Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel percorso culturale di Nietzsche si individua la coerenza di un atteggiamento critico a partire dagli anni giovanili e dalla pratica filologica assunta come rigoroso contrappeso a una natura passionale. Il germanesimo ideale, legato a Wagner e alla metafisica dell’arte, appartiene solo a un periodo di oscuramento, a cui segue la ripresa di un cammino di liberazione da miti, tradizioni e “ombre di Dio” che offuscano l’orizzonte.
La sorte postuma
Il 3 gennaio del 1889, a Torino, Friedrich Wilhelm Nietzsche (secondo un’incerta tradizione orale) getta il suo grido di compassione abbracciando un cavallo malmenato dal fiaccheraio e manifesta il suo crollo psichico. Il suo nome è conosciuto solo in ristrette cerchie culturali. Dalla primavera del 1879 Nietzsche abbandona l’insegnamento di filologia a Basilea per le preoccupanti condizioni di salute che spesso gli impediscono di leggere e lavorare. Da allora, vivendo con una modesta pensione, Nietzsche, fugitivus errans, soggiorna tra la Svizzera, varie località italiane e Nizza, alla ricerca di luoghi consoni alle sue precarie condizioni fisiologiche e alla sua fragilità psicologica. Pochi anni dopo il crollo finale di Torino, mentre il filosofo è ridotto dalla paralisi progressiva a un corpo senza coscienza, cresce impetuosa la sua fama che arriverà, soprattutto dopo la morte, avvenuta il 25 agosto del 1900, alle forme deteriori del culto. La leggenda, irradiata dal Nietzsche-Archiv, stravolge la sua filosofia, che assume i caratteri del mito eroico-germanico e antilatino fino a ridursi a una serie di slogan (bionda bestia, superuomo, volontà di potenza) che perdono, con il contesto storico e culturale, il loro senso filosofico e problematico per mantenere il residuum volgare e brutale.
Già nell’ultimo anno della sua vita cosciente ricca di energia produttiva (tra il maggio 1888 e il 2 gennaio 1889 Nietzsche scrive Il caso Wagner, Crepuscolo degli idoli, L’anticristo, Ecce homo, Nietzsche contra Wagner e i Ditirambi di Dioniso), non mancano i primi segni di riconoscimento tra cui le lezioni, affollate, tenute dal danese cosmopolita Georg Brandes. Nuovi interlocutori europei sembrano aver rotto l’emarginazione del filosofo e avergli mostrato la possibilità di incidere col suo pensiero nella storia. Nietzsche coglie i segni di pericolosi fraintendimenti e “mitizzazioni” già nella devozione di alcuni seguaci in cerca di nuove fedi, nella lettura germanica, idealistica, “eroica”, addirittura “antisemita”, e in quella biologico-darwiniana, del superuomo. “La parola ‘superuomo’ [...] è stata intesa, quasi ovunque, con totale innocenza, nel senso proprio di quegli stessi valori il cui opposto si è manifestato nella figura di Zarathustra” – scrive in Ecce homo, quell’estrema esposizione di sé in cui il filosofo si presenta con tratti antieroici. Del suo libro dichiara: “l’ho scritto per distruggere alla radice ogni mito su di me”. Da tempo il lavoro storico e filologico, legato all’edizione Colli-Montinari degli scritti e dei carteggi, fornisce strumenti per una collocazione più articolata e complessa, per una migliore definizione di categorie filosofiche centrali della riflessione di Nietzsche, del suo stile di pensiero, dei movimenti interni al suo percorso. Emerge l’atteggiamento di assimilazione e di distacco dalle immagini della sua epoca e la proposizione dei problemi che sorgono alla fine di ogni tradizione di valori, con la “morte di Dio”. E tuttavia, ancor oggi, si ripresentano nuove letture strumentali, ideologiche e perfino, al termine di un percorso che ha bruciato le maschere della “liberazione” e del gioco estetico, la cruda semplificazione che lega un Nietzsche “eroico” al nazismo.
Il giovane Nietzsche
Nietzsche nasce a Röcken, villaggio della Sassonia prussiana, il 15 ottobre del 1844. “... come pianta nacqui vicino al campo santo, come uomo in una canonica” – così scrive a diciannove anni in uno degli abbozzi autobiografici giovanili. Il padre, Karl Ludwig, pastore protestante, e la madre Franziska Oehler – anche lei, come il marito, figlia di un pastore – abitano nella canonica con i figli Friedrich, Elisabeth (1846-1936) e il piccolo Joseph (1848-1850) fino a quando, nel luglio del 1849, una malattia diagnosticata come “rammollimento cerebrale” non condusse Karl Ludwig alla morte. “Era dolce, amabile e morboso, come un essere fatto per passare oltre – un ricordo benevolo della vita, più che la vita stessa”: questo il ritratto che Nietzsche ne traccia in Ecce homo, in cui la propria esperienza della decadenza e della malattia è avvicinata a quella del padre. Dopo la traumatica perdita, Franziska e i figli si trasferiscono a Naumburg, dove Nietzsche trascorre parte dell’infanzia e riceve la prima istruzione classica e musicale. Della fanciullezza di Nietzsche rimane molto materiale postumo: disegni, drammi, poesie, poemi, composizioni musicali, riflessioni autobiografiche e critiche sui più vari argomenti. Il giovane subisce il forte fascino delle figure di eroi di primitiva e selvaggia grandezza che caratterizza, nei suoi scritti, con il termine “sovrumano” e con metafore che esprimono vigore animale. Intorno alle figure degli eroi, con la predilezione delle saghe nordiche sullo sfondo cupo dell’annunciata morte degli dei, si unifica l’attività multiforme del giovane sorretta da un’analisi critica, storica e filologica. In particolare si occupa a lungo della prima figura della storia germanica, il re degli Ostrogoti Ermanarico, alla cui leggenda dedica insoddisfacenti composizioni poetiche (La morte di Ermanarico), abbozzi di una tragedia e un poema sinfonico. Il materiale si decanta alla fine in uno studio storico “molto secco” e in un lavoro filologico “quasi” soddisfacente. Gli abbozzi autobiografici mostrano la volontà di porsi davanti alla sua vita in modo oggettivo, come un “ingegnoso naturalista” di fronte ai minerali: la forte passionalità vuol passare al vaglio dell’intelletto critico per raffreddare.
