Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nell’intera opera di Wright l’architettura è l’occasione per servire una relazione più originaria con la natura e ristabilire le premesse di una civiltà rinnovata grazie a questo ritrovato legame. In lui si coniugano incredibilmente le premesse utopistiche del nuovo mondo e una modernità formale e tecnologica in grado di contrastare il caos di una modernizzazione senza scrupoli né bellezza. Le sue architetture assecondano e dialogano con il paesaggio circostante, in una relazione tanto vivace quanto spettacolare, come nella Falling Water, la incredibile casa sulla cascata realizzata a Bear Run, o nell’organica spirale del Guggenheim, o ancora nella ricerca di una città possibile teorizzata dalla Città vivente.
Natura e civiltà
Figlio di un predicatore battista, Frank Lloyd Wright nasce a Richland Center, nel Wisconsin. Resterà per tutta la vita profondamente ancorato agli ideali semplici della vita agreste, opposti a quelli del caos urbano. La città gli appare come il male incarnato, che cresce senza tregua e senza regole. Ama la terra e sostiene che l’individuo debba identificarsi con la natura, quasi contro il mondo civilizzato. Alla sua nascita, la popolazione degli Stati Uniti è di 38 milioni e solo un quarto di essi vive inurbato. Quando muore, nel 1959, gli americani sono quasi quintuplicati e tre quarti di essi vivono in città. Wright fa parte di quella minoranza che non si è mossa. Si fa seppellire a Spring Green, a 15 chilometri da dove era nato.
Il tema ambientale è sempre presente nel suo lavoro: le sue architetture dialogano, si adattano al paesaggio circostante, sfruttandone al meglio le forme, le linee, le asperità, in un rapporto portato quasi al limite della rottura negli arditi solai a sbalzo della Falling Water, l’incredibile casa sulla cascata realizzata a Bear Run per i Kaufmann (1936).
Wright non riconoscerà mai a pieno l’influenza esercitata da altre architetture sul proprio lavoro. Il suo rifiuto nasce dall’ideale necessità di conservare il mito romantico dell’artista come creatore unico e solitario. Alla vena individualistica Wright unisce i valori di un’America democratica teorizzata negli scritti di Melville, Whitman, Twain, Jefferson. Trasferisce questi concetti in architettura trovando nell’unità dello spazio, nella sua “continuità”, come amava dire, l’elemento fondante di una “architettura della democrazia”, che trova origine nel suo lieber meister Louis H. Sullivan, ma alla quale assegna un significato più compiuto e profondo.
Il padre abbandona la famiglia quando il giovane Frank ha 15 anni. È dunque la madre, Anna Lloyd-Jones, la figura centrale nella sua formazione: lo indirizza alla carriera di architetto fin da piccolo, accogliendo i sistemi educativi di un pedagogista tedesco, Friedrich Fröbel, promotore di un gioco costituito da semplici cubi geometrici che i bambini combinano per progettare composizioni diverse per mobili, case, complessi urbani... Più tardi Wright riconoscerà quanto questi giochi abbiano contribuito a renderlo sensibile ai rapporti dimensionali fra le forme.
Formazione e apprendistato
Senza l’aiuto economico del padre e investito di nuove responsabilità nei confronti della famiglia, il giovane Frank si fa assumere, come apprendista, da un impresario edile di Madison, Allen Conover, frequentando parallelamente i corsi d’ingegneria civile all’università del Wisconsin. Dopo due anni abbandona entrambi per trasferirsi a Chicago, dove viene accolto dallo zio, il reverendo Jenkin Lloyd-Jones, che gli presenta Lyman Silsbee (1848-1913), l’architetto al quale è affidata la costruzione della nuova chiesa della congregazione. Silsbee impiega uno stile sobrio – traendo dallo stile vittoriano l’uso di rivestimenti in assicelle di legno – e pratico con l’impiego di ambienti esagonali. Wright riceve una fortissima influenza da questo incontro e, neppure un anno dopo, verso la fine del 1887, viene assunto nello studio di Dankmar Adler e Louis H. Sullivan, in questi anni la figura più interessante e in controtendenza nel panorama architettonico di Chicago. Sullivan sostiene una nuova architettura “democratica”, la cui forma si sarebbe sviluppata a partire dai materiali, dalla struttura e dalla funzione, da cui il suo celebre motto form follow function. Lo studio ha appena vinto il concorso per l’Auditorium di Chicago, l’imponente teatro lirico simbolo della nuova capitale culturale del paese, e anche Wright lavora a quest’impresa. La progettazione di grandi edifici non consente allo studio di assolvere le commissioni di case private, richieste da importanti e facoltosi clienti. Così viene chiesto a Wright di occuparsene nelle ore libere, il quale, con l’aumentare delle domande, diventa in breve tempo, e nei successivi cinque anni di permanenza nello studio, l’unico referente per questo tipo di incarichi.
