NIETZSCHE, Friedrich Wilhelm
Pensatore, nato a Röcken presso Lützen il 15 ottobre 1844, morto a Weimar il 25 agosto 1900: nel quale tutte le contrastanti correnti di pensiero e di arte del secolo parvero simultaneamente convergere e riassumersi, prima dell'iniziarsi di una nuova epoca.
Romantico per natura e adoratore dell'antichità classica nell'arte e nella vita; poeta per natura, spontaneamente portato al volo dell'immaginazione nella libertà di un'estasi lirica, e invece sempre curvo su di sé, in riflessiva, cauta e non di rado diffidente analisi di ogni suo sentimento e pensiero; emotivo ed eccitabile, irresistibilmente affascinato da tutto ciò che è calore e colore della vita, e, al tempo stesso, assetato di quella libertà spirituale che l'uomo raggiunge soltanto nel sereno mondo della contemplazione intellettuale; musicale per istinto, aperto al sentimento del mistero e a tutte le estrose ispirazioni del "genio del cuore", e, al tempo stesso, bisognoso di spregiudicata aderenza alla concretezza del mondo reale; sensitivo di temperamento, in talune squisitezze quasi femmineo, e, al tempo stesso, ossessionato da un'implacabile eroica volontà di grandezza; religioso per natura e demolitore di ogni religiosa tradizione, di ogni fede; entusiastico affermatore della bellezza e potenza della vita e critico spietato di ogni umana debolezza, in sé e fuori di sé: "conoscitore di sé stesso, com'egli medesimo si definì, carnefice di sé stesso": il suo spirito, per la molteplicità stessa delle sue attitudini e dei suoi interessi, divenne il campo aperto, in cui irruppero, dall'agitata coscienza del tempo, le tendenze più diverse: cosicché ciò che egli era chiamato a dire si poté chiarire soltanto attraverso un dramma interiore continuo, che, sospingendolo di atteggiamento in atteggiamento, di problema in problema, non gli lasciò pace, finché (Torino, fine del dicembre 1888) s'abbattè su di lui la tenebra definitiva della follia.
Professore di filologia greca all'università di Basilea nel 1868, a ventiquattr'anni, senza che ancora avesse conseguita la laurea - gliela diedero senza esame, prima che lasciasse Lipsia, dove aveva avuto in F. W. Ritschl il suo maestro -; esentato dall'obbligo di insegnamento nel luglio del 1879, per malattia, con una pensione di 3000 franchi, che gli assicurò i mezzi per sostentare l'esistenza e pubblicare a proprie spese i libri a cui non riusciva a trovare editore; e da allora in poi "eterno viandante" fra la Riviera, Venezia, Napoli, Roma, il Garda e l'Engadina, - senza nessun episodio di rilievo nella sua vita esteriore, all'infuori di quell'oscura burrascosa relazione con Lou Salomé (primavera-estate 1882), che non si potra chiarire finché nuovi documenti non s'aggiungano a quelli finora messi in luce - si può dire che il dramma intellettuale, in cui si tormentò e si esaltò, costitui la sostanza unica della sua vita, in una solitudine che andò sempre crescendo con lo svilupparsi del suo pensiero, mentre tutti gli amici, che quel suo pensiero non potevano più seguire, si venivano via via staccando da lui; tutti, anche Overbeck, anche Burckhardt, anche Rohde che per tanti anni gli era stato tanto fraterno: cosicché alla fine quasi non gli rimase che il giovane musicista Peter Gast (Heinrich Koselitz), che gli era stato scolaro a Basilea.
Urge il dramma già nell'inquieta coscienza del giovane studente e, come lo sospinge di meditazione autobiografica in meditazione autobiografica - non meno di otto ne stese fra i quattordici e i venticinque anni - in un'ansiosa ricerca di sé stesso, così gli fa anticipare, in baleni d'intuizione, nelle pagine giovanili ora in parte note, tutti gli elementì essenziali del suo meditare e speculare - dalla necessità di una nuova concezione della grecità, dall'"analisi scientifica" dei sentimenti, dalla polemica anticristiana, all'immoralismo e persino al superuomo -: cosicché quando si guarda all'insieme della sua opera non soltanto ci si trova davanti a un ritorno del pensiero ultimo al pensiero delle origini, ma addirittura pare tutto il pensiero rampollare tumultuosamente da una fonte interiore unica, sempre identica a sé medesima. Mentre l'orientamento realistico e critico assunto dal pensiero dopo il romanticismo andava sempre più largamente sboccando in un atteggiamento positivistico della filosofia, in una concezione materialistica dei problemi sociali, in un imborghesimento dello spirito, in una specie di nuovo alessandrinismo culturale, il N., pur essendo aperto alle tendenze realistico-critiche dei nuovi tempi, sorse come ultimo erede dell'ambizione eroica con cui la rinascita germanica si era compiuta dalla metà del sec. XVIII in poi; assunse su di sé la missione di trasmettere la fiamma viva dall'età dell'idealismo assoluto e del romanticismo alla così profondamente diversa anima moderna.
