completive, frasi
Le completive sono frasi subordinate che svolgono la funzione di ➔ soggetto, oggetto diretto (➔ oggetto) o complemento indiretto del verbo della frase reggente, come negli esempi seguenti:
(1) che sono stanchi [soggetto] è evidente
(2) mi sembra strano che si siano comportati così [soggetto]
(3) voglio che mi dica la verità [oggetto diretto]
(4) ho dimenticato di farlo [oggetto diretto]
(5) mi pento di essere stato bugiardo [complemento indiretto]
(6) il contratto mi impegna a consegnare il manoscritto entro tre mesi [complemento indiretto]
I due tipi di costrutto che compaiono negli esempi, e cioè complementatore + verbo di modo finito (1-3) e complementatore + infinito (4-6), ricorrono anche in altre lingue romanze: a (3) voglio che mi dica la verità corrispondono il fr. je veux qu’il me dise la vérité, lo spagn. quiero que me diga la verdad, il port. quero que me diga a verdade, mentre a (4) ho dimenticato di farlo corrispondono il fr. j’ai oublié de le faire, lo spagn. he olvidado hacerlo, il port. esqueci de fazê-lo (Bach, Brunet & Mastrelli et al. 2008: 304 e 325).
La presenza di questi due costrutti completivi nelle diverse lingue romanze è riconducibile alla comune matrice latina, perché essi continuano rispettivamente i costrutti latini con l’infinito semplice (confidĕre decet «è conveniente aver fiducia») e con il complementatore (quod, ut, quominus, quin, ecc.) e il verbo di modo finito: percommode accidit quod non adest C. Aquilius «accade opportunamente che C. Aquilio non sia presente»). La presenza del complementatore di davanti all’infinito rappresenta una innovazione romanza ancora non del tutto assestata, come provano i casi nei quali di + infinito alterna con Ø + infinito:
(7) a. mi dispiace di essere l’ultimo
b. mi dispiace essere l’ultimo
In latino esisteva anche un terzo costrutto con funzione completiva, il cosiddetto ➔ accusativo con l’infinito (credo te aliquid audisse), ma già nella prima latinità si hanno tracce di un affiancamento, e poi di una progressiva sostituzione, dell’accusativo con l’infinito mediante il costrutto complementatore + verbo di modo finito. Il processo sarebbe iniziato a partire da un gruppo di verbi fattivi con i quali il contenuto proposizionale della subordinata completiva presentava un alto grado di autonomia rispetto al verbo della reggente (Cuzzolin 1991: 74). In italiano l’accusativo con l’infinito con funzione completiva è sopravvissuto fino a tutto il Settecento nella lingua letteraria ma è raramente usato nell’italiano moderno (Skytte 1983; per le ragioni, di tipo semantico, che governano la distribuzione dei costrutti si veda Robustelli 2000b).
Il termine completivo riflette la proprietà che hanno queste subordinate di ‘completare’ il predicato della frase reggente, ossia di saturarne le valenze sintattico-semantiche costituendo un argomento (➔ argomenti): sono pertanto chiamate anche argomentali. Tale proprietà distingue le completive da tutte le altre frasi che hanno funzione di complemento ma non realizzano un argomento del verbo della reggente (finali, causali, temporali, ecc.) e che per questo sono definite frasi circostanziali (o aggiunti; ➔ sintassi).
La descrizione qui presentata si basa sul criterio funzionale (Dardano & Trifone 1997: 397-404) e include tra le completive anche le dichiarative e le interrogative indirette, in ragione della loro funzione argomentale.
Per le loro specifiche caratteristiche formali, le interrogative indirette saranno trattate nel § 6.
Le frasi completive si distinguono in soggettive, oggettive dirette e oblique, secondo il ruolo che svolgono.
