infinitive, frasi
Si definiscono frasi infinitive quelle frasi (sia principali che subordinate) in cui il predicato è costituito da un verbo all’infinito. La frase infinitiva può comparire in varie costruzioni, e cioè: in funzione di complemento diretto di un verbo transitivo (1) (➔ oggettive, frasi); retta da un verbo modale o aspettuale (2) (➔ modali, verbi; ➔ aspetto); retta dal verbo causativo fare (3) (➔ causativa, costruzione); retta da un verbo di percezione (4). Inoltre, l’infinito può avere funzione di soggetto (5) (➔ soggettive, frasi) ed assumere forza predicativa (6). Anche se, normalmente, l’infinito dipende da una espressione finita, ha anche un uso autonomo, presentandosi cioè come frase compiuta (7) (➔ infinito).
(1) quando decisi di guardare altri fogli e l’occhio mi cadde, all’inizio dell’evangelo di Matteo, sull’immagine di un uomo (Umberto Eco, Il nome della rosa, p. 244)
(2) Ma prenderne nota, e riderne, questa volta era stato un po’ più difficile delle precedenti (Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini, p. 402)
(3) Chi adunque iudica necessario nel suo principato nuovo assicurarsi de’ nimici […] farsi amare e temere da’ populi, seguire e reverire da’ soldati (Niccolò Machiavelli, Il Principe VII, p. 40)
(4) Dentro la pioggia si sentiva la cuoca macinare il caffè (Elio Vittorini, Il garofano rosso, p. 29)
(5) E perché gli mancavano le legna per finirlo di cuocere e di rosolare, chiamò Arlecchino e Pulcinella (Carlo Collodi, Le avventure di Pinocchio, p. 60)
(6) – Be’, adesso vado a leggermi il giornale, – aggiunse con un sorriso timido. – Non ho altro da fare: il giornale, la radio e ogni tanto un caffè (Dacia Maraini, L’età del malessere, p. 9)
(7) E l’altro a piangere, a piangere (Grazia Deledda, Il vecchio della montagna, p. 55)
Per i contesti in cui l’infinito è complemento di sintagmi non verbali, quali l’aggettivo, il nome e la preposizione, ➔ infinito.
I casi in cui l’infinito risulta l’unico complemento del verbo reggente possono essere suddivisi in tre categorie a seconda che l’infinito:
(a) sia introdotto dalla preposizione di:
(8) E se lo sanno, fingono di dimenticarsene (Vasco Pratolini, Cronache di poveri amanti, p. 47)
(9) mi sforzo di camminare curvo reggendomi a un bastone (Luigi Malerba, Itaca per sempre, p. 15)
(b) sia introdotto dalla preposizione a:
(10) Sono partito come il re di Itaca e mi accingo a ritornare nella mia casa nascosto sotto gli stracci di mendicante (Malerba, Itaca per sempre, p. 9)
(11) Mi sedetti ad aspettarli, fumando (Maraini, L’età del malessere, p. 170)
(c) oppure manchi di introduttore preposizionale:
(12) Molti uomini pii, e anche ecclesiastici, amarono meglio ardere su’ roghi o esulare, che mentire alla coscienza (Francesco De Sanctis, Storia della letteratura italiana XVII, p. 398)
(13) Iduzza, da parte sua, non osava nemmeno giudicare i decreti dei Poteri Pubblici (Elsa Morante, La storia, p. 32)
I verbi che reggono l’infinito introdotto da a tendono a esprimere un’azione successiva rispetto al verbo reggente. I verbi anelare, aspirare, avventurarsi, azzardarsi, ingegnarsi, provare (a fare qualcosa), per es., descrivono un atteggiamento rispetto al quale l’azione dell’infinito seguente è proiettata nel futuro. In linea di principio, questa generalizzazione vale per i verbi che descrivono una situazione in cui il soggetto sta per intraprendere l’azione, come accingersi, prendere, prepararsi, mettersi (a fare qualcosa) (➔ fraseologici, verbi), e per quelli che denotano una situazione in cui il compimento dell’azione subisce un ostacolo o ritardo, come esitare, indugiare, stentare, tardare (a fare qualcosa). Sono inclusi in questa categoria anche i verbi che concretamente descrivono posizione o movimento, come andare, avvicinarsi, entrare, venire, sedersi (a fare qualcosa) (➔ movimento, verbi di). Con tali verbi, l’infinito seguente può assumere il valore di una frase finale (mi sedetti ad aspettarli = mi sedetti per / al fine di aspettarli) (➔ finali, frasi).
