ORSINI, Fulvio
ORSINI, Fulvio (Lucio Settimio). – Nacque l’11 dicembre 1529 a Roma, figlio naturale di un Orsini del ramo di Mugnano. Il padre è stato identificato prima con Maerbale (Litta, s.d; de Nolhac, 1887), poi con Gabriele (Ruysschaert, 1987). L’identità della madre non è nota. Fu battezzato con il nome di Lucio Settimio.
Informazioni sui primi anni di vita sono contenute, oltre che nella biografia di Giuseppe Castiglione (1657, ripresa da Rossi, 1692; Niceron, 1733; Ranalli, 1838; de Nolhac, 1887), in alcune lettere inviate da Annibal Caro a Benedetto Varchi tra aprile e maggio 1555 (Caro, 1959-61). Dopo un periodo trascorso con i genitori tra Roma e Mugnano, fu lasciato alla madre, presso la quale condusse un’esistenza poverissima. Nel 1539 fu ammesso al chiericato beneficiato in S. Giovanni in Laterano, dove fu notato per la vivacità e la prontezza del suo ingegno da uno dei canonici, Gentile Delfini, erudito e collezionista di antichità, che lo accolse nella propria casa e ne curò l’istruzione. Ai suoi insegnamenti si deve l’amore per la letteratura unito al forte interesse per i resti materiali dell’antichità, che costituì la caratteristica distintiva delle sue opere. L’amicizia con Benedetto Egio accrebbe in lui la passione per l’epigrafia; fondamentale per lo sviluppo dei suoi interessi numismatici fu, oltre al magistero dello stesso Delfini, il rapporto con Caro, collezionista e autore di un’opera perduta sulle monete greche e romane (Castellani, 1907).
Tra maggio e novembre 1555 mutò, per ragioni sconosciute, il suo nome in Lucio Fulvio, infine in Fulvio. Nello stesso periodo, grazie ai buoni uffici di Caro, tentò un accordo con gli eredi dello zio Carlo per non essere escluso dal godimento dell’eredità paterna; a fine 1555 fu ammesso al beneficiato in Laterano. Subentrando a Delfini, morto nel 1559, ottenne alla fine del 1563 il canonicato in Laterano.
Il fatto che Orsini si definisse ancora «canonicus subdiaconus Sacrosantae Lateranensis Ecclesiae» nel suo testamento e che così lo ricordi l’iscrizione funebre dimostra che non oltrepassò mai la soglia del diaconato. Le indicazioni, talvolta presenti in letteratura, circa l’elezione a vescovo di Spoleto e la successiva nomina cardinalizia sono prive di fondamento e dovute alla confusione, occorsa per la prima volta nell’Italia sacra di Ferdinando Ughelli con altri due Orsini a lui contemporanei: un Fulvio del ramo di Monterotondo, vescovo nel 1562, e un Flavio del ramo di Gravina, cardinale nel 1565.
Nel 1558 Orsini si trovava già al servizio dei Farnese, presso i quali trascorse tutta la vita svolgendo le funzioni di bibliotecario, antiquario e iconografo per il cardinale Ranuccio (fino al 1565), poi per il cardinale Alessandro (1565-89), infine per il cardinale Odoardo (1589-1600). Da allora visse stabilmente a Roma, al secondo piano di palazzo Farnese, dedicandosi agli studi e all’accrescimento della propria collezione e di quella dei suoi protettori. Si allontanò solo per brevi soggiorni (a Bologna nel 1565 al seguito del cardinale Ranuccio, a Grottaferrata nel 1571 per redigere l’inventario della biblioteca dell’abbazia di cui il cardinale Alessandro era commendatario) e per gli stagionali spostamenti nelle residenze farnesiane estive di Capranica e di Caprarola. Nel 1577 rifiutò l’invito a trasferirsi in Polonia rivoltogli dal re Stefano Báthory, in procinto di inaugurare una grande università a Wilna e un’accademia a Cracovia. Il 21 gennaio 1600, preoccupato per l’aggravarsi della sua salute, depositò presso il notaio Quintiliano Gargari il testamento (Castiglione, 1657, pp. 25-37) e uno scrupoloso inventario della sua collezione con attribuzioni e valori di stima di ciascun pezzo (de Nolhac, 1884A); indicò come erede universale il cardinale Odoardo, purché mantenesse l’integrità della raccolta.
