Free cinema
Movimento cinematografico nato in Inghilterra intorno alla metà degli anni Cinquanta. Autori di punta e ideatori ne furono Lindsay Anderson, Karel Reisz e Tony Richardson, che proclamavano la necessità di uno svecchiamento della cinematografia nazionale e auspicavano la nascita di un cinema libero, poetico, attento alle nuove realtà del Paese. Il F. C. fu strettamente legato al contemporaneo movimento teatrale e letterario degli Angry Young Men, che ebbe nel drammaturgo John James Osborne il suo maggiore portavoce, e alle istanze politiche della New Left e del movimento antinucleare e pacifista. Do-po diversi programmi di cortometraggi, il F. C. passò al lungometraggio nel 1959 con Look back in anger (I giovani arrabbiati) di Richardson, tratto dall'omonima commedia di Osborne. Richardson fu seguito da Reisz, Anderson e da altri autori, e l'espressione Free Cinema indicò una sorta di nouvelle vague britannica, riconoscibile per omogeneità di testi (spesso tratti dalle opere degli Angry Young Men, o da essi scritti) e di volti, e per la precisa volontà di riflettere sullo schermo una nuova immagine, scontenta, scontrosa e anticonformista, dell'Inghilterra. Nonostante la sua influenza si fosse estesa progressivamente anche ad autori e generi estranei in origine al movimento, il F. C. terminò la sua parabola con la prima metà degli anni Sessanta.
Nel febbraio 1956, al National Film Theatre di Londra venne presentato un programma di cortometraggi realizzati da giovani autori, non solo inglesi: Together di Lorenza Mazzetti, una studentessa italiana della Slade School of Fine Art di Londra, che aveva chiesto aiuto ad Anderson per terminarne il montaggio; Momma don't allow, descrizione di una serata in un jazz club frequentato da giovani proletari, diretto da Reisz e Richardson e prodotto dal British Film Institute; O dreamland, un documentario sul luna park di Margate realizzato da Anderson nel 1953 a proprie spese e mai proiettato in pubblico. Il programma era accompagnato da una dichiarazione illustrativa, quasi la definizione di una poetica, stilata da Anderson e Reisz: "Free Cinema è il titolo complessivo scelto per un programma speciale di nuovi film che saranno proiettati al National Film Theatre per quattro giorni. Nessuno di questi film è stato prodotto nell'ambito del cinema commerciale. Momma don't allow e Together sono stati realizzati con il supporto dell'Experimental Production Fund del British Film Institute; O dreamland è del tutto autonomo. Gli autori dei film preferiscono chiamare il loro lavoro free piuttosto che experi-mental. Infatti esso non è autocontemplativo né esoterico. E la sua preoccupazione principale non è la tecnica. Questi film sono liberi nel senso che le loro asserzioni sono del tutto personali. Anche se i loro umori e i loro soggetti sono diversi, ognuno di essi è interessato a qualche aspetto della vita, com'è vissuta, oggi, in questo paese. Un jazz club nell'area settentrionale di Londra; la strada principale della zona portuale dell'East End; un parco di divertimenti in un luogo di villeggiatura della costa meridionale… Queste ambientazioni possono essere apparse prima nel cinema britannico. Ma qui c'è lo sforzo di vederle e sentirle in maniera nuova, con amore o con rabbia, ma mai freddamente, asetticamente, convenzionalmente. In realtà, gli autori di questi film li propongono come una sfida all'ortodossia" (trad. it. in Free Cinema e dintorni, 1991, p. XIV).
Come raccontò molti anni dopo Anderson, più che di un manifesto "si trattò soltanto di una comoda etichetta. Un'idea offerta ai giornalisti perché ci scrivessero sopra. Senza quel titolo declamatorio, credo onestamente che la stampa non ci avrebbe prestato alcuna attenzione è stata una sorta di confezione culturale ben riuscita" (in Walker 1974; trad. it. in Free Cinema e dintorni, 1991, p. XIV). Ma dietro la 'confezione culturale' c'era non solo lo spirito dei tempi che premeva in direzione di un complessivo rinnovamento culturale, ma anche il lavoro che un gruppo di giovani critici e cineasti stava portando avanti da anni.
