FRONTALITÀ
Nella scultura a tutto tondo presso le antiche civiltà del bacino del Mediterraneo (arte mesopotamica, egiziana, assira, greca del periodo arcaico e loro zone d'influenza), si nota la tendenza, sorta nel disegno ed estesa al bassorilievo, di rappresentare la figura umana in modo che l'immagine aderisca a due ideali piani paralleli, uno posto dietro e uno posto dinanzi alla figura, in modo che ogni parte della figura sia contenuta tra questi due piani. Si può definire, anche, la f. come la "legge del piano mediano", cioè dell'aderenza della immagine a un piano che la attraversi verticalmente. Ciò esclude ogni veduta di scorcio, anche per una singola parte della figura; manca, cioè, accanto alle dimensioni di altezza e larghezza, la rappresentazione della terza dimensione, la profondità. Nella statua, il volume di massa è ottenuto giustapponendo quattro visioni piane, una per lato, concepite ognuna isolatamente. (La dimostrazione più evidente di tale principio si ha nelle grandi figure di tori alati androcefali dell'arte assira che, veduti di fronte, mostrano le due gambe davanti, in posizione ferma, parallele tra loro, mentre nella veduta laterale è aggiunta una quinta gamba per dare alla figura un movimento di marcia). La statua ha quindi una veduta predeterminata, che esclude ogni veduta obliqua; se si vuole intendere ciò che l'artista si era proposto, occorre ricostruire quale fosse la veduta principale, nella quale l'immagine doveva esser vista e che, per l'artista arcaico, era l'unica veramente valida (errate, pertanto, le riprese fotografiche di statue arcaiche in vedute oblique, di tre quarti). Di conseguenza la figura nella statuaria viene ad assumere una posizione rigida, con un asse verticale che la divide in due parti sostanzialmente simmetriche, e una presentazione di pieno prospetto. In questo modo di rappresentare, il danese Lange (v. oltre) ritenne di trovare espressa una "legge della f." diffusa in tutte le civiltà artistiche "primitive". Come conseguenza di essa, la figura rappresentata non segue gli effetti della gravità, né i nessi anatomici esistenti nella realtà: le figure in moto sono rappresentate nel bassorilievo o nel disegno con le gambe e la testa di profilo, il torace di prospetto; nella faccia di profilo gli occhi sono raffigurati di pieno prospetto; ecc. Viene pertanto a mancare la immersione della figura nello spazio.
La f. corrisponde senza dubbio a una concezione primitiva della rappresentazione e dei rapporti spaziali, sorta dalla addizione di elementi figurativi non controllati sulla realtà, ma espressi seguendo immagini mnemoniche (Loewy, v. oltre), le quali danno sempre l'oggetto nella sua forma più caratteristica e nella sua piena visibilità. Una tale rappresentazione si può, anche sperimentalmente, riconoscere di più facile "lettura", cioè comprensione, per una mentalità primitiva, in accordo anche con i propositi essenzialmente narrativi che sono spontanei nell'arte popolare. Ma le "leggi della f." divennero una convenzione stilistica, ben presto raffinata, attraverso le quali si espressero artisti di altissima qualità. Nell'arte greca, durante tutto il periodo arcaico (650-480 a. C.) affiora dovunque la tendenza a superare tale convenzione, a variare il rapporto fra i piani che costituiscono la figura in modo da infonderle vita e con essa la tendenza verso il realismo. Tale tendenza supererà definitivamente la f. attorno al 450 a. C. con la scoperta delle leggi dello scorcio e della prospettiva (v.), che l'arte greca fu la prima a realizzare in modo autonomo nell'ambito delle civiltà occidentali, influenzando poi in vario modo anche le arti dell'Oriente sino all'India (l'arte cinese è l'unica che segue una via propria nella sua precoce conquista della spazialità).
Attraverso le sottili corrispondenze di movimenti plastici, che culmineranno con la "quadratura" del canone di Policleto (v. quadratus), la f. viene superata nella scultura antica classica. La storiografia artistica di origine neoclassica dava a questo superamento il valore di un progresso qualitativo e considerava la f. come una limitazione alla piena espressione artistica, dovuta a inesperienza e impotenza. Più storicisticamente la f. è da considerarsi come un modo stilistico che esprime già di per sé compiutamente un contenuto, diverso da quello che si esprime col realismo naturalistico.
