FRODE (lat. fraus; fr. e sp. fraude; ted. Umgehung; ingl. fraud)
Nel suo significato d'inganno diretto alla lesione di un diritto altrui, è termine col quale sono designati nel codice penale taluni fra i più caratteristici delitti della delinquenza moderna. Con ciò non si vuol dire che i reati di frode fossero sconosciuti all'antichità, poiché già nell'antica Cina, in Persia, in Babilonia, ecc. troviamo punita la frode, specialmente quella commessa mediante l'uso di pesi e misure false. Presso i Romani, nelle leggi delle dodici tavole si parlava di frode, nel caso di colui che mediante titolo falso fosse pervenuto al possesso di una cosa controversa; ed è creazione romana lo stellionato, così chiamato da stellio "scorpione velenoso", il cui richiamo serviva a caratterizzare appunto la figura del truffatore.
I delitti di frode compresi nel codice penale italiano sono: a) la truffa (art. 640); b) l'insolvenza fraudolenta, nella quale è compreso lo scrocco, ossia il fatto di chi entra in una trattoria, consuma il pasto e non paga (art. 641); c) la fraudolenta distruzione della cosa propria e la fraudolenta mutilazione della propria persona per conseguire il prezzo di un'assicurazione (art. 642); d) la circonvenzione di persone incapaci, mediante abuso dei bisogni, delle passioni, dell'inesperienza dei minorenni, oppure dello stato d'infermità o di deficienza psichica di una persona, anche se non interdetta o inabilitata (art. 643); e) l'usura: è questa una delle più notevoli innovazioni del codice 1930 (art. 644); f) la frode in emigrazione (art. 645); g) l'appropriazione indebita (art. 646); h) l'appropriazione di cose smarrite, del tesoro o di cose avute per errore o caso fortuito (art. 647); i) la ricettazione (art. 648). Il concetto di frode inoltre è insito anche in molti delitti contro l'economia pubblica, l'industria e il commercio (articoli 499-518). Gli articoli 438 segg. si riferiscono ai delitti di comune pericolo (epidemia, avvelenamento di acque o di sostanze alimentari e simili) mediante frode. Debbono pure essere ricordati gli articoli 252 (frode in forniture in tempo di guerra), 356 (frode in pubbliche forniture fuori del caso preveduto dall'articolo precitato), e infine l'articolo 374 e seguenti (frode processuale).
Frode alla legge.
La frode alla legge può distinguersi dagli altri atti nel campo di ciò che viene compiuto in contrasto con la legge, poiché con essa non si agisce contro la legge direttamente, violando cioè una norma giuridica, con la conseguenza - se quest'ultima sia per sua natura inderogabile o, come si dice, di diritto cogente o assoluto - che l'atto sia nullo perché illecito; ma si raggiunge un risultato in contrasto, o in sé stesso o per i mezzi usati, con una norma, imperativa o proibitiva, che non si può dire tuttavia direttamente violata, venendo il contrasto coperto da un raggiro o artificio. Non si può, però, ammettere un concetto autonomo, né parlare di una dottrina della frode alla legge, se la distinzione tra l'agere contra legem e l'agere in fraudem legis si faccia distinguendo violazione diretta e aperta della legge, nel senso di violazione della lettera di questa, e violazione indiretta e larvata, nel senso di violazione dello spirito: se, pur rispettandosene la lettera, viene violato lo spirito della legge, si ha sempre, infatti, un atto contrario alla legge, perché la norma esiste e vale non solo per ciò che dice la lettera di essa, ma per tutto ciò che vi è obiettivamente voluto e che ne costituisce il senso o lo spirito: non l'esteriorità formale, ma il suo contenuto spirituale deve essere preso in considerazione. Muovendosi dalla distinzione ora accennata, non potendosi separare due elementi inscindibili, si arriverebbe alla parificazione tra l'agere contra legem e l'agere in fraudem legis: tale si può dire che sia il punto di vista romanistico, basato sull'antitesi tra verba e sententia. "Contra legem facit, qui id facit quod lex prohibet, in fraudem vero, qui salvis verbis legis sententiam eius circumvenit" (Paolo, Dig., I, 3, De legibus, 29). Con la frode alla legge, pur rispettandosi in apparenza la norma imperativa o proibitiva, se ne elude l'osservanza servendosi di espedienti indiretti; si raggiunge cioè un risultato che sarebbe vietato dalla legge, o si raggiunge un risultato ammesso, ma con mezzi, requisiti, ecc. diversi da quelli stabiliti dalla legge. Intesa la frode alla legge con riguardo ai fini o intenti della legge, la relativa dottrina ha punti di riferimento con la teoria assai più vasta dell'interpretazione della legge, alla quale teoria viene comunemente ricollegata, ma può esserne distinta, se l'interpretazione della legge viene limitata alla determinazione del significato della norma secondo ciò che, potendosi dire insito nel contenuto di essa, si può considerare obiettivamente voluto. La dottrina della flode alla legge resta ai margini della teoria dell'interpretazione e piuttosto fuori del campo proprio di quest'ultima, come gli atti in frode alla legge stanno fuori della sfera degli atti che si possono dire propriamente contrarî a) la legge. La dottrina di cui si parla, più che con la funzione veramente interpretativa, sta in correlazione, si può dire, con lo svolgimento della funzione legislativa e con la bontà delle norme di legge, per esattezza di redazione, precisa