Morì il 18 maggio 1600, a Roma, nel palazzo Delfini, dove si era ritirato. Fu seppellito nella sacrestia vecchia di S. Giovanni in Laterano, nella cappella dedicata a Maria Maddalena che egli stesso aveva fatto costruire.
Le prime prove erudite di Orsini apparvero a stampa tra il 1555 e il 1556 nell’edizione curata da Benedetto Egio delle Bibliotheces di Apollodoro e nel Centone virgiliano di Lelio Capilupi. Il resto della produzione degli anni Cinquanta, rimasta manoscritta, testimonia un assiduo lavoro di traduzione dal greco e dal latino unito a un forte interesse per i resti materiali dell’antichità. In questo periodo Orsini si legò a eminenti personalità come Pietro Vettori e Antonio Agustín. Alla corte dei Farnese rafforzò la frequentazione con gli eruditi raccolti intorno alla Biblioteca Vaticana (Gabriele Faerno, Latino Latini, Guglielmo Sirleto, Basilio Zanchi) ed entrò in contatto con studiosi come Carlo Sigonio, Pirro Ligorio, Onofrio Panvinio, Ottavio Pantagato, Martin de Smet, Steven Winand Pigge, Jean Matal, Paolo Giovio, fortemente orientati all’esame delle testimonianze materiali e letterarie dell’antichità. L’acquisto, perfezionato in questi anni, delle biblioteche di Colocci e di Delfini, del quale ottenne anche la raccolta numismatica, segnò l’inizio del collezionismo ursiniano.
Tra 1567 e 1568 uscirono ad Anversa presso Cristoph Plantin, per interessamento dell’amico cardinale Antoine Perrenot de Granvelle, le sue prime opere a stampa, il Virgilius collatione scriptorum Graecorum illustratus e i Carmina IX illustrium foeminarum: nel Virgilius Orsini offrì un’innovativa spiegazione dell’autore latino mediante il confronto con le sue fonti greche; i Carmina sono una antologia di lirici greci, in parte inediti, basata su manoscritti orgogliosamente definiti nel frontespizio «ex bibliotheca Fulvii Ursini Romani». Naufragò invece il progetto di stampare i romanzi di Achille Tazio e Longo Sofista. Il Virgilius e i Carmina dimostrarono la perizia di Orsini come ellenista rispettoso della lezione dei manoscritti e prudente nella congettura e ne evidenziarono la predisposizione all’uso di testimonianze non letterarie nella discussione di passi difficili o problematici, secondo un metodo già pienamente antiquario. La necessità, rivendicata con forza nei Carmina, di riprodurre fedelmente la testimonianza antica nella sua frammentarietà, escludendo gli interventi integrativi dell’editore, diventò un punto centrale del metodo ursiniano.
Nel 1570 uscirono a Roma presso Antoine Lafréry le Imagines et elogia virorum illustrium et eruditorum ex antiquis lapidibus et nomismatibus expressa: in aperta polemica con le integrazioni cartacee e materiali dell’antichità frequenti in quegli anni, Orsini organizzò una raccolta di statue, monete, gemme e iscrizioni, suddividendole per la prima volta in classi in base al soggetto rappresentato. L’opera, che mirava alla ricostruzione dell’iconografia degli antichi attraverso il confronto tra le informazioni contenute nelle fonti letterarie e i ritratti a essi riferiti, segnò un importante progresso dal punto di vista metodologico, perché offrì di ogni pezzo una riproduzione di prima mano, oggettiva e verificabile, grazie all’indicazione della collocazione nelle più importanti collezioni romane. Il successo delle Imagines e il progressivo evolversi delle convinzioni di Orsini in campo iconografico furono alla base di due successive edizioni: una nel 1598 (Anversa, Plantin), basata su nuovi disegni eseguiti da Theodor Galle e priva di testo, e una, uscita postuma nel 1606 (ibid.) a cura di Johann Faber che vi accluse, rivedendolo, il commento previsto dall’autore.
