LAPINI, Frosino (Eufrosino, Eufrosio)
Nacque a Firenze da Francesco intorno al 1520; fu sacerdote ed esercitò la professione di precettore (tra i suoi allievi vi furono Giorgio Bartoli, Lorenzo Giacomini e Filippo Sassetti).
Sono assai scarse le notizie su di lui, legate quasi esclusivamente all'attività letteraria nel quadro della cultura ufficiale medicea intorno alla metà del Cinquecento. La sua produzione, piuttosto cospicua, si sviluppa principalmente in tre direzioni: l'attività di volgarizzatore e di curatore editoriale di testi classici e contemporanei; la codificazione retorico-grammaticale; la riflessione pedagogica. Nel 1554 pubblicò a Firenze, per L. Torrentino, una versione dell'Expositiosingularis in Orationem Dominicam di Giovanni Pico della Mirandola, in appendice all'edizione di due opuscoli erasmiani approntata da L. Domenichi: Il paragone della vergine et del martire, e una oratione a Giesù Christo… Con una dichiaratione sopra il Pater nostro del s. Giovanni Pico della Mirandola. Nel 1556 uscì presso i Giunti (stampatori di cui il L. fu, con ogni probabilità, consulente per diversi anni), la sua versione di un opuscolo attribuito ad Alberto Magno (Opera spirituale… intitolata Paradiso dell'anima). Nel 1562 Torrentino diede fuori un'Esposizione non meno utile che dotta sopra l'orazione del Signore tratta dal concilio Coloniese e un Discorso sopra l'orazione, e modo di orare a Dio secondo la dottrina de' dottori sagri et catolici, nelle cui premesse il L. rivendica, insieme con una sostanziale libertà versoria - i testi sono resi "a modo di parafrasi" (Esposizione, c. 5v) - intenti risolutamente divulgativi a vantaggio dei lettori "che della lingua latina non hanno cognizione" (Discorso, c. 6v).
Nel 1568 pubblicò per Sermartelli il volgarizzamento di un'opera devozionale del camaldolese Agostino Fortunio: La vita, et i miracoli de' gloriosi confessori di Christo s. Giusto, et s. Clemente. Nella quale vengano raccontate la vita, et il martirio di s. Regolo arcivescovo. La vita di s. Ottaviano confessore. Et in parte la vita, e martirio di s. Romolo vescovo, e de' suoi compagni. L'inventione de' corpi di s. Attinea, e Greciniana martiri…, che il L. dice di aver realizzato - dietro espressa richiesta dell'autore, suo amico - nei ritagli di tempo lasciatigli dalle opere grammaticali, sua principale preoccupazione. Fra gli autori tradotti dal L. è da annoverare un grande classico greco: solo nel 1611 a Firenze uscirono infatti postumi Due discorsi d'Isocrate filosofo. Il primo dell'onesta vita, il secondo del governo de'… regni, traslatati dal Lapino, ridotti a pia traslazione e dati in luce da Francesco Favilla.
Le versioni dell'Ad Demonicum e dell'Ad Nicoclem, realizzate dal L. già nel 1553, erano rimaste inedite; ed è interessante notare come il curatore secentesco senta la necessità di ridurre l'opera "a miglior forma […] ma non interamente come lui la compose, essendo questi tempi da quelli molto diversi" (Gualdo Rosa, p. 81); di qui la scelta di rivendicare il lavoro di correzione nei termini di una "pia traslazione", circostanza che dimostra quanto fossero cogenti i vincoli della censura anche su testi lontani da interessi religiosi. In ogni caso, l'aspetto principale dell'operazione del L. sembra essere non quello filologico, ma quello divulgativo-pedagogico: le due traduzioni sono dedicate a due giovani tedeschi, rispettivamente Girolamo Graphter e Cristoforo Schön, di Augusta, "perché vi imparassero la lingua italiana (anzi toscana)" (ibid., p. 64).