Infatti, l'espressione F. C. era stata coniata nel 1951 sulla rivista "Sequence" da Alan Cooke, per designare tutti quei film caratterizzati "dall'uso personale ed espressivo del mezzo" (Cooke 1951; trad. it. in Free Cinema e dintorni, 1991, p. XIV). "Sequence" era stata fondata nel 1946 a Oxford da John Boud e Peter Ericsson, e fin dal secondo numero comparivano tra i redattori Anderson, Penelope Houston e Gavin Lambert (cui si aggiunse in seguito Reisz). Molto aggressiva nei confronti della fiacchezza e della letterarietà del cinema nazionale, rifuggiva sia dall'intellettualismo francese sia dall'accademismo britannico, e sosteneva la libertà espressiva e la creatività pura, la poesia di cineasti come Jean Vigo, Humphrey Jennings e John Ford. Trasferitasi a Londra nel 1948, chiuse nel 1952, ma i suoi redattori continuarono la loro battaglia sulle pagine di alcuni quotidiani e della rivista "Sight and sound". Per una volta la teoria cinematografica aveva anticipato i fermenti che a metà degli anni Cinquanta avrebbero profondamente modificato la cultura e il costume britannici.Il 1956 fu un anno chiave. Due avvenimenti sconvolsero gli equilibri politici nazionali e internazionali: la crisi di Suez e quella ungherese. L'Egitto, che aveva dichiarato la nazionalizzazione del canale di Suez, fu attaccato da Inghilterra, Francia e Israele, che furono in seguito costretti a ritirare le truppe per le forti pressioni dell'ONU; tale ritiro segnò la fine del mito del 'leone britannico', e costrinse la Gran Bretagna a prendere atto del proprio ruolo politico e culturale subalterno rispetto agli Stati Uniti. Dal dissenso provocato all'interno della sinistra dall'invasione sovietica dell'Ungheria nacque la New Left, che si contrapponeva sia al marxismo dogmatico del partito comunista sia ai compromessi del laburismo e che, attraverso le riviste "New reasoner" e "Universities and Left review" (fuse nel 1959 nella "New Left review"), elaborò nuove analisi di carattere politico e culturale. Nello stesso periodo molti conflitti cominciarono a manifestarsi apertamente nella società inglese: già nel 1955 si erano accese le polemiche sulla pena di morte, mentre la preoccupazione per il degrado morale della nazione indusse ad avviare un'inchiesta parlamentare, che si concretizzò nel 1957 con un rapporto su prostituzione e omosessualità non certo rivoluzionario, ma che almeno raccomandava la depenalizzazione dell'omosessualità, allora punibile con i lavori forzati. Contemporaneamente stava crescendo la tensione tra la popolazione di colore, immigrata dai Paesi del Commonwealth all'inizio del decennio su incoraggiamento delle industrie britanniche bisognose di manodopera; una tensione che culminò nel 1958 con gli scontri razziali di Nottingham e Notting Hill.In campo più specificamente culturale, il 1956 fu anche l'anno dell'esplosione della cultura giovanile, con i tumulti provocati dall'uscita del film Rock around the clock (Senza tregua il rock'n' roll) di Fred F. Sears, con il celebre cantante statunitense Bill Haley, e soprattutto quello dell'affermazione degli Angry Young Men. Infatti, il vero evento culturale dell'anno fu la prima di Look back in anger, l'8 maggio al Royal Court Theatre, con la regia di Richardson. Con la sua ambientazione proletaria e la rabbia urlata del protagonista contro il conformismo della società britannica, la commedia portò alla luce le frustrazioni della generazione cresciuta durante la guerra e gli anni della democratizzazione laburista, e la sua disillusione per le promesse non mantenute. Il suo protagonista, Jimmy Porter, divenne il simbolo dell'insoddisfazione che attanagliava il Paese. Nacque così il mito degli Angry Young Men, anche questa niente più che un'etichetta sotto la quale la stampa accomunò i giovani scrittori e commediografi della generazione di Osborne. Come ha puntualizzato John Hill: "quello che fece il mito fu non tanto identificare un vero raggruppamento, quanto crearne uno, mettendo insieme scrittori precedenti come Kingsley Amis e John Wain, in una certa misura John Braine, e nuovi scrittori come Osborne, Colin Wilson, Stuart Holroyd, e i loro stessi personaggi (soprattutto il Jim Dixon di Lucky Jim di Amis e il Jimmy Porter di Look back in anger di Osborne)" (1986; trad. it. in Martini 1991, p. 213). E fu proprio a questi scrittori e alle loro opere (e