FREGOSO, Fregosino
Nacque, probabilmente a Genova, intorno al 1460, primogenito dei cinque figli di Paolo, allora arcivescovo della città poi doge e cardinale, e di una novizia, di cui non è nota l'identità.
La corretta individuazione del F. è insidiata dalla contemporanea esistenza di un omonimo, fratello di Giano, doge nel 1512. Questi passerà alla storia come uccisore di Gerolamo Fieschi nel 1513, e perciò responsabile della caduta di Giano (motivata in realtà da ben più complessa congiuntura politica). All'arroganza del F. sarà invece imputato in parte il "malgoverno" del padre. Si trattava però soltanto di una rigorosa fedeltà al capo.
Nonostante la sua condizione irregolare, il F. sin dall'infanzia visse vicino al padre, che nel 1464 lo condusse con sé a Mantova, dove si rifugiò dopo la fine del suo secondo dogato. Alla corte dei Gonzaga - dove il padre lo raggiungeva durante le soste della vita corsara - il F. poté ricevere un'ottima formazione culturale e marziale, secondo i vivaci ideali umanistici del luogo, pienamente condivisi dai Fregoso. Come Paolo anche il F. fu avviato alla carriera ecclesiastica (che però da adulto abbandonò anche formalmente) e inviato all'università di Bologna, dove conseguì precocemente il dottorato in utroque iure. Dal 1479 al 1481 poté così ricoprire, con la doppia qualifica di chierico e di dottore, la carica di vicario generale del padre, arcivescovo di Genova. Qui il F. era rientrato, sempre al seguito del padre, nell'aprile 1477, quando i fuorusciti della nobiltà genovese cacciarono il governatore sforzesco approfittando della morte del duca di Milano Galeazzo Maria Sforza.
Nella riaperta contesa per il potere, Paolo fu richiamato dalla fazione "popolare", che i Fregoso tradizionalmente rappresentavano, consistente in vasti settori del ceto armatoriale e mercantile che, dalla pressione fiscale e in genere dalla politica economica sforzesca, si era sentito trascurato e danneggiato. Ma Paolo a Genova trovò prima la ferma opposizione armata di Ibleto Fieschi, poi il poderoso contrattacco dell'esercito sforzesco, che impose Prospero Adorno come nuovo governatore ducale.
Lasciando Genova alla ricerca di alleanze a Roma e a Venezia, Paolo insediò il F. in arcivescovado quale proprio vicario, evidentemente per essere sempre aggiornato sulla situazione genovese: funzione informativa tanto più necessaria nella mossa realtà internazionale, con il nuovo papa, il savonese Sisto IV, e il re di Napoli in lotta contro Milano, Venezia e Firenze, e tutti contendentisi Genova attraverso accordi coi mobilissimi capifazione. Nel 1480 il F. prese parte alla spedizione di Otranto contro i Turchi, nella flotta comandata dal padre.
Dopo la riconquista del dogato di Genova il 25 nov. 1483, Paolo fece del F. il proprio coadiutore di fiducia e gli affidò le mansioni più delicate - e scomode - come la punizione di magistrati dissidenti e la conduzione di trattative segrete con gli Sforza. Grazie agli accordi con questi ultimi, Paolo riuscì a mantenere la carica di governatore, invece che quella di doge, per circa un anno, fino all'agosto 1488, e a condurre in porto una preziosa soluzione matrimoniale per il F. che, nel luglio 1487, sposò Chiara Sforza, figlia naturale del duca Francesco e vedova del conte Pietro Dal Verme.
La moglie gli portava una ragguardevole dote feudale (i territori lombardi di Nibbiano, Bellano, Varenna, Mandello, la Valsassina), già ricevuta dal fratello Gian Galeazzo al tempo del primo matrimonio (1480), e i nuovi feudi di Dervio, Coreno e - il più strategicamente importante per un genovese - Novi, nonché altri beni nei territori di Voghera e di Tortona.
Dopo aver trascorso a Milano circa un anno come informatore del padre, il F. fu accanto a lui il 7-8 ag. 1488, nei momenti più drammatici della caduta e della fuga.
Armi in pugno, inseguiti per i vicoli di Genova dai nemici Fieschi e Adorno, infine in salvo nella fortezza di Castelletto, i due opposero qui una resistenza così tenace che il governo sforzesco dovette scendere a patti: Ludovico il Moro sottoscrisse il 21 ott. 1488 l'impegno a corrispondere una pensione annua di 6.000 monete d'oro a Paolo e di 1.000 al F. in cambio della consegna della fortezza.
Il F., insieme col padre e col fratello Alessandro, poté lasciare Genova incolume e salvare tutti i suoi benefici: caricati i rispettivi averi su due galee appositamente allestite, i tre Fregoso, con i familiari e i più stretti partigiani, a fine ottobre salpavano per Roma. Dopo un fortunoso viaggio (una delle due navi andò perduta in una tempesta al largo della Corsica), approdavano alla corte papale.