Accanto ai volgarizzamenti, il L. curò la pubblicazione di due opere latine: i Colloquia di Juan Luis Vives, presso i Giunti nel 1568, e i Libri duo solutionum ad contradictiones in dictis Aristotelis et divi Thomae Aquinatis doctoris eximii del carmelitano mantovano Giovanni Paolo Donati, per Torrentino l'anno successivo.
L'edizione dell'opera di Vives (Colloquia alioqui linguae Latinae exercitatio) si presenta come un'impresa piuttosto ambiziosa; il L. non solo emenda massicciamente il testo "ex optimorum codicum collatione", ma aggiunge anche, oltre ai più o meno consueti strumenti previsti dalla pratica editoriale contemporanea ("difficilium locorum explicationes" in volgare, indice degli autori e dei loci citati ecc.), un cospicuo corredo di brevi testi didattici originali che rende ancor più netta la destinazione pedagogica dell'opera dell'umanista spagnolo: Colloquia, et exercitationes ad copia verborum (pp. 153-186), un formulario di Elegantiae "quibus in convictu familiari cotidie utimur" (pp. 202-229), una Paraenesis… habita ad condiscipulos (già apparsa autonomamente con il titolo Paraenesis ad discipulos nomine Francisci Lenzoni, ab eoque acta etc., Bologna, A. Giaccarelli, 1555, con una dedicatoria al giovane Antonio Graphter di Augusta), una De ratione rerum explicatio (pp. 240-254) e un florilegio di Diversorum poetarum carmina (pp. 230-239). I Colloquia lapiniani si configurano come un corpus parallelo, prevalentemente dialogico, che integra nel volume quello di Vives, sul cui modello sono confezionati: De ingrati animi vitio; Deinstitutionibus oratoriisQuinctiliani; De aetatibus mundi, et Imperiis: quot monarchiae fuerint; De Romanorum monarchia; De laudibus Ciceronis, et librorum ipsius de officiis.
La forma data dal L. ai dialoghi vivesiani riscosse una certa fortuna: il volume fu ristampato dai Giunti già nel 1580 e fino ai primi del Seicento uscirono diverse edizioni dell'opera, che inclusero pure l'opuscolo del L. De ratione dierum e il suo indice latino-volgare.
Il L. fu curatore anche di testi volgari: nel 1560, presso i Giunti, uscì con sua prefazione la princeps del Furto, commedia di Francesco D'Ambra (morto due anni prima), rappresentata in tre occasioni a Firenze (anche dinanzi a Cosimo I de' Medici) già sul finire del 1544, e che a partire dall'edizione lapiniana ebbe una notevole fortuna, con sette ristampe fino al 1596. Nel 1564 il L. curò la pubblicazione (per B. Sermartelli, ma "a stanza delli eredi di Bernardo Giunti") anche della seconda commedia di D'Ambra, i Bernardi (rappresentata a Firenze fra il 1547 e il 1548).
La dedicatoria del Furto, prodiga di informazioni sugli allestimenti pubblici della commedia e sulle vicende che portarono alla sua pubblicazione, è eloquente circa il ruolo che il L. svolse, insieme con altri membri dell'Accademia Fiorentina (di cui D'Ambra era stato console nel 1549), nella politica culturale medicea. La dedicatoria dei Bernardi, invece, se da un lato rimanda a quella dimensione festiva, ufficiale e propagandistica, dall'altro giustifica il testo attraverso alcune argomentazioni estetiche piuttosto convenzionali, incentrate sulla funzione edificante della mimesi comica, elemento che i commediografi toscani avrebbero ereditato in linea diretta dalla commedia antica.
Al L. si deve il primo indice tematico del Galateo di Giovanni Della Casa, comparso per la prima volta in un'edizione giuntina del 1571 e destinato a offrire - soprattutto a partire dalla pubblicazione, nel 1572, di una fortunata raccolta di Rime et prose casiane (più volte ristampata, sempre dai Giunti) - un corredo indispensabile ai fini di una consultazione pratica del trattatello.