Nell’ottobre del 1858 Nietzsche ottiene un posto gratuito nella “veneranda” e rigorosa scuola di Pforta dove sono coltivati in particolare gli studi di latino e greco che lo avviano al mestiere di filologo. Gli impulsi verso la libertà dalla tradizione e dalla fede sono nutriti da letture sotterranee dedicate a figure prometeiche e addirittura sataniche: dal Manfred di George Byron ai Masnadieri di Friedrich Schiller, dal Prometeo di Wolfgang Goethe all’Empedocle di Friedrich Hölderlin. La ribellione radicale alle tradizioni familiari, alla severa e ristretta fede luterana ereditata da generazioni di pastori sembra richiedere una forza “sovrumana”. Nella primavera del 1862Nietzsche approda all’affermazione di una piena immanenza che vede nella fede cristiana una scelta di debolezza, “un’incapacità a plasmare da sé, con decisione, il proprio destino”. Il cristianesimo esprime unicamente “le verità fondamentali del cuore umano”. Nei primi saggi filosofici (Fato e storia e Libertà della volontà e fato) dell’aprile 1862 si avverte la crisi della fede tradizionale fatta di sicurezze e abitudini e la necessità che il cammino dell’umanità trovi nella storia e nella scienza le sicure guide. Temi feuerbachiani s’intrecciano a suggestioni derivate da Ralph Waldo Emerson, privilegiato interlocutore per tutto il percorso di Nietzsche. Il tema è il dominio del passato da parte della volontà umana al centro di cerchi di forza, determinata e nello stesso tempo attiva: “la volontà libera, non è nient’altro che il potenziamento supremo del fato”.
Congedatosi da Pforta con un lavoro su Teognide, dall’ottobre del 1864 Nietzsche frequenta l’università di Bonn. Dapprima iscritto a teologia per compiacere la madre, opta poi per gli studi filologici. Già nel periodo di Bonn, accanto all’intensa fruizione artistica della musica e del teatro e alla dispersione legata alla deludente esperienza delle associazioni studentesche, la filologia acquista un’importanza decisiva contro il “vagabondare senza meta in tutti i campi dello scibile”. Nietzsche si occupa dell’aspetto filologico della critica dei Vangeli, legge La vita di Gesù di David Strauss, mette definitivamente in crisi la fede dogmatica: “A questo punto si separano le vie dell’umanità: se vuoi raggiungere la pace dell’anima e la felicità, abbi pur fede, ma se vuoi essere un discepolo della verità, allora indaga” – scrive alla sorella. La musica resta interesse centrale per Nietzsche che vorrebbe conciliare la ricerca filologica con l’attività di critico musicale. Dall’ottobre 1865 Nietzsche si trasferisce all’università di Lipsia: si apre il periodo in cui esercita in modo sempre più sicuro il mestiere di filologo con validi risultati (Teognide, Danae di Simonide, il Certamen di Omero ed Esiodo). Gli appunti mostrano come la filologia fosse una via privilegiata verso la filosofia. I suoi lavori sulle fonti di Diogene Laerzio (“il goffo guardiano di tesori di cui non conosce il valore”) stanno alla base di scritti quali la Filosofia nell’epoca tragica dei greci in cui la storia della filosofia greca è storia di personalità. Nietzsche valorizza nei filosofi presocratici la lotta contro il mito, la posizione favorevole alla scienza e alla conoscenza contro le religioni del tempo. In loro trova le possibilità di una vita superiore che sa fare a meno del mito che limitava la polis: tra questi Democrito, “l’uomo più libero” che per primo ha creduto alla scienza come “principio di vita”, che paga con l’infelicità la sua “passione della conoscenza”, un impulso al sapere libero da ogni teologia e teleologia. Accanto a Democrito viene valorizzato Eraclito che afferma l’innocenza del divenire, il mondo come “il gioco dell’artista e del fanciullo”.
La pratica filologica si accompagna alla profonda esperienza della filosofia di Arthur Schopenhauer, maestro di saggezza e di vita. Nietzsche ne critica ben presto la metafisica nella direzione di un radicale fenomenismo neokantiano influenzato della lettura della Storia del materialismo di Friedrich Albert Lange. Schopenhauer è il “filosofo più vero”, capace di “uno stile”, espressione “di una Germania rigenerata”, nemico della filosofia universitaria.
La sua filosofia permette una considerazione estetica dell’antichità, patrimonio di pochi, contro un approccio meramente storico, proprio dei “dotti”. Questo comporta un duro giudizio sugli studi filologici della sua epoca, sulla loro confusione metodica, angustia e incapacità di cogliere lo spirito dell’antichità. Il confronto tra il genio filosofico (“datore di lavoro”) e filologo (“operaio di fabbrica”) torna più volte nelle riflessioni del giovane Nietzsche. La validità dei suoi lavori induce Friedrich Ritschl (1806-1876) a procurargli una cattedra all’università di Basilea, dove tiene la prolusione su Omero e la filologia classica proponendo una pratica “inattuale” della filologia all’ombra della filosofia schopenhaueriana.
Dalla metafisica dell’arte al distacco da Wagner
Friedrich Nietzsche
A Elisabeth Nietzsche, 11 giugno 1985
Nietzsche, studente di filologia a Bonn, scrive l’11 giugno 1865 alla sorella illustrando la sua scelta di vita spinto dalla passione della conoscenza
A Elisabeth Nietzsche
Bonn, domenica dopo Pentecoste
[…] È davvero tanto difficile accettare semplicemente tutto ciò in cui siamo stati allevati e che poco alla volta ha messo in noi radici profonde, ciò che nell’ambito dei parenti e di tante brave persone vale come verità, e che oltretutto veramente consola ed eleva l’uomo: accettare semplicemente tutto ciò è più difficile che il percorrere nuove vie, in lotta con le consuetudini, nell’incertezza del procedere autonomo, tra le frequenti esitazioni dell’animo, anzi della coscienza, spesso senza conforto alcuno, sempre però con la meta fissa del vero, del bello, del buono?
Si tratta dunque di giungere all’idea di Dio, del mondo e dell’espiazione, che più ci accomoda? E non è piuttosto addirittura indifferente, per colui che ricerca genuinamente, il risultato della sua ricerca? Nel nostro indagare cerchiamo forse la tranquillità, la pace, la felicità? No, soltanto la verità, fosse anche quella più spaventosa e odiosa.
