KLOPSTOCK, Friedrich Gottlieb
Poeta tedesco, nato il 2 luglio 1724 a Quedlinburg, morto ad Amburgo il 14 marzo 1803. Studiò a Schulpforta, poi a Jena e a Lipsia teologia. Durante gli anni universitarî incominciò prima in prosa e poi in esametri, per influenza di letture dal Milton e dal Tasso, ma con originalità di ispirazione, il suo Messias, i primi canti del quale uscirono nel 1748 nei Bremer Beiträge. Da Langensalza, dove si era invano innamorato di una sua cugina, Marie Sophie Schmidt (la Fanny delle liriche), passò nel 1751 a Zurigo seguendo l'invito del Bodmer, il quale, leggendo i tre canti del Messias, aveva intraveduto l'avvento di una nuova "sublime epica poesia, estranea e opposta a tutte le teorie classicheggianti di Gottsched. Ma, conosciutolo, il Bodmer giudicò il K. invece di un "serafino incarnato" - come se l'era immaginato - un "don Chisciotte dissipato"; e una rottura sarebbe stata inevitabile fra i due se non fosse giunto al K., per tramite del conte Bernstorff, dal re di Danimarca Federico V, un invito a Copenaghen con uno stipendio di 400 talleri, affinché potesse condurre a termine con calma il suo poema. Nel febbraio del 1751 partì, e durante il viaggio conobbe ad Amburgo Meta Moller (v. fra le molte poesie a lei dedicate: An Cidli, Furcht der Geliebten, Das Rosenband), che tre anni dopo (1754) sposò. Quattro anni dopo essa doveva morire di parto. Tuttavia gli anni di Copenhagen furono tra i più fecondi per la produzione poetica del K.; nel 1755 finì il decimo canto del poema; nel 1757 iniziò la serie dei suoi tentativi drammatici di soggetto biblico: nel 1759 pubblicò i primi fra quegl'inni in ritmo libero che più tardi tanto dovevano entusiasmare Werther e Lotte; nel 1764 diede in forme liriche e corali i primi saggi di quella poesia d'ispirazione nordico-germanica, leggendaria, che in seguito - svolgendosi anche in forma drammatica con la trilogia Arminio (1ª parte Hermann Schlacht, 1769) - doveva suscitare in Germania tutta una corrente di letteratura "bardita", nella quale il bardo ossianico è identificato con la figura originaria del poeta germanico. Nel 1770, essendo il conte Bernstorff caduto in disgrazia presso Cristiano, succeduto nel 1766 a Federico V, il K. lo seguì ad Amburgo. E ad Amburgo, dove nella famiglia von Windhem trovò una nuova famiglia - nel 1791, essendo rimasta vedova la signora che era nipote della sua prima moglie, la sposò - rimase fino alla morte.
Nel 1771 vi raccolse in volume le Oden; nel 1772 vi terminò il Messias. Poi si volse a studî di argomento teorico, e nel 1774 pubblicò la Deutsche Gelehrtenrepublik dove, propugnando una specie di corporazione di tutti gli scrittori tedeschi, esaltò la bellezza della lingua tedesca e predicò l'avvento di una letteratura nazionale germanica nella materia, nello spirito e nell'espressione. Nel 1778-79 seguirono i Fragmente über Sprache und Dichtkunst, e nel 1778 il saggio Über die deutsche Rechtschreibung, dove la lingua tedesca è posta alla pari con la latina e la greca, è sostenuta la necessità di una riforma dell'ortografia e sono criticati quei Tedeschi che - come lo stesso re Federico - continuavano a servirsi della lingua francese. Sono scritti di carattere tipicamente settecentesco; nei quali si nota una frequente tendenza a dar calore poetico allo stile, per mezzo di allegorie e personificazioni varie delle lettere dell'alfabeto, dei metri, delle parti del discorso chiamate in causa. Ma nella esaltazione del genio, nel concetto della libertà della creazione poetica, nella celebrazione del genio poetico germanico s'incontrano intuizioni che richiamano alle idee di Hamann e di Herder; e ciò spiega come questi suoi tentativi siano stati invece salutati con entusiasmo dagl'interpreti della nuova generazione, come Goethe e i poeti del Göttinger Hain. Al medesimo periodo sono legate anche alcune delle più belle odi del K., fra le quali quella: An Freund und Feind.
