dichiarative, frasi
Classificate tra le subordinate argomentali (➔ sintassi), e apparentate in particolare alle completive (➔ completive, frasi), le frasi dichiarative (dette anche semplicemente dichiarative o esplicative) permettono di spiegare o precisare un elemento della reggente (Serianni 19912: 568).
A differenza delle completive, le dichiarative sono espansioni non di un sintagma verbale ma di un sintagma nominale. Si noti la differenza tra l’esempio (1), che contiene una dichiarativa, e la sua riformulazione nell’esempio (2), dove invece la subordinata dipende dal verbo dire:
(1) devi dire questo, che io gli ho scritto come lui mi ha detto (LIP, NA2, 232)
(2) devi dire che gli ho scritto come lui mi ha detto
L’elemento prolettico contenuto nella reggente (questo in 1), del quale la frase dichiarativa costituisce un’espansione, attua un rinvio cataforico (➔ catafora). Tale elemento può svolgere la funzione di soggetto, di oggetto diretto o di obliquo e può esser rappresentato da un pronome (dimostrativo o indefinito), da un aggettivo (dimostrativo o indefinito) unito a un nome, o da un nome preceduto da articolo indeterminativo:
(3) questo mi dispiace: che tu non mi ascolti
(4) ella mi dichiarò che non mi amava, che non m’avrebbe mai amato, insistendo crudelmente su questo punto: che io lasciassi ogni speranza (Vincenzo Cardarelli, Il sole a picco, p. 493)
(5) io prego
solo una cosa: che fra crolli tanti,
sopra tanta rovina, a lungo io possa
e il mio compenso ritrovare, e un poco
del mondo nuovo con esso, in fra questi
puerili adorabili pensieri (Umberto Saba,
Preghiera all’angelo custode, vv. 23-28, p. 415)
Più raramente l’elemento che la frase dichiarativa chiarisce o precisa è un avverbio:
(6) – Dite così: che il padrone ha previsto tutto quello che potete dirgli, e ascoltatemi con fiducia (Riccardo Bacchelli, Il Mulino del Po, V, iii, p. 497)
La frase dichiarativa può anche essere anteposta alla reggente:
(7) che non mi abbia invitato al suo matrimonio: questo mi dispiace
In questo caso l’elemento nominale della reggente non si trova più in posizione prolettica (non ha più dunque una funzione cataforica), ma si comporta come un anaforico (➔ anafora).
Come le completive, le dichiarative possono essere distinte in soggettive, oggettive e oblique, secondo la funzione sintattica svolta dall’elemento prolettico. Al pari delle completive, inoltre, possono ricorrere sia in forma esplicita (con verbo di modo finito) sia in forma implicita (con verbo all’infinito). Nel costrutto esplicito la scelta del modo verbale (indicativo, condizionale o congiuntivo) dipende dal verbo della reggente. Il ➔ congiuntivo è selezionato con verbi che indicano volizione (dunque un ordine, una preghiera, un permesso), aspettativa (desiderio, timore o sospetto) o opinione:
(8) spero questo, che il progetto vada in porto
(9) vorrei questo: che tu fossi più puntuale
Il condizionale compare invece qualora l’evento codificato nella subordinata sia caratterizzato da una certa eventualità:
(10) ci ha assicurato questo: che il contratto dovrebbe arrivare tra due giorni
Nell’es. (10) l’evento espresso nella dichiarativa non si è ancora realizzato: l’arrivo del contratto si colloca in una dimensione ipotetica.
Il costrutto implicito si forma invece mediante l’infinito, preceduto o no dalla preposizione di:
(11) mi pento di questo, di non averti potuto aiutare
(12) non posso accettare una tale accusa: avere agito in maniera disonesta
Rispetto alla nozione di subordinazione e coordinazione, le frasi dichiarative hanno uno statuto ambiguo. Il costrutto dichiarativo è pronunciato nell’orale in un’unità intonativa diversa da quella in cui è pronunciata la reggente; tra principale e subordinata intercorre infatti una pausa, che nello scritto è segnalata mediante un segno di punteggiatura (di solito i ➔ due punti).
La presenza di una pausa – di interpunzione nello scritto e di intonazione nel parlato – indica che il rapporto di integrazione tra reggente e subordinata è più debole rispetto alle altre frasi argomentali. Infatti, se nel caso delle completive è la subordinata stessa a fungere da argomento del predicato sovraordinato, nelle frasi formate da una dichiarativa l’argomento del predicato sovraordinato è saturato da un argomento pronominale o nominale (cioè dall’elemento prolettico). La reggente della dichiarativa ha dunque maggiore autonomia sintattica. Tale tratto permette di distinguere il costrutto in esame dalle completive rette da un nome, che, oltre a essere totalmente integrate nel nome da cui dipendono, cadono sotto lo stesso profilo intonativo della reggente:
(13) l’idea che potesse tornare le era intollerabile
La particolare fisionomia e la funzione semantica dei costrutti dichiarativi, che consiste nello spiegare, chiarire o determinare un termine precedente, hanno indotto vari autori a intravvedervi una funzione appositiva (Agostini 1978: 370; Serianni 19912: 568; Stefinlongo 1980: 239-248; ➔ apposizione).
