FRANZESI, Albizzo, detto Biccio (Biche)
Secondo dei tre figli del cavaliere Guido, proveniva dal territorio di Figline Valdarno, Comunità sottoposta alla giurisdizione fiorentina e dovette nascere verso la metà del sec. XIII.
L'appellativo Biccio, con il quale generalmente compare nella documentazione coeva - e che in terra francese veniva mutato in "Biche" - rappresenta una forma contratta del suo nome.
Il F. è ricordato per la prima volta nei primi anni Ottanta del XIII secolo, quando già si era trasferito in Francia dove, con i fratelli Giovanni Paolo e Niccolò, si dedicò all'attività bancaria e alla mercatura. Le prime testimonianze della sua presenza a Parigi datano al triennio 1281-83, quando sembra risiedesse in una delle vie adiacenti alla cattedrale di Nôtre-Dame. Come il fratello Musciatto, verso la fine degli anni Ottanta risultava impiegato nella compagnia fiorentina degli Scali. Nel 1290, però, i fratelli dovevano agire non più come dipendenti, ma come soci di una propria azienda, al momento in compartecipazione con un'altra importante firma fiorentina: un ordine regio, concernente una raccolta di decime commissionata allo stesso F., lo presenta infatti operante per la società Frescobaldi e Franzesi. A operazioni bancarie portate a termine dai due fratelli pare inoltre potersi riferire una serie di documenti, datati tra il 1288 e il 1289, relativi alla riscossione di tributi nella regione dell'Alvernia da parte di Cepperello Dietaiuti - il ser Ciappelletto della novella del Decameron - prima procuratore dei Frescobaldi e, quindi, uomo di fiducia della compagnia Franzesi.
L'intraprendenza del F. nel mondo degli affari internazionali diede rapidamente i suoi frutti e le fonti fiscali attestano come egli avesse raggiunto uno status socio-economico elevato. Nel 1293, in occasione del censimento a fini tributari, fu registrato come residente in una delle più ricche parrocchie di Parigi, Saint-Germain-l'Auxerrois, dove venne tassato per la considerevole somma di 40 libbre parigine.
Alla cura degli interessi dell'azienda il F. affiancò la determinazione nel perseguire una carriera politica, secondo una strategia che, adottata contemporaneamente dal fratello Musciatto, li portò a fondare un vero e proprio impero economico e a imporsi ai vertici della società francese. L'affermazione personale del F. presso la corte di Francia era avviata già negli anni Ottanta, e nel 1289 Filippo IV il Bello lo definiva proprio "valletto". Successivamente fu nominato cavaliere e conseguì addirittura una dignità di corte, venendo insignito del titolo onorifico di "panettiere del re", carica cui afferiva l'autorità di controllo e supervisione su tutte le panetterie del Regno. Quale consigliere del re, il F., al pari del fratello Musciatto, fu indicato come l'ispiratore dei provvedimenti regi emanati nel 1291 che portarono all'incarcerazione dei mercanti e dei banchieri italiani e alla confisca dei loro beni, con l'unica eccezione delle proprietà della compagnia Franzesi.
Al di là dei riconoscimenti guadagnati a corte, il F. preferì mantenersi meno coinvolto nei giochi politici rispetto a Musciatto, per dedicarsi in via prioritaria alla gestione della compagnia. Egli risulta attivo come prestatore di denaro alla fiera di Saint Ayoul a Provins nella Champagne, mentre documenti del 1292 e 1294 lo presentano impegnato in operazioni finanziarie coinvolgenti alcuni mercanti senesi e il conte di Artois. È ancora il F. a comparire come referente dell'azienda nei libri dei conti dei fattori di Ranieri di Fino Benzi e fratelli, per quanto concerne i pagamenti ai dipendenti della compagnia che agivano alle fiere della Champagne. I Benzi provenivano da Figline e forse erano anche in rapporti di parentela con i Franzesi; la loro presenza sul suolo francese al servizio di questi ultimi è dunque un segno che il F. e i fratelli non dovevano aver mai reciso del tutto i legami con il luogo di origine.