coordinazione e conformità alle esigenze sociali: in particolare dovrebbero risultare, quando occorra, gli scopi e i mezzi che il legislatore prescrive o ammette, con esclusione di scopi o mezzi contrarî o diversi. Mentre nella sfera degli atti propriamente contrarî alla legge la nullità deriva dal contrasto obiettivamente esistente e non è da tenersi conto dell'elemento intenzionale da parte dell'agente; negli atti in frode alla legge la frode si deve considerare essenziale e l'elemento intenzionale, col concorso delle circostanze, potrebbe dimostrarla; la nullità dei detti atti potrebbe risultare dalla considerazione che, stabilendosi dalla legge un divieto assoluto, si deve escludere la possibilità che ciò che è assolutamente vietato si possa ottenere o fare altrimenti. Secondo un'autorevole opinione (sostenuta specialmente da N. Coviello) un atto compiuto in frode alla legge, pur avendo indole ed effetti analoghi a quello espressamente vietato, non si potrebbe però ritenere nullo, in mancanza di un'espressa disposizione di legge che commini tale nullità anche per gli atti direttamente non compresi nel divieto, non giovando il brocardo "fraus omnia corrumpit", che sarebbe "inconcludente nella sua vaga generalità". Quanto all'applicazione della dottrina della frode alla legge, sono stati formulati dei tipi fondamentali, in cui si dovrebbero raggruppare i varî casi pratici e che, secondo F. Ferrara sarebbero tre: 1. l'impiego di un negozio diverso o della combinazione di diversi atti giuridici; 2. lo svisamento delle condizioni di fatto; 3. l'interposizione. Ma la giurisprudenza ha fatto nei casi pratici un'applicazione varia della dottrina, senza tener conto sempre di criterî direttivi e spesso riunendo o confondendo atti in frode e atti simulati.
Frode nel commercio.
Il Carrara intitolava frode contro il commercio la rubrica relativa a quelle frodi nelle quali il fatto "è di tale natura da compromettere il pubblico commercio o industria" (Programma, parte spec., par. 3504). Nel cod. penale 1930 la "frode nell'esercizio del commercio" è contemplata dall'art. 515. Si possono distinguere varie specie di frode a seconda che è incriminata in genere la consegna di una qualsiasi cosa difforme o si considera particolarmente la frode nella consegna di cose determinate o si passa a considerare attività precedenti alla consegna, e talvolta anche da essa remote, ma che possono essere intese come preparatorie di una frode.
Dalle frodi in commercio si debbono distinguere da un lato la truffa, dall'altro quei reati che la legge punisce non per tutelare genericamente la regolare esplicazione di un'attività mercantile, ma in considerazione di un particolare interesse. Questo può essere inerente al soggetto a cui è destinata la prestazione: es., frode in forniture in tempo di guerra (art. 252), frode in pubbliche forniture (art. 356); o all'oggetto della prestazione per il danno o il pericolo che può rappresentare per la salute pubblica: es. stupefacenti, sostanze alimentari (v. questa distinzione già in Carrara, op. cit., par. 3503).
L'origine di queste incriminazioni va ricercata negli statuti mercantili, ai quali va attinto anche il concetto della cosiddetta falsificazione delle merci. Essi proibivano di vendere una cosa per un'altra o cosa fatta con un materiale per cosa fatta con materiale diverso, cosa di un'origine per cosa di origine differente; in massima era penalmente sanzionato l'obbligo di vendere una cosa suo nomine, dominando il concetto che non bastasse punire la frode nella consegna ma bisognasse risalire a momenti anteriori riguardanti la produzione e l'acquisto dei materiali, il metodo di lavorazione, fino a punire la semplice detenzione e l'acquisto di merce inferiore o comunque diversa da quella prescritta. A tal fine era coordinato il divieto ai lavoratori di una certa materia di valersi di altre e la distinzione fra lavoratori di vecchio e di nuovo, di una qualità e di un'altra e il divieto ai mercanti di prodotti di una qualità di vendere prodotti di una qualità diversa. Analogamente si preveniva la frode quantitativa, non solo con il reprimere l'inganno comunque operato o tentato al momento della consegna, ma con l'imposizione di metodi particolari di misurazione tali da non prestarsi a frode; ne è esempio la prescrizione di avvalersi di determinate misure fissate per ogni comune e per ogni arte. Con altre disposizioni s'imponevano cautele contro la frode nel peso e nella misura degli oggetti che si vendevano a "corpo", anche qui risalendo a momenti anteriori alla consegna. Tipici della disciplina corporativa erano il marchio obbligatorio, da porsi da parte dello stesso artefice e diretto essenzialmente all'identificazione del responsabile di una "falsità nella produzione", e il marchio apposto dai controllori, che costituiva una garanzia di prodotto regolare. Con la rivoluzione francese e l'abolizione delle corporazioni vennero abolite le incriminazioni che non riguardavano il danno di un compratore individuale e si può dire che la categoria dei reati di frode in commercio scomparve, riassorbita negli ordinarî reati contro la proprietà. Però a poco a poco si vanno riaffermando le tendenze del diritto corporativo sia nel loro indirizzo generale di repressione di momenti anteriori alla consegna, sia nelle modalità di una tale repressione.
