MALOCELLO, Fresone
Nacque probabilmente a Genova intorno al primo decennio del Duecento; non sono noti i nomi dei genitori. La famiglia era una delle principali della città e della parte guelfa, al potere in Genova a metà del sec. XIII.
La prima attestazione relativa al M. lo vede inviato nel 1260 a San Giovanni d'Acri come ambasciatore del Comune di Genova.
La situazione nella capitale del Regno di Gerusalemme era di grave tensione: solo due anni prima, al termine della cosiddetta "guerra di Acri", il quartiere genovese della città era stato devastato dalle forze congiunte di Veneziani e Pisani, sostenuti dai templari; la torre dei Genovesi, orgoglioso simbolo del potere del Comune, era stata demolita e i pilastri degli stipiti della porta trasportati a Venezia e posti come trofei a fianco della basilica di S. Marco, dove si possono ancora vedere.
Con la sua missione, il M. doveva quindi ottenere dalle autorità locali, che avevano assistito inerti alle devastazioni, un risarcimento e una conferma dei privilegi genovesi in Acri, tali da consentire il traffico dalla colonia commerciale ligure alla capitale da Tiro, dove i mercanti avevano trovato rifugio. È possibile, tuttavia, che il capitano del Popolo di Genova, Guglielmo Boccanegra, avesse concepito la missione come diversivo per distogliere l'attenzione, anche nei circoli di governo cittadini, dalle trattative che egli in quel momento conduceva in segreto con l'imperatore di Nicea, Michele VIII Paleologo, per concludere un'alleanza antiveneziana. Nel marzo 1261 si giunse quindi al trattato di Ninfeo, che impresse una svolta decisiva alla politica oltremarina genovese e, per quanto l'aristocrazia guelfa, preoccupata delle eventuali reazioni del papa, non condividesse del tutto l'idea dell'alleanza con il sovrano dei Greci "scismatici", il M. fu tra i molti esponenti della sua parte politica chiamati a partecipare alla ratifica del trattato.
L'accordo riaprì ai Genovesi - dopo la caduta nel 1261 del simulacro di Impero Latino d'Oriente monopolizzato dai Veneziani e la rioccupazione di Costantinopoli da parte del Paleologo - gli spazi economici dell'Impero bizantino restaurato dal loro alleato e rese possibile il ripristino nella capitale imperiale di un'autonoma colonia commerciale genovese (che era stata cancellata nel 1204 dalla conquista veneziana). L'aristocrazia guelfa ignorò le proteste papali e mantenne in vigore il trattato anche dopo la caduta del Boccanegra, nel 1262.
Proprio per salvaguardare le acquisizioni maturate in seguito alla stipulazione del trattato, il M. fu inviato ambasciatore a Costantinopoli nel 1265.
Ancora una volta, egli si doveva muovere in una situazione di grande difficoltà; già nel 1263, infatti, forse cogliendo l'occasione del brusco cambiamento di regime verificatosi a Genova l'anno precedente, l'imperatore aveva cercato di congedare la flotta genovese, recentemente sconfitta dai Veneziani nella battaglia di Sapienza; la flotta era costituita da ben 60 galee e si trovava in Oriente a spese dell'Erario imperiale. L'obiettivo dell'imperatore era il recupero della libertà di manovra politica al fine di riavvicinarsi a Venezia e bilanciare così il peso delle due potenze; l'evento che aveva fatto precipitare la situazione era stato il clamoroso arresto, nel 1264, del podestà della colonia genovese di Costantinopoli, Guglielmo Guercio, che si era pubblicamente riconosciuto colpevole di aver tramato con gli emissari di Manfredi di Sicilia per deporre Michele VIII e sostituirlo sul trono con il despota Michele II d'Epiro, suocero del sovrano svevo, che avrebbe riportato l'Impero sotto il controllo dei Latini.
Il M. doveva quindi agire con circospezione per scindere le responsabilità dei Genovesi, almeno a livello ufficiale, da quelle del Guercio e placare la collera dell'imperatore. La cosa non doveva essere facile, anche perché è verosimile che il governo genovese fosse coinvolto nel progetto sostenuto da Manfredi, il quale era del resto legato al Comune da un accordo diplomatico-commerciale stipulato anch'esso al tempo del Boccanegra e non denunciato dai guelfi giunti al potere; tali legami non dovevano essere ignoti a Michele VIII, che cercava di trarre dalla situazione i massimi vantaggi politici e diplomatici.
Il M. non poté quindi evitare, nonostante i suoi sforzi, che fosse confermata l'espulsione da Costantinopoli della colonia genovese, relegata a Eraclea. La sua missione portò comunque a un risultato imprevisto e forse non del tutto gradito al M. per le possibili implicazioni diplomatiche.