Forma e tecniche
Sono, queste case, le prime realizzazioni personali dell’architetto e già nella Charnley (1891) si colgono i segni di una propria indipendenza progettuale. Si tratta del suo primo edificio scatolare – e ultimo, ricorderà anni dopo dimostrando agli architetti razionalisti che aveva scoperto e abbandonato questo linguaggio con 20 o 30 anni di anticipo su di loro – in mattoni, simmetrico, con finestre disadorne tagliate nella muratura e coperto da una leggera lastra piatta estesa oltre il filo dell’edificio.
In questa fase di formazione convivono soluzioni tratte dall’eclettismo ottocentesco, come pure dal fascino per la cultura giapponese (e prima del viaggio del 1905), con le prime sperimentazioni di articolazione spaziale. Alcuni elementi di origine vernacolare vengono caricati di nuovi significati simbolici, come il tetto aggettante, tipico dei sobborghi di Chicago, utile a riparare il collegamento fra casa e giardino o il fireplace, la collocazione baricentrica del focolare caratteristica della casa americana. Prende forma una tendenza all’orizzontalità, assunta come direzione privilegiata per indicare il legame con la terra dell’architettura americana, all’opposto del verticalismo neoclassico europeo che Wright considera contro natura. Le sue case esprimono il senso di luoghi riposanti, in contrasto con la severità del centro di Chicago, ed evocano l’immagine tradizionale dell’American way of life.
Nel 1890, sposatosi con Catherine Tobin, raggiunge la madre e le sue sorelle nel sobborgo di Oak Park di Chicago, a casa di un amica, Augusta Chapin, che lo introduce alla congregazione dello Unity Temple, fonte di numerosi futuri clienti. Qui, nel 1889, inizia la costruzione della propria casa, il suo edificio più antico rimastoci. Il nucleo originario, riconoscibile nel volume a grandi spioventi rivestito in legno secondo lo stile vittoriano appreso da Silsbee, racchiude all’interno due livelli (zona giorno, al piano terra; zona notte e studio a quello superiore). Nel 1895, con l’allargamento della famiglia e l’aumentare delle commissioni, decide di trasformare l’abitazione e ampliare lo studio, tramite l’uso del bow-window e dell’ottagono. Un ulteriore ampliamento interesserà l’ingresso allo studio per il pubblico nel 1906. Tre anni dopo Wright avrebbe abbandonato la casa e Chicago per trasferirsi stabilmente a Spring Green nel Wisconsin, dopo aver incontrato la sua nuova compagna, la signora Cheney, per il marito della quale, nel 1904, aveva costruito la casa.
Acquista un terreno su una collina, Taliesin (in gallese “colle splendente”), per costruirvi abitazione e studio. Ma il ritorno alla terra segna anche l’inizio di tutta una serie di scandali e di sciagure: terribile quella del 1914 quando moglie, due figli e quattro giovani di studio vengono massacrati da “un negro delle Barbados, improvvisamente invasato” (Autobiografia). Taliesin viene distrutta tre volte e sempre ostinatamente ricostruita in nuove forme, quasi a testimoniare l’invulnerabilità del suo creatore. Anche il sepolcro realizzato per la sua seconda compagna sembra ribadire il concetto: l’impronta di una quercia tolta dal terreno lascia lo spazio per l’iscrizione funebre della Cheney al cui fianco è un’altra quercia, salda al terreno, a simboleggiare se stesso.
