PIGA, Franco.
– Nacque a Roma il 18 marzo 1927 da Luisa Bonnard e da Emanuele, magistrato sardo presidente di Sezione della Corte di Cassazione e poi presidente onorario della stessa Corte. Emanuele fu poi eletto giudice della Corte costituzionale ma non riuscì a esercitare la carica a causa dei ritardi del Parlamento nella designazione dei membri di propria competenza. Seguendo l’esempio e la volontà del padre, Franco Piga intraprese gli studi in giurisprudenza e si laureò in legge alla Sapienza a 21 anni. Fu allievo del capo provvisorio dello Stato e primo presidente della Repubblica, Enrico De Nicola, che lo avviò allo studio del diritto amministrativo. Iniziò quindi la carriera in magistratura come pretore e, dopo un anno trascorso all’ufficio studi della Corte costituzionale, nel 1958 superò il concorso per l’ammissione al Consiglio di Stato, di cui divenne presidente di Sezione.
Cominciò allora a prestare i suoi servigi allo Stato mettendo in luce una non comune conoscenza dei meccanismi dell’amministrazione pubblica e alternando i numerosissimi impegni pubblici all’insegnamento presso la Scuola superiore della pubblica amministrazione di Caserta e, dal 1980, presso la facoltà di giurisprudenza della Libera università internazionale degli studi sociali (Luiss) di Roma. Fu autore di numerose pubblicazioni di diritto civile, amministrativo e del lavoro, contribuendo anche ai volumi dell’Enciclopedia del diritto e co-dirigendo la rivista Foro amministrativo.
Partendo dall’osservatorio privilegiato del Consiglio di Stato, Piga riuscì a snodare la sua precoce carriera tra i ministeri del Tesoro come capo ufficio legislativo, dell’Industria come capo di gabinetto, poi dei Lavori pubblici e in ultimo fu accanto al ministro per la Marina mercantile. Da qui Piga fece il suo ingresso nell’entourage della più alta carica di governo, guidando il gabinetto della Presidenza del consiglio nei cinque esecutivi del democristiano Mariano Rumor tra il 1968 e il 1974. Al termine del quinto governo Rumor fu nominato presidente del Crediop (Consorzio di credito delle opere pubbliche) e dell’Icipu (Istituto di credito per le imprese di pubblica utilità), poi assorbito dal primo. In queste cariche, che mantenne fino al 1980, Piga si confermò uomo affidabile e competente al servizio delle istituzioni. La sua disponibilità a rispondere sempre all’appello dei partiti e del Paese non gli risparmiò però le critiche di chi lo tacciava di essere passato, con troppa facilità e con la benedizione dell’establishment democristiano, dall’essere consigliere di Stato alla presidenza di istituti di credito pubblico. Da più parti venne commentata all’epoca la poca correttezza di una nomina che finiva per confondere in un unico ruolo controllore e controllato.
Al termine di quel mandato, che per Piga costituì un vero e proprio trampolino di lancio, la comprovata padronanza dei meccanismi amministrativi e la sua indiscussa competenza giuridica lo resero il candidato ideale per guidare i tentativi di riforma della macchina burocratica dello Stato, che il mutato clima dei primi anni Ottanta stava sollecitando. Venne così prima designato vicepresidente nella Commissione di riforma delle partecipazioni statali, e subito dopo presidente della Commissione di riforma dell’amministrazione centrale dello Stato.
I servizi offerti e i risultati raggiunti lo portarono quindi, nel marzo del 1984, alla nomina da parte del governo Craxi alla presidenza della Consob (Commissione nazionale per le società e la Borsa), che aveva sede a Roma e a dieci anni dalla fondazione scontava ancora l’assenza di una volontà politica che considerasse seriamente la possibilità di utilizzare il mercato come strumento di finanziamento per le imprese. Come quarto presidente della Consob, Piga sostituiva il dimissionario Vincenzo Milazzo in uno dei momenti di maggior discredito della pur giovane esistenza dell’istituto di controllo. Lo stesso arrivo di Piga non fu privo di polemiche, dato che la sua nomina avvenne contemporaneamente a quella che confermava il socialista Nerio Nesi alla Banca nazionale del lavoro (BNL). I due partiti coinvolti, Democrazia cristiana (DC) e Partito socialista italiano (PSI), non nascosero l’intesa raggiunta per spartirsi le due cariche, senza riguardi per l’autorità del ministro del Tesoro a cui competeva la designazione alla presidenza della BNL. I giornali, in particolare quelli più vicini alla comunità degli affari, non risparmiarono censure all’evidente scambio di poltrone tra i due partiti, mentre sia dall’opposizione sia dall’interno del fronte che ne aveva sostenuto la candidatura (Giovanni Goria) non mancarono pesanti accuse.