Deciso e cosciente si rivela questo tono di esistenza già in quella grande esperienza che comprende in sé la sua amicizia con Wagner, la sua esaltazione di Schopenhauer e la sua interpretazione nuova della grecità: tutte e tre condizionate nel suo spirito a vicenda, tali che l'una si ripercuote nell'altra e tutte insieme costituiscono un'esperienza spirituale unitaria. Erano nella realtà i soli elementi in cui il suo spirito potesse sentire e riconoscere l'orientamento stesso del suo proprio interno impeto: e Wagner vi dominò, o vi parve dominare, non perché in lui N. potesse veder esaurito il proprio destino spirituale, ma perché nell'amicizia con Wagner l'esperienza culturale si risolveva in una pienezza di esperienza umana, trovandosi egli a vivere, giovane e in pieno tumulto di aspirazioni, accanto a un genio di tendenze, sotto molti aspetti, affini, il quale in quel momento viveva, dopo tante lotte, placato e solitario, al vertice di una calma felicità d'esistenza e pienezza di creazione. Ma se la Geburt der Tragödie aus dem Geiste der Musik (1872) poté risolversi così in una propaganda wagneriana, Wagner in realtà non è che uno degli elementi da cui il libro è nato, e di cui il libro vive: perché non solo alla prima concezione del problema Wagner era stato estraneo, anche se il suo spirito vi era presente - tanto che le prime stesure mettevano insieme saggi e conferenze su Das griechische Musikdrama, Sokrates und die Tragödie, über die dionysische Weltanschauung (1870), da riunirsi e fondersi con altri saggi minori sotto un titolo unico in un volume Griechische Heiterkeit (1871) in cui la personalità di Wagner e la sua opera non erano materia di discussione -; ma, e soprattutto, perché il problema centrale è più essenziale e più vasto: il problema del rapporto fra vita dello spirito - arte pensiero cultura - e vita dell'istinto e delle passioni. Dioniso e Apollo compaiono bensì nell'opera come incarnazioni della musica e della poesia integrantisi nella sintesi della tragedia; ma soltanto perché la musica è intesa schopenhauerianamente come espressione diretta della volontà universa e la poesia come mondo dello spirito e della coscienza, e sono invece in realtà i due poli stessi della vita, la quale apparirà a Nietzsche sempre così, sotto la specie di una dialettica fra istinto e coscienza; e la grande rivelazione del libro è - di là dalla discutibile determinazione dei rapporti fra musica e poesia - una vera e propria metafisica della vita: secondo la quale la vita stessa è, come sostanza originaria, caos di istinti, tumulto di passioni, errore e sofferenza, ma, al medesimo tempo, eternamente vergine pienezza di forze irrompenti, che generano al disopra di sé la chiarezza ordinatrice e formatrice del pensiero, la serena visione dell'arte. E il senso del libro è la proclamazione della grandezza della vita tragica, nel sentimento del suo eterno mistero di morte continua e continua generazione, e l'inno al dio che della vita tragica è l'incarnazione: Dioniso. Vi è intuita un'immagine della grecità che - al di là della polemica filologica di metodo impostata dal Wilamowitz (ma v. la risposta di E. Rohde, e la "Lettera aperta" di Wagner) - doveva profondamente influire sullo sviluppo ulteriore della concezione dell'antichità; ma, al di là, anche, di ciò, sotto le deformazioni involontarie di un adattamento a fini di discussione estetica e di tendenza apologetica, vi è implicitamente formulata la concezione della vita che resterà, nel fondo del pensiero nietzschiano, definitiva.
L'amicizia con Wagner era per N. un bene troppo prezioso perché la divergenza delle personalità e delle personali mete la potesse facilmente spezzare. E l'idillio di Triebschen (1868-72) durerà, con solo passeggeri turbamenti, fino al ritorno di Wagner a Bayreuth. E anche oltre quel ritorno N. manterrà a Wagner, sia pur con sforzo, la sua fedeltà: e lascerà in disparte gli ulteriori sviluppi della sua lotta per una nuova filologia che non sia più scopo a sé stessa, ma forza di formazione spirituale per l'uomo; lascerà in disparte quegli ulteriori sviluppi della sua intuizione della Grecia che gli dettarono il monumentale corso Über die Philosophie im tragischen Zeitalter der Griechen (1871); lascerà in disparte quegli ulteriori sviluppi della sua riforma educativa che gli avevano ispirato gli appassionati e alti discorsi: Über die Zukunfl unserer Bildungsanstalten (1871); e si chiuderà invece più strettamente in quel campo in cui il suo incontro e il suo accordo con Wagner era più stretto, e lancerà una dopo l'altra contro il suo tempo le sue Unzeitgemässen Betrachtungen: quella contro il Bierbankevangelium e il Bildungsphilistertum, contro la pseudocoscienza che afflosciandosi in un borghese spirito di sufficienza perde ogni vitalità e forza (David Friedrich Strauss, 1873); quella contro il pericoloso dilagare dello storicismo, in cui le forze creatrici della vita finiscono col ristagnare in sé medesime e disperdersi (Vom Nutzen und Nachteil der Historie für's Leben, 1874); quella in cui alla falsa cultura del tempo, soddisfatta di sé medesima, vuota di nuove forze creatrici è contrapposta l'immagine eroica del cavaliere di Dürer ed è innalzato un monumento a Schopenhauer come interprete sereno della concezione tragica della vita generatrice di tutte le cose alte e grandi (Schopenhauer als Erzieher, 1874); quella, infine, nella quale, in occasione dell'inaugurazione del teatro di Bayreuth, la personalità stessa di Wagner è direttamente presentata in una interpretazione e raffigurazione eroica, come quella dell'uomo della incrollabile "fedeltà a sé stesso e al proprio destino" che "pensando in immagini e filosofando in suoni" par suscitare dal seno misterioso della natura la grandezza delle sue creazioni (Richard Wagner in Bayreuth, 1876).
Il comune atteggiamento estetico-musicale nell'interpretazione della vita, il comune sentimento della "cosmica profondità e potenza" della vita individuale, la comune accesa o sensuale sensibilità, il comune disprezzo per ogni forma meccanica e materiale di civiltà, la comune lotta contro lo spirito del tempo, congiungevano N. e Wagner; e quando Wagner a Tribschen componeva la musica del suo Siegfried, al fascino del Tristano con la sua "incandescente atmosfera di voluttà e di morte" s'era venuto aggiungendo anche il fascino d'una comune concezione di vita radiosa, in vertiginosa incontenibile espansione "al di là del bene e del male"; ma Wagner era l'artista che si chiudeva nel suo mondo, e nell'esprimersi del suo sentimento nella sua arte trovava anche la naturale conchiusione di ogni sua aspirazione; e N. invece era il discendente d'una famiglia di pastori protestanti, e, sì, adorava quell'arte, ma mirava a investire di quello spirito la realtà della vita; e oltracciò apparteneva a una nuova generazione e conosceva esigenze che a Wagner erano state e rimanevano ignote; e, se s'inebriava di musica, era pur l'uomo che con filologica acuità d'indagine e nitida logicità di ragionamento critico aveva studiato Teognide (1866) e Le fonti di Diogene Laerzio (1868), e, mentre attendeva alle sue opere di fraterna battaglia a fianco di Wagner, ancora studiava il Certamen Homeri et Hesiodi (1871) e compilava gl'indici del Rheinisches Museum (1872); e, se si esaltava nell'intuizione del mondo dionisiaco da cui si genera ogni esistenza, era anche lo spirito critico-analitico, che trovava un senso alla propria esistenza soltanto nel pensare e operare a contatto della realtà; e Siegfried perciò non sorgeva per lui soltanto a fianco di Tristano come espressione diversa della profondità e ricchezza dell'umana creatura, ma come un simbolo di fede, come un'alba di luce nuova, come un avanzare verso una più alta potenza umana della vita. E come altre dissonanze fatalmente si dovevano aggiungere: per quel che Wagner aveva di esclusivo nel proprio temperamento; per quel che Wagner aveva di sfrenato e violento nella propria impulsività battagliera; per quel che aveva di istinto teatrale e di talento anche pratico, mentre N. era e restava un asceta; per tutto quel che di mondano, coreografico un avvenimento come l'inaugurazione di Bayreuth non poteva non portare con sé; così accadde che, precisamente quando l'auspicato teatro si aperse, quello divenne fatalmente anche il momento del distacco tragico. N. fuggì dalle prove nelle foreste della Boemia; ritornò per la rappresentazione: fuggì di nuovo. Più tardi si ritroverà ancora "con Wagner a Sorrento", ma l'abisso sarà ormai invalicabile: col Parsifal e con Menschliches Allzumenschliches si romperanno infine anche i rapporti personali, e solo resterà, al disopra della "necessaria inimicizia" quel sentimento di "interiore reciproca appartenenza", per cui l'uno e l'altro, da quel momento, si sentiranno, nel mondo, "completamente soli".
