frasca
Ricorre cinque volte, sempre nella Commedia. Il significato fondamentale di " ramoscello munito delle proprie foglie " compare in If XIII 114 colui che venire / sente 'l porco e la caccia a la sua posta, / ch'ode le bestie, e le frasche stormire.
Anche a prescindere dalla variante a la caccia, attestata da alcuni antichi codici (cfr. Petrocchi, ad l.), il passo non è del tutto perspicuo. Solo il Chimenz vede in ch'ode una proposizione causale o temporale invece che relativa, e attribuisce quindi a che il valore di " per il fatto che, in quanto che " o di " allorché ". La maggior parte dei commentatori moderni si sofferma invece sulle difficoltà d'interpretazione presentate dal resto del verso. Riprendendo un'ipotesi del Rigutini, il D'Ovidio (in Nuovi Studi Danteschi, II, Milano 1907, 295) aveva sostenuto che " in cotal verso abbiasi un'endiadi, ché lo stormire non è anche delle bestie per sé stesse, ma sol delle frasche, per l'urto delle bestie ", e questa ipotesi è ripresa, sia pure dubitativamente, anche dal Sapegno. Scartazzini-Vandelli, Chimenz, Mattalia, e lo stesso Sapegno, notano come la proposizione infinitiva le frasche stormire forma un secondo complemento oggetto, sia pure di natura grammaticalmente diversa, come le bestie. Di costruzioni sintattiche analoghe si hanno altri esempi nella Commedia (Pg VI 48 la vedrai... / ridere e felice [che però quasi tutte le edizioni antiche, la foscoliana, la '37 e Casella leggevano ridente e felice]; XII 34 Vedea Nembròt ... / quasi smarrito, e riguardar le genti); l'uso di un verbo di percezione con doppia reggenza sembra perciò sufficientemente documentato. Il Petrocchi, infine, osserva che " il cacciatore non può sentire il rumore dei cani che smuovono le frasche, perché essi sono più lontani, ma ben sente il cinghiale che s'avvicina, precedendo la muta ". Il verso va quindi interpretato: " il cacciatore ode i cani dal loro abbaiare, e il cinghiale dallo smuovere sempre più vicino delle frasche ". Si è anche pensato a uno zeugma, per cui stormire, proprio delle f., reggerebbe anche le bestie (Scartazzini-Vandelli, Chimenz).
Con lo stesso valore di " ramo " il vocabolo compare in Pd XXIII 7 e, nella forma fraschetta, in If XIII 29.
In Pg XXIV 118 frasche, usato con valore collettivo, significa " fogliame, chioma di un albero ". Un'accezione anche più ampia la parola acquista in Pg XXXII 50, dove l'albero privo di fiori e foglie del Paradiso terrestre (la pianta dispogliata di cui al v. 38) è chiamato vedova frasca, che però il Mattalia interpreta " ramo privo di foglie ".