Altri due aspetti contribuiscono a caratterizzare le dichiarative come costrutti a metà strada tra coordinazione e subordinazione: è possibile infatti inserire tra la reggente e la subordinata vari tipi di connettivi coordinanti (➔ connettivi) come e o cioè:
(14) è falso quel che diceva Walter, nascosto dietro le spalle dei vostri, e cioè che il moschetto era suo, che lui l’aveva portato alla brigata (Beppe Fenoglio, Una questione privata, VII, p. 1062)
o anche omettere la congiunzione subordinante:
(15) ci pare invece degno di attenzione questo fatto: viene in luce che esistono fra gli uomini due categorie particolarmente ben distinte: i salvati e i sommersi (Primo Levi, Se questo è un uomo, p. 79)
In quest’ultimo esempio l’espansione del sintagma questo fatto è semplicemente giustapposta alla reggente.
Le frasi dichiarative possono anche essere considerate il secondo membro di una struttura correlativa (➔ correlative, strutture). Ciò spiegherebbe l’ambiguità del loro statuto sintattico, oscillante tra coordinazione e subordinazione.
I costrutti dichiarativi dell’italiano ricalcano i cosiddetti epesegetici del latino (dal gr. epexḗgēsis «spiegazione»), di solito considerati strutture a dittico correlativo contenenti due termini di correlazione (un termine qu- derivante dal tema del relativo-indefinito e un pronome o aggettivo dimostrativo):
(16) credo hoc, quod veniat «credo questo, che venga»
(17) hoc scio, quod scribit nulla puella tibi «so questo, che nessuna fanciulla scrive a te» (Marziale, Epigrammi XI, 64, p. 272)
Tali costrutti sono all’origine della nascita e della diffusione della subordinazione completiva esplicita in latino (Cuzzolin 1991 e 1994). In latino infatti la subordinazione completiva era affidata per lo più all’accusativo con l’infinito, anche se con alcuni predicati (verbi significanti «aggiungere» o «tralasciare, omettere») era possibile anche ricorrere al costrutto esplicito introdotto da quod. La diffusione dell’uso completivo di quod come vera e propria congiunzione e la sua estensione dal settore dei verbi fattivi a quello dei verbi assertivi possono essere ricondotte al modello esercitato dai costrutti epesegetici, in cui del resto l’elemento cataforico della reggente poteva essere omesso (credo hoc, quod veniat > credo quod veniat).
Nella storia dell’italiano, le frasi dichiarative sono attestate sin nelle fasi più antiche. Nel Duecento e nel Trecento tali costrutti raggiungono un’alta frequenza specialmente nei trattati argomentativi, dove sono impiegati nelle sequenze esplicative e nelle glosse; ma possono ricorrere anche in altri tipi testuali (Stefinlongo 1980; Rati 2008). In particolare la struttura correlativa realizzata con frasi dichiarative permette di porre in risalto un concetto, il quale viene dapprima annunciato nella reggente e poi spiegato nella dichiarativa:
(18) il parladore sempre desidera questo fine in sé: che dica bene e che sia tenuto d’aver bene detto (Brunetto Latini, Rettorica, XVIII, 3, p. 52).
Bacchelli, Riccardo (1958), Il mulino del Po, Milano, Mondadori, 3 voll.
Cardarelli, Vincenzo (1981), Il sole a picco, in Id., Opere, a cura di C. Martignoni, Milano, Mondadori, pp. 371-511.
Fenoglio, Beppe (1992), Una questione privata, in Id., Romanzi e racconti, a cura di D. Isella, Torino, Einaudi-Gallimard, pp. 1009-1127.
Latini, Brunetto (1968), La Rettorica, testo critico di F. Maggini, prefazione di C. Segre, Firenze, Le Monnier.
Levi, Primo (1958), Se questo è un uomo, Torino, Einaudi.
LIP 1993 = De Mauro Tullio et al., Lessico di frequenza dell’italiano parlato, Milano, ETAS libri.
Marziale, Marco Valerio (19762), Epigrammaton libri, recogn. W. Heraeus, cur. I. Borovskij, Leipzig, Teubner (1a ed. 1925).
Saba, Umberto (1988), Tutte le poesie, a cura di A. Stara, introduzione di M. Lavagetto, Milano, Mondadori.
Agostini, Francesco (1978), Proposizioni completive, in Enciclopedia dantesca. Appendice. Biografia, lingua e stile, opere, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1970-1978, 6 voll., vol. 6°, p. 370.
Cuzzolin, Pierluigi (1991), Sulle prime attestazioni del tipo sintattico ‘dicere quod’, «Archivio glottologico italiano» 76, 1, pp. 26-78.
Cuzzolin, Pierluigi (1994), Sull’origine della costruzione ‘dicere quod’. Aspetti sintattici e semantici, Firenze, La Nuova Italia.
Rati, Maria Silvia (2008), Tipologie e statuto sintattico dei costrutti dichiarativi in italiano antico, «La lingua italiana. Storia, strutture, testi» 4, pp. 9-23.
Serianni, Luca (19912), Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria, con la collaborazione di A. Castelvecchi, Torino, UTET (1a ed. 1988).
Stefinlongo, Antonella (1980), Le completive nel “Decameron”. Verbalità del sostantivo, presenza del determinatore e tipologia delle completive, «Studi di grammatica italiana» 9, pp. 221-252.