Fröken Julie
(Svezia 1951, La notte del piacere, bianco e nero, 92m); regia: Alf Sjöberg; produzione: Sandrew; soggetto: dall'omonimo testo teatrale di August Strindberg; sceneggiatura: Alf Sjöberg; fotografia: Göran Strindberg; montaggio: Lennart Wallen; scenografia: Bibi Lindström; musica: Dag Viren.
La signorina Julie, figlia del conte Carl, durante una festa del solstizio d'estate seduce Jean, un cocchiere al servizio del padre, e gli si concede. I due si scambiano il racconto della propria infanzia: Jean ha sempre ammirato da lontano la 'padroncina' e, quando un giorno si avvicinò troppo per vederla, il padre lo punì crudelmente. L'infanzia di Julie è stata invece segnata dalla presenza anticonformista della madre, che rifiutò di sposare il conte ed educò la figlia come un maschietto. I due amanti progettano di fuggire in Svizzera. Julie immagina che il padre, appresa la notizia, si suiciderà. Un alterco con Jean la convince dell'inutilità dei suoi progetti. Di nuovo sola, la ragazza pone fine alle sue pene recidendosi la gola con un rasoio.
Alf Sjöberg firma con Fröken Julie il suo film più importante, riuscendo a cogliere il nocciolo essenziale del dramma di Strindberg: quel furore schizofrenico che porta i protagonisti a cercare la gioia di vivere nelle lotte violente e crudeli, le uniche che possano dare la certezza di imparare qualcosa della vita. Il quadro dell'azione è contrassegnato dalla natura estiva e dall'eleganza tutta esteriore della borghesia, ma è proprio da queste apparenze idilliache che si sprigionano le tensioni oscure che attraversano la vicenda, i conflitti di classe, la lotta fra i sessi. Così, la natura bucolica è impregnata di forza erotizzante e accoglie le immagini sadomasochistiche che si consumano nel film, mentre gli ambienti della borghesia si rivelano in fin dei conti estranei alla verità del mondo. Questo attacco, amaro e violento, contro la società classista e le umiliazioni da essa inflitte ai soggetti più umili trova il proprio centro propulsore nella figura di Jean, il 'figlio della serva'.
Per mettere in scena il rapporto di amore e odio tra la 'castellana' Julie e il 'valletto' Jean, Strindberg aveva rispettato le unità classiche di tempo e luogo: nel dramma, gli avvenimenti vengono mostrati nella loro durata reale e si situano nella cucina del castello. Sjöberg adatta il testo scegliendo una soluzione formale che farà scuola, citata a lungo nei manuali sul linguaggio del cinema. I flashback che accompagnano le relazioni fra Julie e Jean, ma anche le ipotesi future che porteranno al culmine drammatico, sono rappresentati sullo stesso livello di realtà. Presente, passato e futuro trovano posto contemporaneamente all'interno della stessa inquadratura: per esempio, possiamo vedere in primo piano Julie adulta e sullo sfondo la sua figura da bambina.
Per trovare una rappresentazione soggettiva del tempo altrettanto efficace, ma condotta con soluzioni differenti, bisognerà attendere Smultronstället di Ingmar Bergman. Del resto, sia Bergman che Sjöberg erano uomini di teatro importanti: tra i due, tuttavia, è forse Sjöberg il più notevole. I suoi film spesso possono appari-re appesantiti dal fardello della 'teatralità', eppure egli riesce a far diventare questa eredità proficua ed efficace, soprattutto grazie allo spessore 'documentario' che sa imprimere agli aspetti a prima vista più logori dell'apparato scenico. Il suo sguardo coglie così le verità nascoste sotto il vecchio bagaglio dello spazio teatrale. Occorre soprattutto rimarcare il prezioso lavoro sui volti degli attori: il rischio di cadere nel gioco recitativo manierato viene spazzato via dalla maestria con cui Sjöberg fa sprigionare da essi una forza espressiva vivissima. Nelle loro battaglie violente e crudeli, Anita Björk e Ulf Palme sono indimenticabili.
I film di Sjöberg appaiono spesso strettamente legati alla loro epoca, anche nel caso in cui, come in Fröken Julie, l'ambientazione è ottocentesca. In particolare, qui ritroviamo motivi di somiglianza con molto cinema svedese coevo: la vita mostrata come una prigione da cui l'uomo dubita di riuscire a liberarsi, l'avvilimento, l'impotenza a risolvere le proprie contraddizioni, l'idea che le possibilità di salvezza siano mere illusioni, l'angoscia e la seduzione del suicidio. La morte, in questo panorama, non è una presenza del tutto funerea, ma anche una forza liberatrice.
Fröken Julie è uno dei più grandi film sull'estate scandinava, un esperimento importante sulla dimensione cinematografica del tempo (dove il passato è una sorta di intrigo poliziesco) e sull'analisi dello spazio (una struttura a scatole cinesi); getta inoltre una nuova prospettiva sulle tematiche di classe all'opera in Strindberg, grazie all'innovativo utilizzo drammatico dei mezzi cinematografici. Emerge anche una prospettiva freudiana importante, messa a nudo in modo esemplare nell'abbagliante scena in cui il padre giace a terra morto, la cinepresa sale e Giulia, "donna che si risveglia dal sogno ed è incapace di sopportare la realtà" (Sjöberg), incrocia lo sguardo del ritratto della madre. Come se la vita della figlia fosse stato l'oggetto della manipolazione materna, lo strumento di una vendetta dall'oltretomba. Il film vinse la Palma d'oro a Cannes, ex aequo con Miracolo a Milano di Vittorio De Sica.
Interpreti e personaggi: Anita Björk (Julie), Ulf Palme (Jean), Märta Dorff (Kristin), Anders Henrikson (conte Carl, padre di Julie), Lissi Alandh (contessa Berta, madre di Julie), Inger Norberg (Julie da piccola), Jan Hagerman (Jean da piccolo), Inga Gill (Viola), Åke Fridell (Robert), Margaretha Krook (governante), Max von Sydow (stalliere).
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