PACINI, Franco
PACINI, Franco. – Nacque a Firenze il 10 maggio 1939, da Gualtiero, insegnante di Urbino, e da Elsa Roesch, nata a Baden (Svizzera).
Trascorse gli anni giovanili a Urbino, frequentando il locale liceo classico Raffaello. Nel 1956 conseguì il diploma di maturità con un anno di anticipo, saltando l’ultima classe, e venne ammesso alla Scuola normale di Pisa. Vi rimase tuttavia solo fino al 1957, quando fu congedato a causa di un voto troppo basso all’esame di stechiometria. Passò quindi all’Università degli studi di Roma, dove si laureò a pieni voti in fisica nel 1964.
La sua tesi di laurea, di cui fu relatore Livio Gratton, aveva per oggetto le stelle di neutroni, che sarebbero state qualche anno più tardi anche l’argomento principale dei suoi primi articoli scientifici pubblicati.
Le stelle di neutroni sono oggetti molto compatti, il cui nucleo è costituito principalmente, appunto, da neutroni e che rappresentano uno dei possibili stadi finali dell’evoluzione di una stella. All’epoca in cui Pacini completava i suoi studi universitari, esse erano tuttavia solo oggetti ipotetici e non vi erano prove dirette della loro effettiva esistenza. Di conseguenza, tanto la tesi di laurea quanto i primi lavori di Pacini furono prettamente teorici, con molti riferimenti alla teoria einsteiniana della relatività generale e pochi riferimenti all’interpretazione di dati osservativi.
Dopo la laurea, Pacini continuò le sue ricerche sulle stelle di neutroni all’Institute d’Astrophysique di Parigi e in seguito alla Cornell University di Ithaca, nello Stato di New York, dove rimase dal 1966 al 1973, prima come research associate e poi come visiting professor. Fu a Cornell che lavorò alla sua prima importante e influente pubblicazione – Energy emission from a neutron star – uscita nel 1967 sulla rivista Nature (vol. 216, 1967, pp. 567 s.). Già altri astrofisici in precedenza avevano suggerito un possibile legame tra le stelle di neutroni e le supernove, le gigantesche esplosioni che segnano la fine di alcune stelle di grande massa, portandole a diventare improvvisamente astri luminosissimi nel nostro cielo. In altre parole, si sospettava già (come poi sarebbe stato effettivamente dimostrato) che le stelle di neutroni fossero quanto resta dell’esplosione di una supernova. In particolare, erano in molti a ritenere che una stella di neutroni potesse trovarsi all’interno della cosiddetta nebulosa del Granchio (un resto di supernova scoperto nel 1731 e molto ben visibile nella costellazione del Toro) e che questo spiegasse la notevole emissione di energia che gli astronomi misuravano da quell’oggetto. Nel suo articolo su Nature, Pacini suggeriva un meccanismo fisico per spiegare questo processo: proponeva cioè che all’interno della nebulosa del Granchio una stella di neutroni di recente formazione generasse un intenso campo magnetico e intanto ruotasse su se stessa ad alta velocità, con l’asse magnetico inclinato rispetto all’asse di rotazione. Questo meccanismo poteva appunto spiegare l’emissione di energia dalla nebulosa: l’energia rotazionale persa dalla stella di neutroni viene trasmessa al resto di supernova, provocando l’espansione del guscio che lo avvolge e l’emissione di radiazioni ad alta energia.
L’articolo fu spedito a Nature il 3 ottobre 1967. Poco dopo, in novembre, un gruppo di astronomi dell’Università di Cambridge, guidato da Jocelyn Bell e Anthony Hewsih, iniziò il lavoro di verifica di alcuni segnali anomali scoperti da Bell in luglio. Nel febbraio 1968 lo stesso gruppo pubblicava la scoperta della prima ‘pulsar’, ovvero una stella caratterizzata da una emissione di radiazione elettromagnetica che dalla Terra appare e scompare in modo estremamente regolare, appunto ‘pulsante’. Pacini non parlava di ‘pulsar’ nell’articolo del 1967, per il semplice fatto che queste dovevano ancora essere scoperte. Ma il modello dell’ ‘oscillatore obliquo’ che aveva descritto su Nature per la rotazione delle stelle di neutroni forniva la migliore spiegazione teorica del fenomeno. Le pulsar sono infatti stelle di neutroni che emettono un fascio di radiazioni nella nostra direzione una volta per ogni rotazione, a causa del disallineamento tra l’asse di rotazione e l’asse del campo magnetico. Il fascio è emesso dai poli magnetici della pulsar, che possono essere separati dai poli di rotazione di un angolo anche ampio. Questo angolo rende il comportamento dei fasci, visto dalla Terra, simile a quello di un faro. Ora sappiamo che le onde di alta frequenza (decimetriche e centimetriche) emesse dalle pulsar sono appunto modulate dalla rotazione.