Le soggettive (➔ soggettive, frasi) hanno il ruolo di soggetto della frase, in analogia con i sintagmi nominali che hanno la stessa funzione:
(8) a. capita spesso la pioggia [soggetto] la domenica
b. capita spesso che piova la domenica [completiva soggettiva]
(9) a. uno sbaglio [soggetto] può capitare
b. può capitare di sbagliare [completiva soggettiva]
Le oggettive (➔ oggettive, frasi) dirette hanno ruolo di oggetto diretto:
(10) a. ammetto l’accaduto [oggetto diretto]
b. ammetto che è accaduto [completiva oggettiva diretta]
(11) a. ammetto il mio errore [oggetto diretto]
b. ammetto di avere sbagliato [completiva oggettiva diretta]
Le completive oblique hanno ruolo di complemento indiretto:
(12) a. mi scuso del mio ritardo [complemento indiretto]
b. mi scuso di essere in ritardo [completiva obliqua]
(13) a. non si è accorto dell’arrivo del treno [complemento indiretto]
b. non si è accorto che arrivava il treno [completiva obliqua]
(14) a. tutti hanno contribuito all’organizzazione dello spettacolo [complemento indiretto]
b. tutti hanno contribuito a organizzare lo spettacolo [completiva obliqua]
Le completive oblique hanno nella maggioranza dei casi reggenza verbale, ma possono dipendere anche da un nome, da un aggettivo o da un avverbio:
(15) il piacere di averti incontrato è superiore a qualsiasi altro
(16) condivido la tua idea che sia necessario rinforzare il tetto
(17) sono felice che tu abbia deciso di sposarti
(18) sarebbe stato meglio non lasciarlo solo il fine settimana.
Il verbo della frase completiva si presenta in due forme: la cosiddetta forma implicita, con l’infinito (quando il soggetto del verbo reggente e il soggetto della completiva sono coreferenti, cioè si riferiscono alla stessa entità) e la forma esplicita, col verbo di modo finito (quando i soggetti si riferiscono a entità diverse). In entrambi i casi il verbo della completiva può dipendere direttamente dal verbo reggente o avere un elemento introduttore:
(19) a. credo di essere troppo stanco per restare alzato [= io credo : io sono troppo stanco]
b. credo che siate troppo stanchi per restare alzati [= io credo : voi siete troppo stanchi]
Questa distribuzione risente tuttavia della variazione diamesica e diastratica, dal momento che tende a essere più rigida nelle varietà scritte e colte rispetto a quelle del parlato e popolari. In queste si assiste, nel caso di coreferenza tra soggetto del verbo reggente e soggetto del verbo della completiva, a oscillazioni tra forma esplicita e implicita della subordinata. Accanto a (19) a. si incontra quindi anche:
(20) credo che sono troppo stanco per restare alzato.
2.2.1 Nella forma implicita il verbo della completiva è all’infinito presente o passato, semplice o preceduto dagli introduttori di o a:
(21) occorre aver sofferto per capire i dolori altrui [completiva soggettiva]
(22) desidero restare sola [completiva oggettiva diretta]
(23) dice sempre di fare ginnastica tutti i giorni [completiva oggettiva diretta]
(24) mi dispiace di aver speso tanti soldi [completiva obliqua]
Anche nelle altre lingue romanze la forma con infinito semplice alterna con quella complementatore + infinito. In francese, spagnolo e portoghese (Bach, Brunet & Mastrelli 2008: 326), diversamente dall’italiano, i ➔ verba dicendi non richiedono l’introduttore (ital. crede di avere ragione; fr. il croit Ø avoir raison; spagn. cree Ø tener razón; port. crê Ø ter razão), mentre in francese (Brunet 2003) quando il verbo reggente è impersonale si richiede sempre l’introduttore (ital. è vietato fumare; fr. il est interdit de fumer; spagn. está prohibido fumar; port. está / é proibido fumar).
L’italiano condivide con francese e spagnolo la cancellazione del soggetto dell’infinito nelle completive implicite. Ciò può causare ambiguità nell’interpretazione della frase: in vi ho chiesto di parlare il soggetto dell’infinito parlare può essere sia io sia voi (Simone 199910: 263). Se invece il verbo della frase reggente appartiene ai verbi di esortazione e di comando il soggetto dell’infinito è controllato da un argomento della frase reggente:
(25) il regolamento ci obbliga a pagare le tasse
L’introduttore di che precede l’infinito nella completiva oggettiva diretta e nella completiva obliqua, formalmente identico, ha invece nei due casi funzione e status diversi: se il verbo reggente ha il complemento oggetto diretto, di è un complementatore e introduce una completiva oggettiva diretta (23); se invece il verbo reggente ha un complemento indiretto preposizionale, di è una preposizione e introduce una completiva obliqua (24).