Allo stesso modo le Familiae Romanae quae reperiuntur in antiquis numismatibus, apparse nel 1577 a Roma presso Francesco Tramezzino, segnarono la nascita della moderna scienza numismatica. Per la prima volta le monete romane repubblicane, provenienti dalla collezione Orsini, furono sistemate in un corpus organizzato secondo un rigoroso criterio genealogico, dal quale furono escluse molte falsificazioni e creazioni di fantasia presenti nelle precedenti raccolte numismatiche. L’attenta lettura degli storici antichi permise a Orsini di spiegare iconografie ed emissioni monetali, mentre le monete, da lui ritenute per il loro carattere pubblico fonte primaria, furono impiegate per integrare e correggere i testi letterari. All’interesse per la storia romana repubblicana è da ricondursi anche la pubblicazione nel 1570, presso Plantin, dei Commentarii di Giulio Cesare, condotta su un codice proveniente dalla sua biblioteca. L’interesse per l’epigrafia lo spinse in quegli anni a promuovere ricerche che portarono alla scoperta di frammenti degli Acta Fratrum Arvalium e delle Ferie Latine; nel 1575 acquistò da Torquato Bembo i frammenti di un’iscrizione bronzea recante il testo di importanti leggi agrarie, che pubblicò nel 1583 (presso Domenico Basa) nell’appendice di testi epigrafici da lui curata per il De legibus et senatus consultis liber di Agustín. Su sua richiesta Giovanni Antonio Dosio riprodusse nel cosiddetto codex Ursinianus (Vagenheim, 1987) alcuni dei frammenti della Forma Urbis trasportati nel 1562 a palazzo Farnese (Vat. Lat. 3439, cc. 13-23), fornendo per molti di essi, in seguito dispersi o distrutti, l’unica testimonianza disponibile.
Presso i Farnese Orsini agì anche come ideatore di cicli iconografici: tale intervento è purtroppo ricostruibile solo in modo indiretto. Per la sua conoscenza delle monete antiche collaborò con Caro, già nel 1562, alla scelta delle personificazioni di Virtù per l’anticamera del Concilio a Caprarola e contribuì all’ideazione delle storie per la progettata decorazione del salone di palazzo Farnese. Negli anni Settanta elaborò i cicli iconografici del Casino degli Orti Farnesiani sul Palatino, della sala del Mappamondo e della sala d’Ercole a Caprarola, sfruttando, in modo piuttosto convenzionale, miti di carattere topografico. L’interesse per la topografia lo spinse anche a collaborare all’ambiziosa restituzione della Roma antica curata da Étienne Dupérac ed edita nel 1574 da Lorenzo della Vaccheria.