Grazie alla protezione regia, il giro di affari della compagnia guidata dal F. si accrebbe rapidamente. Nel corso degli anni Novanta i Franzesi divennero finanzieri di Filippo il Bello e lo sostennero nello sforzo bellico in occasione del conflitto con l'Inghilterra. Dal 1290 era stata loro commissionata la riscossione delle tasse imposte alla comunità italiana, mentre nel 1295 furono nominati tesorieri regi e collettori generali dei tributi di cui veniva gravato il commercio italiano alle fiere della Champagne, a Nîmes e nella provincia di Narbona. Essi erano inoltre ricevitori per conto del re delle contribuzioni richieste alla comunità ebraica e ai conventi. Nel 1293 ottennero per concessione regia il diritto quadriennale di esportare 1000 salme annue di lana dai porti di Aigues-Mortes e di Narbona e nel 1302 acquistarono in questo settore un privilegio, valido per il termine di due anni, praticamente esclusivo, mentre, ancora ad Aigues-Mortes, si occuparono delle saline regie. Mediante la partecipazione alla vita politica del Regno intrecciarono una fitta rete di relazioni con i signori dell'Artois, delle Fiandre, del Bourbon e dell'Alvernia. Nel 1294 fu loro affidata l'amministrazione di una quota dei beni dotali appartenenti alla moglie del re, Bianca di Navarra. Nominati nel 1297 da Bonifacio VIII rettori del Contado Venassino, divennero inoltre depositari delle decime della Chiesa imposte per la riconquista della Sicilia, entrando di fatto a far parte dei banchieri che servivano la Camera apostolica.
La collaborazione tra il F. e i fratelli fu strettissima e si mantenne per l'intera sua esistenza. In particolare fu legato da un sodalizio di affari e di intenti con Musciatto, del quale condivise la gran parte delle vicissitudini francesi. Prima del 1299 i due vivevano nella stessa residenza parigina - un palazzo, sempre nella parrocchia di Saint-Germain-l'Auxerrois, noto come "Hotel des Sires Biche et Mouche" - costituendo nella considerazione dei contemporanei un binomio indissolubile, alla cui fama si legavano accuse di eccessiva spregiudicatezza nel promuovere i propri privati interessi anche a scapito di quelli dei concittadini. Ben lo testimoniano i versi loro dedicati nella cronaca rimata attribuita a Geoffroy de Paris che, nella satira diretta contro Filippo il Bello, li indicano quali principali ispiratori degli atti più infelici della politica del re.
La cattiva fama che accompagnava i fratelli, alimentata dal risentimento dei loro concittadini, trovò vasta eco nella cronaca di Giovanni Villani. Questi sembra essere stato animato da un personale rancore nei loro confronti, probabilmente in quanto socio della compagnia Peruzzi, che, in affari con i Franzesi, fu gravemente danneggiata dal loro successivo fallimento. Alcune testimonianze sembrano comunque attestare che la condotta del F., forse anche sul piano privato, fosse particolarmente spregiudicata. Bonifacio VIII, pure legato da rapporti personali e non solo economici con i tre fratelli, in una lettera espresse la propria riprovazione per le numerose azioni "mostruose" di cui si diceva egli si fosse macchiato.
A metà degli anni Novanta, quando è presumibile che fosse avanti con gli anni, il F. iniziò a preparare il terreno per un suo ritorno ai luoghi di origine. Il rientro in patria negli anni della maturità rappresentava infatti la naturale conclusione delle carriere degli Italiani che si recavano Oltralpe per esercitare la mercatura o svolgere il ruolo di banchieri. Le manovre per il reinserimento in Toscana dei Franzesi si polarizzarono verso Siena e il suo territorio. Come i fratelli, fu a questo Comune che nel 1295 il F. presentò la richiesta di cittadinanza, accolta di buon grado dalle autorità. Due anni più tardi commise a un suo agente in città l'incarico di acquistare terre e diritti nel territorio di Staggia, una località di importanza strategica in quanto dominava le comunicazioni tra Firenze e Siena. Nello stesso periodo sembra aver acquistato anche una abitazione a Volterra. Nel 1298, insieme con Musciatto e Niccolò, entrò in possesso di un esteso feudo nel Valdarno Superiore di cui facevano parte i castelli di Colle, Castiglione e Avena. Nello stesso anno, a Norimberga, il F. ricevette da Alberto I d'Asburgo l'investitura a titolo perpetuo dei diritti feudali sul castello di Staggia.