La differenza tra i due tipi di completiva si manifesta nei casi di pronominalizzazione (➔ pronomi): la completiva oggettiva diretta è pronominalizzata con il clitico oggetto lo, la completiva obliqua con il clitico ne:
(26) dice sempre di far ginnastica tutti i giorni → lo dice sempre
(27) mi dispiace di aver speso tanti soldi → me ne dispiace
(28) non dovete scusarvi di essere venuti senza avvisare → non ve ne dovete scusare.
2.2.2 Nella forma esplicita, il verbo della completiva è all’indicativo, al congiuntivo o al condizionale, generalmente introdotto dal complementatore che (que in altre lingue romanze). Più raramente si ha il complementatore come, di valore equivalente (per es.: mi raccontò come la città è cresciuta). A differenza dell’italiano, in francese il complementatore, spesso omesso, può essere preceduto dalla preposizione de e dalla forma pronominale ce, mentre in spagnolo e portoghese è preceduto dalle preposizioni de /a: ital. mi meraviglio che continuino a vivere come se niente fosse successo; fr. je m’ètonne (de ce) qu’ils continuent à vivre comme si rien ne s’était passé; spagn. me maravillo de que sigan viviendo como si nada hubiese acontecido; port. maravilho-me de que continuem vivendo como se nada tivesse acontecido (Bach, Brunet & Mastrelli 2008: 304)
La scelta fra indicativo e congiuntivo dipende dal verbo reggente: selezionano l’indicativo, per es., i verba dicendi e i verbi di percezione (ho sentito che sei arrivato), mentre i verbi di volontà (voglio che tu rientri subito), di sentimento (i ragazzi temono che il motorino si sia rotto) e di comando (esigo che il colpevole si faccia avanti) selezionano il congiuntivo.
Altre ragioni influiscono sulla scelta del modo della completiva. Per es., la modalità dell’azione:
(29) a. dicono che è arrivata una macchina
b. dicono che sia arrivata una macchina
Ciò dipende dalla varietà di italiano. Nel parlato colloquiale (➔ colloquiale, lingua) la preferenza per l’indicativo si collega alla tendenza generale dell’italiano parlato verso la riduzione del congiuntivo in favore dell’indicativo:
(30) a. bisogna che vieni subito a casa
b. bisogna che tu venga subito a casa
Il verbo della completiva tende ad essere al congiuntivo nei rari casi nei quali il complementatore che viene omesso, cioè quando la completiva dipende da una subordinata introdotta da che (congiunzione o pronome) o da perché, poiché, affinché, sicché:
(31) aveva perso la nozione del tempo, sicché non pensava fosse così tardi
L’uso del condizionale (➔ condizionale) risente meno della variazione ed è limitato ad alcuni casi circoscritti:
(a) quando la completiva contiene un’azione futura rispetto a un tempo passato della reggente: credeva che sarebbe arrivato in tempo;
(b) quando la completiva regge una subordinata condizionale: è sicuro che verrebbe se potesse;
(c) quando si intende conferire una sfumatura ipotetica al contenuto della completiva (quest’uso è frequente nel linguaggio giornalistico): dicono che sarebbero stati scoperti due casi di corruzione nella stessa città; siamo tutti convinti che dovrebbe dimettersi.
