SCHLEIERMACHER, Friedrich Daniel Ernst
Filosofo e teologo protestante, nato a Breslavia il 21 novembre 1768. Educato al pietismo nella famiglia e nei collegi che successivamente lo accolsero (Paedagogium di Niesky, seminario di Barby), ebbe un'adolescenza turbata da acute crisi di misticismo e di dubbio, e alimentata da poderose letture, che segnano alcuni tratti caratteristici dei suoi orientamenti anche ulteriori di studioso e di filosofo (tutti i classici greci nel testo originale, la Bibbia nel testo ebraico, e tra i filosofi soprattutto Platone, Spinoza, Leibniz e Kant). Da Halle, dove aveva frequentato l'università, si trasferì a Berlino (1796), dove qualche anno più tardi entrò nel cenacolo romantico, condividendone fervidamente per un certo periodo la vita e gli ideali. La rottura dell'amicizia con Fr. Schlegel e l'allontanamento da Berlino per quello che gli parve l'esilio di Stolpe (Pomerania) segnano la fine del periodo romantico e l'inizio di quello sistematico, in cui l'interesse teologico nel pensiero e l'ufficio di predicatore e di maestro nella vita assumono sempre maggiore rilievo. Nominato professore (1804) all'università di Halle, vi rimase per breve periodo: nel 1806 Napoleone, reduce da Jena, invadeva la città. Chiusa l'università, dispersi gli studenti, saccheggiata la sua casa, egli rimase perfino privo di mezzi di sussistenza, ma si rifiutò di allontanarsene per accettare l'ufficio di predicatore che gli veniva offerto a Brema per una specie di amara voluttà dí espiazione: anche lui, come tanti altri, egli pensava, aveva fino allora effuso il suo patriottismo in vane deplorazioni circa la scarsezza di senso morale e civile del suo paese, ma non aveva saputo mutare l'orientamento degli spiriti. Era giusto perciò che anche lui ora bevesse sino al fondo il suo calice. Alla ripresa spirituale e morale della Prussia partecipò attivamente. Sostenne l'opportunità d'istituire un'università in Berlino, e insieme col Fichte e con altri ne costituì un primo nucleo. Costituita stabilmente l'università (1810), ne diresse la facoltà teologica per oltre un ventennio, fino alla sua morte, insegnandovi altresì etica, psicologia, dialettica e storia della filosofia, attendendo intanto attivamente alla traduzione dei dialoghi platonici, e occupandosi di questioni pedagogiche e sociali. Socio, poi segretario, della R. Accademia delle scienze, cui diede notevole contributo di lavoro, morì a Berlino il 12 febbraio 1834.
Le opere. - Accenniamo qui soltanto alle opere principali. Le Reden über die Religion an die Gebildeten unter ihren Verächtern (1799), fervida apologia della religione come sentimento dell'infinito e come armonia della vita spirituale, e ì Monologen (1800), poetica esaltazione dell'interiorità e dell'esigenza d'individualizzazione etica, esprimono la fase romantica del pensiero dello Sch. Alla fase sistematica appartengono: le Grundlinien eines Kritiks der bisherigen Sittenlehre (1803), tentativo di revisione di tutte le dottrine etiche dalla filosofia greca alla contemporanea, l'Entwurf eines Systems der Sittenlehre, notevole sforzo di costruzione di una morale trattata con rigore filosofico e sviluppata con orientamento monistico e individualistico in senso antikantiano; una Dialektik la quale delinea il processo dello spirito come un'incessante, mai compiuta, compenetrazione di reale e ideale, natura e spirito, conosanza e volontà, che trova il suo principio unificatore nel sentimento o autocoscienza immediata in cui si rivela l'assoluto; una Aesthetik che, contro le dottrine edonistiche e utilitaristiche, asserisce il concetto dell'arte come libera produttività individuale, espressione consapevole dell'autocoscienza dell'artista, e fa consistere il valore dell'opera d'arte nella "Urbild" interiore; una Erziehungslehre, la quale pone al centro della sua indagine il problema della formazione della coscienza individuale nel suo rapporto con l'universale (stato, famiglia, chiesa). Da ricordare anche una Psychologie, una Lehre vom Staat, una Geschichte der Philosophie, un Leben Christi e numerosissime prediche e scritti teologici. La principale opera teologica, Der christliche Glaube nach den Grundsätzen der evangelischen Kirche im Zusammenhange dargestellt (1821-22) pone l'esperienza religiosa interiore come criterio basilare della dogmatica. La maggior parte delle opere dello Sch. è passata attraverso parecchie redazioni successive e, lasciata incompiuta dall'autore, è stata pubblicata postuma col sussidio di appunti di lezioni e di frammenti inediti.
