di M. Carraro - S. Melis - G.N. Spanu, pp. 4-64, Sassari 2004 (con catalogo delle opere e degli scritti e bibliografia; la Conversazione è stata poi ripubblicata parzialmente in Musica/Realtà, 2005, n. 76, pp. 171-187); G. Mattietti, O., F., in Die Musik in Geschichte und Gegenwart. Personenteil, Kassel 2004, XII, coll. 1382 s.; L. Pestalozza, O. 70, in Musica/Realtà, 2005, n. 76, pp. 12-14; A. Trudu, F. O.: il musicista organico, in Insula. Quaderno di cultura sarda, n. 6, 2009, pp. 93-120 (con catalogo delle opere e degli scritti e bibliografia); Id., L’“Eleonora d’Arborea” di Giuseppe Dessì musicata da F. O., in Portales, 2010, n. 11, pp. 84-88; A. Milia, F. O., appunti sulla figura e sullo stile, in Musica/Realtà, 2011, n. 94, pp. 61-92; C. Giglio, F. O. Nuova musica dalla Sardegna, Palermo 2011 (con catalogo delle opere, bibliografia e iconografia); A. Trudu, F. O. Il musicista organico e altri scritti, s.l. 2015; «Ferro con ferro». L’“Eleonora d’Arborea” di F. O., Atti dell’incontro di studi (Oristano, 6 dicembre 2013), a cura di G. Mele, Oristano, in corso di stampa.