Ad Amburgo lo raggiunsero nel 1789 le notizie della Rivoluzione francese. In un primo tempo anch'egli provò entusiasmo per l'avvenimento, e nel 1792 l'Assemblea nazionale gli mandò da Parigi il diploma di cittadino onorario; ma il sopraggiungere del Terrore lo spinse presto all'opposizione (v. fra le molte liriche che ne nacquero: États généraux, Mein Irrtum, ecc.). Ritornava, così, negli ultimi anni della sua vita, alla realtà, e con questo contenuto reale e concreto la sua poesia riprendeva le primitive forme, ritrovava ancora una volta la serena armonia dei metri greci. Fu l'ultimo lampo della sua grandezza; poi si spense lentamente, isolato ormai e al di fuori della vita poetica nuova della sua nazione, che pure aveva avuto in lui, dopo Lutero, il più grande riformatore della lingua e della poesia tedesca.
Il K., liberando la poesia dall'aridità del razionalismo, segnò in Germania con la sua opera gl'inizî di una nuova epoca. La sua poesia, avendo radice nel mondo spirituale del pietismo, lo tenne lontano dal "giuoco" anacreontico; e anche là dove egli accettò movenze caratteristiche del tempo, seppe riviverle in modo diverso, più profondo, più umano. Alla grazia fredda e riflessa, alla misura complimentosa oppone l'entusiasmo, al minuetto il libero impeto del canto. Da quest' intima originalità di sentire, da questa schiettezza d'immagini e immediatezza di moti del cuore, derivò, naturalmente, alla poesia anche originalità espressiva, perché la lingua dell'Aufklärung, adatta a un logico processo di pensiero, non poteva servire all'estasi, all'impeto klopstockiano. E sotto ogni aspetto fu in questo campo un innovatore: sotto l'aspetto sintattico, sotto l'aspetto stilistico, nell'uso delle parole e delle immagini; egli tendeva ad un'intensità espressiva quale la poesia tedesca non aveva ancor conosciuto. E come, a danno dell'evidenza della visione, forse per vicinanza alla letteratura dell'età barocca, fu tratto a sovrabbondare in allegorie, così fu più felice nelle tonalità ritmiche del verso e nelle armonie sonore della parola che nella capacità pittorico-descrittiva. Mosse nelle forme della sua lirica dalla metrica greco-latina, ma poi e per il suo sentimento religioso e per gl'indiretti modelli dei salmi della Bibbia e della poesia nordica, si orientò verso ritmi liberi nei quali la sua arte raggiunse la più alta espressione. Considerava la mitologia classica come un'eredità del passato, accettata dagli altri poeti soltanto come un simbolo, ma credeva mancasse così al poeta una perfetta aderenza allo spirito religioso della sua nazione, come gli pareva non si potesse, in tal modo, raggiungere un'identità tra spirito popolare e religione-mitologia. Pensando che di mitologia non si potesse fare a meno, tentò di sostituire alla mitologia pagano-classica quella cristiana. E cercò questo elemento mitologico prima nella Bibbia coi tre drammi: Der Tod Adams (1757; una rist. del 1924), Salomo (1764), David (1772); poi nel mondo delle antichità germaniche coi drammi nordici: Hermanns Schlacht (1769), Hermann und die Fürsten (1787), Hermanns Tod (1787).
