FRIULI-VENEZIA GIULIA
(XVI, p. 91; XXXV, p. 78; App. I, p. 635; II, I, p. 1009, II, p. 1098; III, I, p. 687; IV, I, p. 873)
Il F.-V.G. è stato interessato negli anni Settanta da due importanti fatti, che hanno avuto profonde ripercussioni sulle sue vicende socioeconomiche: la firma nel 1975 del trattato italo-iugoslavo di Osimo, che ha comportato la cessazione del contenzioso confinario fra Italia e Iugoslavia attraverso la definizione del nuovo confine di stato stabilito dal trattato di pace di Parigi e dal Memorandum d'Intesa di Londra, ma ha anche previsto negli allegati economici tutta una serie di provvedimenti a favore dell'economia delle province di Trieste e di Gorizia; il terremoto del 1976 in F., che ha provocato dolorose perdite di vite umane e gravi danni alle strutture insediative ed economiche, ma che a sua volta ha favorito, attraverso i cospicui finanziamenti disposti dal governo per la ricostruzione, una forte ripresa delle attività economiche, a partire dall'industria edilizia, e l'inversione dei movimenti migratori. I due avvenimenti hanno influenzato anche la vita politica regionale, favorendo lo sviluppo di movimenti centrifughi e autonomisti, quali la Lista per Trieste e il Movimento Friuli.
Condizioni demografiche e sociali. − Dopo la flessione registrata negli anni Cinquanta, la popolazione residente ha ripreso la crescita, molto timida negli anni Sessanta (0,8%), più decisa negli anni Settanta (1,7%), passando a 1.201.025 ab. al 1° gennaio 1991. Pertanto essa rappresenta ora solo il 2,1% della popolazione italiana, al 15° posto nella graduatoria delle regioni italiane.
Il movimento naturale è caratterizzato da un processo di forte contrazione della natalità (7,5‰ nel 1990), che non riesce da tempo a compensare l'elevata mortalità (12,5‰), per cui il saldo risulta ormai negativo (-5‰), con un tasso inferiore solo a quello della Liguria. L'incremento riscontrato nel corso degli anni Settanta fu dovuto essenzialmente al rientro degli emigrati, accelerato dagli eventi sismici che colpirono il F.; anche nel corso degli anni Ottanta il saldo migratorio ha continuato a mantenersi attivo, ma i movimenti si sono ormai sensibilmente ridotti.
Ora tutte le quattro province sono in declino demografico, inclusa quella di Pordenone, che nel decennio 1971-81 era riuscita a totalizzare un aumento dell'8,7%, grazie all'immigrazione dei giovani attratti dal capoluogo nella fase di grande espansione economica. L'incremento demografico più modesto è quello realizzato nel decennio da Udine (2,5%) e che si è esaurito con la fine della ricostruzione; quello ancor più lieve di Gorizia (1,6%) è rientrato con il declino delle attività economiche tradizionali. Trieste ha continuato il suo storico trend negativo (-5,5%).
Il diverso comportamento demografico delle quattro province ha fatto salire il peso regionale di Pordenone (dal 20,7% del 1971 al 23% del 1990) e ha ulteriormente ridimensionato quello di Trieste (da 24,9 a 21,8), lasciando pressoché inalterato quello di Udine e di Gorizia. Una ridistribuzione più sensibile si è avuta fra le zone altimetriche sulle linee di tendenza già in atto da oltre un secolo: la montagna ha avuto nel decennio un calo del 10,4% (da 7,8% a 6,9%); la collina ha perduto il 2,6% (da 40,8% a 39,1%), mentre la pianura ha guadagnato il 7,0 (da 51,4% a 54,0%).
Gli indicatori demografici negativi hanno riguardato negli anni Settanta ben 106 dei 219 comuni, estesi su oltre due terzi del territorio regionale, fra cui ci sono quasi tutti i comuni montani, ma anche comuni collinari e di pianura. La densità di popolazione è passata dai 155 ab./km2 del 1971 ai 157 del 1981, ma è poi scesa ai 153 del 1990. A livello provinciale si è indebolita la densità di Trieste (1235 ab. nel 1990), Gorizia è scesa di qualche punto (298 ab.), Udine ha guadagnato lievemente (107 ab.), mentre Pordenone ha aumentato le distanze dalla vecchia provincia friulana (122 ab.). In conseguenza della natalità decrescente e del prolungamento della vita media, il gruppo di età 0÷14 anni è in continua discesa (dal 19,9% del 1971 al 17,4% del 1981), tanto che i servizi offerti a questo gruppo appaiono quasi dovunque sovradimensionati rispetto alla domanda e si pone il problema del riuso di certe strutture. Il gruppo oltre i 65 anni è invece in continuo aumento (da 14,2% a 17,0%) e con esso la domanda dei servizi per la terza età. Anche nella composizione della popolazione, Trieste e Pordenone presentano condizioni diametralmente opposte, registrando due stadi diversi nella transizione demografica.
