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MORATO, Fulvio Pellegrino

di Lisa Saracco - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 76 (2012)
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MORATO, Fulvio Pellegrino

Lisa Saracco

MORATO, Fulvio Pellegrino. – Nacque a Mantova nella seconda metà del XV secolo con il nome di Pellegrino Moretto, che cambiò, secondo la moda umanistica, in Fulvio Pellegrino Morato. I nomi dei genitori sono sconosciuti.

Nel 1517 è attestata la sua presenza a Ferrara, dove si trasferì stabilmente a partire dal 1520, esercitando la professione di maestro di scuola pubblica e precettore. Dal 1522 fu al servizio di Sigismondo d’Este, cugino del duca Alfonso I, e istitutore di due figli di quest’ultimo, Ippolito e Francesco. Nel 1526 prese in moglie Lucrezia Gozi, da cui fra il 1526 e il 1527 ebbe la primogenita Olimpia. Negli anni ferraresi approfondì lo studio del volgare.

Il frutto più noto di tale interesse fu il Rimario di tutte le cadentie di Dante et Petrarca (Venezia, N. Zoppino, 1529), opera di carattere lessicografico redatta con l’intento didattico di facilitare gli studiosi a orientarsi fra le rime dei due maggiori poeti volgari. Tale atteggiamento, frutto della mentalità analitica di un grammatico formatosi nella tradizione dell’umanesimo latino, traspare anche da altri testi, che rimasero tuttavia allo stato frammentario. Gli studi più recenti hanno fatto luce sulla fervida attività di commentatore e postillatore di Morato rimasta per lo più inedita. Sono da segnalare il commento alla Vita scolastica di Bonvensin della Riva (Roma, Biblioteca Casanatense, Vol. Misc., 709, cc. 310r- 333r), quello alla canzone anonima del Bel pecoraro (Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat., 5226) e la Spositione del Petrarca (Ithaca, Cornell University Library, Petrarch, PC. 1103 F. 74), vero e proprio lavoro esegetico sul Canzoniere e i Trionfi. Nel codice della Cornell University è conservata anche l’edizione Ancona 1516 delle Regole della volgar grammatica di Giovanni Francesco Fortunio, fittamente annotata da Morato, probabilmente nel 1521, nell’intenzione di ripubblicare l’opera con un indice ragionato corredato da note grammaticali. Nel 1525 fu la volta dello studio delle Prose della volgar lingua di Pietro Bembo (Modena, Biblioteca Estense e universitaria, α.I.9.1), ampliato da una tavola delle parole e concetti notevoli. Le opinioni espresse da Morato nelle note, in particolare riguardo alla vicinanza con alcune posizioni di Fortunio, provocarono l’irritazione di Bembo, il quale in una lettera del 27 maggio 1529 a Bernardo Tasso si lamentò delle «parole ingiuriose» rivoltegli dal «maestro Pelligrino Moretto» (Bembo, 1992, p. 44).

Nel 1530, per cause non del tutto chiare, Morato fu costretto a lasciare Ferrara; dopo aver trascorso un periodo a Cesena, nel 1532, grazie all’intercessione degli amici Giovanni Battista Egnazio e Giovangiorgio Trissino, fu chiamato a Vicenza per ricoprire l’incarico di maestro pubblico di latino. L’attenzione umanistica per i testi classici è palesata dalle prefazioni allo Historico delle guerre et fatti di Roma di Dione Cassio, volgarizzato da Niccolò Leoniceno (Venezia, N. Zoppino, 1533) e a La Georgica di Vergilio da m. Ant. Mario Nigresoli gentilhuomo ferrarese tradotta in versi volgari sciolti (ibid., M. Sessa, 1543). Nel 1535 fu edita a Venezia da Giovanni Nicolini da Sabbio la sua opera forse più fortunata, il Trattato del significato de’ colori, arricchita dieci anni dopo da una seconda parte relativa al significato dei fiori, redatta con materiale desunto da autori italiani, latini e greci.