Le completive soggettive (➔ soggettive, frasi) svolgono la funzione di soggetto di verbi e di strutture predicative formate dal verbo essere e da aggettivi, avverbi, nomi. In particolare il verbo reggente è costituito da:
(a) Verbi impersonali anche accompagnati dal soggetto logico: accade (di), avviene (di), basta, bisogna, capita (di), conviene, costa, dispiace, diverte, duole, giova, importa, interessa, occorre, pare, piace, preme, rincresce, riesce, risulta, secca, spetta, stupisce, succede (di), tocca, vale la pena, ecc. Nella forma implicita (32-42) l’infinito semplice alterna con quello introdotto da di:
(32) accade talvolta che anche i partiti manifestino indifferenza
(33) raramente avviene che si vedano le stelle cadenti
(34) mi dispiace che sia finita così
(35) sembra brutto uscire senza dirglielo
(36) non accade spesso di vedere un ministro che si dimette
(37) vista la situazione non occorre darsi tanto da fare
(38) dispiace solo aver perso una partita così importante per inferiorità numerica
(39) a noi non importa (di) vincere la guerra
(40) non occorreva aspettare le rivelazioni di Ciancimino
(41) toccava a lei occuparsi dei bambini
(42) a Firenze vale la pena tentare una lista civica
(b) Verbi transitivi alla forma impersonale (si + terza persona sing.), come si crede, si dice, si sa, si sente, si teme, si vede, ecc. Con questi verbi la completiva tende ad avere forma esplicita:
(43) si dice che la storia non si fa con i se; ma è con i se che si capisce che le cose potevano andare diversamente
(44) si temeva che l’offensiva batteriologica fosse imminente
(45) quando si crede di aver raggiunto il massimo, è allora che si cade più facilmente
(c) Strutture predicative formate dal verbo essere alla terza persona sing. seguito da un aggettivo (è bello / certo / vero), da un avverbio (è bene / male ), da un sostantivo (è il caso / il momento / l’ora / un guaio / una iattura / una noia) o da è che, il fatto è che, il fatto che / di, può darsi che:
(46) nessuno ritiene che sia opportuno aderire alla proposta
(47) sarebbe meglio pedonalizzare l’intera zona
(48) non è il caso di insistere
(49) era il momento di parlare di quello che era successo
(50) mi faceva pena vedere dove viveva quella gente
(51) il fatto è che se ti fai giustizia da solo rischi di peggiorare le cose
(52) può darsi che questo non basti.
Le completive oggettive dirette (➔ oggettive, frasi) svolgono la funzione di oggetto diretto del verbo reggente. Possono dipendere da verbi transitivi e, meno frequentemente, da aggettivi o nomi:
(53) era così desideroso che sua madre arrivasse che non riusciva a star fermo
(54) il pensiero che ti possa accadere qualcosa mi tiene sveglio tutte le notti
Nella forma implicita l’infinito è introdotto da di quando il verbo reggente appartiene a una delle seguenti categorie:
(a) Verbi dichiarativi (affermare, aggiungere, ammettere, annunciare, asserire, assicurare, avvertire, concludere, considerare, dichiarare, dire, raccontare, riconoscere, ricordare, rispondere, sapere, scrivere, trovare, ecc.):
(55) Theobald affermava di avere tre copie dell’originale shakespeariano
(56) anche la seconda vittima ammise di aver subito violenza
(57) Obama un anno fa annunciò di voler lavorare per un mondo liberato dalle armi atomiche
(58) i residenti credevano di aver diritto a parcheggiare sotto casa
(59) gli avversari riconobbero di essere stati superati
(60) il padre aveva scritto di non credere a questa possibilità
(b) Verbi di opinione e giudizio (credere, immaginare, pensare, ritenere, supporre, ecc.):
(61) ognuno immaginava di vivere in un’isola magica
(62) la Direttrice ritenne di incoraggiarmi a continuare
