Friuli (Forum Iulii)
Regione dell'Italia settentrionale, oggi compresa nel territorio del Friuli-Venezia Giulia; geograficamente comprende la provincia di Udine, l'alto e medio bacino dell'Isonzo, la vallata del Vipacco, i territori di Monfalcone e di Portogruaro. Taluni le assegnano anche la Carnia. Il toponimo deriva dal nome latino di Cividale (Forum Iulii).
Abitata fin dai tempi più remoti da genti liguri, poi da genti veneto-illiriche, fu soggetta a successive invasioni (i Celti, gli Unni, i Longobardi che crearono un potente ducato a Cividale, gli Avari). Fu poi sottoposta a feudatari franchi e popolata da genti slave; Cividale, divenuta intanto capitale della marca d'Austria, ebbe successivamente il titolo di contea della marca di Verona, unita da Ottone I alla marca di Carinzia. Dal 1077 al 1420, per il prestigio acquistato dal patriarca di Aquileia, si ricostituì un forte stato aquileiese, che promosse il sorgere di comuni (come Udine) contro la feudalità.
Il F. era ben noto ai mercanti fiorentini che vi svolgevano notevoli commerci (Davidsohn, Storia IV II 162, 779, 870-878) e vi avevano, quindi, molti interessi; è da escludere però un soggiorno di D. nella regione.
Bibl. - G. Bianchi, Del preteso soggiorno di D. in Udine od in Tolmino durante il patriarcato di Pagano della Torre; e documenti per la storia del F. dal 1317 al 1332, Udine 1844; B. Vollo, Il sasso di D. nel F.; canzone, in " Letture di famiglia " XXVI (1875) 436-439; F. Amalteo, D. in F. ?, in " Pagine Friulane " VII (1894) 67-69; E. Moore, The geography of D., in Studies on D., s. 3, Oxford 1903, 108 ss.
Il rapporto tra D. e la regione friulana richiama l'attenzione, in primo luogo, sul presunto viaggio che il poeta avrebbe compiuto nell'angolo più orientale della penisola. A questo proposito, la mancanza di nuove testimonianze che non nascano da pura leggenda è stata denunciata fra gli altri dal Petrocchi, con riferimento alla più ampia questione degli ultimi anni della vita di D. nel Veneto.
Aleatorie rimangono, al fine suddetto, le deduzioni che si vogliono ricavare da altri passi della Commedia. Se la leggenda di un passaggio di D. per il F. è, ovviamente, legata all'altra di un suo soggiorno nel territorio istriano, il monte Tambernicchi di If XXXII 28, da identificarsi probabilmente con lo Iavornik nella Schiavonia, come l'accenno a Pola e al Carnaro di If IX 113 e gli altri alla Carinzia (se è la Chiarentana di If XV 9) e ai venti schiavi (venti della Schiavonia) di Pg XXX 87, rimangono pur sempre accenni toponimici vaghi e non concludenti; mentre ancor più fantasiose paiono le vicende che si celerebbero sotto i versi di Pd IX 49-51, alludenti a Rizzardo da Camino, di cui non si potrebbe escludere, secondo alcuni, che D. avesse conosciuto la figlia Beatrice, sposa nel 1297 a Enrico II di Gorizia nei cui feudi il poeta avrebbe potuto essere ospite.
Se, accantonati gli accenni danteschi al F., si esaminano le possibili prove ‛ esterne ', l'accertamento di una presenza di D. nel F. non risulta accresciuta. Troppi omonimi si conoscono dalle testimonianze trecentesche perché quel Dante di cui si parla in un documento del 4 ottobre 1308, scoperto dal De Franceschi (una sentenza contro un pescatore abusivo, pronunciata " praesentibus dominis Dante tuscano habitatore Parentii " e un " Antonio Peio "), possa essere tranquillamente identificato con il poeta. Né quella " Catharina de Aldigheriis ", ancella di un canonico di Cividale nella prima metà del sec. XIV, secondo quanto si ricava da un regesto del III volume della raccolta Notatorium curato da V. Joppi, ci dice molto di più a questo proposito; così come interessante, ma non perentoria ai fini di una prova della presenza di D. in territorio friulano è l'individuazione che il De Franceschi ha potuto dare di gruppi di esuli fiorentini mercanti e prestatori nel territorio triestino.