Di fatto, la scelta di Piga alla presidenza della Consob rispondeva anche alla necessità di ristrutturare l’organismo di vigilanza proprio nel momento in cui si stava avviando una nuova fase di sviluppo della Borsa dopo decenni di opacità, arretratezza e stagnazione. Oltre alla grave crisi di reputazione, l’istituto di via Isonzo non disponeva ancora un’organizzazione tale da permettergli di svolgere pienamente i suoi compiti, che restavano confusi e non privi di potenziali conflitti in quanto almeno altre due istituzioni erano impegnate a controllare le attività di Borsa: la Banca d’Italia e l’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni (ISVAP). Piga quindi si impegnò subito nel far assumere alla Commissione la struttura di una vera e propria authority indipendente. Già nel primo anno di mandato riuscì a riordinare il meccanismo di funzionamento della Consob, sancito dal Parlamento con la legge del 23 maggio 1985. Questa riforma spinse la Borsa italiana verso il modello internazionale prevalente di crescente attività dello scambio azionario. Il merito di Piga fu l’attribuzione alla Commissione di una maggiore autonomia nei confronti sia del Tesoro che della Banca d’Italia, e della piena personalità giuridica di magistratura economica grazie alla trasformazione in ente d’interesse pubblico ma di diritto privato. La riorganizzazione coinvolse le stesse strutture interne della Consob. Il personale fu finalmente articolato in un organico di 150 addetti, soggetti al trattamento contrattuale riservato ai dipendenti della Banca d’Italia. Altra novità di rilievo fu l’introduzione del direttore generale, incarico che Piga affidò a Corrado Conti, collaboratore fidato con cui aveva condiviso gli anni al Crediop.
L’enfasi posta sulla trasparenza delle operazioni impose la scelta di un adeguamento tecnologico della Borsa italiana, introducendo strumenti telematici per osservare in tempo reale lo svolgimento delle operazioni sul mercato. Secondo la sua visione il nuovo programma informatico avrebbe determinato un conseguente cambiamento strutturale del sistema nazionale degli scambi, allora composto di dieci diverse piazze distribuite su tutto il territorio italiano. D'altronde, Piga affermò con convinzione il superamento della distinzione tra ruolo tecnico e politico, e imputò sempre al primo una condizione di necessità per esercitare il secondo. Fu così lo strumento tecnico più che la ragion politica a permettere l’unificazione dei mercati borsistici nazionali, nella prospettiva di un’autoregolazione dell’unico mercato telematico per mezzo della nuova tecnologia. La conversione telematica della Borsa in un unico listino orden-driven non fu tuttavia opera semplice. Piga dovette impegnarsi a lungo per tessere la rete di relazioni che permise la realizzazione dell’operazione, coinvolgendo banchieri e finanzieri, come l’amministratore delegato del Credito italiano, Lucio Rondelli. Piga si mostrò sempre abile nel cucire alleanze politiche e imprenditoriali a sostegno delle sue azioni. Non a sproposito quindi si possono leggere le parole espresse da Eugenio Scalfari su di lui, definito come uomo che preferì sempre la mediazione e la compensazione tra i diversi interessi «mentre il suo compito dovrebbe essere quello dell’arbitro giusto, ma severo, capace di imporre a tutti gli operatori il rispetto delle regole» (cit. in Sunseri, 1988, p. 213).
Altri aspetti della riforma del mercato mobiliare furono gli aumenti di capitali, sottoposti da allora all’approvazione del ministro del Tesoro per importi superiori ai dieci miliardi di lire, la contrattazione per tutti gli scambi, e la tutela dell’azionariato di minoranza in occasione della cessione del controllo delle società. Per quest’ultima specie si avviò l’introduzione dell’obbligo dell’Offerta pubblica di acquisto (Opa).
Se da un lato l’atteggiamento di mediatore e grande manovratore d’interessi contrapposti risultò utile a Piga per compiere importanti riforme nell’ambito della Consob (per le quali gli furono riconosciuti i sicuri meriti di grande organizzatore della 'macchina pubblica'), dall’altro la gestione assai influenzata dalla visione personale del presidente non lo sottrasse alle insinuazioni di chi lo accusava di un operato orientato soprattutto dagli interessi dei partiti e di carriera. Infatti, dopo solo tre anni passati alla guida dell’istituto di via Isonzo, Piga tornò a sovrapporre la carriera di funzionario dello Stato con ruoli diversi e apparentemente incompatibili, questa volta di natura politica.
