Frati minori
Fin dal terzo decennio del sec. XIII i Frati minori furono coinvolti nello scontro tra Federico II e Gregorio IX; quest'ultimo, infatti, dall'autunno 1220 come cardinale protettore, quindi dal marzo 1227 come papa, non ebbe ostacoli nell'intervenire sull'Ordine di Francesco d'Assisi (v.).
La necessità di un consolidamento istituzionale dell'Ordine suggerì al pontefice la rapida canonizzazione di Francesco (19 luglio 1228); onde poter contare sull'appoggio dei Francescani anche in funzione antimperiale, era inoltre necessario conferire loro una struttura il più possibile centralizzata e unitaria. Così fin dal 1228 il papa poté servirsi dell'attiva collaborazione dei Minori, sia per diffondere nel Regno la falsa voce che il sovrano era morto durante la spedizione in Oriente, sia per recapitare al patriarca di Gerusalemme la lettera del 23 marzo 1228 con la conferma della scomunica di Federico II (29 settembre 1227), il quale era ugualmente partito e aveva addirittura cinto la corona di Gerusalemme. I due frati latori della missiva furono catturati e duramente puniti.
I primi anni (1232-1239) del generalato diElia di Assisi (v.), nel 1238 stimato intermediario tra papa e imperatore, coincisero con una momentanea tregua nello scontro tra i due poteri, così che anche tra i Minori, come già si era verificato tra i Predicatori, emerse un orientamento favorevole all'imperatore. Lo stesso Federico II in una lettera scritta a Elia il 17 maggio 1236, all'indomani della solenne traslazione del corpo di Elisabetta d'Ungheria, canonizzata l'anno precedente, manifestò il suo apprezzamento per l'Ordine e si affidò alle sue preghiere. Nel 1233, quando in area padana si diffuse la 'pacificazione' seguita alla devozione dell'Alleluia, alcuni francescani, in particolare Gerardo da Modena, Leone da Perego ed Enrico da Milano, diedero prova di notevoli attitudini nel saper dirigere l'opinione pubblica del mondo comunale, tanto che alcuni comuni (Bologna, Modena, Parma, Vicenza) li nominarono rettori nella speranza di sopire gli odi di parte.
Il quadro mutò di segno dopo la successiva scomunica di Federico II (20 marzo 1239): allora i Frati dovettero schierarsi più nettamente e rispondere alle richieste di Gregorio IX che, con la Sedes Apostolica del 7 aprile 1239, ordinava loro di non prestare alcun aiuto al sovrano e, invece, di annunciarlo scomunicato tutte le domeniche e i giorni festivi: a seguito di ciò Federico II decretò l'espulsione dal Regno di Predicatori e Minori originari di altre regioni; si giunse poi al loro totale allontanamento, lasciando solo due frati a custodia di ogni convento.
L'evoluzione dello scontro, unitamente al desiderio di Gregorio IX di assicurare all'Ordine maggior coesione interna e una dirigenza pronta a sostenerlo, non fu estranea ai motivi che condussero alla deposizione di Elia, avvenuta nel maggio del 1239 durante il capitolo generale svoltosi a Roma alla presenza del papa stesso. L'ex generale dopo qualche tempo si rifugiò presso Federico II, incorrendo anch'egli nella scomunica. Il sovrano in un primo tempo tentò di suscitare divisioni tra i Francescani, mostrando il suo favore per Elia, perseguitato da Gregorio IX solo perché disposto alla pacificazione con l'Impero, che invece il papa rifiutava. La scelta di Elia di accostarsi all'imperatore, di mostrarsi ripetutamente in pubblico al suo fianco e di svolgere missioni per suo conto (nel 1243 fu inviato presso l'imperatore greco Giovanni Vatatze; nel 1250 era forse in Sicilia impegnato nella preparazione della crociata) ebbe un effetto devastante per l'Ordine, la cui dirigenza si trovò sempre più vincolata alle direttive papali, ora anche per allontanare i sospetti di una collusione con Federico II. I Predicatori, strutturalmente più autonomi rispetto al papato, riuscirono a mantenere una posizione più defilata nello scontro, almeno fino al 1245, anche grazie alla presenza di maestri generali tedeschi e non ostili a Federico II.
C'erano anche settori dell'Ordine francescano fin dalla prima ora attivi contro l'imperatore, come testimonia il celebre caso di Leone da Perego, ministro dei Minori di Milano, che dopo la sconfitta di Cortenuova (27 novembre 1237) fu incaricato dalle autorità comunali di trattare col sovrano. Giacché Federico II pretese la resa incondizionata, Leone abbandonò i negoziati, divenendo così l'anima della resistenza a oltranza della città e il più fidato collaboratore di Gregorio da Montelongo, legato papale dal 6 agosto 1238 nell'Italia settentrionale per ricompattare le forze della Lega. Leone giunse a prendere le armi e a incitare la popolazione alla lotta, promettendo addirittura indulgenze a chi avesse combattuto a sostegno della pars Ecclesie, cioè della Lega. Egli incontrò il pieno favore dei ceti dirigenti cittadini che tra 1239 e 1240 lo vollero rector communis assieme al legato; questi, poi, approfittando della vacanza della sede, lo nominò arcivescovo di Milano nell'aprile del 1241.