Nel sentimento della tragicità del mistero generatore della vita, N. si era inebriato del proprio tumultuoso lirismo; ma la sola realtà presente che aveva trovato a quel suo sentimento, Wagner e la sua opera, gli si era infine rivelata lontana e diversa dalle esigenze che egli portava entro di sé come un destino. Aveva veduto il mondo attraverso il prisma delle sue aspirazioni soltanto, ed era stato condotto alla constatazione di trovarsi sopra un terreno falso. Ora era anch'egli "come Tannhäuser quando precipita sulla terra dalla montagna di Venere" e tutto intorno a lui è chiaro, nuovo, come se egli non l'avesse mai veduto. La prima cosa era anche per lui "guardarsi intorno", vedere come sono fatte veramente le cose: prender contatto con le cose vicine: ritrovare nella spregiudicata osservazione di esse la "libertà spirituale che aveva perduto. Al "filosofo tragico", al "pallido cavaliere di Dürer" al "veggente sacerdote di Dioniso" successe così "lo spirito libero". Cercare ciò che c'è dietro le apparenze delle cose. Comprendere il perché dei fatti che avvengono. Esaminare se le idee che si professano siano veramente verità, e considerare come quelle idee sono sorte, per quale ragione, a quale fine. "Mettere su ghiaccio le proprie esperienze" e analizzare sé stesso fuori da ogni vapore d'illusione o di passione. La metafisica del mondo interpretato come fenomeno estetico è scomparsa. E al posto suo è sorto lo psicologo (Menschliches Allzumenschliches, I, 1878; Menschliches Allzumenschliches, II, 1879, con una seconda parte dal titolo Der Wanderer und sein Schatten, 1880; Morgenröte, 1881; Die fröhliche Wissenschaft, 1882).
Un gruppo degli aforismi Menschliches Allzumenschliches fu scritto nell'estate del 1876, nei dieci giorni passati a Klingenbrunnen nella Selva Boema, e il libro doveva portare il titolo Die Pflugschar, titolo che N. pensò anche di adattare più tardi a tutta l'opera di questo periodo: il resto fu scritto a Basilea; poi, dall'autunno 1876 all'estate 1877, a Sorrento, dove N. visse col Rée e col Brenner presso Malvida von Meysenbug; e infine a Rosenlauibad nell'Oberland bernese dove N. passò l'estate dello stesso anno. E in tutta la raccolta affiora spesso la diffidenza del disilluso, che di tutto e di tutti diffida, e prima di tutto, di sé stesso. Vi è la tendenza a precludersi tutto ciò che ha fatto piacere, e ha fatto del male. La metafisica è nemica della cultura, perché nemica della realtà. Al posto della metafisica è da sostituire la "chimica dei concetti", la "chimica dei sentimenti" la storia e preistoria degl'ideali. Anche gli ideali hanno una loro genesi storica: nascono non dalla verità ma da credenze erronee. E su errori riposa la morale, anche se soltanto attraverso le leggi che con la morale si è dato, l'uomo ha potuto creare la sua civiltà, su errori riposa la religione, la creazione del concetto di un Dio al disopra della vita. Il bisogno cristiano di redenzione nasce dal disprezzo di sé stessa in cui l'umanità si è ammalata. L'arte che celebra gl'ideali morali e religiosi è un pericolo, anche se per l'altra parte dà gioia alla vita. La mistica dell'arte è puro vaneggiamento. E vaneggiamento è la mistica esaltazione del genio. La musica è un veleno per lo spirito, l'espressione di uno stato di decadenza della vita. L'uomo non ha mete fuori di sé, innanzi a sé. Non esiste nulla d'assoluto. Non c'è che la vita, signora di sé stessa, eternamente mutevole e nuova, "aperta verso tutti gli orizzonti". E ancora più accentuata è la tendenza alla negazione nella seconda parte, specialmente nei riguardi di Wagner, dopo che Wagner ha scritto il Parsifal, la perfetta contraddizione dell'orientamento spirituale in cui N. si è posto. La musica di Wagner è barocco. La musica è espressione di una cultura in epoca tarda e in disfacimento. L'ascetismo è segno di debolezza degl'istinti vitali, segno di malattia. Il cristianesimo è "il suonar di campane vespertine sul tramonto della civiltà antica". La vera morale dovrebb'essere: "non giudicate!". Ciò che è giudicato come buono, è stato giudicato un "male" nel primo momento in cui è sorto, in contrasto con le concezioni allora dominanti. Non c'è altra via verso la cultura che la spregiudicata considerazione del "reale" nella realtà degli stimoli della vita che lo determinano. La via della culiura è la scienza. Perciò si è voluto, per un certo tempo, sul volger del secolo, interpretare il N. come un positivista. Ma tutto questo suo pensiero, in fondo, è lirico: è una reazione contro i passati ideali: oppure è l'espressione della gioia della ricuperata libertà spirituale, dell'interna serenità: tanto che in Der Wanderer und sein Schatten, anche il culto dell'eroico può decisamente risorgere: e, al disopra della morale cristiana condannata come morale di masse - "Herdenmoral" -, sono rappresentati gli uomini superiori, i quali con limpida visione pongono i nuovi valori, dando alla vita il suo contenuto e la sua direzione; e Socrate stesso, già tanto deprecato, ricompare come colui che aveva la missione religiosa di tentare Iddio. "Grandezza, calma, luce interiore" sono gli attributi della nuova vita; ordine, chiarezza, riposata armonia di contorni, grazia, gli attributi del "nuovo stile": tutto il Wanderer und sein Schatten è pieno del sentimento di questa raggiunta sicurezza interiore.