In seguito al continuo afflusso delle donne sul mercato del lavoro e malgrado l'aumento degli studenti che proseguono gli studi oltre l'obbligo e dei pensionati, la popolazione attiva è in aumento (da 37,4% nel 1971 a 40,3% nel 1981). È proseguita la contrazione degli attivi in agricoltura, che si sono pressoché dimezzati (da 9,3% a 4,8%) per l'esodo rurale e l'insufficienza del turn-over. Per la prima volta, però, è stato registrato anche un calo degli attivi nelle industrie (da 43,5% a 37,0%), dovuto sia alla lunga recessione economica conseguente alla crisi energetica del 1973, sia alle innovazioni tecnologiche che tendono ad accrescere la produttività per addetto, riducendo i posti di lavoro. In compenso vi è stata una forte espansione nel settore dei servizi (da 44,1% a 52,4%), ma anche un aumento dei giovani in attesa di prima occupazione (da 3,0% a 4,3%).
Il settore industriale prevale solo a Pordenone (47% degli attivi), mentre nelle altre province dominano i servizi, con un record a Trieste (72,4%), che ai servizi amministrativi associa quelli legati all'economia portuale, al credito e alle assicurazioni.
Condizioni economiche. − Nel F.-V.G. la ricostruzione delle aree terremotate ha permesso non solo il ripristino, ma anche l'ampliamento delle attività industriali e commerciali, innescando un vivace processo di sviluppo, nonostante l'andamento recessivo dell'economia nazionale. Alla metà degli anni Ottanta l'esaurimento della ricostruzione ha però raffreddato notevolmente l'economia friulana, che ora sta subendo i contraccolpi della normalizzazione.
Le aree non terremotate della Bassa Friulana e delle province di Gorizia e di Trieste non si sono invece potute sottrarre alla congiuntura sfavorevole e hanno risentito negativamente delle agevolazioni concesse alle aree terremotate, tanto da indurre l'Ente Regione a interventi di riequilibrio. Particolarmente grave è stata la crisi di alcune attività tradizionali giuliane, quali l'industria cantieristica di Monfalcone, l'industria siderurgica di Trieste (conclusasi con la chiusura dello stabilimento di Servola), l'industria petrolifera, pure a Trieste (conclusasi con la chiusura della raffineria Aquila della Total), l'industria cotoniera di Gorizia (che ha portato alla chiusura del Cotonificio Triestino) e varie altre industrie. Lo stato è dovuto intervenire con la l. 26/1986, denominata anche ''Pacchetto Trieste-Gorizia''.
Dalla legge sulla ricostruzione sono derivati alcuni massicci interventi nel settore delle infrastrutture, quali il completamento dell'autostrada Udine-Tarvisio, il raddoppio della ferrovia pontebbana, la costruzione del megascalo ferroviario di Cervignano, che hanno dischiuso nuove prospettive all'economia regionale, offrendole una migliore integrazione con le regioni dell'Europa centrale e valorizzando la posizione geografica del suo sistema portuale. Nella stessa legge fu prevista anche l'istituzione dell'università di Udine e dell'Area di ricerca scientifica e tecnologica di Trieste, in cui si sono già insediati il Laboratorio di ingegneria genetica e di biotecnologia dell'UNIDO e la macchina italiana di luce di sincrotrone. Ai finanziamenti connessi con il trattato di Osimo si deve la realizzazione della grande viabilità triestina, con il prolungamento dell'autostrada fino al porto di Trieste e al valico di Fernetti.
L'agricoltura ha goduto di un sensibile processo di ammodernamento che è stato favorito dai riordini fondiari e dall'ingrandimento delle superfici aziendali, dallo sviluppo dell'irrigazione, da una più larga diffusione della meccanizzazione, dallo sviluppo del movimento cooperativistico, come pure dall'abbandono delle aziende marginali delle aree montane e collinari.
Alcune variazioni sono intervenute anche nelle destinazioni colturali, come risulta dal confronto dei dati del 1974 e del 1990. In contrazione sono le coltivazioni foraggere permanenti (da 12,9% a 10,1%), ma anche gli incolti, riclassificati come improduttivi. Ne hanno beneficiato i seminativi (da 23,1% a 25,8%), mentre sono rimasti stazionari gli orti familiari, le coltivazioni legnose agrarie e il bosco. Le aree dedicate al frumento si sono ridotte a un terzo. Ne ha beneficiato in un primo tempo il mais, ma poi anch'esso ha subìto una forte contrazione a vantaggio della soia, la cui superficie è ormai di poco inferiore a quella del cereale. Notevoli progressi hanno fatto pure l'orzo e la barbabietola da zucchero, che ha avuto una forte ripresa, mentre in flessione è la patata. È continuato il passaggio della vite da coltura secondaria a coltura principale, con un generale miglioramento qualitativo della produzione di vino (1.076.000 hl nel 1989), grazie anche all'istituzione di zone a denominazione di origine controllata. Fra i fruttiferi ha avuto il sopravvento il melo, diffuso soprattutto nell'alta pianura pordenonese.
