PALUDAN-MÜLLER, Frederik
Poeta danese, nato a Kerteminde il 7 febbraio 1809, morto a Copenaghen il 27 dicembre 1876; una delle figure più rappresentative del disillusionismo romantico che anche in Danimarca dominò gli spiriti sulla metà del secolo.
Come romantico aveva incominciato, nella scia del Byron, con un poemetto Danserinden (La danzatrice, 1832); e la sua naturale sensibilità per la bella forma e il gusto del tempo rinnovato appunto in questo senso da Heiberg, se lo condussero alla grazia ed eleganza del poemetto mitologico Amor og Psyche (1834), non bastarono per molto tempo a fargli superare il suo congenito romanticismo (v. il dramma Eventyr i Skoven, Avventura nel bosco; i poemetti byroniani: Beatrice, Vestalinden Slaven, in Poesier, 1836-38; e la satira Trochæer og Jamber, 1837). Ma già il prologo di Adam Homo (1ª parte 1841; continuazione 1848), e tutto il poema che Giorgio Brandes chiamò "la più virile opera che i Danesi possiedano", è l'espressione di un'anima romantica che contempla con amarezza nella realtà la negazione del proprio sogno: non più la romantica interiorità è la "lampada meravigliosa" che guida l'uomo-Aladino nel poetico cammino della vita; anzi la facilità con la quale Adam-Homo rinnega quella interiorità è la sola forza che nella prosa della realtà gli dà la vittoria.
Il distacco fra l'opera giovanile e questo nuovo accento della poesia fu l'espressione d'una grave crisi attraversata dal P.: una lunga e grave malattia; il matrimonio con Charte Borch, donna volitiva, religiosa, severa, di nove anni più vecchia di lui, che lo aveva fedelmente curato e fedelmente gli fu a fianco per tutta la vita; il naturale ripiegarsi della sua indole sensitiva nella nuova atmosfera spirituale in cui si trovò a vivere, un lungo soggiorno nel Sud, in Italia, che gli diede più netta coscienza della sua natura nordica; e non Adam Homo soltanto porta le tracce di questa crisi, ma tutta l'altra sua opera di questo tempo: i drammi mitologici Venus (1841), Dryadens Bryllup (Le nozze della driade, 1844), col loro simbolismo idealistico; il dramma Titon (1844), il poemetto Abels Død (1845), che, nel loro tono calmo e pensoso, quasi suonano come un continuo inno alla morte. I due coniugi non ebbero figli, e condussero vita solitaria; e si sente questo spirito di solitudine, in cui il pensiero si appesantisce e la fantasia si esalta, nelle altre composizioni che si susseguirono: il dramma sul filosofo indiano Kalanus (1854), che dalla sua coscienza morale è condotto ad ascendere spontaneamente sul rogo; il poema su Ahasverus (1854), che alla fine del suo eterno errare, alla vigilia del giudizio universale, contempla nella fine del mondo la sua salvezza e redenzione. Ancora nei Nye Digte (1861), i poemetti Kain, Paradiset, Benedict fra Nursia, nascono, malgrado qualche religioso tono di maggiore serenità, da questa ispirazione cupamente meditabonda e contemplativa, da questo sentimento dell'umana necessità di rinuncia alla felicità. Le ultime opere, l'ampio ma informe e stanco romanzo Ivar Lykkes Historie (1866-73), il racconto Ungdomskilde (Fonte di giovinezza, 1865), il poemetto Adonis (1874), hanno in molti punti un accento autobiografico che aiuta a comprendere anche storicamente la pensosa nordicità e problematicità del suo spirito.
Opere: Poetiske Skrifter, voll. 8, Copenaghen 1878-79; Udvalgte poetiske Skrifter, a cura di C. S. Petersen, Copenaghen 1909; Ungdomsskrifter, voll. 2, ultima ed., Copenaghen 1930.
Bibl.: G. Brandes, in Samlede Skrifter, I; F. Lange, F. P.-M., Copenaghen 1899; W. Andersen, F. P.-M., voll. 2, Copenaghen 1910; H. Martensen-Larsen, P.-M. og Martensen, Copenaghen 1923; id., Den Virkelige P.-M., Copenaghen 1924.