Nel moderno diritto italiano un tale indirizzo si è andato negli ultimi anni sempre più accentuando e si può dire che non vi è esempio di metodo adottato dagli statuti mercantili, che non abbia la sua rispondenza nel diritto vigente, il quale, d'altronde, si è orientato alla repressione di talune attività precisamente sotto l'assillo dei produttori e commercianti interessati. Si è pure affermata la tendenza a completare le disposizioni penali con disposizioni di carattere disciplinare, rendendo per taluni prodotti così minuziose le prescrizioni che esse si possono considerare piuttosto come intese a garantire l'osservanza di certi metodi di produzione ritenuti preferibili, che non a prevenire la frode, la quale non sarebbe necessariamente insita in una diversa produzione. Talune delle disposizioni che originariamente si ricollegano a questa finalità hanno assunto in processo di tempo fisionomia autonoma: tali sono l'uso e la detenzione di misure o pesi con falsa impronta (art. 472), la contraffazione di marchi, l'importazione e il commercio di prodotti con segni falsi (articoli 473, 474). Questi reati nel codice 1930 fanno parte dei delitti contro la fede pubblica, mentre ancora nel codice del 1889 si consideravano frodi in commercio. Resta repressa come una forma di frode in commercio, la "vendita di prodotti industriali con segni mendaci" che è costituita dalla messa in circolazione o dalla vendita di opere dell'ingegno o prodotti industriali con nomi, marchi o segni distintivi nazionali o esteri atti a indurre in inganno il compratore sull'origine o qualità dell'opera o del prodotto indipendentemente dall'osservanza delle leggi interne o delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale (art. 517). Carattere di reato autonomo di falso, ma coordinato alla repressione della frode, hanno la falsificazione del marchio di saggio dei metalli preziosi (legge 2 giugno 1872, n. 806), del marchio di prova delle armi da fuoco (r. decr. legge 30 dicembre 1923, n. 3152), del marchio nazionale di prodotti agricoli diretti all'estero (legge 3 giugno 1927, n. 1272, integrato con varie altre disposizioni; r. decr. legge 12 agosto 1927, n. 1756; r. decr. legge 8 gennaio 1928, n. 486) e quello imposto dall'art. 6 della legge 11 gennaio 1930, n. 62, e dall'art. 20 r. decr. legge 20 novembre 1930, n. 1836, per la difesa dei vini tipici italiani.
Per la frode alla legge, v.: P. Cogliolo, In fraudem legis, in Scritti varii di diritto privato, II, p. 44; N. Coviello, Manuale di diritto civile italiano, I, Parte generale, 4ª ed., Milano 1929, par. 131, p. 417 segg.; F. Ferrara, Della simulazione dei negozi giuridici, 3ª ed., Milano 1909, cap. 1°, n. 6, p. 66 segg.; G. Messina, Sulla frode alla legge nel negozio giuridico di diritto privato, in Il Circolo giuridico, XXXVIII (1907), pp. 93 segg., 201 segg. e 237 segg.; G. Moscato, La frode alla legge e i suoi effetti, in La legge, L (1910), p. 243, n. 21 (nota a sentenza); G. Pacchioni, Sull'"in fraudem legis agere", in Rivs. del dir. commerciale, 1911, II, p. 332 segg.; G. Rotondi, Gli atti in frode alla legge, Torino 1911; id., Ancora sulla genesi della teoria della "fraus legi", in Bull. dell'Ist. di dir. romano, XXV (1913), p. 221 segg. e in Scritti giuridici, III, p. 9 segg.; H. Lewald, in Zeitschrift der Savigny Stiftung für Rechtsgesch. (Rom. Abt.), XXXIII (1912), pp. 586-595. - Per la frode in commercio, v. N. Levi, Frode in commercio, Torino 1925; id., I reati del capo V titolo VI del codice penale nelle disposizioni corrispondenti del progetto, Cagliari 1929; G. Escobedo, Ancora sul criterio distintivo ecc., in Giust. penale, 1928, p. 1292; D. Rende, Intorno all'inganno ecc., in Foro it., II (1930), p. 157; G. Marciano, Frode al commercio, in Riv. it. di dir. pen., 1931; S. R. Mangini, Sull'inganno ecc., in Annali di dir. e proc. pen., 1932.