"Troppo a lungo l'uomo ha portato le catene: i suoi concetti morali religiosi, metafisici: la Morgenröte e la Fröhliche Wissenschaft sono la lotta che N., movendo dalla nuova certezza di sé, conduce per spezzare le catene. E sono anche le opere del trionfo della sua genialità di psicologo. La polemica contro la filosofia di Kant e dell'idealismo; la polemica contro il cristianesimo; la polemica contro la morale, sono condotte attraverso l'analisi che N. fa della realtà degli uomini del proprio tempo. Dal campo della discussione filosofica il problema è portato nel campo della psicologia dell'uomo reale. E tutto ciò che era di torbido o di stanco o di malato nella coscienza dell'uomo moderno, vi è penetrato con uno sguardo tagliente, freddo, implacabile. È posto il problema perché sotto ciò che si chiama virtù si possano nascondere la sofferenza, l'istinto della vendetta, la crudeltà, la simulazione, la malattia, la decadenza. E la spiegazione - da cui N. è condotto alle sue polemiche antimetafisiche e anticristiane - è che nel concetto di verità, di legge morale, di Dio, il naturale svolgersi della vita, anziché stimolato, è stato 1mpacciato: e l'umanità ci si è ammalata e si è formata una psicologia da malati, mentre la vita invece è eterno mutamento, incalzarsi di forze, prepotere di forze che vogliono tradursi in realtà, volontà di essere sé stessi e perciò "Wille zur Macht". Gli aforismi della Morgenröte furono scritti fra il 1879 e il 1881 a Riva sul Garda, a Venezia, a Marienbad, a Naunburg, a Stresa e a Genova: quelli della Fröhliche Wissenschaft furono scritti a Genova nell'inverno 1881-82 (il quinto libro è un'aggiunta più tarda, del 1886). E specialmente nella Morgenröte la critica di tutti i valori tradizionali è ostinata, sistematica, sottile: solo non è più rivolta da N. contro sé stesso, ma contro il mondo che è fuori di lui e che egli vuole distruggere nelle sue forme attuali per rimodellarlo in forme nuove: dentro di lui la convinzione è già diventata una fede. Nella Fröhliche Wissenschaft perciò la polemica, pur essendo talora anche più spinta che nella raccolta precedente, assume toni non soltanto affermativi, vittoriosi da nuovo "argonauta dell'ideale": insiste sullo stimolo alla vita che portano in sé gli istinti che si giudicano come "istinti di male"; sul dolore generatore di tanto più alta gioia, quanto più il dolore è stato profondo; sul vivere che significa respingere continuamente da noi stessi tutto ciò che in noi stessi si fa vecchio e stanco; sulla disciplina che nasce dalla durezza della costrizione; sul mondo che è caos a cui l'uomo ha il compito di dare forma; sulla distruzione del concetto di verità che crea la possibilità di infinite verità feconde di sviluppi per la vita. Nel tono aerato luminoso, chiaro, c'è la trepida felicità di un uomo che sente in sé una nuova anima.
Attraverso la crisi spirituale di un'analisi psicologica della realtà che N. stesso designerà più tardi come nichilistica, N. ha così ritrovato in un nuovo tono l'antica coscienza spirituale che già lo aveva condotto a Wagner e ai Greci e aveva fatto di lui il sacerdote del "suo" iddio, Dioniso; l'esigenza di un potenziamento illimitato della vita spirituale. Ricondotto l'uomo alla realtà come suo vero mondo di attività creatrice abolito il concetto di Dio; abolita l'immobilità delle leggi morali, l'uomo è apparso a N. come l'arbitro della propria grandezza. Soltanto dall'uomo dipendeva ora il dare a sé stesso leggi che determinassero la massima elevazione e potenza al suo sviluppo. N. credette di averle trovate nella concezione dell'"eterno ritorno" e nella concezione del "superuomo".
Nella negazione di tutti i valori, per cui la vita viene ricondotta a un caos di forze in oscuro elementare tumulto, a cui l'uomo impone la forma della sua "volontà di potenza", l'idea dell'"eterno ritorno" rappresentava l'unica possibilità di dare alla creazione umana un valore senza che esso venisse travolto nel flusso dell'eterno nascere e morire di tutto ciò che è umano: soltanto con l'idea dell'eterno ritorno" - per cui, appunto, tutto ciò che è, non muore, perché eternamente nel compiersi del ciclo dell'esistenza ricompare nella sua integrità e totalità - l'uomo poteva diventare di nuovo un "creatore" di valori eterni, e apparire veramente nella realtà il "signore assoluto" soltanto con l'idea dell'"eterno ritorno" veniva data infine all'uomo una misura che potesse contrappesare il pericolo dell'assoluta libertà che gli veniva concessa: perché veniva dato all'uomo il terribile imperativo: "Tu devi vivere in ogni tuo momento in modo che tu possa desiderare di vivere così eternamente, perché tutto ciò che tu fai tutto ritornerà e ritornerà anche la tua miseria umana". Era un pensiero per cui lo spirito ridiventava natura. Ed era un pensiero teoreticamente equivoco; e non era N. il primo a cui esso fosse balenato; ma fu il primo a sentirne tutto il peso. E quando il pensiero all'improvviso "gli sfolgoro nella mente", in Engadina (estate del 1881), lo colpì con la terribilità e l'estasi di una rivelazione.