L'allevamento del bestiame è soggetto a tendenze contraddittorie: da un lato la chiusura delle piccole stalle in montagna e in collina (ma anche in pianura) e dall'altro l'ampliamento dei grandi allevamenti, con un passaggio sempre più deciso dall'indirizzo lattiero-caseario a quello carneo. I bovini sono diminuiti di numero (da 215.000 nel 1974 a 148.000 nel 1990), ma migliorati di qualità, per cui la produzione lorda vendibile è in aumento. Pressoché raddoppiato è il patrimonio suino, facente capo in massima parte ad allevamenti industriali, mentre in buona ripresa sono anche gli allevamenti ovino e caprino, che possono usufruire dei pascoli montani abbandonati.
Le utilizzazioni forestali sono ulteriormente diminuite (da 199.000 m3 nel 1973 a 101.000 nel 1986), sia per l'estensione dei vincoli idrogeologici e paesaggistici, sia per le difficoltà di esbosco che rendono poco competitivo il legname regionale di fronte alle importazioni. Nelle foreste del Demanio regionale sono stati istituiti 8 parchi naturali a uso biogenetico o didattico-ricreativo, per una superficie complessiva di 4086 ha.
La pesca risente delle ulteriori limitazioni alle acque territoriali nel Golfo di Trieste sancite dal trattato di Osimo, della carenza di accordi con la Iugoslavia e delle cattive condizioni di salute dell'Alto Adriatico. La produzione è comunque in aumento per il pesce (da 44.553 q nel 1973 a 51.379 nel 1989); in particolare ha fatto grandi progressi la produzione di molluschi (da 26.341 q a 137.185 q), grazie alla diffusione di impianti di mitilicoltura lungo la riviera triestina, come pure quella dei crostacei (da 1650 q a 3006 q), allevati in laguna. È in corso un Progetto Integrato Mediterraneo (PIM) della CEE per l'intensivazione della vallicoltura nella laguna.
Nel settore minerario si registra la prossima chiusura delle miniere piombozincifere di Cave del Predil, in concessione alla SAMIM, a causa della scarsa convenienza economica e del progressivo esaurimento del giacimento.
La produzione di energia elettrica ha beneficiato soprattutto del potenziamento della centrale termoelettrica di Monfalcone (1000 MW), per cui ha potuto salire dai 3,7 miliardi di kWh del 1973 ai 6 miliardi di kWh del 1989 (per il 79,5% di origine termica). Il Piano energetico nazionale prevede la localizzazione in regione di un nuovo impianto termoelettrico e di un nuovo impianto idroelettrico (bacino del Fella), che però incontrano l'opposizione delle comunità locali.
Nel corso degli anni Settanta le industrie hanno avuto una notevole espansione, passando da 15.851 unità locali a 26.348 (+66,2%) e da 166.770 addetti a 192.384 (+15,4%); il numero medio di addetti per unità locale è perciò sceso da 10,5 a 7,3, sulla media nazionale. Il ramo che ha avuto il maggior incremento è stato quello dell'edilizia (+132,7% nelle unità locali e +50,8% negli addetti), ma si tratta di un fenomeno transitorio, giustificato dalla ricostruzione. Le 12 zone industriali programmatiche promosse fin dal 1965 dall'Ente Regione hanno dato un notevole contributo allo sviluppo industriale, attivando nuove iniziative. Particolare successo hanno avuto la zona pedemontana di Rivoli e Osoppo, quella del Medio Tagliamento (Tolmezzo) e quella di Maniago-Vajont. Vari comuni si sono dotati di Piani di Investimento Produttivo (PIP), che hanno fatto nascere una trentina di minori nuclei industriali.
Commercio, comunicazioni e turismo. − Anche nel F.-V.G. il commercio è un settore che avanza sia per numero di esercizi (da 32.053 unità locali nel 1971 a 38.130 nel 1981) sia per numero di addetti (da 80.888 a 96.735), ma il quadro è caratterizzato da una grande polverizzazione (2,5 addetti per unità locale). Nel commercio al minuto le licenze alimentari si sono ridotte al 36,7% del totale e consistente è ancora il commercio ambulante (una licenza ogni 7 di commercio fisso). La grande distribuzione stenta ancora a farsi strada e riguardava nel 1986 solo 272 esercizi per una superficie di 310.844 m2 con la densità maggiore in provincia di Pordenone. Alcuni centri vicini alla frontiera hanno un apparato commerciale sovradimensionato, poiché fa affidamento sull'afflusso dei frontalieri: è il caso di Trieste, Gorizia, Cividale, Tarvisio, ma anche di Udine, dove grazie alla nuova autostrada arrivano i turisti austriaci per lo shopping. Il commercio riceve impulso da alcune grandi manifestazioni fieristiche che si sono moltiplicate negli ultimi anni, privilegiando varie specializzazioni; al primo posto si colloca la Fiera campionaria internazionale di Trieste.