(63) non avrebbero mai supposto di trovarla in compagnia
(c) Verbi di comando (comandare, concedere, consentire, esigere, imporre, ingiungere, intimare, lasciare, ordinare, permettere, proibire, raccomandare, suggerire, vietare):
(64) il comandante, pallidissimo, esigeva di conoscere interamente le condizioni di resa
(65) tutti dalla riva suggerivano ai due di resistere
I verbi di comando ammettono la costruzione implicita anche se il soggetto del verbo della reggente e quello del verbo della completiva non sono coreferenti. In questo caso il soggetto della completiva viene realizzato come un complemento indiretto del verbo reggente e il verbo è all’infinito introdotto da di:
(66) la domenica concedeva ai figli di alzarsi tardi
(67) una serie di colpi alla porta le imponevano di aprire subito
(68) qualcuno mi afferrò per le spalle e mi ingiunse di fermarmi
(69) i poliziotti ci intimarono di stare zitti
(70) la crisi raccomanda di ridurre fortemente i costi
(71) so già che ci vieteranno di stamparlo
Inoltre l’infinito è introdotto da di con i verbi accettare, apprendere, aspettare, augurarsi, avvertire, cercare, cessare, comprendere, comunicare, confessare, confidare, determinare, dimenticare, dimostrare, dubitare, fingere, finire, giurare, ignorare, immaginare, informare, intendere, mostrare, negare, ostentare, pensare, promettere, raccontare, ricordare, smettere, sognare, sospettare, spiegare. Per es.:
(72) alla fine accettammo di vendere tutto per una cifra irrisoria
(73) da un cartello stradale apprese di essere ormai vicino a casa
(74) non si aspettava di rivederlo così presto
(75) per il futuro ci auguriamo di andare avanti tutti insieme
(76) era la prima volta che avvertivano di non avere più nessuno
L’infinito non ha introduttore con i verbi modali (Simone & Amacker 1977), con i verbi percettivi, con i causativi (Robustelli 2000a) e con i verba affectuum (verbi che indicano uno stato d’animo o un sentimento: adorare, amare, ardire, desiderare, detestare, gradire, intendere, odiare, osare, preferire, temere: ➔ psicologici, verbi):
(77) volevano contattare il senatore del PdL per offrirgli il filmato
(78) adora ballare il tango
(79) i padri commossi desideravano mostrare ai figli le macchine in movimento
(80) detesto alzarmi presto
(81) gradiremmo ispezionare i locali
(82) temetti di non farcela
I verbi di percezione (vedere, sentire, ecc.) ammettono la costruzione implicita con l’infinito semplice anche se il soggetto della reggente e quello della completiva non sono coreferenti:
(83) a. sento arrivare in stazione il treno delle 7
b. sento che arriva in stazione il treno delle 7
Viceversa, soprattutto nel registro informale e per sottolineare la funzione di oggetto svolta dalla completiva, ammettono la costruzione esplicita con il complementatore che seguito dal verbo di modo finito anche se il soggetto della frase reggente e quello della completiva sono coreferenti:
(84) sento che sono troppo stanco per restare alzato [anziché: sento di essere troppo stanco per restare alzato]
(85) vedo che ho preso la decisione giusta [anziché: vedo di aver preso la decisione giusta]
La completiva oggettiva si pronominalizza con il clitico oggetto lo:
(86) ho sentito che è arrivato → l’ho sentito
(87) preferisco rientrare → lo preferisco.
Le completive oggettive oblique svolgono la funzione di complemento indiretto del verbo reggente. Possono dipendere da aggettivi o nomi:
(88) non poteva resistere a una strana sensazione di paura di essere alla fine dimenticato
(89) sono sicuro di non sbagliare
ma più comunemente da verbi intransitivi, intransitivi pronominali e, raramente, transitivi.