L’infinito retto da di, invece, non è soggetto a una simile restrizione ma può esprimere un’azione successiva, precedente o simultanea rispetto al verbo reggente (➔ completive, frasi; ➔ oggettive, frasi). La categoria include verbi come affermare, cercare, dimenticare, gridare, negare, pensare, rallegrarsi, ricordar(si), rispondere, ritenere, sostenere, sperare, tentare (di fare qualcosa), cioè ➔ verba dicendi oppure verbi psicologici (➔ psicologici, verbi). Si noti come diversi verbi di questa categoria permettano il complemento all’infinito passato: oltre ad affermare di fare qualcosa si può avere affermare di aver fatto qualcosa.
Infine, l’infinito non introdotto da preposizione tende a descrivere un’azione, oppure uno stato, atemporale o generico. I verbi reggenti esprimono generalmente stato d’animo, come adorare, amare, detestare, odiare, preferire (fare qualcosa). In un enunciato quale ama cantare, l’infinito non descrive un’azione né successiva né precedente al verbo reggente, ma piuttosto uno stato interpretato genericamente.
Nella lingua del passato, tuttavia, ci sono state importanti variazioni nella scelta della preposizione. Per es., alcuni verbi che attualmente reggono l’infinito introdotto da di anticamente sono attestati senza la preposizione introduttiva (secondo lo schema che altre lingue romanze usano ancora oggi) (➔ lingue romanze e italiano):
(14) Egli con debolissima voce dicendo alcune parolucce che non s’intendevano, mostrava star malissimo (Matteo Bandello, Novelle, p. 105)
(15) egli disse non mi cognoscere né sapere chi io mi fussi (Benvenuto Cellini, Vita I, p. 109).
Nelle costruzioni in cui il verbo regge l’infinito e un altro complemento, l’infinito può essere introdotto dalle preposizioni a o di, a seconda della sua funzione sintattica, e, inoltre, può rimandare o al soggetto o all’altro complemento del verbo reggente (per i particolari, Manzini 1991). In base a queste caratteristiche, le costruzioni si possono suddividere in sei tipi principali.
(a) Il verbo regge un oggetto diretto + di + infinito, che rinvia al soggetto del verbo reggente: convincere, informare, minacciare, persuadere (qualcuno di fare / aver fatto qualcosa):
(16) E voi minacciatelo di non voler più comporre (Carlo Goldoni, Il poeta fanatico, Atto III, scena 9, p. 312)
(17) Vi informiamo di aver raggiunto il numero massimo di partecipanti (www.anai.org/regioni/piemonte/home.htm)
(b) Il verbo regge un oggetto indiretto + di + infinito, che rinvia al soggetto del verbo reggente: accennare, annunciare, promettere, raccontare, riferire (a qualcuno di fare / aver fatto qualcosa):
(18) ... ma mi ha fatto tanta compassione, ch’io gli promisi di farlo venire; anzi sta qui fuori (Ugo Foscolo, Ultime lettere di Iacopo Ortis, p. 423)
(19) ... riceve la lettera di suo padre che gli annuncia di aver lasciato la moglie per andare a Venezia con un’altra donna (http://it.wikipedia.org/wiki/ Conversazione_in_Sicilia)
Con taluni verbi del tipo (b), l’infinito può diventare soggetto passivo; con, tuttavia, un netto cambiamento nel riferimento: gli ho promesso di venire «ho promesso a lui che io sarei venuto»; gli è stato promesso di venire «hanno promesso a lui che lui sarebbe potuto venire».
