COPPÉE, François-Édouard-Joachim
Poeta francese, nato a Parigi il 12 gennaio 1842 e ivi morto il 23 gennaio 1908. Il poeta di Les Humbles ebbe, sul finire del secolo, fama, più che francese, europea; ed oggi è, anche nel suo paese, quasi un dimenticato. Ma è un oblio, forse, ingiusto. Il C. ha saputo esprimere, nella parte più originale della vasta opera sua, la poesia, o almeno l'aspirazione alla poesia, delle vite ordinarie, dei destini grigi, delle anime mediocri. Poeta borghese, anzi piccolo borghese, egli cammina leggiero sull'orlo del prosaismo, sorretto nei passi più difficili da un senso della misura e da un naturale accorgimento. A questa qualità interna s'aggiunga una singolare destrezza tecnica, che dà a chi legge l'impressione gradevole dell'esecuzione facile, immediata, naturale: e si avrà la spiegazione, oltre che del largo successo, della stima che al C. attestò più volte un grande artista letteratissimo quale Anatole France. Precisamente quella naturalezza d'espressione, come di poesia parlata, che il France ebbe a lodare, appare il reale pregio e la sola nota veramente caratteristica della sua opera. Di poesia borghese e discorsiva Victor Hugo aveva dato più d'un esempio, dopo le Contemplations e la Légende des siècles, sforzandosi d'umiliare la sua fastosa immaginazione e di castigare la sua sonante eloquenza; ma l'accordo tra il poeta e il suo tema è più spontaneo e pieno nelle liriche migliori del C., discepolo, piuttosto che dell'Hugo, del Sainte-Beuve di Joseph Delorme. Anche si può rilevare che, dopo Baudelaire, nessuno aveva saputo dire in versi la bellezza e la tristezza della grande città, come questo "pâle enfant du vieux Paris", il quale, lungi dall'imitare quell'inimitabile, ritrae bonariamente gli aspetti quotidiani delle strade e dell'umile gente; senza grandezza tragica, ma non senza commozione umana.
Il C. aveva esordito come collaboratore del Parnasse, di quel primo Parnasse, del '66, che fu un vivaio di poeti più che una manifestazione di scuola letteraria; e qualche ambizione parnassiana coltivò anche più tardi, quando già la sua personalità di poeta era giunta a definirsi in contrasto con le tendenze del descrittivismo impassibile. Ma il vero C. è il poeta delle Intimités (1868), degli Humbles ('72), dell'Arrière-saison ('87): che, imitato da molti (anche dallo Stecchetti), ha oggi il suo continuatore in Francis Jammes.
Alcune delle numerose opere drammatiche del C. ebbero al loro momento brillanti successi, e molto contribuirono a diffondere la rinomanza del poeta, anche in Italia, dove pure furono tradotte e rappresentate: Le Passant (1869) un atto fantasioso, alla Musset, che, ridotto da G. Targioni-Tozzetti e G. Menasci a melodramma, fu musicato da Pietro Mascagni (Zanetto); Le Luthier de Crémone ('76); Severo Torelli ('83), tradotto in versi da Enrico Panzacchi; Pour la couronne ('95). Meno notevoli sono le prose: novelle e romanzi assai fiacchi e incolori; grande interesse suscitò soltanto La bonne souffrance (1898) in cui egli narrò la storia del suo ritorno in seno alla chiesa cattolica, espressione tipica di uno stato d'animo dominante di quegli anni, che videro anche la conversione di Brunetière, di Huysmans e di Joergensen.
Bibl.: Anatole France, La vie littéraire, parigi I e III; De Luscure, Fr. C., l'homme, la vie et l'øuvre, Parigi 1889; Gauthier-Ferrières, Fr. C. et son oeuvre, Parigi 1908; H. Schoen, Fr. C. L'homme et le poète, Parigi 1910; F. Jammes, Leçons poétiques, Parigi 1930.