VIÉTE (o de Viette o Vieta), François
Matematico, astronomo e uomo di stato francese, nato nel 1540 a Fontenay-le-Comte nel Poitou, morto a Parigi il 23 febbraio 1603. Terminati gli studî di legge a Poitiers, esercitò l'avvocatura nella sua città natale, fino al 1567; fu poi consigliere al Parlamento di Bretagna dal 1573 al 1582. Nominato maître des requêtes sotto Enrico III, perdette il posto nel 1585, ma fu richiamato presso il re a Tours, dove risiedeva il governo, nel 1589. Dopo l'assassinio di Enrico III, fu confermato nella carica dal nuovo re Enrico IV; riuscí allora a decifrare lettere segrete del governo spagnolo. Entrò col re a Parigi nel 1594 e fece parte del suo consiglio privato. Nell'ottobre 1594 rispose subito alla sfida lanciata ai matematici dall'olandese Adriano Romano, in un libriccino pubblicato in Anversa nel 1593, comunicato al re Enrico IV dall'ambasciatore olandese.
Si ritirò in provincia dal 1597 al 1599 per la sua salute precaria; gli ultimi anni della sua vita furono assorbiti quasi per intero dai doveri della sua carica.
Il V. è il più grande matematico francese del sec. XVI. Le sue opere ebbero un'enorme influenza in tutta Europa, se non gli si debbono grandi scoperte, paragonabili a quelle dei suoi contemporanei M. Stevin, Keplero e Galileo, dobbiamo a lui perfezionamenti notevoli dei metodi del calcolo. Imbevuto di cultura classica, fu subito attratto dalla risonanza profonda che avevano avuto in Europa le edizioni e le traduzioni dei matematici greci, soprattutto quelle di Pappo (tradotto da Commandino, Pesaro 1567) e Diofanto (tradotto da Xylandro, 1575). Le opere degli algebristi italiani (che durante il sec. XVI si erano diffuse da Lione nella Francia meridionale), soprattutto l'Ars Magna di Cardano (2a ed. 1570) e l'Algebra di R. Bombelli (1572), gli avevano dato modo di capire Diofanto. Con ragione il V. afferma (1591) di aver creato una nuova scienza, che egli chiama logistica speciosa, cioè il calcolo letterale o algebrico (opposto alla logistica numerosa o calcolo aritmetico), che dà ai ragionamenti dei matematici una maggior generalità. È giusto però osservare che proprio nell'ultima pagina della Regula Aliza (1570) Cardano scrive già la formula:
che è forse la prima formula algebrica stampata. Calcoli algebrici si trovano già nel commento del bizantino Planude ai primi due libri di Diofanto, tradotti ed incorporati nella versione di Xylandro, il quale adopera le stesse lettere corsive maiuscole A, B, G, D, E, ecc., adottate dal V. La scelta delle vocali A, E, I, ecc., per le incognite, e delle consonanti B, G, D per le quantità note di una formula algebrica, indicano il modello greco (Diofanto), che il V. aveva dinnanzi.
Nelle equazioni algebriche egli cerca di conservare l'omogeneità dei termini, non si libera quindi completamente dalla rappresentazione geometrica delle relazioni algebriche, rendendo le formule inutilmente complicate. R. Descartes (1637) riesce a liberarsene, ma tali complicazioni continuano a sussistere fino al principio del sec. XIX, specialmente in trigonometria.
Al V. si deve la prima pubblicazione del teorema che si attribuisce di solito ad A. de Moivre:
a cui perviene generalizzando le equazioni che nascono dalla costruzione dell'ettagono regolare e dell'ennagono regolare, scoperte da G. Cardano e L. Ferrari (le quali sotto forma geometrica, risalgono ad Archimede). Il V. ha il merito di aver pubblicato per primo questo teorema, che era però certamente noto ad Adriano Romano nel 1593.
Al V. spetta altresì il merito di aver intravisto l'importanza del triangolo polare o supplementare in trigonometria sferica (1579). La risoluzione numerica delle equazioni trinomie è stato un passo ulteriore dopo i metodi già dati da Cardano. Infine la ricostituzione di un'opera perduta di Apollonio, sulla costruzione dei circoli tangenti a tre circoli dati, ha risolto un problema, la cui soluzione ebbe grande importanza durante la guerra mondiale del 1914-18, permettendo l'identificazione di un cannone nemico ascoltando il rumore del colpo da tre punti diversi. Infine l'importanza dei lavori astronomici del V., quasi tutti inediti (eccetto i suoi studî sul calendario) è rivelata da una lettera inviatagli da Keplero il 12 luglio 1600 (Kepleri Opera Omnia, III, 25), in cui Keplero spera con ansia di avere una semplificazione dei formidabili calcoli che egli doveva eseguire per determinare dalle osservazioni astronomiche le vere orbite dei pianeti. Nell'opera De Motu Stellae Martis del 1609 (Kepleri Opera, III, 236), sono rilevate le critiche mosse dal V. Copernico. ll titolo di un'opera inedita, rimasta incompiuta, del V., Harmonicon coeleste, pone già il problema di studiare le sezioni coniche ed i loro rapporti con le orbite dei pianeti.
In Francia C.G. Bachet de Méziriac (1621), J. De Beaugrand, P. Fermat; in Olanda, A. Girard; in 5cozia, A. Anderson e J. Hume: in Italia, Marino Ghetaldi, dimostrarono la fecondità dell'opera sua.
Opere: Opera mathematica, Leida 1646.
Bibl.: I. A. de Thou, Historarum lib. CXXIX, Orléans 1620; A. De Morgan, V., in Penny Cyclopaedia, XXII, Londra 1843; Fr. Ritter, V., Parigi 1895; G. Vacca, L'Harmonicon coeleste de F. V., in Comptes Rendus de l'Acad. des sc., ivi 1916, p. 676; I. Klein, Die griechische Logistik und die Entstehung der Algebra; Vieta's Leben, in Quellen und Stud. für Gesch. d. Math., Berlino 1936 pp. 152-198.