Capra, Frank
Regista cinematografico, naturalizzato statunitense, nato a Bisacquino (Palermo) il 18 maggio 1897 e morto a La Quinta (California) il 3 settembre 1991. Convinto sostenitore della centralità del ruolo del regista nel processo produttivo, ma anche dell'efficacia di una regia invisibile che non esibisse la macchina da presa, valorizzando invece la struttura dell'intreccio e la vivacità dei dialoghi, C. volle realizzare storie che coinvolgessero ed emozionassero lo spettatore. Cogliendo gli umori del suo tempo, contrappose quindi alla corruzione del potere politico ed economico la resistenza e la ribellione del singolo, portatore di quei valori tradizionali ritenuti tipici della provincia americana. E trasformò in eroe delle sue commedie a sfondo sociale l'uomo comune, schivo e fragile (preferibilmente interpretato da James Stewart o Gary Cooper), al quale lo stesso F.D. Roosevelt si era rivolto nel suo discorso di insediamento alla Casa Bianca del 1933. Acclamato negli anni Trenta e Quaranta come il regista hollywoodiano più amato dal pubblico, il cui nome era garanzia di un successo confermato dagli Oscar ottenuti (quelli per il miglior film e il miglior regista con It happened one night, 1934, Accadde una notte, e You can't take it with you, 1938, L'eterna illusione, e ancora per il miglior regista con Mr. Deeds goes to town, 1936, È arrivata la felicità, oltre a numerose nominations) e dal favore della critica, è stato successivamente indicato come l'ideatore di un cinema teso a sfruttare il sentimentalismo corrivo e la facile demagogia, caratteristici di quella che venne definita l'era del Capracorn. In realtà, se nei suoi film i conflitti si ricompongono infine in un trionfo di populismo, risulta innegabile l'affiorare di zone meno indagate di sottile disagio e ambiguità che di quell'America da C. tanto amata sembrano rivelare certi lati più oscuri. E proprio questa meno analizzata complessità, nonché la fortuna delle sue formule narrative hanno portato a una rinnovata riflessione critica sulla sua opera e alla rinascita dell'interesse nei suoi confronti, sancite già nel 1982 dal prestigioso Life Achievement Award assegnatogli dall'American Film Institute. Aveva sei anni quando la sua famiglia abbandonò la Sicilia per sfuggire la miseria e tentare una nuova vita negli Stati Uniti. I C. giunsero quindi a Los Angeles, e il futuro regista, malgrado il parere contrario dei suoi, dopo aver frequentato la Manual Arts High School, volle proseguire gli studi presso il California Institute of Technology di Pasadena, ove si laureò in ingegneria chimica nel 1918. Frattanto, scoppiata la Prima guerra mondiale, aveva prestato servizio nell'esercito come sottotenente e, quindi, alla ricerca di un'occupazione stabile, si accostò al mondo del cinema dove per un certo periodo svolse le più diverse attività. Fondamentale si rivelò l'incontro con l'ex attore Walter Montague, divenuto produttore, che nel 1922 gli diede l'opportunità di dirigere il suo primo cortometraggio Fultah fisher's boarding house, da una poesia di R. Kipling. Affiancò quindi Walter Bell come aiuto regista e si dedicò all'attività di gagman, lavorando per Hal Roach e, alla Keystone, per Mack Sennett che lo fece collaborare alla stesura delle gag di Harry Langdon. Il rapporto con l'attore divenne stabile e quando questi passò alla First National, C. lo seguì, scrivendo nel 1926 il soggetto del suo primo lungometraggio Tramp tramp tramp di Harry Edwards, e dirigendolo, in quello stesso anno, in The strong man (La grande sparata, noto anche come L'atleta innamorato e L'uomo più forte del mondo) e, il successivo, in Long pants (Le sue ultime mutandine), film in cui il candore e lo smarrimento del clown lunare Langdon anticipano certi tratti dei futuri personaggi del regista. Passato alla Columbia Pictures nel 1927, dove rimarrà sino al 1939, C. girò alcune opere di routine e altre più interessanti legate al periodo di transizione tra muto e sonoro in cui si intravedono soluzioni narrative e tecniche più mature. Come in Younger generation (1929; La nuova generazione), in cui tratta il tema dell'immigrazione attraverso le vicende di una famiglia ebrea. O in Flight (1929; Diavoli volanti), in cui come nel precedente Submarine (1928; Femmine del mare) e nel successivo Dirigible (1931; Dirigibile), affronta il genere avventuroso. Regista di attori, nei tre film dei primi anni Trenta che videro protagonista Barbara Stanwyck virò decisamente verso un impianto melodrammatico. In particolare in Forbidden (1932; Proibito) i toni morbidi della parte iniziale, tipici della commedia di situazione brillante, s'incupiscono in un crescendo emotivo, e con scelta singolare per C., il pathos della vicenda viene sottolineato