I traffici internazionali su strada fanno capo agli autoporti di Fernetti (Trieste), Sant'Andrea (Gorizia) e Coccau (Tarvisio). Nel 1988 il solo autoporto di Fernetti ha smistato 185.000 TIR. Il valico ferroviario di Tarvisio si colloca al secondo posto fra i valichi alpini (dopo Chiasso) per volume di traffico.
Il sistema delle comunicazioni si è arricchito il 3 luglio 1986 dell'autostrada Alpe Adria (A 23) da Udine a Tarvisio, che si raccorda con le autostrade austriache per Vienna e Monaco di Baviera. Precedentemente era stata inaugurata la superstrada che collega Gorizia all'autostrada Trieste-Venezia al casello di Villesse. Ora la regione è servita da 206 km di autostrade.
Le strade statali sono salite da 1109 km (1973) a 1159 km (1989), quelle provinciali da 1837 a 2068, mentre quelle comunali extra-urbane sono invece scese da 2677 km a 2491. Nello stesso periodo gli autoveicoli circolanti nella regione sono passati da 340.379 (di cui 318.131 autovetture) del 1973 a 826.112 (di cui 592.293 autovetture) nel 1988, con un indice di un autoveicolo/1,5 abitanti. È in progetto il traforo di Monte Croce Carnico (3 km), per la realizzazione del quale è già stato sottoscritto un accordo con l'Austria, allo scopo di attivare una nuova corrente internazionale di traffico sulla direttrice UdineSalisburgo-Monaco. La rete ferroviaria ha avuto un lieve aumento (da 525 a 531 km) a seguito dell'apertura della circonvallazione di Trieste. È in corso di costruzione il tronco Redipuglia-Cormons, che abbrevierà le distanze sulla direttrice Trieste-Udine.
Il porto di Trieste sta migliorando ulteriormente le sue attrezzature con la ristrutturazione del porto vecchio (Adria Terminal) e l'ampliamento del molo vii riservato ai containers. Sono stati creati impianti particolari per la manipolazione di agrumi, lattice di caucciù, caffè e metalli ferrosi, e concessi depositi permanenti ad alcuni paesi.
Dopo il 1973 è diminuita l'attività dei due oleodotti transalpini che fanno capo al terminal di San Sabba e nel 1987 è stata chiusa anche la raffineria Total, per cui c'è stato un forte calo degli sbarchi di petrolio greggio. Il movimento commerciale è disceso così dalle 38.159.402 t del 1973 (ma il record è stato raggiunto nel 1979, con 41.737.236 t) alle 23.292.305 t del 1989, rappresentate per l'87% da sbarchi e per il 68% da arrivi di petrolio greggio per gli oleodotti. Negli ultimi anni ha preso piede un movimento crocieristico che fa capo alla Stazione Marittima (56.500 passeggeri nel 1989).
I trasporti aerei fanno capo all'aeroporto giuliano di Ronchi dei Legionari, che è collegato con 4 linee giornaliere a Roma e con 2 a Milano, nonché da linee settimanali con Londra e con Monaco di Baviera. Durante la stagione turistica è divenuto meta di numerosi voli charters, per cui il suo movimento è passato da 198.818 passeggeri nel 1973 a 374.901 nel 1990. Il trasporto merci è salito nello stesso periodo da 570 a 9155 q.
Il turismo è divenuto una voce importante dell'economia regionale; dal 1981 è organizzato dall'Azienda regionale per la promozione turistica che ha sostituito gli enti provinciali per il turismo, e da 12 Aziende autonome di soggiorno e turismo a base comprensoriale, fra cui spiccano quelle costiere di Lignano Sabbiadoro e della Laguna di Marano, di Grado e Aquileia, di Trieste e della sua riviera.
Le attrezzature ricettive alberghiere ed extra-alberghiere sono salite da 76.000 posti letto nel 1973 ai 161.000 posti letto del 1989 (22% alberghieri), di cui 97.000 a Lignano (60,2%) e 23.000 a Grado (14,3%).
Il movimento turistico raggiunse il numero massimo di 1.359.000 arrivi e 10.919.000 presenze nel 1973, ma poi risentì negativamente della crisi economica e degli eventi sismici, nonché della concorrenza iugoslava. Nel 1989 si sono registrati 1.360.000 arrivi (38,1% stranieri) e 8.192.000 presenze (37,9% straniere), con una permanenza media di solo 6,02 giorni (8,2 nel 1975). Lignano rappresenta il 28,7% degli arrivi e il 48,2% delle presenze; Grado l'11,8% e il 17,1%; le permanenze medie sono rispettivamente di 11,2 e 9,7 giorni. Fra le stazioni montane si segnalano Tarvisio e la Valcanale e Piancavallo, nelle Prealpi pordenonesi, centro famoso di sport invernali. Vedi tav. f.t.