Dapprima, nel 1987, accumulò all’incarico di presidente della Consob il suo primo ruolo di governo in veste di ministro dell’Industria, commercio e artigianato nel sesto e ultimo esecutivo di Amintore Fanfani, peraltro un governo tipicamente 'balneare' secondo la vulgata giornalistica italiana, ovvero destinato a protrarre la legislatura fino all’estate in attesa dello scioglimento delle Camere, cosa che puntualmente avvenne nel luglio dello stesso anno a conclusione della IX legislatura. Se l’esperienza come ministro tecnico non ebbe il tempo di ripercussioni concrete, segnò invece la svolta politica della sua carriera. Nello stesso 1987 si candidò infatti alla Camera e fu eletto deputato nella circoscrizione di Milano, pur avendo svolto tutta la sua carriera nelle sedi romane. La scelta del collegio elettorale fu ragione di aspre controversie: la convenienza pareva essere connessa alle frequentazioni milanesi intrecciate in qualità di presidente della Consob, ovvero con molte delle società quotate nella Borsa su cui il suo organismo avrebbe dovuto garantire la vigilanza. Forti critiche lo investirono ancora quando, una volta conclusi i trenta giorni di sospensione per lasciare uno dei due incarichi, tornò sui suoi passi e, il 6 agosto 1987, si dimise da deputato per rientrare alla guida della Commissione di vigilanza.
I più avversi sostennero che fu la mancata conferma di un posto all’interno del governo a farlo retrocedere, ancora ostacolato dal suo avversario interno al Partito, Giovanni Goria, chiamato per la prima volta a formare l’esecutivo. La conferma del mandato di Piga, sostenuta anche da Ciriaco De Mita, allontanò inoltre il rischio di uno scontro tra i partiti per la carica più alta della Consob, che vedeva concorrere il commissario 'anziano' Bruno Pazzi, e il commissario di fresca nomina Mario Bessone, legato al ministro del Tesoro socialista Giuliano Amato.
Al netto di tutte le polemiche rimase la gestione personalistica dell’istituto a macchiare la buona opera di riorganizzazione seguita alla grave crisi attraversata dalla Commissione nel corso delle gestioni precedenti. Forse il caso più delicato che passò tra le mani di Piga durante la presidenza dell’istituto fu quello relativo alla Ferruzzi, nel 1988, quando il titolo registrò secondo la stampa due giorni di andamenti sospetti. Piga difese l’operato della Consob ricordando come l’istituto fosse deputato alla vigilanza e non all’intervento diretto sul mercato, mentre doveva essere proprio capacità interna del mercato il riconoscere e isolare un’operazione non conforme. L’affare tra il gruppo Ferruzzi e l’Eni per dare vita a Enimont, la più rilevante operazione di fusione e alleanza tra la chimica privata e quella pubblica, segnò alcune delle pagine più difficili della Commissione. Nello stesso periodo il nome di Piga ricorreva nelle cronache legate al passaggio, poi fallito, de L’Espresso al gruppo Mondadori. Tuttavia, nonostante il momento particolarmente delicato, Piga accettò nuovamente di lasciare la guida della Consob allorquando il presidente della DC, Arnaldo Forlani, lo invitò a occupare la poltrona di ministro delle Partecipazione statali in sostituzione del dimissionario Carlo Fracanzani. I socialisti rilanciarono la candidatura di Mario Bessone per dare un cambio di passo all’istituto alle prese con il caso Enimont, ma come nell’occasione precedente fu Bruno Pazzi, sostenuto da Giulio Andreotti, a sostituire Piga alla presidenza dell’istituto di via Isonzo.
Piga si insediò come ministro delle Partecipazioni statali il 27 luglio 1990 e già a settembre relazionò sulle attività degli enti pubblici. Con la consueta competenza in ambito amministrativo riconobbe e segnalò le incongruenze del farraginoso meccanismo delle Partecipazioni statali, evidenziando l’ambiguità di ruolo di un ente di gestione che non indicava, se non raramente, i fini da perseguire e le attività da svolgere. Questo vuoto era stato responsabile, secondo Piga, della vaghezza della strategia industriale dell’intero Paese, avviato allora a un progressivo declino del modello industriale che era stato alla base della crescita economica nei decenni precedenti. Sulla scia di quanto già aveva fatto al suo insediamento in Consob, aprì quindi la strada per una riforma indirizzata verso una maggiore indipendenza degli enti nella prospettiva di rafforzare l’economia italiana.