La passione per l’antiquaria aveva nel frattempo fatto di lui uno dei più rinomati procacciatori di antichità. La vicinanza di palazzo Farnese alle botteghe di rigattieri di Campo de’ Fiori e via del Pellegrino e una fitta rete di contatti epistolari gli permisero di essere sempre aggiornato su quanto di meglio vi fosse, per qualità e prezzo, sul mercato italiano ed europeo. Il suo epistolario testimonia l’accorta e intelligente politica di acquisti condotta per oltre quarant’anni per sé e per i Farnese. Grazie a lui la collezione Farnese si arricchì di sculture antiche provenienti dalle raccolte Del Bufalo e Cesarini e da quella di Margherita d’Austria; quadri e dipinti, oltre a quelli che Tiziano, Giulio Clovio, El Greco realizzarono espressamente per il cardinale Alessandro, vi confluirono attraverso acquisti e donazioni; soprattutto aumentarono gli oggetti di arte minuta, per i quali Orsini e il cardinale Alessandro nutrivano una vera passione. Dopo l’acquisto del medagliere di Pirro Ligorio, della collezione di Margherita d’Austria, di parte della raccolta Mocenigo e della collezione di Pietro Bembo, la quantità di gemme, monete, statuette era divenuta tale che nel 1578 Orsini fu incaricato dal cardinale Alessandro Farnese di sovrintendere alla progettazione e alla realizzazione di uno ‘studiolo’. Insieme con la biblioteca, dove Orsini aveva riunito erme, busti e iscrizioni particolarmente adatti al commento archeologico e iconografico, questo splendido armadio, che raccolse anche disegni e manoscritti come i trattati archeologici di Ligorio, diventò il cuore del museo farnesiano, organizzato dal cardinale Alessandro come una ‘scuola pubblica’ aperta agli eruditi di tutta Europa.
Negli anni Ottanta Orsini fu assorbito quasi interamente dal lavoro filologico: nel 1581 fu nominato correttore di testi greci alla Biblioteca apostolica Vaticana; tra 1581 e 1582 apparvero a Roma presso Giorgio Ferrari il De verborum significatione di Festo e ad Anversa presso Plantin le Notae in omnia opera Ciceronis e il De legationibus, editio princeps della maggior parte dei libri frammentari di Polibio, inviati a Orsini dall’amico Agustín. Il Festus segnò un momento particolarmente alto nella pratica filologica di Orsini non solo per le correzioni apportate alle precedenti edizioni curate da Agustín e da Joseph Scaliger, quanto per l’estrema attenzione all’aspetto materiale del testo originario, che si tradusse nella scelta di riprodurre a stampa ogni particolare dell’esemplare archetipo come in un moderno facsimile. Per lo stesso editore uscirono tra 1587 e 1588 le Notae ad M. Catonem, M. Varronem, L. Columellam de re rustica, dove Orsini pubblicò tutte le fonti sull’agricoltura in suo possesso, compresi i frammenti degli Acta Fratrum Arvalium, e il De triclinio romano, in memoria dell’amico Pedro Chacón, che ne era stato autore.
Negli stessi anni per la sua competenza nella lingua greca Orsini partecipò, su segnalazione dei cardinali Granvelle e Carafa, al lavoro della commissione pontificale per l’edizione dei testi sacri, rivedendo la traduzione greca dei Decreti del concilio di Trento (Roma, F. Zanetti, 1583) e curando l'edizione della Bibbia dei Settanta (ibid. 1587). Si trattò di un incarico prestigioso (Sisto V lo ricompensò nel 1587 con una ricca pensione, sebbene Orsini sperasse nel canonicato di S. Pietro), che lo impegnò in prima persona nella difesa dell’ortodossia cattolica e lo spinse a confrontare positivamente il suo metodo filologico con le problematiche legate alla trasmissione del testo sacro. Nella dedicatoria a Gregorio XIII dell’edizione di Arnobio e Minucio Felice (Arnobii disputationum adversus gentes libri septem. M. Minucii Felicis Octavius..., Romae, D. Basa, 1583) Orsini tornò infatti a ribadire la necessità di una distinzione chiara tra testo e lavoro critico.
Nel 1582 dopo una lunga trattativa accettò di lasciare alla Biblioteca apostolica Vaticana, dopo la sua morte, la sua collezione di libri e manoscritti che, con l’acquisizione delle raccolte di importanti eruditi come Scipione Carteromaco, Pietro Bembo, Achille Stazio, e di volumi postillati ‘da uomini dotti', quali Poliziano, Faerno, Pantagato e Panvinio, era divenuta una delle più ragguardevoli del tempo.