Esso costituisce il motivo lirico centrale che ritorna, in variazioni di tonalità sempre più alta, in tutte le parti dello Zarathustra; e anche il "superuomo", di cui Zarathustra è chiamato ad annunziare agli uomini l'avvento, non è comprensibile che entro l'atmosfera che questa mistica estasi ha creato. Perché N. stesso può aver cercato, come del resto anche per l'idea dell'eterno ritorno, di dare al "superuomo" un'ingenua giustificazione dal punto di vista della scienza e della teoria dell'evoluzione. ma, dappertutto, dove la parola "superuomo" acquista la pienezza del suo senso, esprime un concetto il quale non indica la meta di un fisicopsichico divenire del genere umano, ma è invece il senso stesso di questo divenire, l'immagine mitica che può occupare il posto prima occupato da Dio, perché riassume in sé la sostanza stessa della vita. Abolita nella vita ogni legge che la vincola e la limita, attribuito alla vita il carattere di concreta eternità nel ricorrere dei cicli dell'esistenza, N. ne deriva una nuova legge che non è più un giogo imposto all'uomo, ma una cosa sola invece con la sua natura, forza congenita e strumento della sua volontà di potenza: "la legge del superamento", per la quale vivere significa "ascendere" perennemente, al disopra di tutto ciò che è stato raggiunto. È una legge che vale per tutti gli uomini: ed è senso della vita di tutti. E il "superuomo" ne è l'incarnazione, l'immagine perfetta e in sé conchiusa, il mito.
Nacque così Also sprach Zarathustra (1883-85), opera mista di annunciazione profetica e poesia, tale che nell'elementarità dell'esperienza spirituale da cui nasce è permeata di poesia, dappertutto, anche là dove imperiosa irrompe la predicazione del riformatore. La prima parte fu scritta nel febbraio del 1883 a Rapallo; la seconda parte fra il 26 giugno e il 6 luglio a Sils Maria; la terza parte nell'autunno del 1883 a Nizza; la quarta parte nell'inverno del 1884-85 a Mentone.
La quarta parte, nel suo echeggiare di motivi precedenti, nel decadentismo barocco di certi toni forzati, nell'artificiosità di taluni sviluppi e soprattutto nella slegatezza della struttura, spiega come i progettati sviluppi ulteriori non abbiano più avuto seguito: non vi è più quel tono di "necessità interna" che dà una naturale e spontanea impronta di tensione spirituale alle prime tre parti, fondendole in un blocco unitario. Il quale è un blocco isolato nella letteratura del tempo come l'eccezionalità dell'esperienza spirituale da cui è sorto. La vita cosmica vi è sentita a un tempo con un'elementarità, che non ha precedenti se non forse in Wagner e in Hölderlin, e al tempo stesso con un' immediatezza delicatissima di forme, satura di colori: ritmi vasti, e sinfonico incrociarsi e mutarsi e rinnovarsi di motivi, e, al tempo stesso, squisitezze di sensibilità: lirismo che ora s'esalta in luci improvvise di rivelazione, con quasi allucinata visionarietà di particolari, ora s'indugia in lentezze di carezzevole aderenza alla vita; una linearità di stile che, nella dinamica interna del continuo mutamento di toni e di colori, rièsce a risolvere in sé ogni impressione. Il profeta si sovrappone alternatamente al poeta e porta dentro la sinfonia le fratture della sua astratta durezza: ma nella novità dell'esperienza di cui vive, la parola ha una stupefacente novità di timbro e ricchezza di potenza espressiva: e l'anima che da sé espresse tale grandiosità di paesaggio poetico vi palpita dentro con tutta l'intensità della sua estasi e con tutta la complessità delle sue sensitive esperienze. Soltanto nei Dionysos Dithyramben (1888) N. - così squisitamente esperto dell'interna struttura musicale della poesia lirica (v. le numerose, talvolta bellissime liriche che accompagnò ad alcuna delle sue raccolte di aforismi) - andrà anche al di là dell'arte dello Zarathustra, e riuscirà a indudere nel mondo della sua poesia, creando un senso di distanze inaudito e pauroso nelle spezzature del ritmo e del nesso delle immagini, anche l'ultima beatitudine e l'ultimo schianto del suo spirito, già sulla soglia della follia.
Come contenuto di pensiero, lo Zarathustra non presenta se non, con una espansione più lineare, il suo pensiero precedente, che nell'idea dell'eterno ritorno e nell'immagine dell'Übermensch ha trovato il suo completamento e la sua trasfigurazione. Lo sviluppo del pensiero filosofico è degli anni seguenti: in Jenseits von Gut und Böse (1886), nella Genealogie der Moral (1887), nella Götzendämmerung (1888), nell'Antichrist (1888), e, soprattutto, nella vasta opera teoretica che lasciò incompiuta.
Jenseits von Gut und Böse, composto fra Venezia, la Riviera e l'Engadina, negli anni 1884-86, se è ancora il libro che porta - quasi a sua conclusione - il delicato e profondo aforisma sul "genio del cuore", e ancora continua la tonalità lirica degli aforismi della Gaya Scientia, presenta già tuttavia un carattere di raccolta concentrazione speculativa. Lo sforzo cosciente verso l'unità logica interna del pensiero si compie subito dopo con la progettata grande opera, di cui la Genealogie der Moral scritta a Sils Maria nell'estate del 1887, e la Götzendämmerung, scritta a Sils Maria nell'estate del 1888 sono anticipazioni frammentarie e l'Antichrist, composto a Torino nell'autunno dello stesso anno, è, esplicitamente, una parte. Il resto dell'opera, col titolo Der Wille zur Macht. Versuch einer Umwertung aller Werte (ma nel 1888 N. pensò anche a un disegno nuovo dell'opera col solo titolo Umwertung aller Werte; e di questo secondo disegno costituisce appunto una parte l'Antichrist), venne pubblicato postumo, prima in forma di una breve raccolta di soli 570 aforismi, poi, in stampe successive, con una quantità di scritti sempre più vasta. La solitudine da cui si sentiva circondato, il silenzio in cui sentiva cadere le sue parole vi condussero spesso N. a "filosofare col martello", in una specie di esasperata reazione. Ma come per lo "psicologo" le opere di più ricco contenuto sono le tre raccolte dalla Morgenröte allo Jenseits, così per il "filosofo" l'opera rappresentativa è quest'ultima. Già nell'analisi del nichilismo europeo e delle sue cause e della sua storia che costituisce la materia dei primi due libri - Der europäische Nihilismus e Kritik der bisherigen höchsten Werte - si riconosce la risoluta impostazione delle affermazioni di principio, le quali poi nei due ultimi libri - Prinzip einer neuen Wertsetzung; Zucht und Züchtung - vengono condotte conseguentemente fino ai loro ultimi sviluppi. La verità non esiste. Il pensiero non domina e governa la vita, ma è anch'esso soltanto espressione della vita. La quale consiste in una polarità di istinto e coscienza, corpo e spirito, sangue e pensiero, attuantesi perennemente in una mutevolezza di rapporti infinita e innumerevole. L'accentuazione unilaterale dell'istinto, del corpo, del sangue, che talune recenti interpretazioni hanno compiuto, è, nella sua tendenza - sebbene ricorra effettivamente, a più riprese, anche in N. a fini polemici - estranea al fondo del pensiero nietzschiano: tutto l'Ecce homo è un'apoteosi della sanità dello spirito trionfante sul corpo malato. Ma decisa e risoluta è l'affermazione della essenzialità delle forze irrazionali della vita. Perché dappertutto, nell'attività conoscitiva come nella natura, la vita è ugualmente e sempre necessità interna di attuazione, necessità interna di espansione: "continuità di lotta", "volontà di potenza". E conoscere è stabilire delle prospettive, entro cui prenderà forma la vita. Così come, risolta la rigidità immobile delle leggi morali nella "innocenza del divenire" dare un ordine alla società degli uomini è stabilire una "gerarchia": quella "Rangordnung", che non solo accoglie ora e risolve in sé stessa l'antica polemica sulla "Herden-" e sulla Herrenmoral", ma diventa il principio di tutta la struttura sociale e dello stato.
