Zinnemann, Fred
Regista cinematografico austriaco, naturalizzato statunitense, nato a Vienna il 29 aprile 1907 e morto a Londra il 14 marzo 1997. Osteggiato dai settori innovativi della critica americana (la rivista "Film culture") per i quali incarnava la detestata immagine del regista hollywoodiano falsamente impegnato sul fronte della verità e della realtà, Z. non meritava tanta ostilità, anche se è difficile individuare nella sua opera un vero percorso d'autore. Il suo è stato il cinema di un professionista onesto, che crede in quello che fa indipendentemente dagli esiti estetici e ideologici. Dopo l'esordio come regista con un documentario di ascendenza realista e politica (Redes, 1935, Redes ‒ I ribelli di Alvarado) firmato con Emilio Gómez Muriel e Paul Strand, si adattò alle imposizioni hollywoodiane girando opere di genere (poliziesco, musical, western, melodramma, persino film storico), spesso al servizio delle star. Nel 1952 il suo documentario Benjy (1951) fu premiato con l'Oscar come best short subject; due anni dopo From here to eternity (1953; Da qui all'eternità) ottenne otto Oscar, tra cui quelli per il miglior film e per la regia; ancora i due Oscar per il miglior film e per la regia gli furono attribuiti nel 1967 per A man for all seasons (1966; Un uomo per tutte le stagioni). Nel corso della sua carriera ricevette inoltre cinque nominations, la medaglia della Biennale di Venezia per The search (1948; Odissea tragica) e il Premio speciale della giuria, sempre alla Mostra del cinema di Venezia, per A hatful of rain (1957; Un cappello pieno di pioggia).Dopo i primi studi musicali come violinista effettuati a Vienna, si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza. Ma il suo vero obiettivo era il cinema: studiò così un anno a Parigi all'école technique de photographie et cinématographie, poi si trasferì a Berlino dove lavorò come assistente operatore, fra l'altro in Menschen am Sonntag (1930) diretto da Robert Siodmak e frutto del collettivo Filmstudio 1929, gruppo di giovani esordienti poi affermatisi a Hollywood, tra cui, oltre a Z., Billy Wilder ed Edgar G. Ulmer. Nel 1929, all'avvento del sonoro, partì per gli Stati Uniti, dove conobbe Robert J. Flaherty, il grande documentarista. Fu proprio grazie al documentario Redes, girato in Messico, che Z. si fece notare per la forza figurativa delle immagini della vita dei pescatori in sciopero. L'opera gli valse un contratto con la Metro Goldwyn Mayer, per la quale realizzò, fra i tanti, gli interessanti Kid glove killer (1942; Delitto al microscopio), Eyes of the night (1942; Occhi nella notte) e soprattutto The seventh cross (1944; La settima croce). Lasciata la MGM nel 1950 per contrasti, passò a lavorare con i produttori indipendenti ottenendo un successo strepitoso con High noon (1952; Mezzogiorno di fuoco), seguito da From here to eternity. Il resto della sua produzione, pur apprezzato, non raggiunse tuttavia un uguale successo, se non, forse, The day of the jackal (1973; Il giorno dello sciacallo) e Julia (1977; Giulia), suggestivo segmento biografico ispirato alle memorie di Lillian Hellman.
Z. fu grande direttore di star come Spencer Tracy, Robert Ryan, Gary Cooper, Grace Kelly, Burt Lancaster, Montgomery Clift, Frank Sinatra, Audrey Hepburn, Robert Mitchum, Gregory Peck, Jane Fonda, Sean Connery; gli va tuttavia dato atto di scelte a volte inusuali: Spencer Tracy, antifascista fuggiasco braccato nella Germania nazista in The seventh cross, Audrey Hepburn, suora senza vera vocazione in The nun's story (1959; La storia di una monaca), Robert Mitchum, sorta di cowboy australiano in The sundowners (1960; I nomadi), Jane Fonda, che dà un volto e un carattere debole e incerto alla in realtà bizzosissima e durissima L. Hellman in Julia, sono ritratti inusitati, tutt'altro che in linea con i dettami dello star system hollywoodiano. Ed è vero, come è stato notato (Rausa 1985), che i suoi personaggi sono individui moralmente ammirevoli e coerenti con sé stessi che si muovono in contesti ambigui o criminali; ma è anche vero che tale osservazione vale per almeno tre quarti dei registi hollywoodiani. Z., quindi, ancora una volta, si adeguò al modello etico standardizzato elaborato dalla città del cinema. Talvolta i risultati furono importanti, come nel caso di High noon, storia dello sceriffo Kane (Gary Cooper) che con fermezza decide di aspettare da solo i banditi nella sua cittadina ormai deserta: si tratta un film di sicuro coraggio che molto deve anche alla penna dello sceneggiatore Carl Foreman e all'impegno civile del produttore Stanley Kramer. In altre occasioni invece gli esiti furono più modesti, per es. quando dovette cedere a necessità promozionali, come nella scelta di Gregory Peck per un film che avrebbe richiesto altra impostazione attoriale come Behold a pale horse (1964; …E venne il giorno della vendetta).
Ammirazione sconfinata Z. aveva per John Ford, che, dopo Flaherty, lo influenzò moltissimo. Ford è probabilmente il regista che Z. avrebbe voluto essere, nel senso del grande professionismo hollywoodiano; la differenza è che Ford ha elaborato una visione del mondo molto più organica e con una gamma emozionale assai più ampia. Z. invece non sapeva ridere né possedeva il senso comico delle persone e delle situazioni. Ogni sua rappresentazione ha pertanto sempre e comunque un carattere serio, persino in un film che poteva splendere per leggerezza come The member of the wedding (1952); nemmeno un musical come Oklahoma! (1955) mostra la particolare gioia di vivere che è di solito tipica del genere. Migliori risultati ottenne invece con From here to eternity, intreccio di storie in un reparto dell'esercito statunitense di stanza a Honolulu nell'estate del 1941, poco prima dell'attacco giapponese a Pearl Harbor. Il film fece epoca e scandalo per la scena fra il sergente Warden (Lancaster) e la moglie infedele del suo capitano (Deborah Kerr), che amoreggiano sul bagnasciuga, ma soprattutto interpretava abbastanza fedelmente, anche se in una chiave molto più melodrammatica, le riflessioni sul recente passato americano che un gruppo di narratori popolari (da Herman Wouk allo stesso James Jones, dal cui romanzo era stato tratto il film) andavano elaborando con successo in quegli anni.
I posteriori successi di A man for all seasons e The day of the jackal non portarono a Z. che la stima già meritata, e la conclusione del suo lavoro con Five days one summer (1982; Cinque giorni, un'estate) dramma psicologico di uno zio e una nipote legati da un difficile rapporto d'amore, in vacanza in un paese alpino all'inizio degli anni Trenta, al massimo ribadisce le sue radici europee, la sua nostalgia per un mondo in realtà morto con la fine delle retoriche contrabbandate da quei regimi totalitari di cui si era occupato in uno dei suoi migliori film (The seventh cross), ma che non a caso non aveva mai direttamente conosciuto e sofferto.
G. Rausa, Fred Zinnemann, Firenze 1985.