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Preistoria e archeologia. - In questi ultimi anni non sono avvenute scoperte di grande rilievo per il Paleolitico e il Neolitico, mentre per le età del Bronzo e del Ferro è da segnalare l'inizio, in F., di scavi stratigrafici sistematici negli abitati protostorici (''castellieri''), e la prosecuzione di tali indagini nei castellieri triestini.
In quello di Cattinara-Colle della Chiusa (Trieste) sono state messe in luce parte delle mura e strutture e pavimentazioni in scaglie calcaree risalenti al periodo compreso tra la fine dell'età del Bronzo e gli inizi dell'età del Ferro. Del medesimo periodo sono il castelliere di Monrupino e quello di Castions di Strada (Udine). Di particolare interesse gli scavi in corso a Pozzuolo, a sud di Udine, in località Ciastei, sulla riva sinistra del torrente Cormor. La località fu frequentata dall'età del Bronzo Recente fino all'età romana, ma la documentazione archeologica più consistente è quella compresa tra il 7° e il 6° secolo a. C., fase di massima espansione del villaggio, che era circondato da un terrapieno. Nella pianura a sud-est dell'insediamento è stata scoperta la necropoli a cremazione con tombe (finora circa 200) in semplice buca o a dolio, databili tra il 2° periodo Atestino tardo e il 3° periodo antico e medio; alcuni corredi attestano rapporti con la cultura di Hallstatt. Sul terrazzo detto ''Campo Cùppari'', posto a sud del castelliere, sono state scavate varie fosse, forse usate nel 6° secolo a. C. come forni per ceramica. A Montereale Valcellina (Pordenone) vari nuclei di abitati su altura precedettero, tra l'età del Bronzo Recente e Finale, un insediamento stabile dell'età del Ferro posto sul terrazzo prospiciente il fiume Cellina; nel Canale Anfora, presso Terzo d'Aquileia, si è scoperto un insediamento dell'età del Bronzo Recente; a Udine, sul colle del Castello, scavi stratigrafici hanno messo in luce una casa di epoca tardoromana ma anche materiali romani risalenti al 1° secolo a. C. e molti frammenti ceramici dell'età del Bronzo Finale e dell'età del Ferro, che testimoniano la continuità d'insediamento sul colle dall'età protostorica in poi.
A seguito di queste scoperte recenti, e di vari altri scavi minori, si vanno chiarendo i rapporti che, fin dalla prima età del Bronzo, collegarono le culture del F. e della V. G. con quelle dell'Italia settentrionale e con quelle transalpine, rapporti che, nel corso dell'età del Ferro, s'intensificarono soprattutto con la cultura paleoveneta. Però, anche se negli ultimi anni sono molto aumentati rispetto al passato, in tutto il territorio, gli scavi preistorici e protostorici, le maggiori scoperte sono quelle che hanno grandemente aumentato le conoscenze della topografia di Aquileia in età romana e nel periodo tardo-antico.
Ad Aquileia si sono condotti scavi nei pressi della basilica: all'interno del campanile, a 8 m di profondità è stata messa in luce per circa 30 m2 una parte, ottimamente conservata, del mosaico policromo figurato che pavimentava l'aula teodoriana settentrionale; le indagini in Piazza Capitolo, eseguite prima che si procedesse alla nuova sistemazione del lastricato, rivelarono 6 livelli di costruzioni, databili dall'età romana repubblicana fino all'avanzato Medioevo. Nella seconda metà del 4° secolo l'area della piazza risultò per gran parte occupata da un quadriportico, antistante e collegato alla basilica detta ''postteodoriana'', e da molti ambienti attribuibili all'Episcopio. Nel quadriportico fu trovato un eccezionale lampadario bronzeo a dodici bracci, decorato con immagini simboliche e con figure di animali, databile anch'esso al 4° secolo. A sud della città antica, lungo la riva del fiume Natissa, si poté solo parzialmente scavare e rilevare un grande mercato pubblico, ora non più in vista perché fu considerata di prevalente interesse l'espansione urbana del centro moderno in questa zona. Benché in modesto stato di conservazione, si trattava tuttavia di un complesso di grandi dimensioni (m 150 × 150 circa), costituito da vari ambienti e corridoi con pavimenti a mosaico e da molti magazzini che si sviluppavano attorno a due grandi cortili; eretto alla fine del 1° secolo a. C., rimase in funzione fino a età tardo-antica.