Il pensiero. - Filosofo romantico, ma insieme acuto e disciplinato spirito critico, lo Sch. è il più significativo esponente filosofico del romanticismo. Egli non si limita ad esaltare il sentimento, ma costruisce un sistema in cui esso è il foco in cui s'incentrano tutte le attività dello spirito; rivendica il valore dell'immediato, ma si guarda dal risolvere in esso tutto il processo; esalta la religione, ma si sforza d'inserirla come momento necessario e fondamentale nella vita dello spirito, di cui essa rappresenta l'armonia vivificatrice; predica l'introspezione, ma cerca dentro la sua anima individuale lo spirito universale; asserisce l'esigenza d'individualismo e di peculiarizzazione, ma si preoccupa altresì degli organismi etici (famiglia, stato, chiesa) e della posizione che in essi deve assumere l'individuo. La sua dialettica, muovendo dall'esigenza di conciliazione degli opposti, concepisce hegelianamente il rapporto tra essere e pensiero, reale e ideale, natura e spirito, conoscenza e volontà non come una identità, ma come una identificazione in fieri che trova il suo punto cruciale - e qui è la caratteristica della dottrina schleiermacheriana - nel sentimento o autocoscienza assoluta, in cui si risolvono tutti i contrasti e si rivela, pur restando razionalmente inconoscibile, l'unità assoluta: Dio. Quello che lo Sch. chiama "sentimento" è perciò ben lungi dall'essere una facoltà dello spirito a cui altre si giustappongano o oppongano, ma è il principio unificatore della vita dello spirito, e insieme la rivelazione, immanente, del trascendente. È un immediato, ma non un innato, in quanto non nega il processo, ma lo presuppone. È un'autocoscienza, ma non una consapevolezza razionale o intellettiva; anzi un'intuizione interiore. È un'unione con l'infinito, ma non l'annegamento mistico del finito nell'infinito, ché anzi in esso la peculiarità dell'individuo si esalta e si potenzia.
La sua filosofia della religione afferma contro Leibniz e tutta la metafisica prekantiana, l'indipendenza assoluta della religione dalla metafisica, contro Kant la sua indipendenza assoluta dalla morale. La religione "non pretende di determinare l'universo a modo suo e di illuminarlo, come la metafisica; non pretende di formarlo in forza della libertà e dell'arbitrio umano, come la morale... vuole soltanto contemplare l'universo con lo spirito con cui lo guardò Spinoza, cogliere devotamente le sue manifestazioni ed azioni, lasciarsi commuovere e riempire con infantile passività dalla sua influenza immediata". Essa non è idea; non volizione, non credo; ma soltanto sentimento e intuizione dell'universo; coscienza immediata dell'infinito; al più, spinozianamente, amor Dei intellectualis, o meglio, per servirsi di un'espressione dello stesso Sch., "sentimento di dipendenza pura e semplice dall'infinito". Malgrado queste premesse, lo Sch. riesce, nella fase sistematica della sua attività, a costruire una dogmatica cristiana. Tenendo fermo il concetto che il cristianesimo è la più pura forma di monoteismo e la più perfetta tra tutte le religioni storiche, identifica la coscienza religiosa in generale con la coscienza cristiana. Considera come essenziale al cristianesimo la fede in Gesù come redentore, e, pur conservando il suo criterio di valutazione dei singoli dogmi alla stregua dell'esperienza religiosa interiore, sostiene che l'autocoscienza religiosa, nel sentimento di pura e semplice dipendenza da Dio, acquista coscienza di Dio come creatore, dotato degli attributi di onnipresenza, onnipotenza, ecc.; del mondo come perfetto; di sé stessa come capace di colpa e suscettibile di grazia, e così via.