Nella forma implicita l’infinito è introdotto:
(a) dalla preposizione di se il verbo reggente è intransitivo (contare, fantasticare, gioire, parlare, soffrire) o intransitivo pronominale (accontentarsi, accorgersi, avvedersi, assicurarsi, congratularsi, convincersi, curarsi, degnarsi, dimenticarsi, disperarsi, dolersi, meravigliarsi, occuparsi, pentirsi, persuadersi, rallegrarsi, rammaricarsi, rammentarsi, ricordarsi, spaventarsi, scusarsi, sforzarsi, stupirsi, vantarsi, vergognarsi, ecc. ➔ pronominali, verbi):
(90) appena vide chi aveva davanti, l’uomo si accorse di avere sbagliato
(91) era stato un campione ma ormai contava di chiudere la carriera
(92) i bambini fantasticano spesso di vivere nel mondo delle fate
(93) i cassintegrati si accontentavano di passeggiare in silenzio
(94) mi rammarico di non aver chiesto di più
(b) Da a se il verbo reggente è transitivo (abituare, cominciare, continuare, imparare, pensare), anche usato in forma pronominale (decidersi, impegnarsi, prestarsi; ➔ pronominali, verbi); e con alcuni verbi intransitivi (arrivare, contribuire, correre, restare, rimanere, riuscire):
(95) anche il massaggiatore ha contribuito a organizzare l’incontro
(96) non si è mai deciso a sposarsi
(97) mio padre era abituato a dare del tu ai suoi genitori
(98) secondo le testimonianze i due erano rimasti a prendere il sole in spiaggia
(99) non era riuscito a imparare un mestiere
Lo stesso verbo reggente può selezionare sia la preposizione di sia la preposizione a senza che a ciò si accompagni una sostanziale differenza di significato:
(100) i ragazzi gioivano a saltare sui cavalloni spumeggianti
(101) per tutta la vita ho gioito di avere una famiglia che mi amava
In alcuni casi, tuttavia, per es. coi verbi aspettare e pensare (Grande grammatica italiana di consultazione, 1991: 654), il significato del verbo reggente cambia secondo la preposizione selezionata:
(102) a. aspettava / pensava di uscire
b. aspettava / pensava a uscire
Nella forma esplicita il verbo di modo finito può essere introdotto, oltre che da che, da a che:
(103) si sono accorti subito che non diceva la verità
(104) anche quella volta contava che sua madre fosse in casa
(105) è inutile fantasticare che escano i numeri giusti del Superenalotto
(106) poveretto, gioiva tanto che suo figlio fosse così bravo e non sapeva di essere preso in giro
(107) mi accontenterei che tu mi telefonassi qualche volta
(108) dobbiamo contribuire tutti a che questo sogno si realizzi
La pronominalizzazione della completiva obliqua richiede il clitico ne se è formata da di + infinito o da che + modo finito:
(109) Gianni si è accorto di avere sbagliato → Gianni se ne è accorto
(110) Gianni si è accorto che i suoi compagni avevano sbagliato → Gianni se ne è accorto
Richiede invece il clitico ci (o vi) se è formata da a + infinito o da a che + modo finito:
(111) Gianni ha contribuito a organizzare l’incontro → Gianni vi / ci ha contribuito
(112) Gianni ha contribuito a che i ragazzi organizzassero l’incontro → Gianni vi / ci ha contribuito.
Le subordinate completive con funzione argomentale che dipendono da aggettivi (dubbioso, incerto, perplesso), nomi (domanda, ricerca, dubbio, problema, questione), verbi di domanda o di dubbio (domandare, chiedere, dire, sapere, indovinare, ignorare, pensare), di percezione o di conoscenza in forma negativa (non vedo, non so) vengono definite interrogative indirette (➔ interrogative indirette).
A differenza delle completive soggettive, oggettive e oblique, le interrogative indirette hanno sempre un introduttore in posizione iniziale: la congiunzione se nelle domande che richiedono una risposta sì / no (ti ho chiesto se vieni a cena); la congiunzione come oppure pronomi, avverbi o locuzioni preposizionali interrogative come chi, che cosa, come, dove, perché, quale, quando, quanto, ecc.; nelle altre (ti ho chiesto chi viene a cena). Come per le altre completive il verbo è di modo infinito (ma solo al presente) se il soggetto della reggente e quello della subordinata sono coreferenti:
(113) era incerto se restare o no
(114) era in ballo la solita questione, se affrontare o meno la discussione sull’eredità
(115) non sapevo se ridere o piangere
Se i soggetti non sono coreferenti il verbo è di modo finito, all’indicativo o al congiuntivo:
(116) si chiedevano se non fosse meglio abbandonare l’aula
(117) domàndati come è stato possibile lasciare che tutto andasse in malora
(118) preferisco ignorare chi è stato.
i
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