Negli ultimi anni lo stato ha acquisito ampie zone della città antica, che permetteranno in futuro la creazione di un vasto parco archeologico. Si sono potuti così riprendere, dopo decenni d'interruzione, gli scavi di G. Brusin, che avevano portato alla scoperta del foro, ubicato al centro della città, e delle grandi terme nell'area sud-occidentale. Demolite le modeste case che si allineavano lungo l'attuale via Giulia Augusta (che ripercorre il tracciato del cardine massimo), si è scoperta tutta la parte orientale del foro, il cui lastricato fu per gran parte già spoliato nell'antichità, vari elementi della decorazione architettonica di età severiana, l'acquedotto che lo attraversava da Nord a Sud, al di sotto del lastricato, per tutta la sua lunghezza, che è di 150 metri. Si è terminato anche lo scavo della basilica, già messa parzialmente in luce nel 1966. L'edificio, che costeggia il lato Sud del foro, col quale comunica, è lungo m 90 e largo m 29; è quindi il terzo per ampiezza tra quelli noti in Italia, dopo la basilica Ulpia del Foro Traiano a Roma e la basilica di Trieste; l'aula, tripartita da due filari di 16 colonne, con absidi alle estremità, era lastricata parte in marmo, parte in pietra. La basilica, distrutta da un incendio alla fine del 4° secolo e già depredata nell'antichità, conserva solo frammenti dell'elevato, con colonne in cipollino e granito grigio ed elementi decorativi in marmo databili, come quelli del foro, a età severiana (inizi del 3° secolo d.C.). La ripresa dello scavo nell'area delle terme ha portato in luce grandi sale, con pavimenti in opus sectile e a mosaico, e 6 vasche che fanno parte del frigidarium; il complesso, imponente, appare databile all'età tardo-costantiniana.
In una sala, adiacente alla Galleria Lapidaria, del Museo di Aquileia è stata allestita una sezione navale nella quale è esposta anche un'imbarcazione romana da carico trovata a Monfalcone; conservata nella parte della chiglia, è lunga m 11 e larga m 3,80, ed è databile al 1° secolo d.C.
Gli scavi di un grande complesso di età romana a Duino-Aurisina, probabilmente una mansio lungo la strada Aquileia-Tergeste, e delle ville rustiche di Tumbules presso Dignano (Udine) e di Ronchi dei Legionari (Gorizia) confermano la vitalità di questi complessi isolati, fondati di regola alla fine del 1° secolo a.C. o agli inizi del 1° secolo d.C. e perduranti fino al 3° e 4° secolo d.C. Per il periodo tardo-antico e alto-medievale si segnalano gli scavi di estese necropoli a Roman d'Isonzo e a Farra d'Isonzo (Gorizia); entrambe, per la loro ubicazione, confermano che la strada percorsa da tutti i barbari che invasero l'Italia fu quella che proviene da Emona. Vedi tav. f.t.
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Arte. - Il disastroso terremoto che nel 1976, il 6 maggio e il 15 settembre, ha colpito il F. e ha distrutto o gravemente lesionato gran parte dei monumenti di una vasta zona compresa nelle province di Udine e Pordenone, ha indotto gli organi regionali e statali a concepire in termini nuovi e costruttivi il rapporto con i beni culturali; è nata (1978) l'università di Udine, al cui interno, per la prima volta in Italia, è stato attivato un corso di laurea in Conservazione dei beni culturali; è sorta la Scuola regionale di restauro, ubicata nella Villa Manin di Passariano, in cui, fin dal 1972, opera il Centro regionale per la catalogazione e l'inventario dei beni culturali del F.-V. G.; è stato potenziato l'ufficio di Udine della Soprintendenza per i Beni archeologici, ambientali, architettonici, artistici e storici del F.-V. Giulia.
Sono state poste, in tal modo, le premesse per il recupero e la salvaguardia del patrimonio artistico e per la diffusione della sua conoscenza con rinnovata sensibilità e consapevolezza.
Le perdite causate dal terremoto del 1976 sono state ingenti: vanno dalla distruzione del tessuto urbano di cittadine ricche di storia (anzitutto Gemona, Venzone e Osoppo) e di grandi borghi rurali ancora in grado di riflettere la passata civiltà contadina del F., a quella di insigni monumenti, chiese, palazzi e castelli, in molti casi nemmeno parzialmente recuperati. A ciò si aggiunga la perdita di affreschi (di quelli di Giovanni da Udine nel castello di Colloredo, per es., si sono potuti salvare solo pochi brani) e di un ricco patrimonio d'arte mobile: altari lignei, pale d'altare, tele, statue, suppellettili sacre di pregio o comunque in grado di rivestire carattere storico.
Fin dai primi mesi dopo il terremoto è iniziata l'opera di recupero e di restauro, praticamente ultimata entro il 1989 a livello monumentale di pregio, salvo il duomo di Venzone, la cui ricostruzione per anastilosi non è ancora terminata. È invece stato portato a termine l'impegnativo restauro del duecentesco duomo di Gemona, di quelli di Spilimbergo, Tolmezzo e San Daniele, delle mura di Venzone e del castello di Udine, per citare solo gli esempi più significativi: sono però centinaia gli edifici di rilevante valore storico o artistico rimessi a nuovo. Tra le costruzioni di maggior mole, degno di nota il castello di Colloredo di Montalbano, il cui restauro sta per essere ultimato.