Molti degli elementi presenti nei suoi lavori di fine Ottocento, come le case per William H. Winslow (1893), Walter M. Gale (1893), George Frubeck (1897), Rollin Frubeck (1897), anticipano le successive Prairie Houses (1901-1910). Queste costituiscono il primo nucleo di architetture compiutamente wrightiane: l’orizzontalismo è molto più pronunciato, mentre un volume più elevato connota il fireplace interno, attorno al quale ruota tutta una concezione spaziale che invade, ora, anche il paesaggio circostante. Wright imposta i suoi progetti su una maglia geometrica quadrata, rispondente a un passo strutturale prestabilito. Definita la pianta, ragiona su come esprimere plasticamente lo spazio interno all’esterno. Gli schemi planimetrici più diffusi sono a four square, e a girandola o cruciforme (G. Fricke-Martin, Chicago 1901-1907; Ward Willits, Chicago 1902), tuttavia non mancano piante a “L” (Frank Wright Thomas, Chicago 1901; Heurtley, Chicago 1902), che anticipano le future case usoniane. La Robie House (1908-1910) è la più nota fra le prairie e realizzata per un giovane produttore di biciclette che dalla casa voleva “vedere i suoi vicini sul marciapiede senza essere visto” su un lotto angusto a sud di Chicago; Wright adotta in questo caso una pianta a fasce parallele che accentuano l’orizzontalismo della composizione, segnato anche dalla tessitura di speciali mattoni allungati posati in modo da accentuare il commento di malta orizzontale che li aggrega.
In 20 anni, fra il 1889 e il 1909, Wright costruisce qualcosa come 140 case e altri edifici ed elabora 50 altri progetti non costruiti, ma pubblicati e descritti.
In alcuni edifici pubblici di questi anni sperimenta l’uso del cemento armato, tecnica costruttiva che, combinando le caratteristiche statiche del calcestruzzo (noto già ai Romani) a quelle del ferro, consente di coprire grandi spazi e al contempo di essere modellato come nessun altro materiale. Il primo impiego di blocchi cementizi avviene nel Larkin Building a Buffalo (1902-1906), sfortunatamente demolito. La cattedrale del lavoro, come viene ribattezzata per il sacrale interno stretto e alto, è chiusa all’esterno da quattro torri angolari contenenti le scale e gli impianti di ventilazione, le cui semplici e nitide linee volumetriche possono rimandare al viennese Palazzo della Secessione (1897-1898) di Olbrich.
Le ricerche condotte da Wright sul Larking Building vengono riprese nello Unity Temple di Oak Park (Chicago, 1905-1908). Due prismi quasi lisci, terminati da tetti piani fortemente aggettanti e un poco spessi, definiscono le parti del complesso ecclesiastico imperniato su uno schema ad “H”, poi continuamente impiegato dai funzionalisti per risolvere la distribuzione di un edificio multifunzionale: la chiesa a pianta quasi quadrata e la scuola dominicale rettangolare sono collegate tramite un basso collo che funge da atrio d’ingresso comune e assicura la reciproca indipendenza dei percorsi. Differente è l’altezza assegnata ai due ambienti e studiatissima è la resa illuminotecnica. Wright nasconde le fonti luminose dei suoi edifici poiché ritiene che le finestre inficino la stereotomia del volume architettonico. Come nel Larking la luce non proviene solo lateralmente ma anche e soprattutto dall’alto. Solo entrando scopriamo che la spessa lastra del tetto in cemento armato nasconde un gigantesco soffitto a lacunari svuotati al quale sono appesi lampadari per le funzioni serali. È probabilmente la prima volta che Wright sperimenta le possibilità di movimento multidirezionale assieme a una concezione strutturale moderna, in pratica ciò che egli definiva “architettura organica”.