Un’ultima domanda ancora: se fino dalla nostra gioventù avessimo creduto che ogni salvezza dell’anima promanasse da un altro che non sia Gesù, da Maometto per esempio, non è certo, forse, che ci sarebbero toccate le stesse benedizioni? Certamente, la fede da sola benedice, non il dato obiettivo che le sta dietro. Questo te lo scrivo, cara Lisbeth, soltanto per prevenire la prova più comunemente addotta dai credenti, i quali fanno riferimento alle loro esperienze interiori e ne deducono l’infallibilità della loro fede. Ogni fede genuina è infallibile, te lo concedo: essa procura ciò che il relativo credente spera di trovare in lei, ma non offre il minimo supporto per provare una verità oggettiva.
A questo punto si separano le vie dell’umanità: se vuoi raggiungere la pace dell’anima e la felicità, abbi pur fede, ma se vuoi essere un discepolo della verità, allora indaga.
F. Nietzsche, Epistolario, a cura di G. Colli e M. Montinari, Milano, Adelphi, 1977
Friedrich Nietzsche
A Paul Deussen, fine aprile-primi di maggio 1868
Sulle orme della lettura della Storia del materialismo di Lange, Nietzsche formula una precoce critica radicale della metafisica.
A Paul Deussen [fine aprile-primi di maggio 1868]
Chi tenga presente il corso delle ricerche, soprattutto quelle fisiologiche, da Kant in poi, non avrà dubbi sul fatto che quei limiti [della nostra capacità conoscitiva] sono stati accertati con tale sicurezza e infallibilità che, tranne i teologi, alcuni professori di filosofia, e il vulgus, nessuno più può farsi illusioni in merito. Il regno della metafisica, e con esso l’area della verità “assoluta”, è stato, innegabilmente inserito in un’unica categoria insieme con la religione e la poesia. Chi vuole conoscere qualcosa, si limita ora a una conoscenza della cui relatività egli stesso è consapevole, come per esempio tutti i famosi studiosi di scienze naturali. Per alcuni la metafisica appartiene dunque alla sfera dei bisogni dell’animo, è essenzialmente edificazione. Per altro verso essa è arte, quella cioè della poesia concettuale. Una cosa è certa però: la metafisica, sia come religione che come arte, non ha nulla a che vedere con il cosiddetto “vero o essere in sé”.
Il giovane che a Lipsia, sotto la guida di Friedrich Ritschl, pratica con successo la scienza filologica, pur ne avverte i limiti e ne parla in appunti e nelle lettere agli amici. Il confronto dei filologi con gli operai di fabbrica è ripreso dallo stesso Schopenhauer
A Paul Deussen [settembre 1868]
[…] Credimi: le capacità necessarie per produrre qualcosa di lodevole in campo filologico sono incredibilmente modeste e chiunque, purché collocato al posto giusto, impara a fabbricare la sua vite. Diligenza anzitutto, preparazione in secondo luogo e, infine, metodo: questo è l’abbiccìdi ogni filologo produttivo, con il presupposto però che qualcuno lo diriga e gli assegni un posto. Ben pochi infatti sono in grado di fare da soli. Non per nulla esistono datori di lavoro e lavoratori, paragone, questo, che non vuole essere affatto spregiativo. Anche i nostri massimi talenti filologici, infatti, sono solo relativamente datori di lavoro: se ci pone da un punto di vista più elevato, che consenta una prospettiva storica della cultura, si vede come anche queste menti in fondo non siano che operai, e precisamente al servizio di un qualche grande semidio della filosofia (il più grande dei quali, in tutto l’ultimo millennio, è Schopenhauer).
F. Nietzsche, Epistolario, a cura di G. Colli e M. Montinari, Milano, Adelphi, 1977
Friedrich Nietzsche
A Richard Wagner, 2 gennaio 1872
La lettera a Richard Wagner che accompagna l’invio della Nascita della tragedia.
A Richard Wagner
2 gennaio 1872
Stimatissimo Maestro,
finalmente arriva il mio augurio per l’anno nuovo, e insieme il mio dono di Natale […].
Possa il mio libro, almeno in una certa misura, corrispondere alla partecipazione che Lei, certo confondendomi, ha concesso finora alla sua genesi. E se io penso di aver ragione nella questione principale, questo vuol dire soltanto che Lei con la Sua arte avrà ragione per l’eternità. Come vedrà, in ogni pagina tento di ringraziarLa per tutto quello che Lei mi ha dato; e piuttosto mi s’insinua il dubbio se ho ricevuto sempre in modo giusto ciò che Lei mi dava. Forse alcune cose riuscirò a farle meglio “in seguito”: e con “in seguito” intendo qui il tempo dell’“adempimento”, il periodo della civiltà di Bayreuth. Frattanto sento con orgoglio che ora sono segnato, e che d’ora in poi si farà il mio nome sempre in relazione a Lei. Ai miei filologi perdoni Iddio, se non impareranno nulla neppure adesso.