La grande finanza aveva dunque rappresentato per il F. il mezzo attraverso il quale conseguire una considerevole fortuna economica, ma anche portare a compimento con successo un processo di emersione sociale che lo portò ad affermarsi come elemento di spicco nell'ambito della società toscana. La posizione conseguita si sostanziò nell'acquisizione di un vasto patrimonio fondiario, cui si associò l'assimilazione del proprio lignaggio alla classe nobiliare. Dalla sua nuova posizione di signore di Staggia, il F. si dedicò a tessere una trama di relazioni con i protagonisti della grande politica del tempo. Nel 1303 offrì ospitalità nel proprio castello a Carlo di Valois, impegnato nella missione in Italia. Si avvicinò quindi a Clemente V, immediatamente dopo la sua ascesa al soglio papale avvenuta nel 1305, e questi lo nominò cavaliere e lo accolse nel suo seguito.
Le ombre sulla sua reputazione non si erano tuttavia ancora dissolte e nuovi episodi sopravvennero a rafforzarne la nomea di uomo privo di scrupoli. Nel 1302 a Firenze lo troviamo farsi portavoce di una falsa denuncia contro il notaio alle Riformagioni, ser Petraccolo di ser Parenzo, padre di Francesco Petrarca. Il procedimento si concluse con la condanna di ser Petraccolo all'amputazione della mano destra, ma nel 1309 le autorità fiorentine presero atto dell'infondatezza dell'accusa e il notaio, probabilmente sfuggito all'esecuzione della pena, fu riabilitato. Ancora nel 1302 il F. fu investito dal sospetto di aver avuto un qualche coinvolgimento nella presunta uccisione della regina Bianca di Navarra, della cui dote i fratelli Franzesi erano amministratori. Nel corso del processo che fece seguito all'evento, un testimone dichiarò infatti che il veleno con cui sarebbe stato perpetrato il delitto era stato preparato nell'abitazione che il F. divideva con il fratello.
Solo pochi anni più tardi, a partire dal 1305, la compagnia Franzesi iniziò a manifestare i segni di un grave dissesto economico, forse trascinata nella crisi dal fallimento dell'azienda Bonsignori di Siena, alla quale era legata da un ingente giro di affari. Nel 1306 l'azienda del F. era ancora operante in Francia e manteneva la gestione, per conto del re, dell'esazione delle tasse imposte nel Regno ai residenti di origine italiana, ma poco più tardi l'importante incarico fu affidato alla società fiorentina dei Peruzzi. Nello stesso periodo il F. e il fratello Musciatto furono incaricati da Clemente V di trasferire parte del tesoro papale da Perugia a Bordeaux. I due, la cui situazione finanziaria doveva ormai essersi fatta critica, si impadronirono di una ingente parte del denaro e dei preziosi che erano stati loro affidati.
Dopo aver conseguito eccezionali e rapidissimi guadagni con la grande finanza, il F. si trovò a fare esperienza degli ingenti rischi connaturati a tale attività. Nel 1308 l'azienda Franzesi aveva ormai sospeso i pagamenti: egli tuttavia non fu testimone del definitivo tracollo in quanto morì infatti prima del 13 nov. 1307, come si può desumere da un documento francese che a questa data ne stabiliva la confisca dei beni.
Al F. sopravvissero un figlio, menzionato nelle fonti come "Pierre Biche da Siena", che proseguì in misura assai più modesta l'attività paterna presso la corte di Francia, e forse anche una figlia di nome Isabella.
Fonti e Bibl.: Geoffroy de Paris, Chronique métrique, a cura di J.N. de Wailly - L. Delisle, in Recueil deshistoriens de Gaule…, XXII, Paris 1865, p. 103; Nuovi testi fiorentini del Dugento, a cura di A. Castellani, II, Firenze 1952, pp. 675-677 e passim; G. Villani, Nuova Cronica, a cura di G. Porta, I, Milano 1990, p. 622; II, ibid. 1991, p. 94; Y. Renouard, Les rélations des papes d'Avignon et des compagnies commerciales et bancaries de 1316 à 1378, Paris 1951, pp. 93, 573; G. Cipollaro, La famiglia dei Franzesi nei rapporti franco-fiorentini fra il XIII e il XIV secolo, tesi di laurea, Università di Firenze, relatore E. Sestan, a.a. 1966-67; R. Davidsohn, Storia di Firenze, Firenze 1977, III, pp. 509-518, 554 s., 712; IV, pp. 85-87, 214-219; VI, pp. 625-636; W.B. Bowsky, Un Comune italiano nel Medioevo: Siena sotto il regime dei Nove. 1287-1355, Bologna 1986, p. 255; P. Pirillo, Famiglia e mobilità sociale nella Toscana medievale. I Franzesi Della Foresta da Figline Valdarno (secoli XII-XV), Firenze 1992, pp. 39-67, 272 e passim.