La parte più cospicua della produzione del L. è tuttavia costituita dalle opere di carattere retorico-grammaticale: nel 1560 uscì, con l'approvazione dei censori dell'Accademia Fiorentina, Institutiones Graecae ad Philippum Machiavellum (L. Torrentino); nel 1561 il De octo partibus orationis et earum constructione libellus (B. Sermartelli); nel 1569 Institutionum Florentinae linguae libri duo (Giunti; poi ibid., 1574, 1598), dedicati a Giovanna d'Asburgo, consorte di Francesco I de' Medici ed espressamente concepiti per facilitare l'apprendimento dell'italiano ai discenti stranieri, come spiega la dedicatoria, che estende l'omaggio a due giovani studenti tedeschi appartenenti all'entourage cortigiano della principessa. Fra il 1569 e il 1570 il L. diede infine alle stampe di Sermartelli le Latinae institutiones in due parti (Departibus orationis e De constructione).
Nel 1556 a Bologna, presso A. Giaccarelli, uscirono le Lettere toscanedivise in quattrolibri, che danno un'idea precisa della fisionomia culturale del L., tra la vocazione didascalico-pedagogica e ambizioni da filosofo morale.
L'opera risente vistosamente del grande modello costituito dal Galateo; la dedicatoria la presenta, infatti, come una raccolta di lettere realmente spedite ad alcuni discepoli, che l'autore decide di pubblicare per evitare che vengano "lacerate" o "in altra maniera trascritte". Tutte le lettere sono datate Firenze o Bologna in un periodo tra il 1553 e il 1556. La convenzione adottata consente al L. di calare all'interno di forme epistolari "famigliari" molto fluide i contenuti di una institutio che, al di là dell'apparente disomogeneità, risulta in realtà piuttosto ambiziosa. Si va infatti dai temi morali di carattere generale del primo libro (Del bene e sua natura, Della virtù, ecc.) ad argomenti più specificamente pedagogici, passando per una serie di temi obbligati della trattatistica istitutoria rinascimentale, tra cui il "reggimento del principe" (l. I, pp. 81 s.), la "conditione del servente" (l. II, pp. 150 s.), la "forza dell'onore" (l. III, pp. 160 s.), l'amicizia (pp. 201 s.). Un rilievo particolare assumono, tra il III e il IV libro, i problemi inerenti al disciplinamento linguistico (Del frenar la lingua, pp. 197 s.; Della lingua, pp. 213 s.).
Il L. compilò anche una Vita di Francesco Cattani da Diacceto senior, stampata a Basilea nel 1563 con dedica al cardinale Bernardo Salviati, a mo' di introduzione all'Opera omnia del filosofo fiorentino.
Attraversata da un'intonazione decisamente nostalgica - specie nella rievocazione di una stagione particolarmente vitale nella storia culturale di Firenze (le riunioni accademiche degli Orti Oricellari) - questa biografia umanistica non solo dipende ampiamente da quella che Benedetto Varchi aveva pubblicato nell'edizione dei Tre libri d'amore di Cattani (Venezia, G. Giolito, 1561), ma appare anche, in definitiva, meno affidabile di quest'ultima.
Nel 1567, a Firenze (rispettivamente presso i Giunti e presso V. Panizza e c.), uscirono altri due opuscoli del L.: le Stanze dell'ufficio, e degnità dell'uomo e una Lezione nella quale si ragiona in universale del fine della poesia sopra il sonetto di m. Francesco Petrarca "Lasciato hai morte senza sole il mondo". Letta privatamente nella Academia Fiorentina nel consolato del magnifico m. Iacopo Pitti etc., dedicata all'arcivescovo di Firenze Antonio Altoviti (poi in Prose fiorentine raccolte dallo Smarrito Accademico della Crusca [Carlo Dati], Tomo terzocontenente lezioni, II, 1, Venezia 1735; l'opuscolo originale contiene anche un'Orazione del L. "all'Accademici Fiorentini nella nuova lettura delle private lezioni riordinata dal Magnifico M. Iacopo Pitti nel suo consolato").