Molto probabilmente nel 1492, dopo l'elezione di Alessandro VI Borgia, il F. seguì a Napoli il padre, nominato legato pontificio; di certo, al momento della discesa di Carlo VIII, il F. faceva parte della spedizione napoletana che l'8 sett. 1494 venne sconfitta dalla coalizione franco-sforzesco-genovese davanti a Rapallo. Il F., fatto prigioniero insieme con diversi Fieschi, Rolandino Fregoso e Giulio Orsini, ricusò la proposta di fuga di Ibleto Fieschi e, temendo sia i provvisori compagni sia le ritorsioni dello Sforza, chiese di essere consegnato personalmente a Luigi d'Orléans (il futuro Luigi XII). In effetti l'Orléans gli riservò un trattamento amichevole, ripromettendosi di usarlo in funzione di controllo sugli Adorno, e lo condusse con sé ad Asti, dove era il quartier generale di Carlo VIII. A fine novembre il F. recuperò la libertà grazie a uno scambio di prigionieri e molto probabilmente ritornò presso il padre, dopo aver gettato le basi per un riavvicinamento alla Corona francese. Di certo, tra la fine del 1495 e i primi del 1496, tornò a Genova col padre; ma poco dopo, insieme con lui, ne fu bandito dal governo sforzesco ed entrambi ripararono in Francia, presso Carlo VIII, che preparava la riconquista di Genova. Tuttavia, forse deluso e indispettito da un ruolo insoddisfacente assegnatogli nell'impresa, all'inizio del 1497 Paolo lasciò la corte francese e, sempre insieme col F., ritornò presso quella romana, dopo una sosta a Venezia, che non può non essere messa in rapporto all'adesione di quella Repubblica alla lega antifrancese. Il F. rimase a Roma fino alla morte del padre, avvenuta nel marzo 1498.
Dall'imperatore Massimiliano, in occasione della sua discesa in Italia, Paolo aveva ottenuto per il F. la legittimazione; poi, il 16 giugno 1496, il titolo di conte palatino e infine, il 16 sett. 1497, l'abilitazione alla successione di qualunque feudo, con la concessione dell'aquila imperiale nello stemma. Come conte di Novi il F. prese residenza nelle terre dotali della moglie, ma nel 1509 entrò in conflitto con Pietro di Battista Fregoso, che su Novi rivendicava personali diritti. Dopo il suo trasferimento a Milano nel 1502 gli spostamenti del F. sono solo congetturabili. È probabile che a Milano sia entrato al servizio di Luigi XII; forse successivamente si associò, nel 1511, agli sfortunati tentativi del fratello Alessandro di fare insorgere Genova contro i Francesi, e fu arrestato con lui.
Né si hanno notizie più dettagliate sulle circostanze per le quali il 10 genn. 1512 subì la decapitazione a Bologna, secondo quanto preannunziava una lettera di Bernardo Dovizi al cardinale Giovanni de' Medici.
Il F. lasciava due figli: Ottaviano (uomo d'arme, al servizio prima di Giulio II - nelle cui file combatté a Ravenna nel 1512 - e quindi della Francia, alle dipendenze di Ugo Pepoli) e il primogenito Paolo, dissipatore dei beni paterni e materni. Con i figli di lui si chiude ingloriosamente il ramo dei Fregoso discendenti dal grande e discusso arcivescovo-doge.
Fonti e Bibl.: B. Senarega, De rebus Genuensibus commentaria, a cura di E. Pandiani, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., XXIV, 2, ad Indicem (fino a p. 38; a p. 160 si tratta di un altro Fregoso); I. Burchardi Liber notarum, a cura di E. Celani, ibid., XXXII, 1, t. II, pp. 79, 7-19; B. Dovizi da Bibbiena, Epistolario, a cura di G.L. Moncallero, Firenze 1965, I, pp. 437, 438 n.; F. Guicciardini, Storia d'Italia, a cura di S. Menchi, Torino 1981, pp. 160, 718 (a p. 1112 si tratta di un altro Fregoso); E. Carusi, Dispacci e lettere di G. Gherardi, Roma 1909, pp. 102, 222, 224, 227; U. Foglietta, Dell'istorie di Genova, Genova 1597, pp. 552, 554; N. Battilana, Genealogie delle famiglie nobili di Genova, Genova 1825, I, p. 6; A. Giustiniani, Annali della Rep. di Genova, Genova 1835, II, p. 547; M.G. Canale, Nuova istoria della Rep. di Genova, Firenze 1858, p. 258; C. Braggio, Giacomo Bracelli e l'umanesimo dei liguri, in Atti della Soc. ligure di storia patria, XXIII (1890), 1, pp. 77-79; A. Neri, A. D'Oria e la corte di Mantova, Genova 1898, p. 42; L. Levati, I dogi perpetui di Genova, Genova 1930, pp. 430, 436; Mantova, La storia, Mantova 1961, II, p. 107; J. Heers, Gênes au XV siècle, Paris 1961, p. 603.