Ebert, Friedrich
Politico tedesco (Heidelberg 1871-Berlino 1925). Membro del Partito socialdemocratico, deputato al Reichstag (1912), alla morte di A. Bebel (1913) E. fu a grande maggioranza eletto a succedergli quale capo del partito. Nel corso del primo conflitto mondiale, pur avendo votato con la maggioranza della SPD i crediti di guerra, disapprovò sempre più la politica imperiale, si mise in relazione con i socialisti stranieri e presiedette la delegazione tedesca al congresso socialista di Stoccolma. Nell’autunno del 1918 insistette per la partecipazione della SPD al governo dell’impero, entrando egli stesso nel gabinetto di M. Von Baden; il 9 novembre fu nominato cancelliere, e due giorni dopo presidente dei Volksbeauftragte (incaricati del popolo). La situazione era difficilissima, e forte era la pressione rivoluzionaria dei comunisti. E. la contrastò proclamando la Repubblica assieme a P. Scheidemann (9 novembre) e chiamando quest’ultimo alla presidenza del consiglio, mentre G. Noske domava la rivolta dei marinai di Kiel. Nel gennaio 1919 fu proprio l’asse E.-Scheidemann-Noske a promuovere la repressione dei moti spartachisti, con centinaia di vittime tra cui K. Liebknecht e R. Luxemburg. L’11 febbraio l’Assemblea nazionale di Weimar elesse E. presidente provvisorio del Reich, ed egli esercitò tale ruolo collocandosi su una posizione centrista rispetto agli attacchi dall’estrema destra e dall’estrema sinistra. Le difficoltà fra le quali si sarebbero dovute svolgere, nell’autunno del 1922, le elezioni presidenziali indussero la coalizione di governo a invitare E. a restare presidente fino al 1925. I partiti di destra, peraltro, non perdonarono mai a E. l’aver incoraggiato allo sciopero, nel gennaio del 1918, gli operai delle fabbriche di munizioni, e le reiterate accuse indussero il presidente a fare causa al giornalista Rothard. Il processo si svolse nell’autunno del 1924; il tribunale constatò che E. aveva preso parte alla direzione dello sciopero e condannò quindi il giornalista a una lieve pena per le ingiurie. La sentenza, rinfocolando le passioni politiche, suscitò grande clamore e provocò un’ondata di stima verso Ebert.