da ellissi temporali, primi piani insistiti e da alcuni frenetici carrelli che ne evidenziano il culmine tragico. La scelta di una fotografia più sfumata, per creare un'avvolgente atmosfera esotica, caratterizza invece The bitter tea of general Yen (1933; L'amaro tè del generale Yen), sulla contrastata attrazione tra un affascinante generale cinese e una missionaria. Ma è soprattutto il primo dei film con la Stanwyck a rivelarsi, per varie ragioni, opera chiave nella filmografia del regista. The miracle woman (1931; La donna del miracolo) anticipa infatti sotto più aspetti il più tardo Meet John Doe (1941; Arriva John Doe o I dominatori della metropoli). Centrato sulla spettacolarizzazione della religione, disegna l'inquietante figura di una predicatrice che, come il falso John Doe, mistifica per attrarre le masse, manipola ed è però manipolata da burattinai senza scrupoli, con le folle che bruscamente possono passare dall'adorazione misticheggiante all'odio brutale. Il film costituì anche l'occasione per l'incontro con l'autore del testo teatrale da cui era stato tratto, Robert Riskin, che scrisse poi quasi tutte le opere più importanti del regista. Come Lady for a day (1933; Signora per un giorno), basato sul procedimento comico del rovesciamento e sull'incastro dei generi (in questo caso la commedia-favola innestata sulle atmosfere del gangster film). E, l'anno successivo, It happened one night, storia della figlia viziata (Claudette Colbert) di un miliardario, in fuga dal padre contrario alle sue nozze con un cacciatore di dote, che finirà per innamorarsi di un rude e disincantato giornalista (Clark Gable), figura fondamentale nelle opere di C., che spesso si serve di un titolo di giornale per sintetizzare un evento. In questa commedia on the road, in cui dapprima sui pullman della Greyhound, quindi ricorrendo anche all'autostop, viene attraversata l'America della Depressione, si intrecciano originali motivi narrativi che la renderanno fondamentale modello di riferimento. Soprattutto per il tema del viaggio, sviluppato in tutta la complessità dei suoi significati, compreso quello metaforico di presa di coscienza di sé da parte della figura femminile. E per lo schema che propone l'incontro-scontro tra i due protagonisti (facendone uno dei primi esempi di screwball comedy: v. commedia), e il conseguente consolidarsi della coppia, destinata a superare le incomprensioni secondo la formula definita da S. Cavell, in un celebre saggio, comedy of remarriage, qui inaugurata.Il successo ottenuto rafforzò il prestigio di C., grazie al quale poté portare avanti la sua battaglia nei confronti degli studios, volta a rivendicare l'autonomia del regista in quanto autore del film. Eletto nel 1936 presidente dell'associazione di categoria Screen Directors Guild, appena fondata, in quello stesso anno poté imporre la presenza del suo nome sui titoli di testa di Mr. Deeds goes to town, come ribadito nella celebre autobiografia (The name above the title, 1971), secondo l'esempio dei grandi registi del muto. In realtà, la concezione che C. aveva del cinema come veicolo di storie e non di virtuosismi stilistici, coincide con le caratteristiche della tipica produzione hollywoodiana di quegli anni, ma fu con la scelta dei temi da trattare che egli ribadì sempre la sua indipendenza. Nei suoi film trova così ampio spazio la raffigurazione della donna indipendente e realista, non di rado inizialmente disincantata e cinica, spesso vero motore della storia, pur se talvolta in secondo piano rispetto al personaggio maschile, sognatore e donchisciottesco. Orchestrato su tale contrapposizione risulta infatti non solo Mr. Deeds goes to town, ma anche Mr. Smith goes to Washington (1939; Mr. Smith va a Washington), due delle sue più famose commedie, dalla struttura speculare, entrambe interpretate da Jean Arthur. E se Deeds (Gary Cooper), erede di una fortuna che decide di dividere con coloro che la Depressione ha portato alla rovina, nel processo finale, con il quale i parenti tentano di farlo interdire, si arrocca in un primo momento in un ostinato mutismo, Smith (James Stewart) procede invece a una vera e propria maratona oratoria contro i politici corrotti che vogliono sbarazzarsi di lui, dopo averne sfruttato il candore. E lo fa in una seduta fiume del Senato che C. riprese con tre macchine utilizzate in simultanea per enfatizzarne l'efficacia. Nello schema prediletto, che prevede il costante scontro tra ideali e cinismo, talvolta si aprono però zone di sogno e di fuga. La mitica Shangri-la del drammatico Lost horizon (1937; Orizzonte perduto), contrapposta, grazie alla luminosità che l'avvolge, alle immagini di guerra iniziali, cupe e serrate, e a quelle del disperato viaggio finale. O anche, sul