Negli anni vicentini Morato si fece portavoce di idee anticlericali e apertamente protestanti. Amico intimo di celebri umanisti come Celio Calcagnini e Celio Secondo Curione, fece della sua dimora un luogo di letture pubbliche e di studio per i giovani nobili e gli intellettuali della città, diffondendo riassunti delle opere di Erasmo, ma anche di Ulrich Zwingli e di Filippo Melantone. L’influenza di Erasmo già da tempo rappresentava un punto fermo nella visione di Morato: ne è prova la lettera dedicatoria alla cognata Teofila Gozi, monaca nel convento di S. Gabriele a Ferrara, dell’Ispositione della oratione domenicale detta Pater noster et della salutatione angelica chiamata Ave Maria (Ferrara, F. Rosso, 1526), in cui non fece mistero delle proprie convinzioni in materia di riforma della Chiesa. Si tratta di un commentario volgare sulle preghiere principali della tradizione cristiana; nello stesso anno Rosso diede alle stampe anche il Genethliacon domini nostri Jesu Christi, poema di 300 esametri sulla genealogia di Gesù. Forti note erasmiane si riscontrano anche nei Carmina a Caterina Piovene (Venezia, G. Nicolini da Sabbio, 1534).

Dopo il 1535 l’interesse per le dottrine della Riforma d’Oltralpe si orientò verso Ginevra e gli scritti di Giovanni Calvino, unitamente all’intensificarsi dei rapporti con la corte di Renata di Francia a Ferrara. Nel 1539 inserì tra le letture della sua scuola pubblica a Vicenza l’Institutio Christianae religionis e ciò gli costò la revoca dell’incarico di lector, in un clima di evidente opposizione alla sua persona che lo costrinse a far ritorno a Ferrara. Qui, fra il 1545 e il 1546, ottenne l’incarico di lettore di retorica, oratoria e autori latini presso la facoltà di arti e medicina dello Studio (imprescindibile testimonianza della sua attività didattica sono gli appunti di Alessandro Sardi delle lezioni su Virgilio, Cicerone, Cesare e Orazio conservati a Modena, Biblioteca Estense e universitaria, α.Q.6.14).

Dal 1541 al 1544 curò personalmente l’educazione di Alfonso e Alfonsino, i due figli naturali del duca Ercole II e Laura Dianti.

Morì a Ferrara nel 1548 in seguito a una grave malattia, assistito dalla giovane figlia Olimpia.

Fra le opere rimaste inedite sono i Carmina conservati a Ferrara, Biblioteca comunale, Cl. I.437, c. 492 e a Parma, Biblioteca Palatina, Parmense, 1478, cc. 78-79; ed Epigrammi a Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, Lat., cl. XII 240 (=10625).

