WOLF, Friedrich August
Filologo, nato a Hainrode presso Nordhausen il 15 febbraio 1759, morto (durante un viaggio) a Marsiglia l'8 agosto 1824. Nel 1777 riuscì, nonostante le resistenze dell'autorità accademica, a immatricolarsi a Gottinga quale studiosus philologiae, e non, com'era usato fino allora, theologiae, asserendo così già allora l'indipendenza della filologia e il fine scientifico dell'università. A Gottinga gli fu principale maestro Ch. G. Heyne. Dopo aver insegnato qualche anno a Ilfeld e a Osterode (nel Harz), fu chiamato nel 1783 all'università di Halle. Qui egli creò un metodo nuovo d'insegnamento superiore, che aveva per caratteristica una maggiore esattezza d'interpretazione di quello fino allora in uso. Nel 1806, occupata la città dai Francesi, si rifugiò a Berlino, dove fu prima membro dell'accademia, e poi professore dell'università, fondata allora da Guglielmo di Humboldt. Ma gli anni di Berlino furono di cattiva salute, d'inquietezza, di lotte con colleghi e con illustri contemporanei.
Dai lavori minori, per lo più editoriali, e particolarmente dai tentativi del periodo berlinese, di mostrare non autentica quando l'una e quando l'altra delle orazioni ciceroniane, si può del tutto prescindere: essi non corrispondono all'altezza del suo magistero, vantata dagli scolari. Ma i Prolegomena ad Homerum (Halle 1795) portarono d'un tratto la questione omerica nel centro dell'interesse non soltanto tedesco, ma mondiale.
Si chiamano Prolegomeni, perché sono pensati quali introduzione a un'edizione dell'Iliade, la quale vide la luce un anno prima a Halle. Il W., profittando degli scolî del codice Veneto A, pubblicati dal Villoison, propose di delineare una storia del testo omerico. Il primo volume, il solo scritto, dell'opera comprende il periodo più antico, sino ad Apione. Ma il W. giunse subito alla conclusione che di Omero non era mai esistito un testo originale nel senso comune della parola, un autografo. Il W. parte dal diniego dell'antichità della scrittura. E dichiara di non riuscire a immaginarsi che testi di tanta estensione potessero essere, nonché tramandati, composti senza il sussidio di essa. Secondo lui, Pisistrato avrebbe raccolto e collegato in un'unità artificiale canti separati tramandati fino allora a memoria da scuole di rapsodi, immaginate sul modello delle scuole di bardi inventate per gli antichi Celti dal Macpherson (v. ossian). L'originalità dei Prolegomena è scarsa, ché sia l'antichità della scrittura, sia l'attività di Pisistrato rispetto al testo omerico erano questioni molto discusse in quegli anni (e risolte male, come dal W.). Il successo del libro deriva dalla monumentale semplicità della costruzione, dalla lucidità dell'argomentazíone dialettica, dal mirabile latino. Per noi moderni conservano importanza solo certi spunti: il W. ha riconosciuto che l'unità dell'epos deriva da un'unità della leggenda, seppure, per colpa del pregiudizio romantico, non vede ancora chiaramente che la leggenda è essa stessa opera d'individui, di poeti. Il W. ritenne che la protasi dell'Iliade si riferisse solo ai primi diciotto canti e ritenne quindi gli ultimi sei aggiunta di mano estranea. Il punto di partenza era errato; e a ogni modo la mancanza della scrittura e la tradizione su Pisistrato, fraintesa, sarebbero argomenti altrettanto validi contro un'Iliade di sedici canti quanto contro una di ventiquattro. Ma qui sono applicati quei metodi analitici che, raffinati e adoprati con maggiore orudenza, hanno portato nel sec. XIX la questione omerica più vicina a una solugione soddisfacente.
È probabile che il W. abbia ricevuto l'impulso alle sue ricerche dal suo maestro Heyne, che solo nel 1802 pubblicò un'analisi dell'Iliade, ma che da gran tempo soleva esporre a lezione i resultati man mano raggiunti dalle sue indagini. Seguirono subito dopo la pubblicazione dei Prolegomena polemiche tra il W. e il Heyne, tra il W. e il Herder, nelle quali il W. si mostrò ingrato, vano e rissoso.
Degli altri lavori ha importanza per noi solo la Darstellung der Altertumswissenschaft nach Begriff, Umfang, Ziveck und Wert (1807), con la quale egli iniziò la rivista Museum der Altertumswissenschaft da lui fondata e diretta in collaborazione con Ph. Buttmann. Qui per la prima volta la scienza dell'antichità è descritta quale unità, ed è enunciato chiaramente che essa gravita verso la storia, intesa quale conoscenza delle manifestazioni della vita di un popolo nella sua totalità.
I Prolegomena (Halle 1795) sono stati ristampati più volte; l'ultima da R. Peppmüller (ivi 1884). I più importanti degli scritti minori raccolti da G. Bernhardy (ivi 1869).
Bibl.: Sul W. in genere, C. Bursian, Geschichte der klass. Philologie, Monaco e Lipsia 1883, p. 517 segg. Fonte biografica importante, ma panegirica, la biografia del genero W. Körte, Leben und Studien Fr. A. W.s des Philologen, Essen 1833. Ora hanno gettato molta luce sulla personalità del W. i carteggi: F. A. W. Ein Leben in Briefen, a cura di S. Reiter (Stoccarda 1935), con ottimo commento; il carteggio con Goethe era già stato pubblicato da M. Bernays (Berlino 1868).
Sui Prolegomeni ad Omero, piuttosto che R. Volkmann, Geschichte und Kritik der wolfschen Prolegomena, Lipsia 1864, vedi ora G. Finsler, Homer, I, 3ª ed., i, Lipsia 1924, p. 71 segg.: Homer in der Neuzeit, Lipsia 1912, pagina 483 segg. - La dipendenza dall'Aubignac, smisuratamente esagerata dal Bérard, Un mensonge de la science allemande, Parigi 1917, è ridotta nei suoi giusti confini da F. Nicolini, Divagazioni omeriche, Firenze 1919, e da M. Pohlenz, in Neue Jahrbücher f. d. kl. Altertum, 1919, p. 340 segg. Per l'influsso esercitato dai Prolegomena, v. omero, XXV, pp. 342-43.
Sulla concezione che il W. ebbe dell'antichità classica: G. Pasquali, Filologia e storia, Firenze 1920, p. 61 segg.
Un apprezzamento di tutta la sua personalità dà W. Jaeger, in Deutsche Lit.-Zeitung, 1937, p. 94 segg.