FRITTELLA
Nome d'arte del buffone ferrarese Giovan Francesco Corione o dei Corioni. Visse nella seconda metà del Quattrocento e risulta iscritto a ruolo nella corte estense dal 1479. F. divenne un esponente di spicco di quella cultura del divertimento tanto ricercata ed esibita dalle corti rinascimentali, che gareggiavano nell'avere i migliori professionisti del riso al proprio servizio.
Amato da Isabella d'Este, trascorse buona parte della sua esistenza dividendosi tra Ferrara e Mantova. Quale trastullo d'eccezione, Isabella lo richiedeva spesso presso di sé: il 7 giugno 1493 per poter riavere F. chiese alla madre di prestarglielo almeno "per stare qualche dì che ne seria de gran recreatione". Confidente giocoso della marchesa, F. fungeva anche da informatore critico e talvolta severo di quanto succedeva nella corte estense. In una occasione per divertire Isabella si atteggiò a fustigatore dei costumi di Ercole I, scrivendo con scherzosa familiarità: "Io avixo Vostra Signoria (che) el signore Vostro Padre se vole inamorare int (sic) una che non siia maridada e io ge voio dare una mia parente molto bela…" (Catalano, 1926, p. 24).
Oltre a usare con destrezza la parola, F. da bravo buffone usava bene anche il corpo: era un performer completo. Una testimonianza di Giovanni Gonzaga relativa a una rappresentazione allegorica di Serafino Ciminelli (Aquilano) svoltasi a Mantova agli inizi del 1495 consente di vedere in azione il F. che, dopo la recita, intrattenne i convenuti "cum gran piacere de ogniuno, perché il nostro Fritellino fue guidatore de ballo, facendo tutti li acti che 'l scia fare, maxime nel dare del cappello, ligarse el collo, scovarsi a scambio, et acolgare li omini in terra col corpo in giuso, mandandoli le donne cum li pedi a dosso: facendo quasi tutti li solazzi, che quando è allegro sole fare" (Torraca, p. 335; D'Ancona, p. 366; Luzio - Renier, p. 638). Dei suoi sollazzi non vollero privarsi né i Gonzaga, né gli Este e, pur avendo al loro servizio tanti buffoni, F. rimase diviso tra due servitù.
Durante il carnevale del 1490 partecipò da protagonista all'investitura ridicola di Scozio, un armigero ducale. Nel dicembre presenziò insieme con altri suoi pari a un matrimonio burlesco. Per la sua invettiva fu intrattenitore conteso. Così il 23 febbr. 1496 Isabella d'Este lo richiamava a Mantova: "Essendo nui rimaste qua per la partita dell'Illustrissimo Signor nostro consorte più frede che uno giazo, haveremo caro che vogliati transferirve qua ad nui" (D'Ancona, p. 368; Luzio - Renier, p. 639). La marchesa ricompensò F. delle ore piacevoli da lui offertele con molti doni. Nel 1490, associandolo ai suoi precettori, la marchesa ordinò che gli venissero inviati "unum ducatum et brachia tres rasii leonati" (Luzio, p. 17). Nel 1498 molto probabilmente accolse la richiesta inoltrata da Jacopo d'Atri di concedere a F. la provvisione annua di un porcellino e di una certa quantità di grano. Barattando con doni di natura la sua arte, F. riusciva a vivere.
Da personaggio esuberante della corte estense, cercò in tutti i modi di conquistare Lucrezia Borgia, che giunse a Ferrara nel 1502 scortata da tre buffoni spagnoli. Nel carnevale del 1506 fu uno degli autori di una memorabile battaglia di uova, e di uno scherzo altrettanto memorabile, ordito ai danni di tre prostitute, le quali furono fatte "sbalzar sulle coperte", ossia furono lanciate in aria, dopo che avevano avuto la stessa sorte molti uomini mascherati.
Tuttavia il periodo migliore di F. era inesorabilmente trascorso se, all'inizio del 1513, fu costretto a ricorrere all'aiuto dei Gonzaga, inviando al marchese Francesco frasi al limite della disperazione più cupa: "Mio Signor, non posso scriver come io son abandonato. Io non ho più fami (servitori), io non ho sanità, io ho pena, ho povertà e malatia, non ho a chi racomandarme se non a Vostra Signoria…" (Catalano, p. 25). Per quanti aiuti potesse ricevere, F. era ormai sulla via del declino, che fu accelerato da una disavventura occorsagli nel novembre del 1514, quando fu picchiato, reo di aver egli stesso inflitto la medesima punizione a una donna per gelosia. Percosso e ferito, F. fu costretto a rimanere convalescente in casa almeno quattro mesi. F. non riuscì più a riprendersi e i suoi lamenti continuarono identici.
La morte lo raggiunse, a Ferrara, presumibilmente in quello stato e non dovette tardare molto.
F. è ricordato insieme con Diodato, suo compagno di burle, anche in una composizione di Antonio Cammelli, detto il Pistoia, che fu impiegato a Ferrara nell'amministrazione della Camera ducale. Il nome di F. ha avuto notevole fortuna e, dalla cultura buffonesca, è trasmigrato fino ai personaggi della Commedia dell'arte: il caso più evidente è lo zanni Frittellino impersonato dal ferrarese Pier Maria Cecchini, evidenziato dal D'Ancona, ma la diffusione del soprannome è ancora più estesa. Si pensi al Zan Fritela de Val Luganega, autore di un Capitolo in lingua bergamasca, oppure al Zan Frittella nominato nella commedia Li diversi linguaggi di Vergilio Verrucci, esempi vistosi di una tradizione.
Fonti e Bibl.: F. Torraca, Il teatro italiano dei secoli XIII, XIV e XV, Firenze 1885, p. 335; A. Luzio, I precettori di Isabella d'Este, Ancona 1887, p. 17; I sonetti del Pistoia giusta l'apografo trivulziano, a cura di R. Renier, Torino 1888, p. 162; A. D'Ancona, Origini del teatro italiano, Torino 1891, I, pp. 366-368 nn. 1-2; A. Luzio - R. Renier, Buffoni, nani e schiavi dei Gonzaga ai tempi di Isabella d'Este, in Nuova Antologia, 16 ag. 1891, pp. 637-641; M. Catalano, Messer Moschino. Beoni e buffoni ai tempi di Ludovico Ariosto, in Giornale storico della letteratura italiana, LXXXVIII (1926), pp. 1, 7, 9, 24-27, 29; G. Bertoni, Poesie, leggende, costumanze del Medio Evo, Modena 1927, p. 208; M. Catalano, Vita di Ludovico Ariosto ricostruita su nuovi documenti, Genève 1931, I, pp. 107, 110, 112, 495; V. Pandolfi, La commedia dell'arte. Storia e testo, Firenze 1955, I, pp. 261, 286; III, p. 28.