(c) Il verbo regge un oggetto diretto + a + infinito, che si riferisce all’oggetto diretto: aiutare, autorizzare, convincere, incitare, incoraggiare, indurre, invitare, ispirare, istigare, obbligare, persuadere (qualcuno a fare qualcosa):
(20) ... ma un violento attacco aereo notturno, e la rapidità dell’avanzata russa, indussero i tedeschi a mutare pensiero (Primo Levi, La tregua, p. 9)
(21) ... autorizzò il dottor Costa a prenotargli una camera per l’indomani (Antonio Tabucchi, Sostiene Pereira, p. 94)
(d) Il verbo regge un oggetto diretto + di + infinito, che rinvia all’oggetto diretto: pregare, consigliare, implorare, supplicare (qualcuno di fare qualcosa):
(22) ... la pregano d’esser buona e togliersi almeno dalla vista di tanti che potrebbero riconoscerla (Luigi Pirandello, Ciascuno a suo modo, Premessa)
(23) Pereira entrò nella pensione ma consigliò Monteiro Rossi di aspettare fuori (Tabucchi, Sostiene Pereira, p. 88)
(e) Il verbo regge un oggetto indiretto + a + infinito, che rinvia all’oggetto indiretto del verbo reggente. Pochi verbi appartengono a questo tipo. Esemplifichiamo con il verbo insegnare:
(24) Vi si immerse e si strofinò con cura il ventre, come gli aveva insegnato a fare il dottor Cardoso (Tabucchi, Sostiene Pereira, p. 137)
(f) Il verbo regge un oggetto indiretto + di + infinito, che rimanda all’oggetto indiretto: chiedere, dire, impedire, imporre, ordinare, permettere, proibire, proporre, vietare (a qualcuno di fare qualcosa):
(25) ... e Alfredo le proibiva perfino di affacciarsi alla finestra (Pratolini, Cronache di poveri amanti, p. 50)
(26) ... per colpa di una nausea continua e lacerante che gli impediva di mangiare e gli dava la febbre (Morante, La storia, p. 42)
Differentemente dai verbi appartenenti alle altre categorie, i verbi del tipo (f) ammettono che la frase infinitiva possa diventare soggetto passivo, con senso inalterato: gli hanno permesso / impedito / di uscire → gli è stato permesso / impedito di uscire (cfr. § 3).
La tipologia dei verbi italiani, stabilita in base al riferimento alla principale, alla complementazione e alla preposizione introduttiva, si trova riassunta in tab. 1.
La tabella autorizza una generalizzazione: se il verbo regge l’infinito introdotto dalla preposizione a, l’infinito può solo rinviare all’oggetto, e non al soggetto, del verbo reggente.
Numerosi verbi ammettono più di una costruzione. Ciò vale, per es., per dire, comunemente usato in due accezioni: ho detto agli altri di non essere d’accordo («ho detto agli altri che io non ero d’accordo»); ho detto agli altri di non insistere («ho detto agli altri che loro non dovevano insistere»). Con alcuni verbi, questa alternanza si riflette nella scelta tra infinito semplice o infinito passato: li ho persuasi a farlo («ho persuaso loro che dovessero farlo»); li ho persuasi di averlo fatto («ho persuaso loro che io l’avevo fatto»).