Infatti, la f. che era rimasta in larghe sfere periferiche al mondo classico e nelle correnti artistiche popolari, ritorna a valere come modo espressivo nel passaggio dall'arte dell'antichità all'arte medievale ed ha la sua compiuta espressione nell'immagine di rappresentanza delle figure imperiali della tarda romanità (rilievi con l'Oratio e la Liberalitas di Costantino sull'arco onorario del 315) e poi nell'arte bizantina (mosaici coi personaggi imperiali a S. Vitale di Ravenna, v.) in connessione col concetto della "divina maiestas" dell'imperatore. La terminologia e lo schema iconografico della "maestà" passerà poi nell'arte medievale, continuando sino alle sue ultime espressioni (per es. "Maestà" della Madonna, di Duccio di Buoninsegna, 1311). La disposizione frontale nell'arte paleocristiana (iconografia dell'Orante, del Buon Pastore, ecc.) sopprimendo de terminazioni spaziali naturalistiche, afferma la visione trascendente, allo stesso modo che mediante la f. la statua di culto orientale o greca arcaica si poneva in diretto contatto con lo spettatore, non potendosi concepire immagine di culto religioso impegnata in azione "di genere" e rinunziante a porsi in comunione col fedele mediante la demonicità (potere magico) dello sguardo. La f. è dunque espressione coerente di un determinato contenuto; essa ritorna ogni qualvolta, con la rinunzia alla determinazione spaziale realistica, l'arte tende ad esprimere essenzialmente contenuti trascendentali, legati a un culto religioso o a una ideologia basata su valori extra-umani.
Storia della critica. - (Per le citazioni v. la Bibliografia). Il danese Julius Lange osservò per il primo (1892), con impostazione positivistica, questo particolare aspetto dell'arte greca arcaica e ritenne di poter indicare le "leggi della frontalità". I suoi studî ebbero risonanza a partire dalla traduzione tedesca (1899) e quasi contemporaneamente Emanuel Loewy si occupò dello stesso problema, inserendo nella sistematica del Lange alcune valide osservazioni psicologiche sulla formazione delle immagini mnemoniche che l'artista primitivo riproduce. Le sue ricerche vennero continuate ed estese oltre la cerchia greca dal Della Seta. La concezione positivistica che scorgeva nella f. un mero aspetto tecnico pervade ancora l'opera di W. Déonna sulla statuaria arcaica (1930-31). La sua estensione del concetto di f. all'arte tardo-antica e medievale venne seguita su piano idealistico da E. Buschor, senza che fosse avvertito ciò che vi è di formalmente comune e ciò che vi è di profondamente diverso, come contenuto, tra le due manifestazioni. Il problema avanzato dal Lange fu ripreso da J. Capart e dal De Morant che osservarono le frequenti deviazioni dalle presunte "leggi" della frontalità. Tali osservazioni vennero ampliate e raflinate da G. Rodenwaldt e G. v. Kaschnitz, avviando una più adeguata interpretazione e valutazione della espressione stiiistica.
Bibl.: J. Lange, Billedkunstens Fremstilling af Menneskeskikkelsen, negli Atti dell'Accademia Danese, Copenaghen 1892 e 1898; id., Die Darstellung d. Menschen i. d. älteren griech. Kunst, Strasburgo 1899; E. Loewy, Die Naturwiedergabe i. d. älteren griech. Kunst, Roma 1900; (v. anche Letture di Archeologia, in La Critica d'Arte, VII, 1942, pp. 56 ss., 121 ss.); A. Della Seta, La genesi dello scorcio nell'arte greca, in Mem. Acc. Lincei, S. V, XII, Roma 1906, p. 121 ss.: W. Déonna, Dédale, I, Parigi 1930, pp. 175, 201 e passim; II, 1931, p. 240, 424 e passim (v. indice); id., in Genava, X, 1932, p. 104 ss.; R. Bianchi Bandinelli, Charles Baudelaire o Julius Lange?, in La Critica d'Arte, 1937 (= Storicità dell'arte classica, Firenze 1943, p. 254 ss.); E. Buschor, Vom Sinn d. Griech. Standbilder, Berlino 1940 (e discussione in La Critica d'Arte, VII, 1942, p. XX ss.); J. Capart, in Monum. Piot, XXVI, 1932, pp. 47 ss.; H. De Morant, in Bull. Fondation égyptolog. R. Elisabeth, XVIII, 1934, p. 207 ss.; Ch. Picard, Manuel d'Arch. grecque, La Sculpture, I, Parigi 1935, pp. 238, 590 e passim; G. Rodenwaldt, Metope aus Mykenai, in Corolla Curtius, Stoccarda 1937, p. 63 ss.; id., Korkyra, II, Berlino 1939, p. 20 ss.; G. v. Kaschnitz Weinberg, Die ungleichen Zwillinge, in Stud. to D. M. Robinson, I, Saint Louis 1953, p. 535 ss.; G. M. A. Richter, Greek Art, a Handbook, Londra 1959, p. 48 ss.