freno
Il sostantivo ricorre abbastanza frequentemente nella Commedia (14 volte); nel Convivio è usato 5 volte (sempre in senso figurato), e due nelle Rime.
Con l'accezione propria di " morso del cavallo ", in Pg X 77 una vedovella li era al freno, teneva il cavallo (di Traiano) al morso; è costruzione attestata anche dal Boccaccio (Dec. X 9 22 " eran venuti per ricevere i gentili uomini, a' quali subitamente furon dintorno a' freni e alle staffe "). La locuzione avverbiale sanza freno (Pg V 42) vale " sfrenatamente ", " in modo disordinato ". Due volte assume il senso estensivo di " redini ", " briglie ": in If XVII 107 (Fetonte abbandonò li freni) si ha una traduzione letterale della fonte cui D. attinge (Ovid. Met. II 200 " lora remisit "). In Rime L 17 non ristringe freno, l'espressione vale " non allenta le briglie ", " non frena il cavallo ".
In tutti gli altri casi il vocabolo è usato in senso figurato, per indicare qualsiasi mezzo o forza, anche spirituale, che serve a contenere o regolare un comportamento istintivo o disordinato. Di questa metafora si hanno frequenti esempi nella letteratura del tempo (ad es. B. Latini Tesoretto 1396 " venir non ti poria / la tua ricchezza meno / se ti tieni al mio freno "); D. stesso dice (in Mn III XV 9): human cupiditas postergaret nisi homines, tanquam equi, sua bestialitate vagantes " in carro et freno " compescerentur in via.
Con questo valore compare in Cv IV XVII 4 La prima [virtù] si chiama Fortezza, la quale è arme e freno a moderare l'audacia e la timiditate nostra... La seconda è Temperanza, che è regola e freno de la nostra gulositade. Altri esempi in Rime LXVII 63, Cv IV XXVI 6 e 7 (due volte), Pg XIII 40, XIV 147, XXII 20, XXV 119, Pd VII 26.
Il Porena ha rilevato una certa ambiguità nella costruzione sintattica di Pg XXVIII 71-75 Elesponto, là 've passò Serse, / ancora freno a tutti orgogli umani, / più odio da Leandro non sofferse / ... che quel [il Lete] da me perch'allor non s'aperse. Effettivamente, come osserva il commentatore, f. " può, concettualmente e grammaticalmente, riferirsi a Serse o invece all'Ellesponto "; la prima ipotesi - sostenuta da Benvenuto, dal Buti (" lo quale Serse anco ora, affrena tutti orgolli umani "), poi dal Vellutello e dal Tommaseo - sembra però la più plausibile, com'è lecito arguire da un confronto tra il testo ora citato della Commedia e un passo della Monarchia (II VIII 7), nel quale, su uno spunto offerto da Lucano (II 672 ss.), il valore di monito esemplare contro ogni eccesso di umano ardimento è attribuito alla sconfitta subita dal re persiano e non al suo tentativo di costruire un ponte di barche sull'Ellesponto. È detto infatti nel trattato: Xerxes... cum tanta gentium multitudine mundum invasit, cum tanta potentia, ut transitum maris Asyam ab Europa dirimentis... ponte superaverit... Et tandem, miserabiliter ab incepto repulsus, ad bravium pervenire non potuit. Ma cfr. l'Ottimo: " E però dice che questo passo dove il ponte fece, è ancóra freno... ". Il Lana cade in una strana contraddizione, affermando prima che " Serse e soa sconfitta fo, et è grande freno a l'orgolico homo ", e poco oltre che " Aleandro non ave' più in odio Ellesponto lo quale logo è freno a li orgolici umani ".
Alla tradizionale immagine del cavaliere che inforca il cavallo e ne regge il f. è ispirata anche la metafora cui Marco Lombardo ricorre per indicare le ragioni della corruzione umana e i mezzi occorrenti per porvi rimedio: l'anima semplicetta che sa nulla / ... Di picciol bene in pria sente sapore; / quivi s'inganna, e dietro ad esso corre, / se guida o fren non torce suo amore. / Onde convenne legge per fren porre; / convenne rege aver, che discernesse / de la vera cittade almen la torre (Pg XVI 93 e 94). Questa dottrina è diffusamente e organicamente trattata anche in Mn I XI 9-13, Cv IV XII 13-17, IX 10; in quest'ultimo brano, anzi, compare lo stesso traslato usato nel poema: dire si può de lo Imperadore, volendo lo suo officio figurare con una imagine, che elli sia lo cavalcatore de la umana volontade. Identico uso del linguaggio figurato si ha nell'apostrofe all'Italia di Pg VI 88 (Che val perché ti racconciasse il freno / lustinïano, se la sella è vòta?) e nell'espressione adoperata da Ugo Capeto per ricordare la posizione di preminenza nel regno di Francia: trova'mi stretto ne le mani il freno / del governo del regno (XX 55). Secondo il Porena, però, " freno (briglia) e governo (timone) possono parere due metafore che dicono la stessa cosa: il comando. Ma freno significò anche la fune con cui si muove il timone, e in questo senso deve averlo qui usato Dante ".
Infine, con la locuzione lo fren de l'arte (Pg XXXIII 141) sono indicate le norme intriseche all'arte, e in particolare quella che vuole rispettata la proporzionata armonia delle parti fra loro e di ciascuna di esse con l'insieme dell'opera.