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Mantova, Fondo Gonzaga, bb. 1196; 2924, vol. 250; Arch. di Stato di Milano, Autografi, 145, 4; P. Bembo, Lettere, a cura di E. Travi, III, Bologna 1992, pp. 43 s.; G. Baruffaldi, Notizie intorno a F.P. M., Venezia 1871; E. Campori, F.P. M., in Atti e memorie delle R. Deputazioni di storia patria per le province modenensi e parmensi, s. 1, VIII (1875), pp. 361-371; G. Mantese, Memorie storiche della Chiesa vicentina, III, 2, Vicenza 1964, pp. 759- 761; L. Puttin, L’umanista mantovano F.P. M. fra letteratura e Riforma, in Civiltà mantovana, XLV (1974), pp. 113-125; XLVI (1975), pp. 196- 213; S. Seidel Menchi, Erasmo in Italia. 1520- 1580, Torino 1987, pp. 377 s., n. 44; E. Scarpa, La canzone del «Bel pecoraro» in un’operetta inedita di F.P. M., in Rivista di letteratura italiana, VII (1989), pp. 133-160; A. Olivieri, Riforma ed eresia a Vicenza nel Cinquecento, Roma 1992, pp. 301-324; P. Garbini, La «Vita scolastica» di Bonvesin da la Riva «reformata» da F.P. M., in Filologia umanistica. Per Gianvito Resta, II, Padova 1997, pp. 873-894; B. Richardson, F.P. M. and Fortunio’s Regole grammaticali della volgar lingua, in Sguardi sull’Italia. Miscellanea dedicata a Francesco Villari dalla Society for italian studies, a cura di G. Bedani et al., Exeter 1997, pp. 43-54; G. Frasso, F.P. M. tra Fortunio e Bembo, in Carmina semper et citharae cordi. Études de philologie et de métriques offerts à Aldo Menichetti, a cura di M.C. Gèrard et al., Genève 2000, pp. 417-445; M. Capizzi, Magistero petrarchesco e bizzarrie linguistiche nelle note di F.P. M.: riflessioni sulla grammatica del volgare, in Aevum, LXXV (2001), pp. 641-677; L. Di Lenardo, Le postille erasmiane di F.P. M. alle Antiquae lectiones di Celio Rodigino, in Dalla bibliografia alla storia. Studi in onore di Ugo Rozzo, a cura di R. Gorian, Udine 2010, pp. 69-86.

Vedi anche
Olimpia Morata Morata (o Morato), Olimpia. - Umanista (Ferrara 1526 - Heidelberg 1555), figlia di F. P. Morato. Fanciulla prodigio, presto imparò a parlare il greco e il latino insieme con Anna d'Este, di cui era damigella. La madre di Anna, Renata di Francia, la iniziò al protestantesimo, cui aderì pienamente dopo ... Modena e Reggio Èrcole II marchese d'Este quarto duca di Ferrara Èrcole II marchese d'Este quarto duca di Ferrara, Modena e Reggio. - Figlio (Ferrara 1508 - ivi 1559) di Alfonso I e di Lucrezia Borgia, successe al padre il 31 ott. 1534. Cercò di mantenersi neutrale nel conflitto tra Francia e Spagna nonostante il suo matrimonio con Renata di Francia, figlia di Luigi ... Celio Calcagnini Poligrafo e umanista (Ferrara 1479 - ivi 1541). Sostenne ambascerie e commissioni; familiare del card. Ippolito d'Este, lo seguì in Ungheria; dopo il 1509 tenne cattedra nello studio di Ferrara. Fu amico di Erasmo di Rotterdam e dell'Ariosto. Scrisse varî trattati di antiquaria, retorica, filosofia; ... Celio Secondo Curióne Curióne, Celio Secondo. - Umanista protestante (Ciriè 1503 - Basilea 1569); prof. a Pavia, dove, per l'influsso di A. Mainardi, passò al protestantesimo. Fu poi a Venezia, Ferrara, Lucca, e infine riparò (1542) in Svizzera; dal 1547 insegnò eloquenza a Basilea e ivi fu uno dei capi dei rifugiati italiani, ...
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    Letterato (n. Mantova fine sec. 15º - m. 1548). Visse a lungo alla corte di Ferrara; pubblicò, tra le altre opere, un Rimario di tutte le cadentie di Dante e Petrarca (1528), il primo rimario italiano. Fu padre di Olimpia Morata (v.).
Vocabolario
morato
morato agg. [der. di mora1]. – Detto di un nero di tono caldo, tendente al bruno: tinta m.; spesso unito a nero: un gatto dal pelo nero m.; raram. unito a nome d’altro colore, per indicare una tonalità tendente al bruno: viola m.; rosso...
pellegrino
pellegrino s. m. (f. -a) e agg. [lat. peregrīnus «straniero», riferito nel lat. tardo a chi veniva a Roma per scopo religioso; v. anche peregrino]. – 1. s. m. a. In senso stretto, chi si reca in pellegrinaggio a un luogo santo, solo o in...
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