Nella critica sociale e politica, la reazione contro le dominanti tendenze democratiche, liberali, socialiste, comuniste anticipa spesso sviluppi storici che in seguito si sono venuti compiendo - con un'intuizione di future concrete situazioni storiche che talvolta appare stupefacente; e come anche nel suo pensiero teoretico e nelle sue concezioni etiche N. interpreta, in un clima di alta passione spirituale, quella esigenza rivoluzionaria che troppo era stata dimenticata e che è immanente e implicita nell'eterno rinnovamento da cui si genera la vita, così il suo pensiero ha influito largamente - dal pragmatismo all'intuizionismo, al relativismo, all'irrazionalismo - su molti degli sviluppi ultimi della filosofia moderna. Ma N. era troppo filosoficamente esperto e troppo sinceramente impegnato per non sentire tutti i complessi e oscuri problemi che si agitavano insoluti al di là della posizione da lui assunta. E questa sua ultima produzione ha, tutta, un interno pathos di vissuta tragedia. Sopra una disperata coscienza di "interni abissi" sorride nei Dionysos-Dithyramben la sua "purpurne Seligkeit". Ed è singolare come dal 1886 in poi, parallelo allo sviluppo dell'opera teoretica, si compia un nuovo ripiegamento di N. su sé stesso: prima con la serie delle Vorreden a tutti i suoi scritti anteriori - le quali messe insieme costituiscono forse uno dei suoi libri più vivi e più ricchi -; poi con Der Fall Wagner (1888) e Nietzsche contra Wagner (compilato nel 1888, ma in gran parte con scritti anteriori), dove pur nel vilipendio si esprime una ancor sempre ardente intimità di adesione spirituale e l'odio è sofferto amore, e la critica è reazione contro la passione non vinta; infine con Ecce homo (1888: N. ne stava correggendo le bozze quando la follia lo colse) dove un volto sofferente di una sofferenza quasi fisica traspare, al di là dell'alcionica ebbrezza. È come se un bisogno imperioso di "prender possesso" di sé medesimo incalzasse il pensatore nella solitudine del suo pensiero: il bisogno di considerare tutto il cammino percorso e prender coscienza del punto di arrivo: il bisogno di vedersi e di riconoscersi, per ritrovare nella propria immagine il senso della propria certezza. E l'impronta di questa sua interna tragedia suggellò ancora lo scoppio della sua follia: "Cantami un nuovo canto - dice la lettera a Peter Gast del 28 dicembre 1888 -. Trasfigurato è il mondo e tutti i cieli si rallegrano. Dioniso Crocifisso".
N. musicista. - A dieci anni appena N. cominciò a comporre; per la vigilia di Natale del 1854 presentò alla nonna una specie di piccolo mottetto di sua invenzione. Da allora in poi la sua produzione segna un crescendo continuo sino all'epoca della sua maggiore attività filologica per subire poi un lento diminuendo durante tutto il tempo dell'amicizia wagneriana. In questo primo periodo le forme predilette sono il Lied e la musica sacra.
Così troviamo già tra il 1860 e '64 le tracce di un Weinachts-Oratorium e di una Silvesternacht a cui N. è tornato anche più tardi. Dalla musica sacra probabilmente gli è venuta anche quella simpatia per il coro e per il fugato, che traspare qua e là in tutte le composizioni di questo tempo. Le liriche sono numerosissime sopra i testi più varî, ma sempre improntati a uno schietto romanticismo. La derivazione ch'esse rivelano più chiaramente, è quella schubertiana e, soprattutto, schumanniana. E a Schumann doveva sentirsi ancora, in qualche modo, legato quando nell'aprile del 1872 finiva di comporre una Manfred-Meditation. Del 1874 è un Hymnus an die Freundschaft, forse la composizione più lunga di N. che ci sia rimasta e anche architettonicamente la più finita. Con un Hymnus an das Leben su parole di Lou Andreas-Salomé si chiude poi la sua vera e propria attività musicale. Vi sono due versioni di questo inno (che una volta si muta in una "Preghiera alla vita" - Gebet an das Leben): una per canto e pianoforte, che è probabilmente l'originale, l'altra, forse rimaneggiata da qualche musicista, per coro e orchestra. In complesso non si tratta di niente di straordinario; c'è sempre però quel certo piglio tra l'eroico e il retorico, che caratterizza tutta la produzione musicale di N. Ma dalle musiche di N., edite e inedite in gran parte, non si può avere un'idea chiara della sua attitudine al comporre, né del suo valore come musicista. All'infuori dei primi tempi, che d'altra parte non sono i più importanti, le sue composizioni sono state scritte in fretta, piuttosto come abbozzi e appunti che come lavori portati a termine. D'altra parte non si può far a meno di notare in quei frammenti una facilità d'invenzione e di costruzione e certe stranezze - specialmente nell'armonia - tutte particolari, che testimoniano un anelito verso un'espressione nuova e personale. Restano poi le improvvisazioni di N., di cui tutti quelli che le hanno ascoltate (anche Cosima Wagner) sono rimasti ammirati, e restano soprattutto le sue "impressioni e critiche musicali" che, pur tra contraddizioni e paradossi, sono sempre ricche di intuizioni geniali.