Forme di “architettura organica”
Tra il 1915 e il 1921 trascorre un lungo periodo in Giappone, con la sua nuova compagna Miriam Noel, per seguire il cantiere dell’albergo imperiale di Tokyo. È uno degli edifici meno giapponesi da lui costruiti, mentre appare più evidente il debito con l’architettura Maya (i templi a Chichen Itza nello Yucatan). Proverbiale il sistema strutturale antisismico adottato da Wright che preserva l’edificio dal terremoto del 1923. A partire dagli anni Venti, con il progetto della prima casa Jacobs (1923), e sino agli anni Cinquanta, Wright si dedica allo studio di sistemi costruttivi prefabbricati per edilizia a basso costo ma di alta qualità, destinati alla realizzazione di una nuova forma di utopia democratica per gli abitanti degli Stati del Nord: USONIA ossia United States of North America (con l’aggiunta di una i eufonica). Il perno della composizione della casa usoniana è il workspace, che colloca la casalinga al centro delle attività domestiche. Sottolineato da un setto in muratura più spesso per reggere la struttura del tetto, esso occupa generalmente il centro di una pianta a “L”, che definisce, in un senso, gli spazi delle attività giornaliere, nell’altro le attività del riposo. Il soggiorno può occupare anche metà del piano terreno e avere una parete vetrata a tutta altezza (window wall). Poiché la distribuzione è rettilinea la comunicazione interna fra i vani avviene attraverso corridoi (che Wright preferisce chiamare gallery). Per certi versi il sistema usonian semplifica quello prairie – elimina il seminterrato appoggiando il pavimento su una soletta in cemento armato nella quale ospitare il sistema di riscaldamento radiante; riduce al minimo lo spessore dei muri –, per altri lo complica perché porta a sperimentare impianti impostati su griglie esagonali (casa dei coniugi Hanna, Stanford, 1936 e ss.), triangolari, circolari (come la seconda Casa Jacobs del 1944 che per questo vantava d’una ottimale esposizione solare), faticosissimi da gestire dal punto di vista compositivo. È nell’ambito delle case usoniane, negli anni attorno alla guerra, che Wright comincia a interessarsi alle forme circolari e alla spirale, emblema della continuità spaziale e simbolo del “processo organico”. Se fino a ora la continuità spaziale era stata ottenuta sul medesimo livello, orizzontalmente, con la spirale Wright può realizzarla anche verticalmente, tra piano e piano. Coniuga queste idee nella casa per il figlio David Wright a Phoenix (1950) sebbene l’impiego della spirale abbia a queste date già trovato la sua più riuscita espressione in due più note realizzazioni. La prima è il Morris Gift Shop a San Francisco (1948), la cui incombente rampa a spirale che definisce l’interno genera uno shock inaspettato: la sua presenza è infatti astutamente celata all’esterno da una poderosa lastra in mattoni che ne lascia scorgere appena le linee attraverso un varco di memoria richardsoniana. È nel Guggenheim di New York (1946-1959), sede della collezione di pittura astratta di Solomon R. Guggenheim (1861-1949), che l’elicoide diviene, per la prima volta, architettura: esso informa la concezione spaziale interna e definisce plasticamente l’esterno, come “un’onda che non si frange mai”. La rampa del Guggenheim è molto più complessa di tutte le precedenti poiché il suo sviluppo è ottenuto intersecando due tronco-coni, in modo che l’esterno si espanda verso l’alto e l’interno verso il basso. Il Guggenheim rappresenta a pieno l’ideale di “architettura organica”. Pianta sezione e prospetto si trovavano finalmente fusi in un tessuto tridimensionale di forma, spazio e astrazione: una specie di organismo che si oppone alla brutalità e all’uniformità degli squares newyorkesi.
Mentre realizza il Guggenheim, Wright ultima a Racine, nel Winsconsin, gli edifici amministrativi della Johnson Wax (1936-1939) e si accinge a realizzare la torre dei laboratori (1950). L’elegante rotondità del suo volume è ottenuta tramite un rivestimento in tubi di vetro alternato a fasce di mattoni. Il complesso costituisce una sorta di microcosmo avulso dalla città che orgogliosamente dichiara e reclama la propria anima naturale: negli uffici amministrativi tramite una selva di pilastri a fungo e nella torre strutturalmente ispirata al fusto di un albero.
Che fosse una prairie o un museo, Wright persegue l’utopia di un mondo fuori dal tempo, senza i disordini e gli attriti delle città reali, in grado di conciliare gli ideali dei mitici fondatori del Nuovo Mondo con l’estetica naturale ed equilibrata del vicino Oriente. Su questi temi rifletterà per più di 50 anni, scrivendo e riscrivendo della realizzabilità di una possibile città vivente, Broadacre City. Più che una città, il progetto di un’infinita campagna coltivata, episodicamente occupata dall’uomo e dai suoi insediamenti urbani.