versante opposto della commedia, la casa dei Sycamore di You can't take it with you, vero mondo alla rovescia eccentrico e bohémien in cui scene affollate di personaggi appaiono meccanismi perfettamente bilanciati. Non a caso, però, il primo film realizzato da C. dopo aver fondato con Riskin la Frank Capra Productions, fu proprio il tormentato Meet John Doe, scandito da un bianco e nero drammaticamente contrastato (fotografato da George Barnes, al posto del collaboratore di sempre Joseph Walker). Creato da una giornalista priva di scrupoli (Barbara Stanwyck), l'inesistente John Doe viene impersonato da un giocatore di baseball fallito (Gary Cooper), che riesce a catalizzare su di sé le speranze di tanti forgotten men (pronti a riunirsi in club a lui intitolati), prima di ribellarsi al tentativo di strumentalizzare il movimento da parte di un malvagio boss della stampa. In questa inquietante metafora cristologica si estremizzano le ossessioni di C., mentre tracce di sotterraneo malessere si ritrovano anche in quello che solitamente viene considerato il suo capolavoro, primo progetto realizzato dalla nuova casa di produzione fondata nel 1945 dal regista, la Liberty Films, che però all'uscita non ottenne il successo sperato: It's a wonderful life (1946; La vita è meravigliosa). Costruito come un lungo flashback (la storia del protagonista George Bailey-James Stewart, deciso a togliersi la vita la vigilia di Natale perché ormai sull'orlo del fallimento, viene raccontata in cielo al suo angelo custode Clarence), il film è centrato su un ennesimo eroe del quotidiano. Pronto a sacrificarsi per tutti, costretto a rimanere per sempre nella sua cittadina, Bedford Falls, pur se desideroso di esplorare il mondo, rinuncia infine al suicidio quando Clarence gli mostra quale sarebbe stato il destino dei suoi concittadini se lui non fosse nato. In questa duplice struttura che scorre parallela (la vita di Bailey ‒ la vita senza Bailey) e in cui viene amplificata la dimensione narrativa, il sogno assume i contorni dell'incubo, e il doppio di ogni personaggio, privato dell'eroe di C., si rivela un doppio negativo. Mentre anche il rassicurante finale risulta pervaso da una dolce-amara rassegnazione. Tra i due film, ad accentuare il disincanto del regista, vi erano stati gli anni della Seconda guerra mondiale, durante i quali C., montando materiali essenzialmente di repertorio, aveva realizzato per il War Department la serie di documentari Why we fight (1942-1945), finalizzati a mostrare l'ascesa dei regimi totalitari e le ragioni della partecipazione degli Stati Uniti al conflitto, creando quello che A. Bazin definì, nel 1946, un genere nuovo: "il documentario ideologico di montaggio" (in Qu'est-ce que le cinéma, 1° vol., 1958; trad. it. 1986, p. 24). Nel 1942 aveva inoltre girato la commedia venata di humour nero Arsenic and old lace (Arsenico e vecchi merletti), distribuita nel 1944, adattamento di un testo di J. Kesselring rappresentato con successo a Broadway.L'ispirazione dei film migliori si ritrova in seguito in certi momenti di State of the Union (1948; Lo Stato dell'Unione), e di A hole in the head (1959; Un uomo da vendere), in cui il protagonista risulta caratterizzato da un'inguaribile, disperata immaturità, sullo sfondo di una Miami artificiale, illuminata da colori volutamente accesi. E nell'ambito del palese processo di rimozione delle origini italiane da parte di C., esplicito nelle sue dichiarazioni e letto per lo più come caparbio progetto di integrazione da parte dell'immigrato di prima generazione, appare singolare che il meno 'eroico' dei suoi personaggi sia l'unico italoamericano, con una scelta in realtà dovuta al protagonista (Frank Sinatra) e non al regista. Significativo, inoltre, che prima di abbandonare il cinema, forse per ritrovare coordinate rassicuranti, in ben due casi C. fece ricorso al remake: con Riding high (1950; La gioia della vita), in cui non solo riprende la trama ma anche materiali di Broadway Bill (1934; Strettamente confidenziale), e con il suo ultimo film, Pocketful of miracles (1961; Angeli con la pistola), rifacimento di Lady for a day, entrambi sostanzialmente un omaggio alla sua stessa opera in una ormai stanca autocelebrazione.
R. Griffith, Frank Capra, London 1951.
S. Cavell, Pursuits of happiness. The Hollywood comedy of remarriage, Cambridge (Mass.)-London 1981 (trad. it. Torino 1999, pp. 37-85).
V. Zagarrio, Frank Capra, Firenze 1984.
Ch. Wolfe, Frank Capra: a guide to references and resources, Boston 1987.
L. Lourdeaux, Italian and Irish filmmakers in America, Philadelphia 1990, pp. 130-69.
Frank Capra: authorship and the studio system, ed. R. Sklar, V. Zagarrio, Philadelphia 1998.
J. McBride, The catastrophe of success, New York 2000.