Opere: Werke, a cura di E. Förster-Nietzsche, voll. 16, Lipsia 1896-1911; 2ª ed., voll. 19, ivi 1905-13; Werke, a cura di E. Förster-Nietzsche, Taschenausgabe, voll. 11, ivi 1906-11; Gesammelte Werke, a cura di R. e M. Oehler e F. Chr. Wurzbach, ed. Musarion, voll. 23, Monaco 1923 segg., con l'aggiunta di due volumi di indici a cura di R. Oehler, Nietzsche-Register, ivi 1926; a cura del Nietzsche-Archiv è in preparazione un'edizione critica delle opere complete. Fra le edizioni minori v. la Dünndruckausgabe, a cura del Nietzsche-Archiv, voll. 5, ivi; la Neue Dünndruckausgabe, a cura di A. Bäumler, voll. 6, ivi; con l'aggiunta di un 7° vol., contenente una scelta dalle carte postume: Die Unschuld des Werdens, ivi 1930-31, l'ed. di W. Linden nella Goldene Klassiker Bibliothek, voll. 4, Berlino; l'ed. di Th. Kappstein, voll. 4, Berlino; le varie ed. Reclam e Kröner. Fra le ediz. di singoli gruppi di scritti v. Der werdende Nietzsche, raccolta di scritti autobiografici, in parte inediti, a cura di E. Förster-Nietzsche, Monaco 1924, Jugendschriften, con scritti inediti, a cura di E. Förster-Nietzsche, ivi 1923, Nietzsches Philosophie in Selbstzeugnissen, voll. 2, Lipsia 1931. Per le composizioni musicali di N. v. N.s musikalische Werke, ed. G. Goehler, I: Lieder für eine Singstimme mit Klavierbegleitung, ivi 1926.
Lettere: Gesammelte Briefe, voll. 9, Lipsia 1909 segg. Fra le singole ediz. di epistolarî v. N.s Briefwechsel mit Overbeck, ivi 1916; N.s Briefwechsel mit Rohde, a cura di E. Förster-Nietzsche e F. Schöll, 3ª ed., ivi 1923; N.s Briefe an Mutter und Schwester, a cura di E. Förster-Nietzsche, 3ª ed., ivi 1926; N.s Briefe an Peter Gast, a cura di Peter Gast, 3ª ed., ivi 1924; Peter Gasts Briefe an F. N., voll. 2, Monaco 1923-24; Briefe, scelta a cura di R. Oehler, Lipsia 1912; N. in seinen Briefen und Berichten der Zeitgenossen, a cura di A. Bäumler, ivi 1929.
Bibl.: Biografie: E. Förster-Nietzsche, Das Leben F. N., voll. 3, Lipsia 1895-1904; C. A. Bernoulli, N. und Overbeck, voll. 2, Jena 1907-08 (in seguito a processo intentato dalla sorella di N., molte pagine contenenti passi o frammenti inediti sono cancellate, nel vol. II, nelle copie che si trovano in commercio); E. Förster-Nietzsche, Das N. Archiv, seine Freunde und Feinde, Lipsia 1907; id., Das Leben Nietzsches: i. Der junge N., Der einsame N., ivi 1912-1914; P. Deussen, Erinnerungen an F. N., ivi 1901; K. Spitteler, Meine Beziehungen zu N., Monaco 1908; D. Halévy, La vie de F. N., Parigi 1909; E. Binder, Malvida von Meysenbug und F. N., Berlino 1917; O. F. Scheuer, F. N. als Student, Bonn 1923; J. Stroux, N.s Professur in Basel, Jena 1925; J. Hofmiller, N., in Süddeutsche Monatshefte, XXIX, ii (1931). - Sulla salute di N. e sulle cause della follia: R. Steiner, N. als psychopatologisches Problem, in Wiener Klinische Rundschau, XIV (1900); Th. Ziegler, F. N., Lipsia 1908; P. Möbius, Über das Pathologische bei N., Monaco 1902; e specialmente E. F. Podach, N.s Zusammenbruch, con documenti inediti, Heidelberg 1930; id., Gestalten um N., Berlino 1932; P. Cohn, Um N.s Untergang, con l'aggiunta di quattro lettere della sorella di N., Hannover 1931; G. Vorberg, Über F. N.s Krankheit und Zusammenbruch, Berlino 1934. - Su N. e Lou Salomé, oltre al libro della Salomé stessa: L. Andreas-Salomé, F. N. in seinen Werken, Vienna 1894; A. Bäumler, Die Liebe im Leben N.s, in Deutscher Almanach für 1931, Lipsia; W. Braun, Nietzsche und die Frauen, Lipsia 1931. - Su N. e Wagner: E. Förster-Nietzsche, Wagner und N. in der Zeit ihrer Freundsch., Monaco 1915; H. Bélart, F. N.s Freundschaftstragödie m. Richard Wagner und Cosima Wagner-Liszt, Dresda 1912; J. M. Verwegen, Wagner und N., Stoccarda 1926; e particolarmente, dal punto di vista biografico, L. Griesser, N. und Wagner, Vienna 1923; e, dal punto di vista ideologico, K. Hildebrandt, W. und N. Ihr Kampf gegen das XIX. Jahrhundert, Breslavia 1924. Sulla polemica con Wilamowitz, v. U. von Wilamowitz-Moellendorff, Zukunftsphilologie. Eine Erwiderung auf F. N.s ordentlichen Professors der klassischen Philologie zu Basel "Geburt der Tragödie", Berlino 1872; E. Rohde, Afterphilologie. Zur Beleuchtung der von dem Dr. Phil. U. v. Wilamowitz-Möllendorff herausgegebenen Pamphlets "Zukuntfsphilologie". Sendschreiben an R. Wagner, Lipsia 1872; R. Wagner, Sendschreiben an F. N., in Norddeutsche Allegemeine Zeitung, 23 giugno 1872.