a quelle di altri autori affermatisi negli anni immediatamente successivi, come Alan Sillitoe, Shelagh Delaney, David Storey, Stan Barstow) che si ispirarono i registi del F. C., soprat-tutto quando passarono al lungometraggio. In pratica, a metà degli anni Cinquanta salirono alla superficie sonnecchiante e tradizionalista della cultura britannica tutte le insoddisfazioni e le contraddizioni di un mondo che stava cambiando e che si contrapponeva contemporaneamente alle rigide regole della società classista e agli abbagli del nuovo consumismo. Il F. C., gli Angry Young Men e la New Left furono i 'movimenti' di punta di questo scossone culturale. Gli intrecci reciproci, nella seconda metà degli anni Cinquanta, furono fittissimi: Anderson e Reisz pubblicarono saggi sulla "Universities and Left review"; Richardson diresse in teatro i drammi di Osborne, e Osborne scrisse diverse sceneggiature per Richardson e Reisz; Anderson pubblicò nel 1957 Get out and push!, un articolo per la Declaration degli Angry Young Men; e il giorno di Pasqua dell'anno seguente tutti i gruppi parteciparono alla prima marcia per il di-sarmo ad Aldermaston, una cittadina a 50 miglia da Londra che ospitava uno stabilimento di ricerche nucleari. In occasione di questo avvenimento, il F. C. realizzò il suo unico documentario esplicitamente politico, March to Aldermaston (1958) di Anderson, Reisz, Stephen Peet, Derek York, Kurt Lewnhack, Derrick Knight, con un commento scritto da Anderson e letto fuori campo da Richard Burton. Ma gli incontri e gli accorpamenti furono fluttuanti e occasionali; non ci furono mai espliciti progetti e programmi comuni. Ci fu soltanto, nei tre movimenti e nei molti altri minori, la confluenza delle insoddisfazioni e delle rivendicazioni che agitavano profondamente la società britannica, che talvolta si fusero nelle medesime elaborazioni espressive, artistiche e politiche.
Il primo programma del F. C. ebbe una buona accoglienza di pubblico e di critica, e ciò consentì di organizzarne un secondo, nel settembre dello stesso anno, nel quale furono presentati tre film stranieri: On the Bowery (1956) di Lionel Rogosin, Neighbours (1952) di Norman McLaren e Le sang des bêtes (1949) di Georges Franju. Il terzo programma, invece, presentato nel giugno 1957, si intitolava Look at Britain e comprendeva due film di Anderson, Wakefield Express (1952) ed Every day except Christmas (1957), il film collettivo The singing street (1951) e Nice time (1957), il vivissimo ritratto di Piccadilly Circus realizzato da due giovani svizzeri che lavoravano al British Film Institute, Alain Tanner e Claude Goretta. La poetica dei nuovi autori era assolutamente limpida e conseguente alle analisi compiute sullo stato del cinema britannico: tornare al 'sociale', certo, come chiedevano tutte le correnti espressive emergenti, ma non con enfasi pedagogica e dogmatica, quanto piuttosto con uno sguardo libero, con curiosità partecipe, con la consapevolezza delle proprie radici e dei cambiamenti in atto. In questo senso, Every day except Christmas potrebbe essere assunto a 'manifesto' del movimento: il realismo minuzioso con cui l'autore osserva il lavoro quotidiano degli ambulanti del mercato del Covent Garden, i volti, le mani, la fatica, si allontana dalla sociologia per trasformarsi in poesia, scandita da un montaggio e da un sonoro dal vivo che diventano altrettanti elementi espressivi. Realismo, perciò, non nel senso di fotografare la realtà, ma in quello di interpretarla, di scavare sotto le sue apparenze fino a farne emergere l'anima. Tutto il F. C., anche quello dei lungometraggi, e anche negli esemplari segnati da un'esplicita rabbia, troverà le sue espressioni migliori, oltre che nella volontà di portare alla luce l'insoddisfazione crescente, in questo equilibrio tra realismo e sentimento, in questa capacità di riconoscere i valori ideali sotterranei che ancora sorreggono la vita della gente comune e il loro scontro con un mondo che a poco a poco tende a vanificarli. è in tal modo che acquista un senso il frequente richiamo dei cineasti del F. C. a J. Ford e al poeta del quotidiano H. Jennings: nel bisogno palpabile di ritornare al cuore della cultura collettiva; un cuore che il cinema inglese degli anni Cinquanta, troppo preso dalla sua vocazione moralistica e dal suo impacciato trionfalismo, aveva via via dimenticato.