La sua etica, partendo dall'identità dialettica di essere e dover essere, e criticando non senza acume l'imperativo categorico kantiano, concepisce il processo etico come il continuo infinito compenetrarsi di spirito e natura; processo di cui ogni atto è insieme per così dire un incarnarsi, un divenir natura dello spirito e un idealizzarsi, un divenir-spirito della natura; e in cui perciò male e bene, libertà e necessità sono momenti essenziali, ma relativi. Anche l'etica dello Sch. parla di virtù, bene, doveri; ma con significato diverso da quello consueto, in quanto per lui la "virtù" rappresenta il momento dell'azione dello spirito sulla natura, dell'universale sul particolare; il "dovere" il momento dell'azione del particolare in quanto informato dall'universale; finalmente il "bene" il momento dell'infinita compenetrazione di spirito e natura in quanto in essa si risolvono tutti i contrasti.
Poiché questo processo di naturalizzazione dello spirito e di spiritualizzazione della natura presuppone, nel pensiero dello Sch., una originaria inerenza dei due termini e insieme una indefinita compenetrazione di essi, in ogni atto etico è possibile distinguere una "attività organizzatrice" (l'azione dello spirito che si volge alla natura per farne suo organo, suo strumento) e una "attività simbolizzatrice" (la rivelazione della natura nello spirito). Si badi per altro che "poicbé lo spirito agisce mediante tutta la natura già unificata con sé, ogni simbolo suo è anche organo; e poiché non può agire altrimenti che mediante questa natura già unificata, ogni organo è anche simbolo"; sicché le due forme di attività sono, piuttosto che forme, momenti della stessa attività, e costituiscono il ritmo dello spirito nella sua dialettica di essere e divenire. Inoltre, poiché lo spirito, in virtù della sua originaria compenetrazione con la natura è insieme essenza ed esistenza, universale e individuale, tanto il simbolo quanto l'organo sono insieme universali e individuali; donde il quadruplice schematismo, per cui l'attività organizzatrice nella sua forma universale trova la sua espressione nello stato, e in quella individuale la trova nella società, mentre l'attività simbolizzatrice universale si esprime nella scuola, e quella simbolizzatrice individuale nella chiesa. Dove la deduzione degli organismi etici concreti dalle forme di attività, se riesce ad allontanarsi da quella hegeliana, non riesce ad evitare una certa artificiosità. In ciascuno di questi organismi, "forme etiche perfette", l'essenziale è costituito dal carattere della partecipazione: l'individuo deve partecipare alla vita del tutto, ma senza smarrire, anzi potenziando il senso della propria peculiarità, e insieme potenziando la peculiarità del tutto. Così nello stato (e nella famiglia, che è grado allo stato e base di ogni ulteriore sviluppo etico); così nella libera società (amicizia, ecc.), come nella scuola e nella chiesa, il valore è dato dal grado d'individualizzazione: perfetta è quella forma che consente al massimo lo sviluppo delle individualità dei singoli, e insieme accentua sempre meglio la propria grande individualità. Lo stato non nasce da un contratto, né da un'imposizione arbitraria, ma è una unità vivente, momento necessario nel processo etico. Esso, pur non sovrapponendosi agli altri organismi etici, deve orientarne l'azione in rapporto ai proprî fini, ma deve insieme promuovere lo sviluppo della peculiarità degl'individui che lo compongono. L'educazione deve mirare allo