F. Nietzsche, Epistolario, a cura di G. Colli e M. Montinari, Milano, Adelphi, 1980
Con La nascita della tragedia (1872) Nietzsche mette in pratica un diverso approccio al mondo greco rinnovandone le categorie e, nello stesso tempo, si schiera con Richard Wagner per la rinascita della cultura tragica e della società tedesca. Il tema filologico (della nascita della tragedia e della sua morte) è quasi travolto da una più generale prospettiva metafisica e dall’urgenza del progetto comunitario. Il principale nemico del tragico è l’ottimismo socratico, che ha affermato il valore dell’illusione fenomenica e ha portato la distruttiva riflessione del singolo nella bella comunità greca retta dagli istinti vitali e dal fondamento mitico. Sullo sfondo c’è la concezione schopenhaueriana di una contraddizione tra l’unità metafisica originaria e la colpevole individuazione fenomenica (l’apparenza). Questa colpa ha bisogno di una redenzione estetica. La contraddizione originaria si riflette nell’opposizione di Dioniso e di Apollo all’interno della natura. Apollo divinizza il principio di individuazione, della forma, della bella apparenza, del sogno e in questo modo libera dalla sofferenza. Dioniso è invece l’espressione immediata della forza primitiva che abbatte l’individuo e lo riassorbe nell’unità originaria. Egli riproduce continuamente la contraddizione come dolore dell’individuazione, ma la risolve in un piacere superiore in quanto l’individuo stesso partecipa della sovrabbondanza dell’Uno originario. Dioniso e Apollo non sono gli estremi di una contraddizione: tutta la cultura apollinea si presenta come una maschera per sopportare la tragicità dell’esistenza, come un tentativo di velare, attraverso la costruzione di forme stabili e rassicuranti, il fondo dionisiaco. Le due dimensioni si richiamano l’una all’altra, perché proprio la paura degli aspetti più orribili dell’esistenza è la fonte dell’illusione apollinea. Il puro “dionisiaco” è barbarie distruttiva o pura letargia. Ne La nascita della tragedia è presente una sorta di filosofia della storia giocata sui due principi che cercano l’unità. La struttura metafisica di fondo rende l’arte necessaria non solo per l’individuo ma per la stessa natura. L’eterno soggetto creatore trova nell’arte la sua consolazione e la sua necessità, l’artista (il genio) è a sua volta “opera d’arte” per la natura, la realizzazione più alta, la sua giustificazione. La creazione artistica nasce dall’inconscia identità con l’Uno originario che, come unico creatore e spettatore della commedia artistica, trae da essa, per sé, un eterno godimento. Il postulato dell’impossibilità pratica della negazione della vita, della noluntas, comporta l’accettazione di meccanismi di illusione funzionalizzati alla costruzione di una civiltà superiore. Nell’istinto si esprime direttamente la volontà che sottomette con l’inganno l’individuo. L’istinto è illusione che perpetua la volontà di vivere, è l’inganno da parte del “genio della specie” a spese dell’individuo.
La scelta della “grecità” è lontana dal puro dionisiaco orientale (letargico) come dal “nefando ottimismo” alessandrino del mondo moderno: la civiltà greca è una costruzione piramidale che ha al suo culmine la realtà del genio, ed è saldamente vincolata alla vitalità dell’istinto. In tal modo essa mantiene un rapporto non distruttivo con il fondo tragico che nel genio soddisfa in modo potenziato la sua capacità artistico-rappresentativa. L’adeguarsi all’inconscia teleologia della natura significa subordinarsi in modo assoluto al genio. Per il mondo germanico il genio, capace di dare un nuovo senso alla civiltà, è Richard Wagner. Dopo l’esperienza traumatica della guerra franco-prussiana e l’impressione destata dalla Comune di Parigi (“senso dell’autunno della civiltà”), Nietzsche si impegna con le Considerazioni inattuali a una critica del mondo moderno e della civilizzazione alla luce dei progetti culturali del musicista, legati alla speranza di una “rinascita” dello spirito tragico in Germania. Il materiale lasciato postumo per un progettato Libro del filosofo mostra come Nietzsche non sia chiuso nel cerchio magico del mondo wagneriano: l’artista cede il posto al filosofo come “medico della cultura”. Riflessione gnoseologica e teoria dell’espressione artistica tramite la nozione di “metafora” sono al centro del breve scritto Su verità e menzogna in senso extramorale, precaria sintesi di più temi: la distinzione di una “verità” socialmente valida da una verità inaccessibile, la consapevolezza che il pensiero è sempre “preso nelle reti del linguaggio”, la contrapposizione delle rigidità concettuali alla libertà dell’artista.
Dopo aver affrontato, con David Strauss, il rappresentante emblematico di una cultura filistea e apologetica “senza senso, senza sostanza, senza scopo”, Nietzsche attraverso la Considerazione su Schopenhauer fa un passo avanti verso la figura del “filosofo” che, nel suo pathos della verità, libera dalle illusioni. Sull’utilità e il danno della storia per la vita è forse la più problematica tra le Inattuali: presenta un intreccio di tematiche e argomentazioni eterogenee, dietro cui trapela la contraddittoria posizione di Nietzsche in materia. Contro il flusso del divenire capace di disgregare l’individuo, appare ancora necessaria una terapeutica della vita attraverso l’elemento antistorico e soprastorico.
In questo periodo la presenza di Burckhardt agisce su Nietzsche come contrappeso critico all’ideologia germanica di Wagner. I due professori di Basilea hanno visto nella guerra franco-prussiana una lotta “zoologica” tra nazioni, un minaccioso pericolo per la cultura. “Il più delle volte, il vincitore diventa stupido, il vinto diventa malvagio. La guerra semplifica [...] È un letargo invernale della civiltà” – scrive Nietzsche. Attraverso lo storico di Basilea, Nietzsche delinea i tratti dell’individualità libera che si afferma contro il peso del nazionalismo germanico, trionfante dopo la vittoria prussiana. Il modello, progressivamente, assume i caratteri dell’“uomo del Rinascimento”, capace di incorporare e trasformare in nuova forma di vita il passato. Anche la valorizzazione da parte di Burckhardt della società greca come caratterizzata dall’agone e dalla pluralità di individui superiori diventa per Nietzsche motivo di critica alla posizione tirannica del “genio” wagneriano che si afferma come esclusivo. L’inattuale su Wagner (1876) mette radicalmente in crisi la metafisica dell’arte e rappresenta un definitivo congedo dalle illusioni giovanili e dal mito del “genio”. Ora Nietzsche riflette in modo nuovo sul ruolo del filologo fino a prendere congedo dal mito di una “rinascita” dell’antichità: “dalla civiltà antica noi siamo separati per sempre, in quanto le sue fondamenta sono per noi diventate completamente fradicie”. Il mito, il pensiero “impuro”, la religione e anche l’arte, succedanea della religione – in quanto “narcotici” e “medicine inferiori” – non possono essere i fondamenti della nuova civiltà. Per questo compito, ai tradizionali educatori della gioventù tedesca, Nietzsche ritiene si debbano sostituire “il medico – il naturalista – l’economista”. La parola “rinascita” con i suoi vari sinonimi sparisce dal vocabolario concettuale di Nietzsche. La miseria della Germania ha avuto bisogno di riempire il vuoto della sua realtà con il mito di un’antichità classica a portata di mano per l’originaria affinità dell’elemento “universalmente umano”. Sempre, comunque, la volontà di recuperare il mondo classico è una sorta di “donchisciottismo”: “non può sussistere alcuna imitazione. […] Una cultura che corra dietro a quella greca non può produrre nulla”. Liberatosi dalle pastoie wagneriane e schopenhaueriane, Nietzsche vedrà nei Francesi del XVII secolo gli eredi più genuini della grecità, un importante anello nella “grande catena del Rinascimento”. Dioniso farà il suo ritorno nell’ultimo Nietzsche per esprimere simbolicamente l’affermazione della vita nelle sue contraddizioni: il greco, come l’“uomo del Rinascimento”, resta la cifra ideale di un’umanità più chiara e affermatrice, di un’anima più vasta. La solarità del Sud a cui tendere significa la possibilità di diventare gradualmente “più vasti, più sovranazionali, più europei, più sovraeuropei, più orientali, infine più greci”.