La leggenda di un soggiorno friulano di D. si consolidò per l'avallo di una tradizione scritta, frutto della manipolazione di un passo del Historici libri de vita Christi ac Pontificum omnium (1485) del Platina: " Verum abeunte ex Hetruria Carolo V Valesio, albi Florentia pulsi, Forum Livii populariter commigrarunt; quorum de numero habitus est Dantes Aldegerius vir doctissimus et sua vernacula lingua poeta insignis " (sotto v. Bonifacio VIII). All'inizio del '500 Giovanni Candido, probabilmente per un'erronea lettura di Forum Livii (Forlì) in Forum Iulii (Friuli) o per l'imperfetta lezione della copia del Platina che certamente utilizzò, alterava e lievitava la notizia, scrivendo nei suoi Commentariorum aquileiensium libri odo (1521), a proposito del caorsino papa Giovanni XXII: " Pontifex autem, audita morte Castonis, ne quid amisisse Guelphi viderentur, Paganum turrianum episcopum patavinum patriarcham surrogavit. Apud quem Dantes Aligerius poeta insignis, Gibellinos secutus, a Florentinia Guelphis urbe pulsus, per annum Utinae summo favore commoratus est " (c. XXV recto).
Di qui la fama di un viaggio di D. nel F., e l'ospitalità di cui avrebbe goduto presso Pagano della Torre, passava al Valvasone, al Palladio, a G. Bonifacio, al Troya, al Balbo, al Pistolesi, al Fraticelli, e veniva rilanciata in epoca risorgimentale e all'inizio del nostro secolo, colorendosi di un comprensibile orgoglio patrio e suscitando un dibattito, fatto di voci anche discordi, che si può ricostruire sulle pagine di G. Bonturini, di G. Bianchi, di A. Planiscig, dello Schaffer-Boichorst, dello Scartazzini, di C. Venuti, di C. Prodrecca, di P.M. Lacroma, di G. Morosini, di C. De Franceschi, di G. Vidossich, di E. Morpurgo, di G. Vale, di B. Ziliotto e di G. Francescato. Successivamente il Petrocchi ha definito gli accenni geografici che si colgono nell'opera dantesca, quali Bruggia, Arli, Pola, ecc., come " determinazioni o comparazioni geografiche guidate dal dono della fantasia ", che si contrappongono ai tratti di ben più " aperte denunce di un'esperienza personale ". Se D. dovette, dunque, essersi spinto certamente lungo la linea Venezia-Treviso-Verona, la sua presenza nel F. rimane oggi, per quanto suggestiva, un'ipotesi ben lontana dall'essere dimostrata.
La fortuna dell'opera di D. nel F. presenta, invece, una consistenza ben diversamente accertabile. La Commedia dovette conoscere una rapida diffusione manoscritta probabilmente da Treviso verso Udine, con una proliferazione di testi di cui rimangono ancora oggi importanti esemplari.
Tra quelli che contengono l'intero poema, vanno ricordati il Bartoliniano della Biblioteca Arcivescovile di Udine (cod. 50), membranaceo del sec. XIV, già appartenuto a Filippo della Torre, vescovo di Adria, agl'inizi del '700; il codice Claricini della biblioteca dei conti Claricini-Dornpacher di Bottenicco, in provincia di Udine, membranaceo del sec. XV, con postille dello stesso copista Nicolò de Claricini e datato 1466; il codice Florio della biblioteca dei conti Florio di Udine, membranaceo del sec. XIV, con " argomenti " in latino per l'Inferno e in parte per il Paradiso. Il manoscritto Fontanini della Biblioteca Guarneriana di S. Daniele (cod. 200), membranaceo del sec. XIV, illustrato con 7 miniature, contiene l'Inferno (mancante di XXIV 97-132, XXV 121-126) e Pg I 1- II 141, col commento dell'Ottimo ai primi due canti dell'Inferno e con quello del Bambaglioli a tutta la prima cantica.
Conservano, invece, soltanto lacerti della Commedia il miscellaneo cartaceo del sec. XV, facente parte, certamente almeno fino al 1935, della biblioteca della famiglia Perusini di Udine (a c. 80 si trovano i vv. 1-27 di Pd XXXIII), e il codice 836 D della Biblioteca Comunale " V. Doppi " di Udine, membranaceo del sec. XIV (che conserva Pd XIII 73-108). Non si hanno attualmente notizie precise del manoscritto Torriani della Biblioteca dei conti Torriani di Udine contenente alcuni frammenti del Paradiso, forse disperso durante la prima guerra mondiale; così come si sono perdute le tracce di un codice Cernazai, già posseduto dalla Biblioteca del Seminario udinese. In questa è conservato ora anche un esemplare della preziosa edizione della Commedia pubblicata a Mantova nel 1472, assieme a uno di quella stampata da Vindelino da Spira a Venezia nel 1477.