Le Stanze, dedicate a Raffaello de' Medici, si inseriscono nella tradizione pichiana dell'esaltazione della dignità umana, e costituiscono il più significativo documento dell'attività dell'Accademia dei Lucidi, fondata nel 1560 dal L. "con l'aiuto e favore d'alcuni nobilissimi giovani suoi creati". Nella dedicatoria il L. spiega che l'opera rappresenta il suo personale contributo a uno scambio poetico avuto con Filippo Nerli "primo consolo" della neonata accademia e con Alessandro Cerchi, "consolo secondo", ambedue ligi alla principale regola del cenacolo, "che mai dovesse passare lo intervallo d'uno mese, che ciascheduno academico non avesse presentato […] qualche sua composizione" (c. 2r). Le Stanze si articolano in due serie: la prima si finge cantata "da Orfeo alli Academici Lucidi" in lode di Nerli, la seconda "da Apollo in onore del consolato di m. Alessandro Cerchi"; nel volume figura inoltre una coppia di sonetti responsivi di Benedetto Varchi ad altrettanti del Lapini. Dei Lucidi fecero parte anche altri giovani promesse della cultura fiorentina, tra i quali Lorenzo Giacomini, lodato da Varchi come esemplare discepolo del Lapini. La lezione accademica sul sonetto petrarchesco non affronta direttamente l'analisi del testo, il quale diventa occasione per un discorso di carattere generale, che non è tanto quello indicato nel frontespizio (il "fine della poesia"), quanto quello, più spinoso, dell'immoralità dei poeti, del "parlare osceno" e del "maldire". In questa prospettiva vengono allegati e discussi luoghi aristotelici, platonici, catulliani, oraziani e ovidiani, paolini e agostiniani; il bersaglio polemico esplicito è rappresentato da quegli autori "che pensano che il fine della poesia sia il diletto e non l'utile" (c. 16r), e in particolare da quelli che ispirano comportamenti peccaminosi a lettori sprovveduti come Paolo e Francesca, indotti all'adulterio dall'"imitazione" di personaggi fittizi (cc. 14v-15r). L'accento cade apoditticamente sul principio dell'edificazione morale, con una severità da "Christian apologist" (Weinberg, p. 295), che tuttavia non inibisce né un disinvolto sincretismo filosofico né la possibilità di un'originale rilettura di alcuni temi del neoplatonismo fiorentino.
Intorno al 1569 il L. si cimentò con l'agiografia: in quell'anno uscì una sua Vita premessa allo Specchio di conscienza. Opera di s. Antonino arcivescovo di Fiorenza. Utilissima a ogni fidel christiano, e particolarmente a ogni curato (Firenze, B. Sermartelli). Nel 1571 scrisse la sua opera più originale: l'Anassarcho. Overo trattato de' costumi, e modi che si debbono tenere, o schifare nel dare opera agli studij. Discorso utilissimo ad ogni virtuoso, e nobile scolare (ibid.).
Anche l'Anassarcho si inscrive nella tradizione dellacasiana, come si evince chiaramente dalla formula utilizzata nel frontespizio; ma dellacasiana è pure la soluzione enunciativa adottata, dal momento che l'intera trattazione presuppone la presenza di un destinatario non fittizio, il conte Teodoro de' Bardi di Vernio. Ma al di là di questa vistosa ascendenza, è interessante notare come già nel 1579 Orazio Lombardelli inserisca questo trattatello accanto a trattati d'institutio "totale", come il Cortegiano di Castiglione e l'Avviso dei favoriti di Antonio de Guevara, testi che "insegnano" non solo "le buone creanze", ma anche "dell'altre cose" (Degli ufizii e costumi de' giovani libri IIII, Firenze 1579, p. 90), individuando così una categoria più ambiziosamente pedagogica. Il titolo è un'invenzione etimologica del L., che nella dedicatoria spiega di avere inteso insegnare al suo lettore "a farsi principe, e signore di se stesso, et impadronirsi dell'imperio dei suoi affetti" (cc. 2v-3r). L'Anassarcho è suddiviso in quattro trattati: il primo è una "Breve instituzione del giovane nato nobile, o che nobilmente dee essere ammaestrato nelle lettere"; il secondo offre una sintetica ratio studiorum ("l'ammaestramento del modo che si debbe tenere dagli studenti per venire al desiderato fine"); nel terzo "s'insegna come si debba frenare la lingua, e si mostrano i beni et i mali che sono cagionati da quella"; il quarto altro non è che la Lezione petrarchesca del 1567, di cui viene esplicitato il contenuto morale ("si ragiona in universale del fine della poesia, e del utile e danno, che si può trarre dalla lezione de' poeti").