Friedrich Nietzsche
Formazione dei concetti
Su verità e menzogna in senso extramorale
Soffermiamoci ancora particolarmente sulla formazione dei concetti. Ogni parola diventa senz’altro un concetto, per il fatto che essa non è destinata a servire eventualmente per ricordare l’esperienza primitiva, non ripetuta e perfettamente individualizzata, ma deve adattarsi al tempo stesso a innumerevoli casi più o meno simili, cioè - a rigore - mai uguali, e quindi a casi semplicemente disuguali. Ogni concetto sorge con l’equiparazione di ciò che non è uguale. Se è certo che una foglia non è mai perfettamente uguale a un’altra, altrettanto certo è che il concetto di foglia si forma mediante un arbitrario lasciar cadere queste differenze individuali, mediante un dimenticare l’elemento discriminante, e suscita poi la rappresentazione che nella natura, all’infuori delle foglie, esiste un qualcosa che è “foglia”, quasi una forma primordiale, sul modello della quale sarebbero tessute, disegnate, circoscritte, colorate, increspate, dipinte - ma da mani maldestre - tutte le foglie, in modo tale che nessun esemplare risulterebbe corretto e attendibile in quanto copia fedele della forma originale. Noi chiamiamo un uomo “onesto”. Perché costui si è comportato oggi così onestamente? - domandiamo. La nostra risposta è di solito: a causa della sua onestà. L’onestà! Ciò significa nuovamente: la foglia è la causa delle foglie.
F. Nietzsche, La filosofia nell’epoca tragica dei Greci e scritti 1870-1873, a cura di M. Montinari e G. Colli, Milano, Adelphi, 1991
La filosofia dello spirito libero
Friedrich Nietzsche
A Mathilde Maier, 15 luglio 1878
Una testimonianza, nella lettera alla fedele wagneriana Mathilde Maier, del nuovo sentire dopo Umano, troppo umano in cui Nietzsche esprime apertamente il distacco irreversibile da quel Wagner che pretendeva “elevare” e redimere e che invece era soprattutto malattia.
A Mathilde Maier
15 luglio 1878
Gentilissima signorina,
non c’è niente da fare: è destino che debba creare difficoltà a tutti i miei amici – proprio dichiarando finalmente in che modo sono uscito dalle mie difficoltà. Quell’annebbiamento metafisico di tutto quanto è vero e semplice, la lotta con la ragione contro la ragione, per cui si vuoi vedere in tutto e ovunque un prodigio e un’assurdità – inoltre, in piena conformità con essa, un’arte barocca della tensione spasmodica e dell’esaltazione dell’eccesso – intendo l’arte di Wagner – sono state queste le due cose che alla fine mi han fatto ammalare sempre di più e quasi mi avrebbero alienato dal mio sano temperamento e dal mio talento. Se Lei potesse sentire come me in quale pura aria delle vette vivo ora la mia vita, in quale mite disposizione verso gli uomini che abitano ancora nella foschia delle valli, più che mai risoluto a tutto quanto c’è di buono e valido, cento passi più vicino ai Greci di quanto lo fossi prima; e come io stesso ora viva aspirando alla saggezza fin nelle più piccole cose, mentre prima mi limitavo a venerare e idolatrare i saggi – insomma, se Lei riesce a sentire come me questa trasformazione e questa crisi, oh, allora dovrebbe desiderare di vivere qualcosa di simile!
Durante l’estate a Bayreuth presi di ciò pienamente coscienza: dopo le prime rappresentazioni cui assistetti cercai scampo sulle montagne e là, in un paesino tra i boschi, nacque il primo abbozzo, circa un terzo del mio libro, che aveva allora il titolo Il vomere. Poi, aderendo al desiderio di mia sorella, feci ritorno a Bayreuth, in possesso ormai della fermezza d’animo necessaria per sopportare ciò che era difficilmente sopportabile - e tacendo, con chiunque! Ora mi scuoto di dosso ciò che non fa parte di me, uomini, siano amici o nemici, consuetudini, agi, libri; vivo in solitudine per gli anni a venire finché, in qualità di filosofo della vita, maturo e pronto, mi sia lecito (e allora probabilmente anche necessario) riprendere i rapporti.
Vorrà Lei, nonostante tutto ciò, serbarmi la Sua amicizia, o meglio, potrà farlo? Vede, sono giunto a un grado di sincerità tale per cui sopporto unicamente i rapporti umani più puri. Evito le mezze amicizie, per tacere delle partigianerie, e seguaci non ne voglio. Possa ciascuno (e ciascuna) essere soltanto il vero seguace di se stesso!
A Lei sinceramente grato e devoto F. N.
F. Nietzsche, Epistolario, a cura di G. Campioni e F. Gerratana, Milano, Adelphi, 1995
Friedrich Nietzsche
A Heinrich von Stein, dicembre 1882
Nietzsche si confronta, in maniera radicale e prendendone le distanze, con la morale “eroica” proposta da Heinrich von Stein nel suo scritto Helden und Welt, Dramatische Bilder. In questo testo Stein si richiamava a Gobineau, e alle teorie dell’ultimo Wagner e del suo maestro Dühring, interpretato come espressione di “pessimismo eroico”. Stein è rappresentante dell’“idealismo germanico”, legato alla prospettiva antisemita comune ai suoi maestri.