In un articolo di poco successivo, pubblicato nel 1968 sempre su Nature (Rotating neutron stars, pulsars and supernova remnants, vol. 219, pp. 145 s.), Pacini fece un passo in più nella descrizione dei meccanismi elettrodinamici del suo modello e suggerì che l’oggetto al centro della nebulosa del Granchio fosse proprio una pulsar. La sua intuizione fu confermata alla fine di quell’anno, quando una sorgente pulsante con un periodo di appena 33 millisecondi venne associata in modo inequivocabile alla nebulosa del Granchio.
Da quel momento in poi Pacini venne riconosciuto come un esperto di livello mondiale su pulsar e stelle di neutroni, e in generale sull’astrofisica degli oggetti altamente compatti e delle sorgenti di alte energie. Il suo lavoro seguì negli anni successivi due vie parallele: da un lato, continuò a sviluppare il modello descritto nell’articolo del 1967, aggiungendo aspetti cruciali e studiando la demografia delle pulsar, l’evoluzione nel tempo del loro campo magnetico, l’emissione di radiazione in bande di frequenza diverse da quella radio. Dall’altro, esplorò la possibilità di utilizzare il meccanismo alla base delle pulsar per spiegare fenomeni in altri ambiti dell’astrofisica delle alte energie: per esempio, i lampi di luce gamma o gamma-ray burst, allora appena scoperti, o l’emissione infrarossa delle galassie superluminose.
Il lavoro di Pacini su questi temi ha lasciato molte importanti tracce sulla conoscenza astrofisica attuale: ora, per esempio, i lampi di luce gamma vengono talvolta associati alle ‘magnetar’, la variante supermagnetica delle pulsar.
Un altro contributo fondamentale Pacini lo diede nel 1975, con un articolo scritto in collaborazione con l’astronomo statunitense Martin Harwit (Infrared galaxies - Evolutionary stages of massive star formation, in Astrophysical Journal, vol. 200, pp. L127-L129), in cui suggeriva che le galassie che hanno un’emissione di radiazione particolarmente intensa nella lunghezza d’onda dell’infrarosso corrispondano a uno stadio evolutivo durante il quale si formano molte stelle di grande massa: altra previsione teorica che in seguito le osservazioni empiriche hanno pienamente confermato e che è alla base dell’interpretazione attuale delle cosiddette galassie starburst, caratterizzate da un processo di formazione stellare straordinariamente intenso e violento.
Forte della reputazione garantita dal suo lavoro di ricerca, nel 1975 Pacini assunse il primo importante incarico di tipo organizzativo: diventò responsabile della neonata divisione scientifica dello European Southern Observatory (ESO), allora a Ginevra, incarico che tenne per tre anni.
L’ESO era nato come organizzazione internazionale nel 1962, riunendo diversi paesi europei attorno al progetto della costruzione e gestione di un grande osservatorio astronomico nell’emisfero meridionale, in Cile. Pacini si fece tra l’altro portavoce della necessità di un ingresso dell’Italia nell’organizzazione, per consentire alla comunità scientifica italiana di accedere alla strumentazione e ai telescopi più avanzati e allo studio del cielo dell’emisfero meridionale. L’ingresso italiano sarebbe diventato realtà solo nel 1982 e Pacini fu sempre una forza determinante nel lungo negoziato che portò a questo risultato. In seguito Pacini rimase a lungo rappresentante scientifico italiano nel Consiglio dell’ESO e fu anche presidente dello stesso Consiglio per un biennio, tra il 1991 e il 1993.