Altre più modeste reliquie della fortuna di D. nella regione friulana si ricordano qui per completezza: un Epitaphium Danti:, conservato in un manoscritto del sec. XV (v. Mazzatinti, m, p. 119 n. 70) e una copia di Tanto gentile e tanto onesta pare, in un codice della Biblioteca Comunale di Udine, contenente poesie dei secoli XIII, XIV e XV (v. Mazzatinti, XLVI, p. 21 n. 109).
Gli studiosi friulani esercitarono la loro opera di ricerca e di interpretazione con un'appassionata continuità dal XV secolo a oggi. Tra coloro che fornirono alcuni contributi consistenti, sono da annoverare G. Fortunio da Pordenone, che agl'inizi del '500 polemizzò contro il commento del Landino, e P. Caimo, medico udinese, che nel '600 lasciò inedita una Esposizione del canto XI del Purgatorio e dell'ultimo del Paradiso. Colui, però, che nella storia degli studi friulani su D. fece più parlare di sé nell'800, e in senso negativo, fu Quirico Viviani, a causa delle contraffazioni a cui sottopose, pubblicandolo nel 1823, il codice Bartoliniano, e delle fantasiose affermazioni che fece su di esso, suscitando la reazione di Besenghi degli Ughi, del Foscolo (nel suo Discorso sul testo della Commedia), di U. Lampridio, di G. Asquini, di G. Vegezzi.
Ma tra la schiera degli studiosi friulani di epoca più recente, non sempre filologicamente agguerriti, vanno infine ricordati, per la statura maggiore che possono vantare rispetto agli altri, R. Della Torre, attivo verso la fine dell'800, Antonio Fiammazzo, il più tenace cultore friulano di cose dantesche tra la fine del secolo scorso e gl'inizi del presente, e G. Vale.
Bibl. - C. Ricci, L'ultimo rifugio di D.A., Milano 1891; D. e il F. (1321-1921), vol. collettaneo, Udine 1922; C. De Franceschi, Esuli fiorentini della compagnia di D. mercanti e prestatori a Trieste e in Istria, in " Arch. Veneto " XLV-XLVI (1939) 83-178; B. Ziliotto, D. e la Venezia Giulia, s.l. 1948; S. Pellegrini, Çe fastu, in " Studi mediev. ", s. 3, VI (1965) 395-407; G. Petrocchi, La vicenda biografica di D. nel Veneto, in Itinerari danteschi, Bari 1969, 119 ss. Per i codici e per gli studiosi friulani di D.: G. Vale, Codici e studiosi della D.C. in F., in D. e il F., cit.; A. Fiammazzo, I codici friulani della D.C., Cividale 1887 (e la Appendice, Udine 1888) e le pagine di argomento analogo nello stesso volume D. e il Friuli. Lo strumento più aggiornato, che permette di scavalcare, per quanto interessa i manoscritti, la consultazione della Bibliografia del Batines e gli Inventari di Mazzatinti-Sorbelli è il regesto dei codici della Commedia contenuto in Petrocchi, Introduzione.
Lingua. - Il riconoscimento dell'individualità linguistica del F. è uno degli aspetti più interessanti della rassegna dialettale del De vulg. Eloquentia. Importante è soprattutto la separazione del friulano dalle vicine parlate venete, trevigiana compresa (che anticamente presentava rilevanti caratteristiche di tipo appunto ‛ friulano '), mentre resta poco più che un'affermazione astratta la parallela distinzione, verso est, rispetto al dialetto dell'Istria. In VE I X 8 D. segnala come evidente a tutti che i Friulani, o com'egli dice gli Aquilegienses (Aquileia, sede del patriarcato, era il centro politico, amministrativo e culturale della zona), hanno una lingua diversa non solo da quella dei Veneti (Trevigiani e Veneziani), ma anche da quella degl'Istriani: evidentemente, come in tutto questo passo, D. ricalca lo schema di partizione per regiones del precedente paragrafo 7, dove il Forum Iulii figura appunto, tra Marchia Trivisiana cum Venetiis e Ystria, nell'elenco delle regioni appartenenti alla parte ‛ sinistra ' d'Italia. Infatti quando D. passa (VE I XI 5) a una caratterizzazione linguistica più esplicita, coinvolgendo le due parlate nella condanna sommaria dei più brutti dialetti italiani svolta in questo capitolo, abitanti del Friuli e dell'Istria sono colpiti dal medesimo giudizio e soprattutto identificati da un solo exemplum linguistico. Anche Aquilegienses e Ystriani, egli dice, qui ‛ Ces fas tu? ' crudeliter accentuando eructuant, vanno senz'altro setacciati via (cribremus).