Allorquando l’oggetto del verbo reggente resta implicito, il soggetto dell’infinito è recuperabile dal contesto o interpretato in senso generico:
(27) Entravano da padroni, da nemici nelle case, e […] le mettevano, quelle mani infette e scellerate, sui sani, figliuoli, parenti, mogli, mariti, minacciando di strascinarli al lazzaretto, se non si riscattavano [= «minacciavano loro di strascinarli»] (Alessandro Manzoni, I promessi sposi XXXII, p. 656)
(28) La sera si alzava un’impetuosa brezza atlantica che obbligava a mettere la giacca (Tabucchi, Sostiene Pereira, p. 135)
(29) … era un cuore in tempesta, il cui rombo non permetteva di sentire altro [= «non permetteva a nessuno di sentire altro»] (Maria Corti, L’ora di tutti, p. 51)
Si ha anche il caso del soggetto reso esplicito all’interno della infinita completiva, costruzione più diffusa nelle fasi antiche della lingua. Nell’italiano odierno, se il soggetto è realizzato, si presuppone un’interpretazione con focalizzazione e contrasto (➔ focalizzazioni):
(30) Ma io ti ringrazio, Cristo, di aver tu sopportato che io sia mendico ne la servitù di due Papi (Pietro Aretino, Lettere, 20, p. 145)
(31) ... ed io più volentieri ad udirli me ne dimorarei, che esser io il dicitore (Bandello, Novelle, p. 139)
(32) Gli hanno chiesto cosa potessero riferirmi e che anzi era meglio non mi dicessero niente d’esserci stato lui a cercarmi (Vittorini, Il garofano rosso, p. 24)
Infine, oltre alle preposizioni a e di, si attesta l’infinito introdotto dalla preposizione da, come in dare / offrire da mangiare. Tali infiniti sono però analizzabili come predicativi di un oggetto sottinteso: dare / offrire (qualcosa) da mangiare (➔ infinito).
Costituisce un caso a sé l’infinito con il valore di interrogativa indiretta, che, il più delle volte, si trova con il verbo sapere negato, ma anche insieme ad altri predicati come il verbo riflettere:
(33) Zeffirino non sapeva bene che pensare (Italo Calvino, I racconti, p. 9)
(34) Rifletté da principio se consigliarsi col farmacista per un calmante speciale (Morante, La storia, p. 82)
Il soggetto dell’infinito in tal caso rinvia normalmente al soggetto del verbo reggente, ma può anche, limitatamente a certi predicati, avere interpretazione generica: gli ho chiesto come arrivare alla stazione («come potevo arrivare / come si poteva arrivare alla stazione»).
Nella costruzione causativa (per dettagli specifici, ➔ causativa, costruzione), il verbo reggente fare indica che l’azione espressa dall’infinito è stata causata dal soggetto della principale:
(35) Chi aveva fatto sparire il cadavere dalla cucina? (Eco, Il nome della rosa, p. 278)
Tuttavia, la semantica di questa costruzione non è limitata alla causatività in senso stretto: fare + infinito può descrivere il raggiungimento di una meta (eventualmente dopo il superamento di un ostacolo):
(36) Cosa hai fatto che non ti sei piú fatta sentire? (Maraini, L’età del malessere, p. 169)
La costruzione si distingue per alcune caratteristiche strutturali ben definibili (per la costruzione causativa, e quella percettiva che segue più avanti, nel § 2.5, cfr., tra gli altri, Lepschy 1978; Guasti 1992; Simone & Cerbasi 2000).