L'opera però, sulla quale riposa la sua fama e che suscitò al suo tempo il massimo entusiasmo, è il Messias. C'era nell'aria una tendenza all'epica; sulle forme dell'epica erano improntate le discussioni estetiche degli Svizzeri; e, se non dai tentativi epici di contemporanei, come D. V. Triller, F. W. Hudemann, F. Ch. v. Scheyb, una spinta può essere venuta al K. dalla Bibbia, dal Milton, e anche dal Tasso, del quale si era occupato a ventun anni paragonandolo al Milton. L'opera, in venti canti, in esametri, abbraccia soltanto la passione, la morte, la risurrezione e il trionfo di Cristo. Il poema come tale è mancato. Un temperamento come quello del K. era alieno dall'epica per la sua soverchia soggettività, la sua mancanza del senso plastico, la sua lontananza dal reale, la sua incapacità a creare personaggi che fossero tali e non simboli e visioni. Egli sa soltanto descrivere, creare sfondi all'azione. Per questo il personaggio principale del poema, Cristo, è artisticamente scialbo, debole nell'agire, quasi passivo, figura di primo piano e tuttavia sempre circondato e quasi offuscato da un'infinità di altre figure, che distraggono da lui l'attenzione e la fantasia del lettore. Il poeta era troppo avvinto al dogma, al Vangelo, allo spirito religioso del tempo: il suo Cristo manca di umanità, è lontano e staccato dalla terra. Non c'è dramma in lui - si pensi al Cristo dell'abbozzo goethiano - ma soltanto rassegnazione. Originale, modernissima è invece la figura di Abbadona, un demonio pentito e tormentato dal desiderio e dalla speranza della grazia, che infine gli è concessa a premio non soltanto del suo pentimento, ma di questo suo tendere con passione alla salvezza, al perdono. Non più un simbolo dunque, bensì un uomo vivo e vero, un Faust religioso, una figura nella quale il pietismo si ritrovò e si sentì espresso. La serietà degl'intenti, della passione e del sentimento dissipano anche quel senso di stanchezza o di vuoto che descrizioni prolisse, esclamazioni, canti di giubilo o di trionfo, considerazioni o altro possono suscitare nell'animo del lettore. La linea fondamentale del poema è barocca; come barocche sono le scene, gli sfondi nei quali il poeta inquadra l'azione dei suoi personaggi, i gesti stessi di questi: tutto ha il carattere di un'estasi un po' coreografica, di una prospettiva che illude l'occhio di chi osserva.
Ediz.: Una prima edizione delle opere complete fu pubbl. a Lipsia negli anni 1798-1810, in 7 voll.; altre a cura di R. Boxberger a Berlino nel 1879 in 6 voll.; a cura di F. Muncker, a Stoccarda nel 1887, in 4 voll.; a cura di R. Hamel, a Stoccarda nel 1884, in 4 voll. nella Deutsche National-Literatur di J. Kürschner. Per l'epistolario vedi: K. und seine Freunde, a cura di Klamer-Schmidt, voll. 2, Halberstadt 1810, e Briefe von und an K., a cura di J. M. Lappenberg, Brunswick 1867. Ediz. recente del Messias, in Reclam's Univ.-Bibliothek, 721-725, Lipsia 1920.
Bibl.: K. F. Cramer, K. Er und über ihn, Amburgo, Dessau e Lipsia 1780-92, volumi I-V e VII, manca il VI; E. Schmidt, Beiträge zur Kenntniss der Klopstockschen Jugendlyrik, Strasburgo 1880; F. Muncker, K., Gesch. seines Lebens und seiner Schriften, Stoccarda 1888; E. Bailly, Étude sur la vie et les œuvres de K., Parigi 1888; K. Kinzel, K., Lipsia 1906; H. Woehlert, Das Weltbild in K.s Messias, Halle 1915; F. H. Adler, Herder und K., 1916; A. E. Berger, K.s Sendung, Darmastadt 1924; M. H. Jellinek, Bemerk. über K.s Dichtersprache, in Festschrift für Oskar Walzel, Wildspark Postdam 1924.