Il quarto e il quinto programma del F. C. furono presentati entrambi nel settembre 1958: Polish voices, che comprendeva cortometraggi di Walerian Borowczyk, Jan Lenica e Roman Polanski, e French renewal, che presentava per la prima volta in Inghilterra Les mistons (1957; L'età difficile) di François Truffaut e Le beau Serge (1957) di Claude Chabrol. Il sesto fu presentato nel marzo 1959: interamente inglese, era composto da Food for blush di Elisabeth Russell, Refuge England del rifugiato ungherese Robert Vas, Enginemen di Michael Grisby, We are the Lambeth boys di Reisz, tutti film realizzati in quello stesso anno. Quello di Reisz fu l'ultimo documentario del F. C., e il sesto l'ultimo dei suoi programmi. Il National Film Theatre aveva esaurito la sua pazienza, il fondo del British Film Institute non era proprio florido e la Ford Motor Company, per la quale lavorava Reisz e che aveva finanziato i suoi film, non li considerava sufficientemente remunerativi sul piano pubblicitario. Ma, come scrisse nel 1977 Anderson nella presentazione di un omaggio al F. C. organizzato dal National Film Theatre, "il Free Cinema assunse, rapidamente e volutamente, il significato di un nuovo modo di fare film" (trad. it. in Free Cinema, 1981, p. 16).Nel pieno di una crisi gravissima dell'industria cinematografica britannica, uscì un film che, per quanto non ascrivibile al F. C., aveva in comune con esso gli umori, l'ambientazione, l'insofferenza del protagonista: Room at the top (1958; La strada dei quartieri alti), prodotto da una piccola compagnia indipendente, diretto dall'esordiente Jack Clayton e tratto dal romanzo omonimo di John Braine, era un melodramma con un esplicito sfondo sessuale e di classe, ambientato in una città industriale dell'Inghilterra settentrionale, nel quale il protagonista compie la propria scalata sociale utilizzando il sesso. Giudicato troppo scottante dalla commissione di censura, gli fu assegnata la classificazione X (vietato ai minori), generalmente un ostacolo enorme per la fortuna commerciale di un film: invece divenne il terzo campione d'incassi del 1959, e fu accolto con entusiasmo anche negli Stati Uniti, dove guadagnò due Oscar nel 1960. Il suo successo non fu solo un sintomo del rinnovamento dei costumi che stava dilagando in Gran Bretagna, ma aprì anche la strada alle realizzazioni immediatamente successive degli autori provenienti dal Free Cinema.
Sempre nel 1959 uscì Look back in anger, prodotto dalla neonata Woodfall Film Productions, la compagnia fondata da Osborne e Richardson insieme a Harry Saltzman (uno statunitense che sarebbe diventato uno dei 'padri' della saga dell'agente 007): Saltzman era riuscito a ottenere un finanziamento dalla Warner Bros., sulla base della fama internazionale dell'omonima commedia e, soprattutto, dell'impegno assunto da Richard Burton, già famoso a Hollywood, a interpretare il ruolo del protagonista. Look back in anger segnò il debutto nel lungometraggio al tempo stesso di Richardson, degli Angry Young Men e del F. C., e il regista cercò di ovviare all'impianto teatrale del testo applicando le consuetudini del F. C., dalle frequenti incursioni all'aperto alla colonna sonora jazz.La buona accoglienza critica convinse Richardson e Osborne a portare sullo schermo un'altra commedia di quest'ultimo, The entertainer (1960; Gli sfasati), la storia di un anziano commediante di vaudeville nella significativa interpretazione di Laurence Olivier. Un film graffiante e straziato, che offre un ritratto agghiacciante dell'Inghilterra piccolo-borghese, e che fu un insuccesso quasi annunciato. La Woodfall, messa in difficoltà dal cattivo esito di quest'opera, proseguì ugualmente nella produzione del suo terzo progetto: tratto dal romanzo di Sillitoe, che curò la sceneggiatura, Saturday night and Sunday morning (1960; Sabato sera, domenica mattina) racconta le giornate e le nottate inquiete di un giovane tornitore di una fabbrica di Nottingham, la sua insofferenza, il suo forzato adattamento. Richardson non era interessato alla regia e tenne per sé il ruolo di produttore; il film fu l'occasione per il passaggio al lungometraggio di Reisz e per il debutto di un giovane attore già affermatosi in teatro, Albert Finney. Saturday night and Sunday morning apparentemente non possedeva elementi di richiamo per il pubblico e, quando fu terminato, venne rifiutato da tutti gli esercenti. Fu solo l'inaspettato fallimento commerciale di un film della Warner che aprì uno spazio nella programmazione della sala Warner del West End; e il film di Reisz, fin dalla prima settimana, si rivelò un successo imprevisto, trasformò Finney in una star e divenne il terzo campione d'incassi. Era nervoso, amaro, non conciliante e trasmetteva una carica di vitalità repressa che trascinò con sé tutta l'industria cinematografica britannica. Fiorirono piccole compagnie indipendenti, fondate da registi, attori e produttori, che con esiti variabili cominciarono a proporre temi e stili vicini a quelli del F. C., storie di giovani, di operai, di città e quartieri inquieti, di fughe impossibili; i nuovi divi ebbero le facce comuni di Finney, Tom Courtenay, Rita Tushingham, Alan Bates; gli studi furono drasticamente abbandonati a favore delle riprese dal vero.