(a) Non è possibile inserire elementi tra il verbo reggente fare e l’infinito. L’eventuale soggetto semantico dell’infinito deve apparire in posizione postverbale:
(37) va’ da zia Bisaccia, che faccia salire un medico (Deledda, Il vecchio della montagna, p. 165)
Anticamente non c’era restrizione sull’ordine delle parole, per cui nella lingua letteraria si riscontrano esempi in cui il soggetto si inserisce tra il verbo fare e l’infinito:
(38) Dopo la fine del giocar de le braccia aperse Pompeio uno degli usci de la camera e fece la donna entrar in un’altra camera ricchissimamente apparata (Bandello, Novelle, p. 106)
(b) I pronomi complementi dell’infinito non compaiono in enclisi all’infinito bensì in proclisi al verbo finito reggente:
(39) – È bella, – dissi e lui me la fece girare sotto il naso (Maraini, L’età del malessere, p. 24)
Vale a dire che, in un caso come questo, non è accettabile un’altra collocazione dei pronomi clitici: * fece girarmela sotto il naso. Di conseguenza, i verbi riflessivi usati in questa costruzione (➔ riflessivi, verbi; ➔ pronominali, verbi) compaiono di regola nella forma non riflessiva:
(40) E anche lui a quel tempo suonava la viola nelle feste studentesche, e era magro e agile, e faceva innamorare le ragazze (Tabucchi, Sostiene Pereira, p. 20)
(c) Il complemento d’agente corrispondente al soggetto concettuale dell’infinito può essere realizzato in una frase preposizionale introdotta da a o da:
(41) Ho fatto credere a Eumeo di essere figlio di un glorioso principe di Creta (Malerba, Itaca per sempre, p. 16)
(42) Bisogna che ti fai dire dal Mago come si fa per ammazzarlo (Italo Calvino, Fiabe italiane I, p. 27)
Si ha anche il caso del soggetto implicito, recuperabile dal contesto o interpretato in senso generico:
(43) ... e, se estraordinari vizii non lo fanno odiare, è ragionevole che naturalmente sia benvoluto da’ sua (Machiavelli, Il Principe II, p. 7)
Nell’italiano letterario, specie nella prosa umanistica, la costruzione causativa talvolta si fonde con l’➔accusativo con l’infinito:
(44) Queste occasioni per tanto feciono questi uomini felici, e la eccellente virtú loro fece quella occasione esser conosciuta (Machiavelli, Il Principe VI, p. 27).
Tra i verbi di percezione (➔ percezione, verbi di) che reggono un complemento all’infinito, i più comuni sono sentire e vedere, cui si aggiunge una serie di verbi semanticamente affini quali ascoltare, guardare, osservare.
(45) Si sedette sullo scoglio accanto a lei e la guardò un po’ piangere (Calvino, I racconti, p. 8)
La costruzione retta da un verbo di percezione si distingue nettamente da quella causativa di cui si è parlato in precedenza. A differenza di quanto accade in quest’ultima, infatti, il verbo di percezione e l’infinito possono essere separati dal soggetto semantico dell’infinito, che è oggetto sintattico del verbo reggente:
(46) sentì Melchiorre scendere il sentiero e passar oltre (Deledda, Il vecchio della montagna, p. 37)
(47) Vidi le tende azzurre sventolare al di sopra di teste e teste (Vittorini, Il garofano rosso, p. 7)
È anche ammessa l’inversione dell’argomento, e cioè il caso in cui il soggetto è collocato dopo l’infinito:
(48) Ma ecco che vedo luccicare qualcosa là sotto quelle frasche ai piedi di un cespuglioso olivastro (Malerba, Itaca per sempre, p. 8)
Inoltre, i clitici possono combinarsi in enclisi all’infinito:
(49) a un tratto egli li vide tirarsi rapidamente indietro con uno slancio felino (Deledda, Il vecchio della montagna, p. 126)
(50) Sentii la sua voce affievolirsi e poi svanire (Maraini, L’età del malessere, p. 30)
Il pronome riflessivo (➔ riflessivi, pronomi) può solo comparire in enclisi (cfr. * se li vide tirare; ➔ parole enclitiche).
Infine, a differenza che nella costruzione causativa, l’infinito può essere negato indipendentemente dal verbo reggente di percezione (infatti, è inammissibile una costruzione come * l’ho fatto non venire):
(51) ... ma vidi anche i turchi non volere averli ammazzati (Corti, L’ora di tutti, p. 50)
Tuttavia, il verbo di percezione seguito dall’infinito si avvicina strutturalmente alla costruzione causativa nel caso in cui il soggetto dell’infinito sia espresso con la preposizione a (l’ho visto fare a Gianni, nel senso approssimativo «ho visto Gianni che lo faceva»).