Non facilmente quantificabili gli interventi di restauro sui beni mobili o sui cicli di affreschi: delle operazioni compiute danno informazione esauriente tre Relazioni della Soprintendenza e un Inventario delle opere d'arte di proprietà ecclesiale stampato a cura del Museo diocesano di Udine.
Impegnativi soprattutto i restauri degli affreschi di Gianfrancesco da Tolmezzo a Barbeano, Socchieve, Forni di Sopra e di Sotto e Provesano, del Pellegrino a San Daniele, del Pordenone a Valeriano, Vacile e Pinzano, dell'Amalteo a Baseglia e Lestans, degli affreschi barocchi della chiesa del Carmine in Udine e del Palazzo Linussio a Tolmezzo. Non minore rilievo hanno avuto i restauri degli altari lignei quattro-cinquecenteschi di Domenico da Tolmezzo (per Invillino e Carpeneto) e di Giovanni Martini (per Remanzacco e per Mortegliano: quest'ultimo, alto più di 5 m e contenente una sessantina di statue, è il più grande del Friuli).
I lavori di restauro negli edifici lesionati hanno spesso rimesso in luce affreschi sconosciuti: sono stati così riscoperti dipinti romanici a Villuzza di Ragogna e Socchieve, medievali a Entrampo, Ospedaletto, Attimis, rinascimentali a Gemona, Artegna, Vendoglio, Tauriano, ecc.
Per quanto riguarda le istituzioni museali a Udine, sta per essere ultimato l'allestimento del Museo archeologico nel restaurato castello, dopo l'inaugurazione (1982) della Galleria d'arte moderna e (1990) della Galleria d'arte antica. A Gorizia nel 1989 è stato aperto al pubblico il nuovo Museo del Castello, a Gradisca d'Isonzo la Galleria regionale d'arte contemporanea Luigi Spazzapan (1976), a Tolmezzo nel 1980 è stato ripristinato l'importante Museo carnico delle arti e tradizioni popolari. Numerosi piccoli musei della civiltà contadina sono stati creati in diverse località della regione, a San Vito al Tagliamento, Monrupino, Andreis, Pagnacco, ecc.
Donazioni di una certa consistenza hanno arricchito il patrimonio museale: di eccezionale importanza quella di L. Astaldi al comune di Udine, di quasi 200 dipinti di maestri italiani del Novecento (da De Chirico a Carrà, da Savinio a Morandi), e quella di D. de Henriquez al comune di Trieste, di una collezione di materiale bellico, ancora in fase di definizione, che sarà collocato nel costituendo Museo storico di guerra ''Diego de Henriquez''. È stata in tempi recenti catalogata, in parte almeno, la collezione Garzolini di Trieste (migliaia di pezzi: ceramiche, arredi sacri, ferri battuti, sculture lignee, miniature, orologeria) passata in proprietà allo stato.
La cultura artistica nella regione si è espressa attraverso qualificate mostre allestite con il duplice scopo di promuovere indagini approfondite intorno a ben precisi momenti d'arte e di diffondere presso un largo pubblico la conoscenza del patrimonio culturale locale. Significative al proposito le rassegne tenutesi nella Villa Manin di Passariano: Capolavori d'arte in Friuli (1976), La scultura lignea in Friuli (1983), Il Pordenone (1984), La miniatura in Friuli (1985), Sebastiano Ricci (1989) e I Longobardi (1990); a Tolmezzo: Nicola Grassi (1982); a Gorizia: Maria Teresa e il Settecento Goriziano (1981), Canaletto e Visentini (1986), Guardi (1987), Marieschi (1989); nel castello di Miramare: Massimiliano da Trieste al Messico (1986); a Trieste: Neoclassico. Arte architettura e cultura a Trieste, 1740-1840 (1990); e a Pordenone: Opere d'arte di Venezia in Friuli (1987).
Tra le mostre d'arte moderna, da ricordare almeno la grande antologica del 1982 a Trieste, Arte nel Friuli-Venezia Giulia 1900-1950, la mostra di Gorizia relativa al Futurismo (Frontiere d'avanguardia, 1985), e le mostre dedicate a Raimondo D'Aronco (Passariano 1982), ai fratelli Dino, Mirko e Afro Basaldella (Udine 1987), a Marcello Mascherini (Passariano 1988) e a Luigi Spazzapan (Gradisca d'Isonzo 1989).
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Tutela dei beni architettonici. - Il notevole patrimonio d'interesse storico-architettonico in F.-V.G. ha avuto, prima della fine del secondo conflitto mondiale, interventi di tutela indirizzati principalmente alla scoperta e valorizzazione dei siti archeologici di Aquileia, Concordia, Zuglio; pochissimi sono stati invece i restauri effettuati sulle cospicue presenze monumentali che pure avevano subito profonde ferite a seguito della disfatta di Caporetto nella guerra 1915-18.