A Heinrich von Stein
[Genova], primi di dicembre 1882
[…] Riguardo all’“eroe” io non ne penso tanto bene come Lei. Certo, questa è pur sempre la forma di esistenza più accettabile, soprattutto se non si ha altra scelta.
Poniamo che ci si affezioni a qualcosa: bene, non appena questa ci ha preso del tutto, il tiranno che è in noi (che saremmo dispostissimi a chiamare “il nostro io superiore”) dice: “Voglio che tu mi sacrifichi proprio questa cosa”. E noi gliela sacrifichiamo anche – ma è come torturare un animale, come venire arrostiti a fuoco lento. Quelle che Lei tratta sono quasi unicamente questioni di crudeltà: e questo La fa stare bene? Le dico sinceramente che di questo carattere “tragico” io stesso me ne porto dentro troppo per non maledirlo spesso; tutte le mie esperienze, nelle piccole come nelle grandi cose, prendono sempre la stessa piega. In quei momenti soprattutto sento il bisogno di innalzarmi quel tanto che mi fa sentire al di sopra di questa tragicità. Vorrei liberare l’esistenza umana da ciò che essa ha di straziante e di crudele.
F. Nietzsche, Epistolario, a cura di G. Campioni e F. Gerratana, Milano, Adelphi, 2004
Friedrich Nietzsche
A Theodor Fritsch, 23 marzo 1887
Il giornalista e scrittore Theodor Fritsch (1852-1933), godeva in Germania di grande popolarità. Nel 1885 aveva creato la “Corrispondenza Antisemita” organo di propaganda antigiudaica che spedisce a Nietzsche il quale si indigna per questo rapporto non voluto con uno dei capi di quella “banda di persone impudenti e stupide”. “E questa canaglia osa pronunciare il nome di Zarathustra! Schifo, schifo, schifo!”. Alla sorella, sposata con Bernhard Förster, violento caporione antisemita, che seguirà nella fallimentare impresa della colonia ariana “Nueva Germania”, Nietzsche manifesterà più volte decisamente il suo aperto disgusto: “Del resto ne sono sinceramente convinto: un tedesco che solo per il fatto di essere t[edesco] pretenda di essere più di un ebreo è un personaggio da commedia: ammesso che non sia da manicomio”.
A Theodor Fritsch
Nizza, 23 marzo 1887
[…]
Oggettivamente parlando, gli ebrei sono per me più interessanti dei tedeschi: la loro storia presenta problemi ben più sostanziali. Non sono avvezzo a mettere in campo la simpatia o l’antipatia in questioni così serie: come si conviene alla disciplina e alla moralità dello spirito scientifico e – in fin dei conti – anche al suo gusto.
Devo inoltre ammettere che mi sento troppo estraneo all’attuale «spirito tedesco» di adesso per poter guardare alle sue particolari idiosincrasie senza perdere la pazienza. Tra queste annovero in particolare l’antisemitismo. Ai «testi classici» di questo movimento, che vengono decantati a p. 6 del suo pregevole giornale, devo persino qualche sollazzo: oh se Lei sapesse quanto ho riso, la primavera scorsa, per i libri di quella testa balzana, tanto boriosa quanto sentimentale, che ha nome Paul de Lagarde! Evidentemente mi manca quell’«altissima prospettiva etica» di cui si parla in quella pagina.
Poscritto:
Un desiderio: pubblichi una lista di eruditi, artisti, poeti, scrittori, attori e virtuosi tedeschi, ebrei per nascita o di origini ebraiche! (Sarebbe un prezioso contributo alla storia della cultura tedesca (e anche alla sua CRITICA!).
F. Nietzsche, Epistolario, a cura di G. Campioni e M. C. Fornari , Milano, Adelphi, 2011
Umano, troppo umano (1878) rappresenta l’evento decisivo della “grande separazione” da tutto ciò che è stato venerato e l’inizio della sperimentazione di nuove possibilità di vita. Contro le pretese intuizioni immediate del genio metafisico si impone la necessità di un cammino verso la conoscenza e la continuità del lavoro. Umano, troppo umano è caratterizzato dal gelo e dal disincanto della terapia antiromantica. Nietzsche ritiene necessaria la “filosofia storica” (non separabile dalle scienze naturali) e con essa la “virtù della modestia”: non vi sono realtà eterne né verità assolute, tutto è in divenire. La storia è necessaria anche contro la falsa immediatezza dell’introspezione per ricostruire la complessità dell’io: “giacché il passato continua a scorrere in noi in cento onde”. La storia, riportando alla genesi e al percorso, illumina la complessità che sta dietro la menzogna della metafisica, va contro l’opinione di “un’origine miracolosa” per le cose stimate superiori “che scaturirebbero immediatamente dal nocciolo e dall’essenza della ‘cosa in sé’”. Per questo è necessaria “una chimica delle idee e dei sentimenti morali, religiosi, estetici” che mostri come “i colori più magnifici si ottengono da materiali bassi e persino spregiati”. In Umano, troppo umano si apre una dialettica tra lo “spirito libero” e il progresso della totalità. Il “progredire intellettuale” di una comunità è legato non alla forza e all’energia di un “eroe” che ne confermi o potenzi i valori, ma agli “individui più liberi, molto più insicuri e moralmente più deboli”, i malati, le “nature degeneranti” che “ammolliscono l’elemento stabile di una comunità” e attraverso le ferite inoculano qualcosa di nuovo. Il malato, rispetto a una società “sana” – cioè certa di se stessa e dei suoi valori – rappresenta la possibilità del movimento. La comunità forte è quella tollerante, che non esclude e che riesce a sopportare questa inoculazione senza dissolversi.