sviluppo completo e armonico dell'individuo, orientando la partecipazione di lui agli organismi etici, in modo che egli ne conservi lo spirito peculiare, e insieme lavori a migliorarlo. In questo senso "la teoria della educazione è il principio da cui deve scaturire la realizzazione di ogni perfezione morale". La pedagogia non deve essere né una tecnica, né una precettistica, ma una storia. Il segreto dell'efficacia dell'educazione è nella personalità del maestro. Maestro dovrebbe essere soltanto colui "che abbia nel pensiero e nel cuore il meglio di ciò che ancora non si è realizzato nel mondo". Partendo dal concetto che sempre "dal suo inizio alla fine, l'educazione non è altro che la risoluzione dei contrasti, la elevazione della coscienza, la salda formazione di una vita peculiare", lo Sch. distingue tuttavia nel processo dell'educazione varî periodi, di cui quello corrispondente all'educazione materna deve essere soprattutto un'adesione alla vita stessa del bambino e alle sue esigenze di sviluppo armonico; quello corrispondente alla adolescenza deve avere orientamento soprattutto storico, e quello corrispondente alla giovinezza orientamento soprattutto speculativo. La filosofia, come spirito animatore più che come disciplina scientifica, dovrebbe costituire il nucleo dell'insegnamento universitario in tutte le facoltà.
Non meno degna di nota è l'orma lasciata dallo Sch. nel campo dell'estetica, nel quale, di fronte al vario fluttuare delle molte dottrine contemporanee, egli assume una posizione netta: l'arte non è né un gioco, né uno strumento di edificazione morale, né un mezzo di conquiste utili, e neppure un'imitazione della natura; è una "libera produttività spirituale", la quale ha perciò la sua misura e il suo criterio di valutazione in sé stessa, nella sua interna perfezione. Lo Sch. va tant'oltre in questo suo soggettivismo estetico da asserire che "la vera opera d'arte è l'immagine interna... la estrinsecazione è qualcosa di secondario, non assolutamente necessario all'attività artistica in sé". L'arte è il "sogno" dell'artista; ma un sogno "lucido" dotato cioè di un suo ordine e di una sua misura, che sono l'ordine e la misura dell'animo dell'artista, il quale non è un fanciullo ignaro, ma uno spirito complesso che attua la sua attività attraverso due momenti entrambi necessarî alla creazione dell'opera d'arte: l'ispirazione e la ponderazione. L'artista è un grande individuo, ma anche una espressione dell'universale; e in quella forma concreta di questo che è costituita dalla nazionalità. "Ogni attività artistica che sia storicamente significativa deve avere carattere di nazionalità".
Ediz.: Sämmtliche Werke, voll. 33, Berlino 1835-64, in 3 sezioni: I, Zur Theologie, voll. 1-13; II, Predigten, voll. 14-23; III, Zur Plylosophie und vermischte Schriften, voll. 24-33; Auswahl in vier Bänden, a cura del Bauer e del Braun, Lipsia 1911-13; Briefe, Jena 1906; Monologhi, trad. it. di C. Dentice di Accadia, Lanciano 1919.
W. Dilthey, Leben Sch.s, incompiuta, Berlino 1870; 2ª ediz., 1922 (a cura del Mulert); F. Diebow, Die Pädagogik Sch.s im Lichte seiner u. unserer Zeit, Halle 1894; I. Halpern, Sch.s Dialektik, Berlino 1903; C. Munro, Sch. personal and speculative, Paisley 1903; E. P. Lamanna, Il concetto di relig. in Sch., Firenze 1910; C. Dentice di Accadia, Sch., Palermo 1918; F. Meisner, Sch. als Mensch, sein Werden, Gotha 1922; E. Allebrecht, Sch.s System der Aestetik, Berlino 1932; B. Croce, L'estet. d. Sch., in Ultimi saggi, Bari 1935.