Il domicellus che viaggiava al seguito del M., Ogerio da Torricella, trafugò la preziosa reliquia del piede di s. Stefano, una delle poche sfuggite al saccheggio crociato del 1204, che avrebbe consegnato ai frati del convento di S. Francesco di Castelletto in Genova. Il furto sacrilego, per quanto poi assai apprezzato in Genova, impose indubbiamente al M. di affrettarsi a lasciare Costantinopoli prima che le autorità imperiali, scoprendo l'accaduto, potessero aggravare ulteriormente la già difficile situazione della colonia commerciale genovese.
Nonostante l'esito incerto della missione, l'esperienza diplomatica del M., e in particolare la sua conoscenza diretta del Regno di Gerusalemme, fecero sì che egli fosse inserito, come membro del Consiglio di nobili che assisteva il podestà nell'azione di governo, nel gruppo di personalità che l'8 luglio 1267 espresse un parere in merito alla ratifica degli accordi stipulati a Tiro il 10 febbraio precedente fra il procuratore del Comune di Genova e il gran maestro del Tempio per chiudere definitivamente le controversie nate dal ruolo svolto dai templari al tempo dei torbidi di Acri del 1258.
L'esigenza di riconciliarsi con i templari era resa pressante, oltre che dalla situazione in cui versava il Regno, anche dall'approssimarsi della nuova spedizione crociata promossa da Luigi IX di Francia - che sperava di riscattare l'insuccesso della sua precedente avventura orientale - nel finanziamento della quale, come di consueto, i templari avevano un ruolo di primaria importanza. Come già in occasione della crociata del 1247-51, i Genovesi furono pronti ad approfittare delle notevoli occasioni di guadagno che l'iniziativa di Luigi IX poteva offrire, sia offrendosi di noleggiare o vendere navi, sia concludendo notevoli contratti di prestito per finanziare la spedizione; tra i più attivi in quest'ultima attività furono proprio il M. e suo fratello Leone. Tra gennaio e settembre 1268, infatti, i due comparvero come attori o testimoni in una lunga serie di contratti di cambio da riscuotere sulle fiere della Champagne per il finanziamento della spedizione crociata che - nonostante gli esiti deludenti e addirittura dannosi, per Genova, dell'avventura di Luigi IX, tragicamente conclusa sotto le mura di Tunisi nel 1270 -, diedero vita a un legame economico di lunga durata tra i finanziatori genovesi e gli ambienti commerciali francesi.
In effetti, la documentazione sembra indicare che il M., negli ultimi anni di vita - anche in conseguenza del nuovo rivolgimento della politica interna genovese che, portando al potere la fazione ghibellina guidata dai capitani del Popolo Oberto Doria e Oberto Spinola, aveva estromesso dal potere l'aristocrazia guelfa - si sia dedicato principalmente ad attività commerciali verso l'Oriente, approfittando del momento di espansione delle attività genovesi in questo settore in conseguenza delle rinnovate relazioni con l'Impero bizantino e soprattutto delle grandi possibilità che il bacino del mar Nero apriva ai mercanti genovesi.
Nel 1277 il M. era in rapporti d'affari con una società di mercanti lucchesi, ai quali vendette due partite di seta di probabile origine orientale. La sua partecipazione alle attività commerciali con i mercati orientali è resa esplicita dal fatto che nel 1278 risulta comproprietario con un altro esponente dell'antica nobiltà, Gasparino Grillo, di una galea diretta verso la Romania. Nel 1280, inoltre, agì anche per conto degli eredi del defunto fratello Leone, dei quali aveva evidentemente la tutela, affidando in accomandita a loro nome 63 lire genovesi a un altro mercante di nobile origine, Pietro Ghisolfi, per esercitare commerci nel Regno di Armenia, uno dei principali "terminali" mediterranei delle rotte commerciali che attraverso l'Asia recavano in Occidente i prodotti della Persia, dell'India e dell'Estremo Oriente.
Questo contratto rappresenta l'ultima notizia diretta sulle attività del M., anche se probabilmente egli era ancora in vita nel 1281, quando suo figlio Oberto, insieme con altri mercanti, ottenne dal governo genovese il diritto di esercitare rappresaglie contro i beni dei mercanti romani in compensazione di danni precedentemente subiti.
Dopo questa data non risultano notizie del M.: è probabile che egli, giunto presumibilmente a un'età avanzata, sia morto negli anni immediatamente successivi.
Oltre a quello del già ricordato Oberto, non si conoscono nomi di altri suoi figli, né si hanno notizie circa l'identità di sua moglie.
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