Nella lingua antica e letteraria, la costruzione percettiva talvolta si fonde con l’accusativo con l’infinito:
(52) Se adunque si considerrà tutti e’ progressi del duca, si vedrà lui aversi fatti gran fondamenti alla futura potenzia (Machiavelli, Il Principe VII, p. 32).
L’infinito può essere complemento di un verbo ausiliare modale (sapere, potere, volere, dovere; ➔ modali, verbi o fraseologico detto anche aspettuale: ad es., cominciare, continuare, finire, smettere, stare a, stare per; ➔ fraseologici, verbi). Quanto alla collocazione dei clitici, per via di un processo sintattico che è stato chiamato ristrutturazione (Rizzi 1982), si ha facoltativamente proclisi al verbo reggente (53) o enclisi all’infinito (54). Ciò vale per i verbi reggenti sia modali sia fraseologici:
(53) Se te lo devo dire, non sono venuto via di mia volontà (Manzoni, I promessi sposi, XVII, p. 358)
(54) Non ho voluto dirtelo prima, credendo che egli si sarebbe piegato (Federico De Roberto, I Vicerè, p. 712)
In generale, la proclisi pronominale al verbo reggente, come nell’es. (53), è segno che il verbo reggente e l’infinito formano un’unità predicativa. Questo processo interessa un numero limitato di verbi al di fuori della categoria degli ausiliari, tra cui mandare:
(55) «Ma Consalvo? Perché non lo mandate a chiamare?...» (De Roberto, I Vicerè, p. 595)
Tra i dialetti italiani, quelli settentrionali tendono a collocare il pronome in enclisi all’infinito (voglio farlo), quelli centromeridionali preferiscono il pronome in proclisi al modale reggente (lo voglio fare).
Inoltre, la proclisi al verbo modale è attestata anche nelle fasi storiche del francese.
(56) je me dois, par ta mort, montrer digne de toi («mi devo, con la tua morte, mostrare degna di te» (Corneille, Le Cid, Atto III, scena 4)
In francese moderno, non è grammaticale la sequenza * je me dois montrer, ma solo quella alternativa je dois me montrer. Nel panorama romanzo, si ha pertanto l’impressione di una perdita generale della costruzione con il pronome in proclisi al verbo modale, fenomeno caratterizzato da una estensione procedente da nord verso sud (Benucci 1990; ➔ lingue romanze e italiano).
Con i verbi reggenti in questione, se ci sono due complementi pronominali, essi non devono essere separati:
(57) Scusami – mentii – non posso mostrartela (Vittorini, Il garofano rosso, p. 20)
Infatti, è grammaticale anche il costrutto te la posso mostrare ma non * la posso mostrarti e nemmeno * ti posso mostrarla.
Se un verbo modale è in un tempo composto, l’infinito può determinare la scelta dell’ausiliare (➔ ausiliari, verbi):
(58) T’avevo invitato tante volte; non sei mai voluto venire (Manzoni, I promessi sposi XVII, p. 358).