Nel 1585 compose, come già aveva fatto per il monumento funebre del cardinale Ranuccio Farnese, le iscrizioni per la tomba di Gregorio XIII e lo stesso fece nel 1589 per il sepolcro del cardinale Alessandro Farnese.
Passato al servizio del giovane Odoardo, cardinale nel 1591, ne curò personalmente l’istruzione, affidandolo, durante i periodi di studio a Padova, alle cure dell’amico erudito Giovan Vincenzo Pinelli. Collaborò quotidianamente con i Carracci all’ideazione dei programmi iconografici per la Galleria Farnese e per il Camerino, l’appartamento privato del cardinale Odoardo, per la cui decorazione sfruttò come strumenti di lavoro i materiali antichi traendo dalle monete e dalle gemme della sua collezione iconografie rare e nuove soluzioni formali (Volpi, 1998; Ginzburg Carignani, 2000; Mozzettti, 2002, 2006).
Ancora per Plantin uscirono nel 1595 i Fragmenta historicorum, che gli procurarono l’accusa ingiusta di plagio, come già accaduto ai tempi del Festus. Tali accuse non scalfirono la sua fama e ancora oggi, sebbene il progresso degli studi abbia messo in luce la debolezza di alcune sue identificazioni iconografiche e attribuzioni di manoscritti (Campana, 1950; Gasparri, 1994), la sua opera è sentita come fondamentale per il successivo sviluppo metodologico delle discipline storiche.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Parma, Epistolario scelto, b. 12, cart. 26; Raccolta Ronchini, b. 4, f. 13; Carteggio farnesiano borbonico Estero, Caprarola, b. 117; ibid., Roma, bb. 389 s., 405, 409 s.; Parma, Bibl. Palatina, Carteggio del cardinale Alessandro Farnese, b. Fulvio Orsini al cardinale Farnese, b. Rufino (il vescovo) al cardinale Farnese. F. Ughelli, Italia sacra, I, Roma 1644, col. *184 n. LXV; VI, ibid., col. 1042 n. XXXI. Altra corrispondenza manoscritta di Orsini è segnalata in P. de Nolhac, La bibliothèque de F. O., Paris 1887, pp. 1 s. n. 1; P.O. Kristeller, Iter Italicum. A cumulative index to the volumes I-VI, Leiden 1997, ad nomen. G. Castiglione, Fulvii Ursini vita, Roma 1657; Antonii Augustini archiepiscopi Tarraconensis opera omnia, VII, Lucca 1772, pp. 231-263; A. Caro, Lettere familiari, a cura di A. Greco, II, Firenze 1959, pp. 181-183 n. 431, 185 n. 433., 199-201 n. 443, 243-45 n. 484; III, ibid. 1961, pp. 77 n. 633, 123-127 n. 671, 206 n. 736, 241 n. 765, 244 n.767; G.V. Rossi, Pinacotheca, Leipzig 1692, pp. 9 s.; G.P. Niceron, Mémoires pour servir à l’histoire des hommes illustres dans la république des lettres, XXIV, Paris 1733, pp. 341-352; F. Ranalli, Vite di uomini illustri romani dal Risorgimento della letteratura italiana, Firenze 1838, pp. 22-24; P. Litta, Le famiglie celebri ital., s.d, tav. XIV, Orsini; V. Poggi, Lettere inedite di F. O. al cardinale Alessandro Farnese, in Giornale ligustico di archeologia di Genova, V (1878), pp. 501-531; A. Ronchini, F. O. e sue lettere ai Farnesi, in Atti e memorie delle RR. Deput. di storia patria per le province dell’Emilia, n.s., IV (1879), 2, pp. 37-106; P. de Nolhac, Lettres inédites de Paul Manuce, in Mélanges d’archéologie et d’histoire, III (1883), pp. 267-289; Id., Les collections d’antiquités de F. 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