Monografie: A. Riehl, F. N., der Künstler und der Denker, Stoccarda 1897; H. Lichtenberger, F. N., Parigi 1898; R. Richter, F. N. Sein Leben und sein Werk, Lipsia 1903; F. Orestano, Le idee fondamentali di N. nel loro progressivo svolgimento, Palermo 1903; E. Zoccoli, Federico N., Roma 1907; R. M. Meyer, N. sein Leben und seine Werke, Monaco 1912; O. Fischer, F. N. (in cèco), Praga 1913; F. Chatterton-Hill, F. N., New York 1914; M. Castiglioni, Il poema eroico di F. N., Torino 1916; Ch. Andler, F. N., sa vie et sa pensée, voll. 6, Parigi 1920-1931; E. Bertram, N. Versuch einer Mythologie, Berlino 1919; H. Römer, N., voll. 2, Lipsia 1921; F. Muckle, N. und der Zusammenbruch der Kultur, Monaco 1920; F. Köhler, F. N., Lipsia 1921; Ch. Schrempf, F. N., Gottinga 1922; K. J. Obenauer, N., der ekstatische Nihilist, Jena 1924; A. Vetter, N., Monaco 1926; J. de Gaultier, N., Parigi 1927; A. Farinelli, N., in Conferenze bresciane, Padova 1928; S. Zweig, Der Kampf mit dem Dämon, Lipsia 1928; G. de Pourtalès, N. en Italie, Parigi 1931; Ch. Lessing, N., Lipsia 1931; G. Deesz, Die Entwicklung des N.-Bildes in Deutschland, Würzburg 1933; una caratteristica di N., in un saggio giovanile di Benito Mussolini, è riprodotta in M. Sarfatti, Dux, Milano 1924.
Affinità spirituali e influenze culturali: K. Joel, N. und die Romantik, Jena 1905; L. Schestow, Dostojewsky und N., Bonn 1924; id., Tolstoi e N. (in russo), Pietroburgo 1905; E. Howald, N. und die klassische Philologie, Gotha 1920; K. Hildebrandt, Nietzsche's Wettkampf mit Sokrates und Plato, Monaco 1921; E. Seillière, N. et Rhode, Parigi 1900; E. Bertram, N.s Goethebild, in Festschrift für Litzmann, Berlino 1921; K. Lowith, Kierkegaard und N., Francoforte 1933; H. W. Bertallot, Hölderlin-N., Berlino 1933; Ch. Andler, N. und Burckhardt, Basilea 1926; A. Bäumler, N. und Bachofen, Zurigo 1929; G. Simmel, Schopehauer und N., Berlino 1907; R. Schellwien, Max Stirner u. F. N., Lipsia 1892. - Su N. e Leopardi: La Ronda, II (1920); G. Gabetti, in Il convegno, VII, xi-xii (1923) e VIII, i (1924).
Sulla filosofia di N.: G. Brandes, F. N., En Afhandling om aristokratisk Radikalisme, Copenaghen 1889; H. Türck, F. N. und seine philosophische Irrwege, Dresda 1891; W. Dilthey, Gesammelte Werke, IV; J. C. Kreibig, Geschichte und Kritik des ethischen Skepticismus, Vienna 1896; H. Vaihinger, N. als Philosoph, Berlino 1902; id., Die Philosophie des Als Ob, Berlino 1911; A. Drews, N.s Philosophie, Heidelberg 1904; A. Riehl, Zur Einführung in die Philosophie der Gegenwart, Lipsia 1904; E. Horneffer, Vorträge über N., Berlino 1906; J. Schlaf, Der Fall N., Berlino 1907; id., Über Ressentiment und moralisches Werturteil, Lipsia 1912; M. Havenstein, N. als Erzieher, Berlino 1922; F. Reininger, F. N.s Kampf um den Sinn des Lebens, Vienna 1922; N. von Bubnoff, F. N.s Kulturphilosophie und Umwertungslehre, Lipsia 1924; L. Klages, Die psychologisches Errungenschaften N.s (rivalutazione di N. come iniziatore di una nuova psicologia e caratterologia), Lipsia 1926; H. Prinzhorn, N. und das XX. Jahrhundert, Heidelberg 1928; G. Büscher, N.s wirkliches Gesicht (polemico), Zurigo 1928; H. Hasse, N.s ewige Wiederkunft, in Jahrbuch der Schopenhauer gesellschaft, XVI (1929); W. Brock, N.s Idee der Kultur, Bonn 1930; H. Fischer, N. Apostata oder die Philosophie des Ärgenisses, Erfurt 1931; A. Bäumler, N. der Philosoph und Politiker, la più caratteristica, sebbene, nella sua seconda parte, troppo evidentemente tendenziosa interpretazione di N. da un punto di vista nazional-socialista, Lipsia 1931; F. Mess, N. als Gesetzgeber, Lipsia 1931; E. Meyer, N.s Wertphilosophie in ihrem strukturpsychologischen Zusammenhang, Heidelberg 1932; E. Emmerich, Warheit und Wahrhaftigkeit in der Philosophie N.s, Halle 1933; Thierry Maulnier, La pensée de F. N., Parigi 1933. - Su N. e i problema religioso: Th. Odenwald, Das Religionsproblem bei F. N., Lipsia 1922; F. Trillhaas, Seele und Religion. Das Problem der Philosophie F.N.s, Berlino 1931.
Sull'arte di N.: J. Zeitler, N.s Ästhetik, Lipsia 1900; E. Seillière, Les idées de N. sur la musique, Parigi 1910; H. Landsberg, F. N. und die deutsche Literatur, Lipsia 1902; K. Friedrich, N. der Lyriker, Lipsia 1906; E. Eckerts, N. als Künstler, Monaco 1910; R. M. Meyer, N.s Wortbildungen, in Zeitschr. fur deutsche Wortforschung (XV); Roretz, Zur Analyse von N.s künstl. Schaffen, in Zeitschrift f. Aesthetik, XVIII (1924); G. Jakob, Th. Mann und N., Lipsia 1926; H. Töpfer, Deutung und Wertung der Kunst bei Schopenhauer u. N., Dresda 1933.
Commenti allo "Zarathustra": Naumann, Zarathustra-Kommentar, 4 parti, Lipsia 1904; H. Weichelt, Erläuterungen zu Zarathustra, Lipsia 1922; A. Messer, Erläuterungen zu Zarathustra, Stoccarda 1922. - Sulla posizione di N. nello svolgimento della letteratura tedesca: H. Cysarz, Von Schiller zu N., Halle 1928; id., Wagner, N., George: Formwille und Kulturwille, in Jahrbuch des freien deutschen Hochstiftes, 1931; E. Obenauer, Die Problematik des aesthetischen Menschen in der deutschen Literatur, Monaco 1933.
La nota poesia di S. George su N. si trova nel Teppich des Lebens (1900). A cura di E. Bertram, H. von Hoffmannsthal, Th. Mann e altri uscì anche un Annuario nietzschiano: Ariadne, Jahrbuch der Nietzsche-Gesellschaft, Monaco 1925.