L'atteggiamento di Leone da Perego e la sua posizione come ministro dei Francescani milanesi permettono di comprendere lo zelo dei frati della vicina Lodi nel predicare la crociata contro Federico II, nonché le pesanti ritorsioni nei loro confronti, fino all'esecuzione capitale di uno di essi.
Federico II non fu in ogni caso pregiudizialmente ostile ai Minori, come dimostra il fatto che in occasione dei solenni funerali del figlio Enrico, morto in Calabria nel 1242, fu il minorita fra Luca Apulo a pronunciare l'orazione funebre, centrata su un versetto del capitolo XXII della Genesi dove si descrive Abramo sul punto di immolare il figlio Isacco, un tema che si prestava a essere applicato a Federico II e alla sua responsabilità nella morte del figlio. Molti tra i presenti si convinsero che l'imperatore avrebbe punito con la morte il frate, invece il sovrano volle leggere il sermone e lo apprezzò.
La situazione dei Minori si compromise definitivamente agli occhi di Federico II dopo l'elezione al soglio papale di Innocenzo IV, che era solito avere tra i suoi familiares dei Frati minori, un uso peraltro diffuso tra gli ecclesiastici di quel tempo, probabilmente per la necessità di disporre di collaboratori pronti ad agire anche nelle situazioni più difficili.
Nel biennio 1247-1249 le cose precipitarono, soprattutto dove il dominio di Federico era più incidente: se in un primo tempo il sovrano fece sì che i vescovi siciliani si rivolgessero a lui chiedendo interventi contro i Francescani, che sottraevano loro il controllo della massa dei fedeli, nel 1249 ordinò l'eliminazione fisica di coloro che fossero stati colti a sobillare la popolazione nel Regno. Significativo il caso di fra Simone da Montesarchio, procuratore dell'Ordine francescano alla Curia papale, inviato da Innocenzo IV nel Regno per crearvi un partito antifedericiano, un'iniziativa che ebbe successo, giacché "multos attraxit ad partem Ecclesie" (Salimbene de Adam, 1966, p. 463), finché nel 1248 fu catturato, torturato e ucciso.
Per tutta la durata dello scontro tra papato e Impero i Francescani si rivelarono uno strumento efficace, sia per la predicazione svincolata dalle autorità diocesane, sia per la grande capacità di influenzare l'opinione pubblica, sia infine per la mobilità, che li rese i più fidati latori di missive del papa ai suoi alleati. Essi, inoltre, predicarono indulgenze per chi avesse preso le armi contro il sovrano, raccolsero denaro per sostenere le azioni militari antimperiali, fomentarono le rivolte baronali nel Mezzogiorno, sostennero chi combatteva contro l'imperatore ‒ come accadde durante l'assedio di Viterbo nel 1243 e in quello del 1247 di Aquisgrana ‒ e si posero alla testa di eserciti, come lo stesso Federico II denunciò con veemenza in una lettera dell'ottobre 1250 all'imperatore greco Giovanni Vatatze: "Exercituum autem duces et signiferi quinam sunt? Fratres minores et praedicatores! Num spiritualia ista et sacerdotalia sunt? Num pacis haec indicia et exordia?" (Festa, 1984, p. 24).
In considerazione dei nuovi compiti si comprende la necessità per i Minori di ridefinire gli scopi dell'Ordine: più che sulla povertà e l'umiltà, si insistette sulla pastorale, in particolare la predicazione, e sulla necessità di sovvenire alle necessità della Chiesa, la cui crisi veniva attribuita alla condotta mondana dei prelati. Decisiva fu poi l'interpretazione della storia di Gioacchino da Fiore, i cui scritti furono consegnati nel 1241 ai Frati minori del convento di Pisa da un abate florense fermamente convinto "quod in Friderico tunc temporis omnia essent complenda misteria. Eo quod cum Ecclesia discordiam habebat non modicam" (Salimbene de Adam, 1966, p. 339). In questa direzione i Frati mendicanti, soprattutto i Francescani, cominciarono ad applicare al loro Ordine le profezie della fine, identificandosi sempre più con i religiosi previsti da Gioacchino per gli ultimi tempi e giustificando il loro ampio coinvolgimento politico-militare con la necessità di contrastare l'Anticristo-Federico. I vari commenti a libri della Scrittura, che cominciarono a circolare sotto il nome di Gioacchino, servirono anche come materiale per la predicazione dei frati e vennero così divulgati. Federico II, da parte sua, cercò di fare leva sul desiderio di ritorno alle origini presente in alcuni settori dell'Ordine, diramando scritti come la Illos felices describit antiquitas (fine 1245), dove si contrapponeva la povertà e la purezza della Chiesa primitiva all'eccessivo coinvolgimento nelle vicende mondane di quella attuale, nella quale pure i frati avevano perso i loro caratteri originali. Tali scritti ebbero una discreta eco tra i Minori ma non poterono mutare l'atteggiamento dei Mendicanti nei confronti del papato, giacché essi avevano sempre più bisogno della sua autorevole legittimazione nei confronti dell'episcopato.
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