FRUTTO
. Diritto. - Il termine, nella sua più larga significazione giuridico-economica, trascende anche il concetto di parte di cosa per significare il reddito. Le molte definizioni proposte nella letteratura giuridica recente (Göppert, Eck, Brinz, Demburg, Czyhlarz, Petrazycki, Puchta, Windscheid, V. Scialoja) dimostrano la difficoltà del concetto da definire. Migliore e di gran lunga più semplice sembra la definizione dello Scialoja che dice frutti "le parti staccate della cosa che negli usi sociali si considerano come il reddito della medesima". Ma essa si attaglia a definire il concetto romano di fructus, non il concetto moderno che considera frutti anche gl'interessi dei capitali, i proventi delle enfiteusi, delle locazioni, dei censi, dei vitalizî, e ogni altra rendita: vale a dire tutto ciò che è reddito. Mentre, infatti, i Romani contrapponevano fructus a reditus o dicevano che questo era pro fructu, loco fructuum o vice fructuum (la qualificazione del reditus come fructus s'incontra in qualche testo interpolato: cfr. Dig., XXII, 1, de usuris et fmctibus, 26), la dottrina romanistica e civilistica chiama frutti naturali quelli che erano fructus per i Romani, frutti civili quelli che per i Romani erano reditus. La distinzione, di applicazione assai dubbia, tra frutti naturali e frutti industriali, che suole esser fatta dagli scrittori, trova un certo addentellato nel frammento 45 del citato titolo del Digesto: frammento che, per altro, non è del giurista Pomponio a cui è attribuito. Il diritto romano, come il nostro, considerava frutti i prodotti del regno vegetale (glans, pomum, fruges, frumentum, le piante di un vivaio, gli alberi di un bosco ceduo) e i prodotti del regno animale (parti degli animali o fetus, il pelo, la lana, il latte). Si agitò tra gli antichissimi giuristi la disputa se i parti della schiava dovessero considerarsi frutti. Prevalse la dottrina di Bruto che li escludeva, per un motivo economico-sociale (quia non temere ancillae eius rei causa comparantur ut pariant: Dig., V, 3, de heredit. petitione, 27 pr.) secondo i Romani; per un riguardo alla personalità della schiava, secondo l'accentuazione romano-ellenica (visibile in testi alterati, Inst., II, 1, de rerum divisione, 37; Dig., VII, 1, de usu fructu, 68 pr.: absurdum... videbatur hominem in fructu esse, cum omnes fructus rerum natura hominum gratia comparaverit - neque... in fructu hominis homo esse potest). Si consideravano frutti anche i minerali: metalli, pietre, marmi. Un gruppo di testi (Dig., XXIII, 3, de iure dotium, 32; XXIII, 5, de fundo dotali, 18 pr.; XXIV, 3, soluto matrimonio, 7, 13) sembra negare la qualità di frutti alle pietre e ai marmi o farla dipendere dalla loro possibilità di riprodursi sullo stesso fondo: ma i testi sono alterati e rappresentano una teoria dei compilatori giustinianei (Bonfante). Il nostro diritto (art. 444 cod. civ.) annovera tra i frutti naturali anche i prodotti delle miniere, cave e torbiere, quantunque, di mano in mano che si estraggono, diminuiscano ed esauriscano la cosa principale, perché l'esaurimento si estende sopra un lunghissimo spazio di tempo.
I frutti si possono trovare in varî stati. Si chiamano pendenti, finché sono aderenti alla cosa produttiva ed esistono come parti di essa ma non ancora come frutti; separati, quando ne sono staccati per qualunque causa, e possono essere oggetto di un diritto distinto da quello che grava sulla cosa principale; percetti, se già raccolti; percipiendi, se si dovevano produrre e raccogliere ma ciò non avvenne per negligenza del possessore; esistenti (extantes), si dicono i frutti percetti che sono ancora presso il possessore della cosa; consumati (consumpti), i frutti percetti che il possessore ha consumato o trasformato o alienato. Queste varie distinzioni interessano principalmente nella rivendica della cosa, nella petizione d'eredità, nella dote, nel furto, nell'usucapione e nell'acquisto dei frutti. La distinzione tra fructus extantes e fructus consumpti è stata introdotta, come videro per primi il Kremlow e l'Alibrandi, nel diritto giustinianeo, il quale costringe il possessore di buona fede a restituire i frutti che si trovano presso di lui al momento della contestatio litis. La categoria dei fructus percipiendi è pure probabilmente di origine postclassica (U. Ratti) e mira ad aggravare la responsabilità del possessore di mala fede.
Il codice italiano, concependo l'accessione in senso lato, vi fa pure rientrare l'acquisto dei frutti: la proprietà della cosa fruttifera genera la proprietà dei frutti; ma questa non si acquista in quanto essi accedono alla cosa madre, sibbene in quanto se ne separano; non è un'estensione della proprietà anteriore, ma una proprietà nuova. Inoltre, il diritto all'acquisto dei frutti non spetta al solo proprietario; esso, infatti può avvenire in base o a un rapporto con la cosa (proprietà, enfiteusi, possesso di buona fede, usufrutto, uso) o a un rapporto con la persona che altrimenti sarebbe chiamata all'acquisto (contratto di locazione, di anticresi, ecc.). Il primo si dice acquisto originario; il secondo, derivativo. Il proprietario, l'enfiteuta, il possessore di buona fede nel diritto romano e in quello italiano acquistano i frutti naturali al momento della separazione; l'usufruttuario nel diritto romano li acquistava con la percezione (Dig., VII, 1, de usu fructu, 12, 5), nel codice civile italiano li acquista anch'esso al momento della separazione (articolo 480), onde perde valore la distinzione antica tra frutti separati e frutti percetti. I frutti civili si acquistano da chi vi ha diritto, di mano in mano che maturano, giorno per giorno, in proporzione della durata del diritto su di essi (art. 481). Secondo il codice italiano il possessore di una cosa fruttifera, chiamato a restituirla, deve restituire anche i frutti ingiustamente ricavati: se possessore di buona fede, quelli raccolti dopo la domanda giudiziale che fa cessare la sua buona fede (articoli 703, 933); se di mala fede, quelli che la cosa ha prodotti o che con una buona amministrazione avrebbe potuto produrre (percepti e percipiendi). Disposizioni eccezionali contengono gli articoli 234, 1429 c. civ.
Bibl.: H. Göppert, Über die organischen Erzeugnisse, Halle 1869; L. Petrazychi, Die Lehre vom Einkommen, Berlino 1893-1895; P. Sokolowski, Die Philosophie im Privatrecht, Halle 1902-1907; B. Windscheid, Pandekten, I, 114, Francoforte 1906; E. Albertario, La responsabilità del bonae fidei possessor nella restituzione dei frutti, in Bull. Ist. dir. rom., Roma 1913; P. Bonfante, La buona fede nell'acquisto dei frutti ecc., in Scritti, II, Torino 1918, p. 759 segg.; id., Corso di diritto romano, La proprietà, Roma 1926-1928, I, p. 155 segg.; II, p. 125 segg.; B. Dusi, Ist. dir. civ., I, Torino 1929, p. 119 segg.; U. Ratti, Note esegetiche sui fructus percipiendi, in Ann. Univ. Toscane, Pisa 1930.