Per Nietzsche il carattere demistificante della scienza e della storia, è, in questo periodo, in primo piano: si tratta di riportare in basso ciò che è stato indebitamente posto in alto. Si tratta di essere “buoni vicini delle cose prossime”, fare a meno dei dogmi ideali, delle religioni che hanno bloccato e impedito, sulla base di menzogne antivitali, lo sviluppo sociale e umano. La prospettiva ecumenica appare efficace per la liberazione dell’individuo dalle ristrettezze della stirpe, della nazione, dello Stato. Nella loro forza gregaria questi organismi si fanno eredi degli elementi di costrizione della comunità primitiva. La tradizione diventa incorporazione di costumi etici che spingono il singolo nella direzione del gregge. Il tema della critica alla morale e alla religione è sviluppato soprattutto in Aurora (1881). La ricerca psicologica confuta definitivamente la religione e la morale mostrandone la genesi nei bisogni e negli istinti. La rivalutazione del “corpo” e la fedeltà alla terra sono certamente in polemica con l’ideale ascetico, che esige la “volontà del nulla” e che domina nascostamente molte forme di vita. Nietzsche combatte la sua guerra santa contro quest’ideale nella Genealogia della morale, dove il nichilismo è seguito in tutte le sue maschere moderne e dove viene mostrato il peso dominante che esso ha avuto nella storia umana. Il termine “genealogia” presuppone la frattura operata dalla scienza darwiniana: la ricerca dell’origine della morale percorre il positivismo. Nietzsche critica radicalmente le cattive “ipotesi genealogiche” contemporanee che ammettono comunque una “fondazione” della morale ancora sotto il dominio dei valori dati. Si tratta invece, per Nietzsche, di indagare proprio ciò che, generalmente, viene utilizzato come spiegazione, come dato primitivo e “naturale”.
Genealogia tiene conto dell’importanza centrale della malattia, dell’interiorizzazione degli istinti aggressivi che non si scaricano più all’esterno e che creano, attraverso il dolore, inedite profondità nell’uomo e, infine, la coscienza. Il filosofo avverte tutto il disagio dell’attuale civiltà, ma anche le prodigiose possibilità di sviluppo per l’individuo superiore, che essa contiene. Nessuna nostalgia per la lontana felicità animale, per il nomadismo: la regressione verso la “bionda bestia” primitiva non è né possibile né desiderabile.
Zarathustra, maestro dell’eterno ritorno
Friedrich Nietzsche
A Cosima Wagner, 3 gennaio 1889
Uno dei cosiddetti “biglietti della follia” indirizzato a Cosima identificata con l’Arianna del mito legato a Dioniso e all’eroe Teseo.
A Cosima Wagner
[Torino, 3 gennaio 1889]
Alla Principessa Arianna, la mia amata.
È un pregiudizio che io sia un uomo. Ma ho spesso vissuto tra gli uomini e conosco tutte le esperienze degli uomini, dalle più basse alle più alte. Tra gli Indiani sono stato Buddha, in Grecia Dioniso, Alessandro e Cesare sono le mie incarnazioni, come pure il poeta di Shakespeare Lord Bacon. Da ultimo sono stato ancora Voltaire e Napoleone, forse anche Richard Wagner... Ma questa volta vengo come Dioniso vittorioso che renderà la terra un giorno di festa... Non che io abbia molto tempo... I cieli gioiscono per il fatto che sono qui... Sono stato anche appeso alla croce...
F. Nietzsche, Epistolario, a cura di G. Campioni e M. C. Fornari , Milano, Adelphi, 2011
Nell’estate del 1881Nietzsche presenta come rivelazione improvvisa il pensiero dell’eterno ritorno. In realtà – come mostrano i suoi appunti di lettura – esso nasce da un confronto ravvicinato con il dibattito sulla morte termica dell’universo e sulla dissipazione dell’energia. Secondo Nietzsche, se il mondo è composto da un numero finito di elementi o centri di forza, deve in un tempo infinito ripetere le medesime combinazioni per un numero infinito di volte. Non è più possibile dare un senso etico o di qualsiasi altro genere alla storia, e in generale alla vicenda dell’uomo su questa terra. Questa teoria permette l’eternizzazione e la pienezza dell’attimo: e quindi la possibilità dell’affermazione della vita. Nietzsche associa all’eterno ritorno una nuova forma di comunicazione e un nuovo scritto: Così parlò Zarathustra. L’eterno ritorno, secondo Nietzsche, è la più scientifica delle ipotesi ma per modificare la vita degli uomini, è necessario che essa sia “incorporata”: “intere generazioni debbono lavorare a essa e divenire fertili per essa – affinché diventi un grande albero che proietti la sua ombra su tutta l’umanità avvenire”. Lo Zarathustra vuol trovare nuovi interlocutori superando il linguaggio tecnico della filosofia e portando alle estreme conseguenze il linguaggio simbolico. La parodia giullaresca dei valori cristiani si accompagna alla proposta di un nuovo ascetismo visto non come valore in sé ma come uno strumento necessario di potenziamento e arricchimento.
“Dio è morto!” L’annuncio fatto dall’“uomo folle” ne La gaia scienza irrompe drammaticamente per svelare la genesi del disordine, del caos. L’“ombra di Dio” (la metafisica e un ordinamento dato della realtà) permane anche dopo la sua morte e costituisce il pericolo più insidioso per l’uomo superiore la cui sofferenza significa resistenza contro l’“ultimo uomo” della meccanizzazione della vita. Egli è condizionato dai vecchi valori e soffre per la loro crisi: in questo è un decadente. Ad essi Zarathustra rivolge il suo messaggio. Il tenersi lontano dalla piazza del mercato, dall’istrionismo dei gesti, è il presupposto comune: la sincerità verso se stessi e la propria sofferenza deve diventare sofferenza per l’uomo fino a desiderarne la fine. L’educazione degli uomini superiori culmina nel loro confronto con il “pensiero più grave”: la capacità di assimilare il pensiero dell’eterno ritorno senza andare in rovina comporta la profonda e radicale trasformazione dell’uomo “superiore” nella direzione del “superuomo”.
Friedrich Nietzsche
Dio è morto
La gaia scienza, Libro III, 125
Avete sentito di quell’uomo folle che accese una lanterna alla chiara luce del mattino, corse al mercato e si mise a gridare incessantemente: "Cerco Dio! Cerco Dio!"? - E poiché proprio là si trovavano raccolti molti di quelli che non credevano in Dio, suscitò grandi risa. "Si è forse perduto?" disse uno. "Si è smarrito come un bambino?" fece un altro. "Oppure sta ben nascosto? Ha paura di noi? Si è imbarcato? È emigrato?" gridavano e ridevano in una gran confusione. L’uomo folle balzò in mezzo a loro e li trapassò con i suoi sguardi: "Dove se n’è andato Dio?" gridò "ve lo voglio dire! L’abbiamo ucciso - voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini!"