Il breve sintagma interrogativo (‛ che fai? '), strutturalmente analogo ai tipi che appaiono nell'esempio romanesco e aretino, è, nella sua sommarietà, notevolmente pregnante, anche se sembra improbabile che esso risulti da personale selezione entro un materiale dialettale conosciuto di prima mano: probabilmente deriverà invece, come spesso, da un blasone diffuso o da un testo scritto. Notevole a questo proposito il riscontro offerto (Pellegrini) dalla ballata popolareggiante friulana E là four del nuestri chiamp (edita dapprima da L. Ciceri, in " Il tesaur " I [1949] 11-12), v. 5: " E io li dis ‛ Çe fastu achì, / tan plasèvol e tan cortês? ' " (e un que fas-tu è anche nel Rainaldo e Lesengrino di colorito trevigiano conservato nel ms. lat. in IVº, XIII della Bibl. Arcivescovile di Udine, v. 392). Pensare tuttavia che l'esempio dantesco derivi proprio da questo testo implica un'anticipazione assai problematica dell'epoca di composizione della ballata rispetto alla data di trascrizione nel cod. che l'ha conservata (fine sec. XIV - inizi XV).
Comunque sia, il motto concentra una serie notevole di peculiarità friulane. A parte il tipo interrogativo fas-tu, con conservazione di -s finale e pronome personale enclitico obbligatorio, comune ancora oggi al veneziano (che più in genere, assieme al trevigiano, condivideva anticamente col ladino di Friuli la conservazione di -s nelle forme verbali di II singol.: v. appunto il verras che D. attribuisce ai Veneti), sono specificamente friulani il passaggio di QU a c palatale e un più generale mantenimento di s finale, cumulati in ces. Sul primo fenomeno farà leva anche la parodia del Sacchetti Trecentonovelle 92, ediz. Pernicone, p. 214: " Dice Soccebonel: - Au, può esser cest? - E que' rispose: - Sì, può esser canestre - ". Quanto al secondo, si noti che la forma autentica friulana è naturalmente ce, senza -s. Tuttavia ci si guarderà dal ritoccare la lezione dei codici nella forma ‛ corretta ', poiché si tratterà con ogni probabilità di una ipercaratterizzazione, perfettamente parallela a quella che si ha nel successivo specimen sardo (v. SARDEGNA), per cui è indebitamente trasferita fuori sede una caratteristica percepita come tipica di quel dialetto, appunto la generale conservazione di -s. Va notato che proprio questo tipo di ipercaratterizzazione torna in certe caricature recenti del friulano da parte triestina, oltre a coincidere coi modi tipici della parodia dello spagnolo in uso in Italia, specie nel teatro comico, tra Cinque e Seicento.
Difficile dire se sottintenda qualcosa di preciso, e cosa, l'affermazione che Friulani e Istriani " accentuano " (o semplicemente " pronunciano ") " crudamente " le parole. Improbabile comunque che eructuant contenga la connotazione spregiativa che vuole il Marigo (" buttan fuori "; e Pellegrini e Pézard, calcando ulteriormente, " ruttano ", " crachent "), mentre varrà semplicemente (Contini) " si esprimono ", " dicono ", come l'eruct(u)are di VE II IV 2 e di Ep III 2. Forse si tratta di un giudizio genericamente impressionistico, ma non è detto che non vi sia un preciso collegamento tecnico, in riguardo specialmente a fas, con quanto D. dirà in VE II VII 5 sulle parole con accento ‛ acuto ' o ‛ circonflesso ' da evitarsi nel volgare illustre; e in ogni caso la struttura tutta monosillabica dell'enunciato friulano ripugna evidentemente alle norme stilistiche preferenziali, sempre esposte in VE II VII, che contemplano fra l'altro il rifiuto dei monosillabi che non siano inevitabili (v. VOCABOLI, TEORIA dei).
Bibl. - F. D'Ovidio, Sul trattato ‛ De vulg. Eloq. ' di D.A. (1873), in Versificazione romanza. Poetica e poesia medioevale (Opere di F. D'O.. IX II), Napoli 1932, 306; Marigo, De vulg. Eloq., 85, 87, 93-94 (e rec. di G. Contini, in " Giorn. stor. " CXIII [1939] 287); G. Vidossi, L'Italia dialettale fino a D., in Le origini, Milano-Napoli 1956, LI; S. Pellegrini, Saggi di filologia italiana, Bari 1962, 73 n.; ID., Çe fastu, in " Studi medievali " s. 3, VI (1965) 395-407.