Nel 1978, colse al volo l’occasione di ritornare a lavorare in Italia, accettando una cattedra come professore ordinario all’Università di Firenze, e soprattutto il ruolo di direttore dell’osservatorio di Arcetri, che per 13 anni sarebbe rimasto il suo ‘regno’. All’epoca, l’osservatorio di Arcetri era considerato soprattutto un centro di eccellenza per la ricerca sulla fisica solare ma Pacini si mise subito al lavoro per ampliare le attività di ricerca ad altri campi dell’astrofisica, che in quegli anni conosceva un grande sviluppo: la fisica solare fu così affiancata da astrofisica delle alte energie, astronomia infrarossa, formazione stellare, astronomia extragalattica, radioastronomia. Fondamentale fu poi la decisione, anch’essa dovuta a Pacini, di coinvolgere l’osservatorio di Arcetri nella costruzione del Large Binocular Telescope (LBT) in Arizona, che sarebbe entrato in funzione nel 2005.
Con i suoi due specchi di 8,4 metri di diametro su un unico telaio meccanico, LBT era all’epoca il più grande telescopio ottico al mondo. Il contributo di Pacini al progetto (la cui costruzione richiese quasi 10 anni) fu determinante. Dal lavoro su quel progetto nacque la specializzazione tuttora esistente dell’osservatorio di Arcetri nella tecnologia delle ottiche adattive, un sistema che permette di modificare in tempo reale la curvatura degli specchi di un telescopio per correggere le distorsioni causate dall’atmosfera e ottenere quindi immagini e dati con maggiore risoluzione e precisione. Grazie a quello sforzo, guidato da Pacini, negli anni successivi l’osservatorio di Arcetri sarebbe stato coinvolto anche nella realizzazione dei sistemi di ottiche adattive per i successivi supertelescopi costruiti dall’ESO in Cile, come il Very Large Telescope (VLT) e l’E-ELT (European Extremely Large Telescope) attualmente in fase di realizzazione.
Durante gli anni Ottanta, Pacini fu anche tra i promotori di una importante riforma degli osservatori astronomici in Italia, elaborata per il ministero dell’Università e della Ricerca scientifica e tecnologica da una commissione formata dallo stesso Pacini, Leonida Rosino e Giancarlo Setti ed entrata in vigore nel 1982.
A seguito di quel provvedimento, gli osservatori astronomici divennero enti autonomi di ricerca, sotto il coordinamento del Consiglio delle ricerche astronomiche: era il primo passo di quella sistemazione organizzativa della disciplina che anni più tardi, nel 2001, avrebbe portato alla nascita dell’Istituto nazionale di astrofisica (INAF), sotto il cui ombrello sarebbero stati riuniti gli osservatori.
Di quegli anni è anche il progetto, caldeggiato tra gli altri da Pacini, del Telescopio Nazionale Galileo alle Canarie, che doveva mettere a disposizione della comunità astronomica italiana uno strumento competitivo con i grandi osservatori internazionali, tecnologicamente il gemello del NTT (New Technology Telescope) costruito dell’ESO in Cile. Il TNG fu inaugurato nel 1998.
All’attività scientifica, Pacini affiancò sempre una intensa opera di divulgazione dell’astronomia. Girava l’Italia per tenere conferenze pubbliche, pubblicava frequentemente articoli su giornali e riviste, partecipava a trasmissioni televisive e dedicava grandi energie alle attività con le scuole.
Nel 2001, anno in cui lasciò la direzione dell’osservatorio di Arcetri, divenne presidente dell’International Astronomical Union (IAU), carica che mantenne fino al 2003.
Fu proprio Pacini, all’Assemblea generale della IAU a Sydney nel 2003, a lanciare la proposta di dichiarare il 2009 (quattrocentesimo anniversario delle prime rivoluzionarie osservazioni al telescopio di Galileo Galilei) ‘Anno internazionale dell‘Astronomia’. Era stupito, infatti, che vi fossero state celebrazioni mondiali per ricordare la scoperta di un continente (quello americano) della Terra e che invece non si tenessero simili celebrazioni per ricordare il momento della scoperta dell’immensità dello spazio e dell’innumerevole varietà e complessità degli oggetti astronomici in esso contenuti. L’idea di Pacini si trasformò in progetto ambizioso che ottenne il patrocinio dell’UNESCO e infine l’approvazione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel dicembre 2007.