Al catalogo delle opere del L. vanno aggiunti: una Laudatio della famiglia fiorentina degli Acciaiuoli, di cui dà notizia F. Inghirami; una raccolta di detti memorabili a uso didattico, redatta nel 1559 e rimasta manoscritta (Adagia Graeca et plurium philosophorum apophtegmata: Firenze, Biblioteca Riccardiana, Ricc., 1139, cc. 132-163); due componimenti latini in esametri nelle Poesie di diversi autori latine e volgari, fatte nella morte di Michel'Agnolo Buonarroti. Raccolte per Domenico Legati (Firenze, B. Sermartelli, 1564, c. 15).
Dei due testi in latino, il primo (Ducere qui potuit vivos de marmore vultus) circolò prima della stampa, come attesta una contemporanea lettera, di autore e destinatario sconosciuti, sulle esequie di Buonarroti (Firenze, Biblioteca nazionale, Magl., XXXVIII.115, cc. 125r-126v; in The divine Michelangelo. The Florentine Academy's homage on his death. A facsimile edition of "Esequie del divino Michelagnolo Buonarroti", Florence 1564, a cura di R. Wittkower - M. Wittkower, London 1964, pp. 144-147).
Un codice del XV secolo di proprietà del L., contenente scritti di natura grammaticale, è conservato presso la Biblioteca nazionale Marciana di Venezia: Mss. lat., cl. XIII, 114 (=4479).
Il L. morì a Firenze il 30 nov. 1571 e fu sepolto nella chiesa di S. Iacopo sopr'Arno.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Ufficiali della Grascia, Morti, c. 133v; Londra, British Library, Mss., 10277, cc. 73-74 (lettera del L. a P. Vettori); G. Bartoli, Lettere a Lorenzo Giacomini, a cura di A. Siekiera, Firenze 1997, pp. 87, 310 s.; S. Salvini, Fasti consolari dell'Accademia Fiorentina, Firenze 1717, pp. 135, 196, 260, 264 e passim; G. Negri, Istoria degli scrittori fiorentini, Ferrara 1722, p. 228; F. Inghirami, Storia della Toscana, XIII, 2, Fiesole 1844, p. 252; G. Vitelli, Indice de' codici greci Riccardiani, Magliabechiani e Marucelliani, in Studi italiani di filologia classica, II (1894), pp. 510, 539 s.; M. Maylender, Storia delle accademie d'Italia, IV, Bologna-Rocca San Casciano 1929, pp. 10 s.; B. Weinberg, A history of literary criticism in the Italian Reinassance, I, Chicago 1961, pp. 290-292, 295, 502, 560, 1132; E. Garin, Aneddoti di storia della cultura del Cinquecento (con una postilla su Eufrosino L.), in Umanesimo e Rinascimento. Studi offerti a P.O. Kristeller, Firenze 1980, p. 172; L. Gualdo Rosa, La fede nella "paideia". Aspetti della fortuna europea di Isocrate nei secoli XV e XVI, Roma 1984, pp. 63 s., 79, 81; J. Basso, Le genre épistolaire en langue italienne (1538-1662): répertoire chronologique et analytique, I, Nancy-Rome 1990, pp. 186 s.; I. Botteri, La tradizione casiana in Italia e il formarsi di un genere letterario, in Id., "Galateo" e galatei. La creanza e l'instituzione della società nella trattatistica italiana tra antico regime e stato liberale, Roma 1999, pp. 47 s., 54, 60 s.; E. González González - V. Gutiérrez Rodríguez, Los diálogos de Vives y la imprenta. Fortuna de un manual escolar renacentista (1539-1994), Valencia 1999, pp. 82, 229-232, 244-246.