L'attività di restauro dei beni architettonici ebbe inizio di fatto in F.-V.G. dopo il 1948, e fino al 1976 i programmi d'intervento sono stati, per necessità, concentrati solo su pochi edifici ragguardevoli, con encomiabili risultati per l'Oratorio di Santa Maria in Valle (tempietto longobardo) di Cividale, per la basilica teodoriana di Aquileia, la basilica di Ermacora e Fortunato di Grado, con il recupero del prezioso pavimento musivo del 4° secolo, la chiesa di San Francesco di Udine; corretti interventi ebbero le porte della fortezza di Palmanova, opera di V. Scamozzi, il duomo di San Marco di Pordenone e il Castello di Udine; esemplare il restauro della Villa Manin di Passariano, anche per il recupero del ciclo di affreschi seicenteschi. Meno pragmatici e ancora legati a certa superata prassi sono gli interventi eseguiti nella rocca di Monfalcone, ricostruita nel 1955 su base induttiva, il rifacimento totale (1952-59) del palazzo municipale di Venzone, raso al suolo dal bombardamento del 1945, e il restauro stilistico della facciata di palazzo Torriani a Gradisca del 1972.
Gli eventi drammatici del terremoto che colpì il F. il 6 maggio 1976, seguito da quello, ben più grave, del 15 settembre dello stesso anno, hanno messo in luce l'incapacità degli organi preposti alla tutela di far fronte all'emergenza, e la mancanza di una collaudata preparazione tecnica e culturale di quanti operavano, evidenziata dal modo in cui avvenne, incontrollata, la rimozione delle macerie: nella maggior parte dei casi, l'operazione, che può definirsi di ''archeologia del salvataggio'', si limitò al recupero degli elementi architettonici, dei conci in pietra squadrata e lavorata, nonché dei conci squadrati, e alla conservazione in sito di frammenti di muratura.
La febbrile attività di progettazione che seguì non consentì riflessioni: nei piani di recupero, frettolosamente approntati, non si è sfuggiti al pericolo di operare un ''riordino fondiario'' come a Osoppo, Artegna, Maiano e Ospedaletto; negli edifici soggetti a tutela, pur nella carenza di documentazione e di catalogazione dei beni distrutti, vastissimo fu il consenso, sancito dalla l. 546 per la ricostruzione, a non operare ai fini della conservazione ma a procedere al "ripristino-ricostruzione sulla base dello stato di fatto precedente al sisma attraverso l'anastilosi delle parti mancanti". A questa concessione liberatoria vanno aggiunti il vincolo posto dalla l. 30, 20 giugno 1977, della Regione F.V. G., "Nuove procedure per il recupero statico e funzionale degli edifici colpiti da eventi tellurici", legge che poneva come obiettivo principale l'adeguamento antisismico di tutti gli edifici esistenti: i metodi di calcolo e le tecnologie necessarie al raggiungimento della sicurezza hanno richiesto molto spesso il sacrificio dei caratteri originali e del valore intrinseco di un monumento.
Oggi appare difficile articolare un bilancio dei recuperi-restauri dei beni architettonici eseguiti in F.: alcune grandi opere sono state ultimate; ricostruiti il duomo di Gemona e il suo campanile; demoliti e ricostruiti i palazzi comunali di Gemona e di Venzone per inserire una struttura antisismica; complessivamente consolidati il duomo di Spilimbergo e la cinta muraria di Venzone; è in atto il progetto di ricostruzione per anastilosi della facciata del duomo di Venzone, avviato sulla base della copiosa documentazione esistente e di una meticolosa ricomposizione a terra dei conci recuperati.
Tutela dei beni ambientali. - La Regione F.-V. G. è stata tra le prime in Italia a promuovere indirizzi di tutela ambientale e di salvaguardia dei centri storici. Il Piano Regionale 15 settembre 1978, a seguito di una circostanziata e rigorosa indagine, individuava nel territorio circa 70 ''ambiti di tutela'' costituenti le principali valenze paesistiche e ambientali da sottoporre a vincolo: tra questi meritano menzione gli ambiti territoriali di Farra di Latisone, i laghi Cornino, di Fusine e Ragogna, la palude Moretto, la Strettina del Cellina, il monte Caglia, il Bosco Romagno e altri. Ai comuni di competenza era demandato l'onere di elaborare i piani attuativi, i quali, approvati nel 1990, sono ora in via di realizzazione.
Nello stesso ambito erano altresì delineati regimi di vincolo e indirizzi di tutela per 14 parchi naturali tra i quali i parchi fluviali del Tagliamento e del Livenza, quelli montani delle Alpi Giulie e delle Prealpi Carniche, il parco collinare del Colle di Osoppo e delle Sorgive di Bursa, del Carso triestino, oltre a quello lagunare di Grado, anch'essi soggetti a piani particolareggiati di competenza intercomunale; per alcuni, come il parco del Colle di Osoppo, fu reso operante un piano di conservazione e sviluppo a iniziativa regionale.
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