Il tempo però fu ostile al progetto di riforma, e altri problemi più urgenti finirono per occupare i primi mesi di attività del ministro, che finì per ritrovarsi di nuovo alle prese con il caso Enimont. Dovette affrontare da subito la questione dello scioglimento della joint-venture con quote identiche tra l’Eni e la Montedison-Ferruzzi di Raul Gardini e sostenne quindi la necessità di un programma di ristrutturazione della società, valutandone il suo scioglimento definitivo, da lui firmato il 5 settembre 1990. Lo stesso Piga rimase impigliato nell’aggrovigliata vicenda giudiziaria che ne seguì, quando emerse che sua moglie Teresa, che aveva sposato nel 1950, era stata destinataria di una quota di quattrocento milioni di lire in Cct (Certificati di credito del Tesoro) come parte della 'maxi tangente' ai partiti ottenuta dalla sopravalutazione della cessione di Enimont.
Pur nella tempesta di uno dei maggiori scandali finanziari e politici italiani, la carriera di Piga raggiunse finalmente il ruolo di governo a cui da tempo ambiva. Ma questa fu di nuovo bruscamente e definitivamente interrotta dopo soli cinque mesi, quando Piga morì a seguito di un infarto, il 26 dicembre 1990, a Cortina d’Ampezzo, dove abitualmente trascorreva le vacanze natalizie con la famiglia. La morte non coincise tuttavia con la fine del suo coinvolgimento nell’affare Enimont: a sei anni di distanza la Procura di Belluno aprì un’inchiesta per accertarne i presunti collegamenti con le altre 'morti eccellenti' (Gabriele Cagliari e Raul Gardini) dei protagonisti della vicenda Enimont. Nulla di certo è stato trovato per sostenere tali sospetti, ma ancora oggi non si è fatta piena luce sulle ragioni che portarono Piga a firmare il provvedimento che pose fine all’industria chimica italiana. Non mancarono tuttavia gli elogi di tanti colleghi ed estimatori, che lo ricordarono per l'impegno in magistratura, la vocazione di uomo di Stato e le importanti innovazioni amministrative (cfr. Cannada-Bruscoli, 1990; Studi in memoria di Franco Piga, 1993).
Opere. Pubblico e privato nella dinamica delle istituzioni, Milano 1985.
Fonti e Bibl.: Il chi è? nella vita economica, Varese 1972, ad vocem; CONSOB Commissione Nazionale per la Società e la Borsa, Roma 1985, passim; E. Cannada-Bruscoli, In ricordo di F. P., in Foro amministrativo, LXVI (1990), 11-12, pp. 1-3. Gli articoli giornalistici sull'attività di Piga sono numerosi, qui si segnalano quelli del Corriere della sera (F. P. presidente della Consob, 21 gennaio 1984; I radicali accusano P. nuovo presidente Consob, 22 gennaio 1984; Goria ancora polemico sulla nomina di P., 17 febbraio 1984; La Consob affronterà subito un’altra riforma della Borsa, 16 marzo 1984; P. vuole riformare la Borsa con l’innovazione tecnologica, 19 giugno 1985; La rivoluzione di P., 21 febbraio 1987; P., un ritorno amaro. E alla Consob è polemica, 8 agosto 1987; P. si difende e la Consob va a caccia degli speculatori, 4 febbraio 1988; Consob, la storia si ripete. Il timone affidato a Pazzi, 28 luglio 1990; P., una difficile successione, 28 dicembre 1990); de Il Sole 24 ore (Enimont, sotto il segno di P. riprende il confronto tra i partner, 2 agosto 1990; Andato a vuoto l'ultimo tentativo di P. per salvare la convivenza tra i due partner. In frantumi l'alleanza su Enimont. Montedison attende l'offerta, 13 settembre 1990; Esame Cagliari allo staff Enimont. Coda polemica Piga-Montedison, 29 novembre 1990; E con P. finì la guerra chimica, 28 dicembre 1990; Un politico realista che sapeva mediare, 26 gennaio 1991); de La Repubblica (Accordo Mondadori-Espresso, 11 aprile 1989; Un abile e accorto mediatore 'Grand Commis' di Stato e partiti, 27 dicembre 1990; La morte di F. P. mistero di tangentopoli, 9 agosto 1996); e P., un tecnico in prestito alla politica, in La Stampa, 27 dicembre 1990.
Studi in memoria di F. P., I, Diritto costituzionale e amministrativo, II, Diritto civile commerciale economia e finanza varie, Milano 1993; N. Sunseri, Piazza Affari. Storia della Borsa, Milano 1998; G. Siciliano, Cento anni di borsa in Italia. Mercato, imprese e rendimenti azionari nel ventesimo secolo, Bologna 2001; R. Quattrociocchi, Emanuele Piga, biografia di un magistrato, in Le Carte e la Storia, 2009, n. 1, pp. 153-166; F. Cavazzuti, Bricolage nei quarant’anni della Consob e dintorni, in Moneta e Credito, 2015, vol. 68, n. 272, pp. 419-458. Si ringrazia Matteo Landoni per la ricerca bibliografica e la gentile collaborazione.