L’Anno internazionale dell’Astronomia fu un grande successo mondiale. Davanti all’Assemblea generale della IAU di Rio de Janeiro nell’agosto 2009, Pacini venne invitato a tenere la conferenza generale; accettò malgrado la malattia che lo aveva colpito non gli permettesse di essere completamente indipendente nei movimenti. Davanti a un pubblico di 2500 persone parlò dell’argomento che più amava, L’eredità di Galileo, e concluse citando una frase di Seneca: «Se le stelle fossero visibili soltanto da un posto sulla Terra, tutti vorrebbero andarci per vederle».
L’attività scientifica e gestionale di Pacini gli valse i più alti riconoscimenti dello Stato Italiano. Nel 1997 ricevette il premio della presidenza del Consiglio per la scienza e nel 2001 fu nominato commendatore della Repubblica dal presidente Carlo Azeglio Ciampi. Nel 2002 fu dichiarato cittadino onorario della città di Urbino, in cui aveva passato gli anni della giovinezza, e a lui fu dedicato l’asteroide 25601Francopacini, scoperto nel 2000. Ricevette il Premio Borgia dell’Accademia nazionale dei Lincei (di cui era socio nazionale) e il Fiorino d’Oro del Comune di Firenze.
Pacini era sposato dal 1966 con Rosemary Winterer, insegnante, nata a St. Louis (Missouri, USA), da cui ebbe tre figli: Giulia, Tommaso e Giorgio.
Colpito negli ultimi anni di vita dal morbo di Parkinson, morì il 26 gennaio 2012 a Firenze a causa di complicazioni della malattia. È sepolto nella tomba di famiglia a Urbino.
Pacini resta una delle figure chiave dell’astrofisica italiana del dopoguerra. In oltre cinquant’anni di carriera scientifica e gestionale, ha contribuito in modo determinante allo studio dei fenomeni di alta energia dell’Universo, all’organizzazione della ricerca astrofisica in Italia e al suo consolidamento internazionale, nonché alla divulgazione dell’astronomia presso il grande pubblico.
Opere: tra i lavori più significativi, oltre a quelli citati: Magnetic field decay in a neutron star and the distribution of pulsar periods, in Nature, 1969, vol. 224, p. 160; The secular decrease of optical and X-ray luminosity of pulsars, in Astrophysical Journal, 1971, vol. 163, pp. L17-L19; Radio halos around old pulsars - Ghost supernova remnants, con R.D. Blandford - J. P. Ostriker - M.J. Rees, in Astronomy and Astrophysics, 1973, vol. 23, pp. 145 s.; On the evolution of supernova remnants. Evolution of the magnetic field, particles, content, and luminosity, con M. Salvati, in Astrophysical Journal, 1973, vol. 186, pp. 249-266; Possible models for some transient X-ray sources, con S.L. Shapiro, in Nature, 1975, vol. 255, pp. 618 s.; Radio emission from very young supernova remnants - The case of SN 1979c, con M. Salvati, in Astrophysical Journal, 1981, vol. 245, pp. L107 s.; A synchrotron model for the X-ray emission from supernova 1987A, con R. Bandiera - M. Salvati, in Nature, vol. 332 (1988), pp. 418 s.; ll nostro amico E.T., con L. Albanese, Milano 2003; In giro fra le stelle, con L. Albanese, Milano 2003; Verso le galassie lontane, con L. Albanese, Milano 2003; Visitiamo i pianeti, con L. Albanese, Milano 2003.
Fonti e Bibl.: Necrol.: https://aas.org/obituaries/ franco-pacini-1939-2012; http://www.lescienze.it/ news/2012/01/26news/la_scomparsa_di_franco_pacini-817072/; http://www.media.inaf.it/2012/01/26/ franco-pacini-1939-2012.