F. Nietzsche, La gaia scienza, Milano, Adelphi, 1977
Volontà di potenza e dionisiaco
Nietzsche approda negli anni Ottanta a una concezione energetistica attraverso un attento confronto con le contemporanee controversie sul materialismo e con le teorie critiche del meccanicismo. La considerazione dinamica vuole essere del tutto la base per una critica distruttiva di ogni residuo dogmatico-metafisico. I centri di forza in perpetuo movimento pongono in crisi anche ogni dualizzazione della realtà che portava a conseguenze antivitali di condanna del mondo dei sensi, dell’aldiquà. E poiché l’essenza di ogni forza sta nel suo manifestarsi, al di là della forza non esiste una sostanza sede di questa forza, avente la capacità di esprimerla come di non esprimerla: “tutto è forza”. Per l’essere organico la relazione con le forze passa attraverso la mediazione del corpo, che interpreta in funzione dei bisogni. L’essenza della forza è sconosciuta: la realtà del flusso in sé, inassimilabile per l’essere organico, può essere dominata e deve essere dominata solo attraverso l’errore: la vita organica presuppone l’errore. “Volontà di potenza” è l’espressione che Nietzsche usa, a partire dall’epoca di Zarathustra, per designare un’interpretazione alternativa della realtà capace di creare nuovi valori, solidale con l’affermazione del superuomo e col pensiero dell’eterno ritorno. La “volontà di potenza” rivela il carattere fondamentalmente prospettico di tutta la realtà. Superare la prospettiva ristretta dell’ego non significa acquistare un’impossibile impersonalità, una fredda “oggettività”: la conoscenza è comunque implicata nei processi vitali, è legata al gioco degli istinti. L’ampiezza della prospettiva, la capacità di vedere con più occhi rimarrà una costante dei gradi più alti della volontà di potenza. A partire dal modello del corpo, Nietzsche tende a valorizzare, più che il singolo punto di forza, un sistema vitale più vasto. Prendere il corpo per filo conduttore significa rinunciare alle lusinghe dell’immediatezza e della semplicità: il corpo si svela sempre più come una pluralità, un insieme di centri vitali in lotta tra loro. Il corpo è una sintesi di molteplicità in lotta e in movimento e perciò “una formazione di dominio che significa un’unità, ma non è una cosa sola”. Il momento primario della potenza è l’esercizio del dominio su un caos da plasmare, una forma da dare attraverso gerarchizzazioni e funzionalizzazioni. Nei suoi gradi più alti, l’impulso alla potenza, significa un allontanamento dalla prospettiva ristretta e violenta, legata al singolo punto di forza. Di contro alle promesse di una forma superiore e diversa di uomo, Nietzsche vede qua e là, nella storia, la realizzazione casuale di individui capaci di arrivare alla “giustizia”. Tra i modelli più vicini che Nietzsche propone, vi è quello della natura “dionisiaca” di Goethe: “l’uomo più vasto possibile, ma non perciò caotico”, che rappresenta il ritorno a una specie d’uomo del Rinascimento. Il superuomo è colui che supera la parzialità di ogni prospettiva vitale, non negandola ma incorporandola in una forma piena, colui che ha la forza di assimilare se stesso a tutta la realtà, e tutta la realtà a se stesso, attraverso l’affermazione del ciclo eterno. L’amor fati è l’espressione più alta e più ricca della volontà di potenza: l’identificazione attiva con la totalità nel suo divenire. All’eroismo della lotta e della fine, che ancora caratterizza l’“uomo superiore” nella direzione del superuomo, Nietzsche contrappone la nuova libertà: “un tale spirito divenuto libero sta al centro del tutto con un fatalismo gioioso e fiducioso, nella fede che soltanto sia biasimevole quel che se ne sta separato, che ogni cosa si redima e si affermi nel tutto - egli non nega più. Ma una fede siffatta è la più alta di tutte le fedi possibili: l’ho battezzata col nome di Dioniso”.
Friedrich Nietzsche
L’uomo è un cavo teso tra la bestia e il superuomo
Prologo di Zarathustra
L’uomo è un cavo teso tra la bestia e il superuomo, - un cavo al di sopra di un abisso.
Un passaggio periglioso, un periglioso essere in cammino, un periglioso guardarsi indietro e un periglioso rabbrividire e fermarsi.
La grandezza dell’uomo è di essere un ponte e non uno scopo: nell’uomo si può amare che egli sia una transizione e un tramonto.
Io amo coloro che non sanno vivere se non tramontando, poiché essi sono una transizione.
Io amo gli uomini del grande disprezzo, perché essi sono anche gli uomini della grande venerazione e frecce che anelano all’altra riva.
Io amo coloro che non aspettano di trovare una ragione dietro le stelle per tramontare e offrirsi in sacrificio: bensì si sacrificano alla terra, perché un giorno la terra sia del superuomo.
Io amo colui che vive per la conoscenza e vuole conoscere, affinché un giorno viva il superuomo. E così egli vuole il proprio tramonto.
F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, a cura di M. Montinari e G. Colli, Milano, Adelphi, 1976
Friedrich Nietzsche
Il leone e il fanciullo
Delle tre metamorfosi
Fratelli, perché il leone è necessario allo spirito? Perché non basta la bestia da soma, che a tutto rinuncia ed è piena di venerazione?
Creare valori nuovi - di ciò il leone non è ancora capace: ma crearsi la libertà per una nuova creazione - di questo è capace la potenza del leone.
Crearsi la libertà e un no sacro anche verso il dovere: per questo, fratelli, è necessario il leone.
Prendersi il diritto per valori nuovi - questo è il più terribile atto di prendere, per uno spirito paziente e venerante. In verità è un depredare per lui e il compito di una bestia da preda.
Un tempo egli amava come la cosa più sacra il ’tu devi’: ora è costretto a trovare illusione e arbitrio anche nelle cose più sacre, per predar via libertà dal suo amore: per questa rapina occorre il leone.
Ma ditemi, fratelli, che cosa sa fare il fanciullo, che neppure il leone era in grado di fare? Perché il leone rapace deve anche diventare un fanciullo?
Innocenza è il fanciullo e oblio, un nuovo inizio, un giuoco, una ruota ruotante da sola, un primo moto, un sacro dire di sì.
F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, a cura di M. Montinari e G. Colli, Milano, Adelphi, 1976