(59) Quella sera stessa, al più tardi, sarei dovuto tornare a casa (Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini, p. 385)
Attualmente, il cambiamento di ausiliare, da avere in essere, illustrato in questi esempi, si sta perdendo nell’uso, specie nelle varietà settentrionali, sicché molti parlanti preferiscono non hai mai voluto venire e avrei dovuto tornare a casa. Tuttavia, tale alternanza non è di data recente. La si riscontra già nella prosa rinascimentale:
(60) Insomma ella s’adornò con le più belle cosette che si ritrovò avere, come se fosse voluta ire a far la mostra su la più solenne festa di Gazuolo (Bandello, Novelle, p. 132)
(61) così, dove la virtù mia non ha potuto arrivare, Lui stesso me gli ha campati (Cellini, Vita I, 22, p. 126)
Il cambiamento di ausiliare con i verbi fraseologici avviene meno frequentemente ed è circoscritto ai registri letterari o formali:
(62) Ma non erano ancora finite di entrare, che sentirono la porticina richiudersi con grandissima violenza (Collodi, Le avventure di Pinocchio, p. 120)
(63) I dati per i nove mesi 2004 indicano che la produzione del settore tessile e abbigliamento è continuata a scendere, salvo alcune eccezioni (Notiziario mensile per l’impresa che opera all’estero, marzo 2005, http://www.mo.camcom.it/mercato_globale/index.asp?idrivi=27)
Solo nel registro formale o letterario, l’oggetto dell’infinito può diventare soggetto passivo di un verbo modale o fraseologico, cosa che ha la possibilità di verificarsi sia con il si passivante (64-65), sia nella perifrastica passiva (66) (➔ passiva, costruzione):
(64) «Si è voluta colpire l’ONU e la ricerca della pace» dice a Fides la portavoce dell’Alto Commissariato dell’ONU per i rifugiati (Agenzia Fides 12/12/2007: www.fides.org/ aree/news/newsdet.php?idnews=14903&lan=ita)
(65) Di tali aberrazioni n’hanno tutte le lingue quando si cominciano a scrivere (Giacomo Leopardi, Zibaldone di pensieri, p. 1383)
(66) La bocca non era ancora finita di fare, che cominciò subito a ridere e a canzonarlo (Collodi, Le avventure di Pinocchio, p. 30)
Infine, l’infinito può essere negato indipendentemente dal verbo reggente, anche se tale fenomeno era più diffuso nella lingua letteraria antica:
(67) non poteva non riempirlo di soddisfazione (Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini, p. 476)
(68) Si dovrà non guardarli negli occhi (Corti, L’ora di tutti, p. 39)
(69) Colui, adunque, che vuole non potere vincere, si vaglia di queste arme, perché sono molto più pericolose che le mercennarie (Machiavelli, Il Principe XIII, p. 67).
L’infinito assume la funzione di soggetto con predicati di tre categorie.
(a) L’infinito può essere il soggetto di una frase copulativa (➔ copula) nella quale il predicato risulta formato da essere + aggettivo:
(70) Ritrovare l’amico non le fu difficile, ma rintracciare il ritratto fu arduo e costoso (Pratolini, Cronache di poveri amanti, p. 29)
(71) Non sarebbe equo tacere che una frequentazione piú assidua del Principe aveva avuto un certo effetto anche su Sedàra (Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo, p. 92)
(72) nessuno mai ha potuto meglio di noi cogliere la natura insanabile dell’offesa. […] Sarebbe stolto pensare che la giustizia umana la estingua (Levi, La tregua, p. 11)
oppure da essere + nome:
(73) sarà la festa di S. Nicola cacciare quei fetenti in mare (Corti, L’ora di tutti, p. 28)
(b) L’infinito può essere il soggetto di una costruzione passiva:
(74) ... le bancarelle e le botteghe di certi ebreucci ai quali ancora a quel tempo era permesso di seguitare nei loro poveri traffici di prima (Morante, La storia, p. 58)
Tali costruzioni sono ammissibili se il verbo nella forma attiva regge di + infinito che rinvia all’oggetto indiretto, vale a dire, il tipo (f) del § 2.2 (per es., è stato chiesto di fare qualcosa). Con il verbo dare, l’infinito può assumere la funzione di soggetto solo nella costruzione passiva:
(75) Finalmente poteva sfogarsi a declamare certi versi da lui stimati insuperabili, e che mai gli fu dato d’insegnare a scuola ai ragazzini (Morante, La storia, p. 40)
(c) L’infinito è soggetto di verbi impersonali (➔ impersonali, verbi) quali bastare, bisognare, capitare, occorrere, venire:
(76) Sarebbe bastato rompergli un braccio o una gamba con il manico di una scure (Malerba, Itaca per sempre, p. 13)
(77) Gli era capitato, invero, di crescere intempestivamente (Morante, La storia, p. 15)
(78) Belle donne, a me occorre di dire una novelletta contro a coloro li quali continuamente n’offendono senza poter da noi del pari essere offesi (Boccaccio, Dec. VIII, 2)
(79) ... tanto che dallo stupore e dalla gioia non gli venne di far partire neanche un colpo (Calvino, I racconti, p. 7)
Appartengono a quest’ultima categoria anche i verbi parere e sembrare:
(80) nessuno pareva dubitare della sua arianità completa (Morante, La storia, p. 57)
Tuttavia, i verbi parere e sembrare si differenziano da altri verbi intransitivi in quanto ammettono una costruzione apparentemente personale (nessuno pareva dubitare) al di là di una costruzione impersonale (pareva che nessuno dubitasse), fenomeno che è stato chiamato sollevamento (cfr. tra gli altri Ruwet 1972). Con taluni verbi, quali rischiare e minacciare, reggenti l’infinito, si ha solo la versione in cui un nome compare come soggetto grammaticale della costruzione, anche se si conserva il significato impersonale: la casa rischia di crollare «c’è il rischio che la casa crolli».
La proposizione infinitiva può avere il valore di una predicazione relativa al soggetto o all’oggetto. L’infinito predicativo del soggetto, il più delle volte retto da verbi quali essere, significare o vuol dire, può essere di tipo specificativo, nel senso che specifica o definisce il contenuto o il significato del soggetto:
(81) Il carcere duro significa essere obbligati al lavoro, portare la catena ai piedi, dormire su nudi tavolacci, e mangiare il più povero cibo immaginabile (Silvio Pellico, Le mie prigioni, 57, p. 176)
(82) Vedere questa parodia cupa trionfare al posto dell’altra RIVOLUZIONE da lui sognata (e che, da ultimo, pareva già quasi alle porte) per lui era come masticare ogni giorno una poltiglia disgustosa (Morante, La storia, p. 39)
Sono da considerarsi infiniti predicativi anche quelli retti da verbi quali restare, rimanere o esser(ci).
(83) … e non le restava che scansarli dalla mente (Morante, La storia, p. 85)
(84) Ogni convenzione bellica internazionale è da considerarsi sorpassata (Morante, La storia, p. 78)
(85) … in essi non c’era più niente da perfezionare (Corti, L’ora di tutti, p. 40)
La preposizione da (oppure a, nella lingua letteraria), come negli esempi precedenti, introduce un significato modale, di obbligo o di possibilità (➔ modalità). Lo stesso vale per i casi in cui l’infinito è predicativo dell’oggetto:
(86) Ho i piatti da lavare [= «ho i piatti che devo lavare»] (Calvino, I racconti, p. 16)
(87) Ormai quei disgraziati non hanno più nulla da perdere! [= «non hanno più nulla che possono perdere»] (Pratolini, Cronache di poveri amanti, p. 41)
Esistono inoltre infinitive in cui l’infinito appare autonomo, cioè assoluto:
(88) E adesso, di colpo, sentirmi paragonare a un Otello Forti, e proprio da lui, per giunta! Trovarmi sbalzato d’un tratto al suo livello! (Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini, p. 375)
(89) E dire che Elisa è così brutta (Maraini, L’età del malessere, p. 18).
Per i dettagli su questa struttura, ➔ infinito.
Aretino, Pietro (1990), Lettere, a cura di P. Procaccioli, Milano, Rizzoli, 2 voll.
Bandello, Matteo (1990), Novelle, introduzione di L. Russo, note di E. Mazzali, Milano, Rizzoli.
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