Emersero nuovi autori in sintonia con il nuovo immaginario, come Bryan Forbes con The L-shaped room (1962; La stanza a forma di L), il canadese Sidney J. Furie con The leather boys (1963) e soprattutto John Schlesinger, che esordì nel lungometraggio con A kind of loving (1962; Una maniera d'amare), seguito nel 1963 da Billy liar (Billy il bugiardo), tratti rispettivamente da un romanzo di Barstow e da una commedia di Willis Hall e Keith Waterhouse, ed entrambi ambientati nell'Inghilterra industriale del Nord.
Quanto al nucleo originario del F. C., il più prolifico fu Richardson, che realizzò nel 1961 A taste of honey (Sapore di miele), tratto dalla commedia di Sh. Delaney, nel 1962 The loneliness of the long distance runner (Gioventù, amore e rabbia), dal romanzo di Sillitoe, e nel 1963 Tom Jones, tratto dal romanzo di Henry Fielding e sceneggiato da Osborne, che trasferiva nell'ambientazione settecentesca tutti gli stilemi, le dissacrazioni e la vitalità del F. C. e che ebbe un grande successo. Il 1963 fu anche l'anno in cui esordì nel lungometraggio Anderson con This sporting life (Io sono un campione), sceneggiato da Storey dal suo romanzo e interpretato da Richard Harris. Storia della disillusione scontrosa e dell'incapacità affettiva di un ex minatore diventato giocatore di rugby, rappresentò il risultato più compiuto del F. C.: con la sua struttura a flashback, riuscì a trasporre il realismo descrittivo in una dimensione drammatica interiore, a tradurre in poesia un approccio che si era esercitato soprattutto nella prosa. Segnò però anche, insieme a Tom Jones, la fine del 'movimento'. Gli interessi del pubblico e dell'industria si stavano spostando verso l'euforia della nascente swinging London. Come scrisse Anderson nel 1983: "Noi credevamo di poter trovare un buon sostegno popolare da parte del pubblico britannico, oppure di riuscire a crearlo, per gettare le basi di una solida industria nazionale. O almeno che valesse la pena di tentare. Abbiamo avuto successo per diciotto mesi. Le nostre mete non sono state condivise, in parte perché la concezione americana del cinema come divertimento era troppo radicata, in parte perché, tra gli stessi inglesi, la resistenza al cambiamento e l'accettazione del severo conformismo sociale e artistico della classe media erano troppo marcate" (trad. it. in Martini 1991, pp. 274-75).
A. Cooke, Free Cinema, in "Sequence", 1951, 13.
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L. Anderson, Get out and push!, in Declaration, ed. T. Maschler, London 1957.
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P. Houston, The contemporary cinema, London 1963, pp. 111-24;
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A. Walker, Hollywood, England ‒ The British film industry in the sixties, London 1974, pp. 23-177.
Free Cinema, a cura di A. Lovell, D. Ferrario, Bergamo-Modena 1981;
L. Anderson, British cinema ‒ The historical imperative, in International film guide 1983, ed. P. Cowie, London 1983; J. Hill, Sex, class and realism ‒ British cinema 1956-1963, London 1986, passim.
E. Martini, Storia del cinema inglese, Venezia 1991, pp. 212-19 e 256-75.
Free Cinema e dintorni, a cura di E. Martini, Torino 1991.