Fumetto
L'inarrestabile evoluzione delle potenzialità degli effetti speciali e un certo inaridimento nella fantasia degli sceneggiatori hollywoodiani hanno fatto sì che, dalla fine degli anni Ottanta, il mondo del cinema incrementasse il suo tradizionale interesse per i f., rivolgendosi a essi con frequenza quasi ossessiva per cercarvi nuovi stimoli, appoggiandosi alla popolarità di personaggi appartenenti all'immaginario collettivo e, soprattutto, 'ridisegnando' lo stile stesso della narrazione cinematografica in chiave fumettistica e cartoonistica. E ciò non solo portando sullo schermo gli eroi dei f. come da antica tradizione, ma trasformando divi e divine in veri e propri epigoni di questi ultimi.I rapporti tra cinema e f. accompagnano l'intera storia di questi due media dalle vite parallele e simbiotiche, travalicando le connessioni di singoli temi e personaggi per investirne più da vicino il linguaggio stesso, di cui non è difficile identificare una radice comune nella lanterna magica. Questa progenitura comune dell'immagine filmica, cinetica per definizione, e di quella statica, pur se sequenziale, dei f., trova ulteriore conferma nelle loro ravvicinatissime date di nascita 'ufficiali'. Yellow Kid, creato da Richard F. Outcault e considerato il primo personaggio dei f., apparve per la prima volta nel 1894 sul periodico umoristico "Truth", diventando un carattere perfettamente definito e riconoscibile dal febbraio 1896 su "The world", supplemento domenicale del quotidiano "New York Journal" di W.R. Hearst. I fratelli Lumière, da parte loro, organizzarono la prima proiezione davanti a un pubblico pagante nel dicembre 1895. Questi due mezzi d'espressione non poterono evitare di crescere insieme, influenzandosi a vicenda, attingendo idee e stimoli dai rispettivi specifici strumenti espressivi e riadattandoli al proprio linguaggio.
Il primo incontro ufficiale tra cinema e f. si deve a Happy Hooligan (noto in Italia come Fortunello), poetico personaggio creato nel 1900 da Frederick B. Opper e trasposto nel 1901 sullo schermo in un omonimo film diretto e interpretato da James Stuart Blackton, che fu anche uno dei pionieri dell'animazione. Happy Hooligan inaugurò così quella lunga sequenza di eroi di carta che, in più di un secolo, hanno avuto l'onore (a volte la sventura) di essere interpretati da attori, passando dalla realtà statica di vignette, strips e tavole, i cui unici ingredienti sono carta, matita e pennelli, a quella in movimento su grande schermo, tra effetti speciali, audio digitale e scenografie imponenti. Tra le brillanti star e gli onesti mestieranti del f. che sono poi passati al cinema si ricordano: Little Orphan Annie (creata nel 1924), i protagonisti della serie Tim Tyler's Luck (Cino e Franco, 1928), Popeye (Braccio di Ferro, 1929), Buck Rogers (1929), Blondie (Blondie e Dagoberto, 1930), Dick Tracy (1931), Secret Agent X-9 (Agente Segreto X-9, 1934), Flash Gordon (1934), Li'l Abner (1934), The Phantom (L'Uomo Mascherato, 1936), Superman (1938), Batman (1939), Brenda Starr (1940), Tex Willer (1948), Astérix (Asterix, 1959), Barbarella (1962), Diabolik (1962), Spider-Man (L'Uomo Ragno, 1962), X-Men (1963), Daredevil (Devil, 1964), Valentina (1965), Vampirella (1969), Howard the Duck (Orestolo il Papero, 1973), The Mask (1982), Judge Dredd (Il Giudice Dredd, 1983), Rocketeer (1985), Tank Girl (1988), Men in Black (1991), Spawn (1992), Barb Wire (1993).Il f. al cinema è stato spesso sinonimo di film a costo estremamente basso, come Kriminal (1966) di Umberto Lenzi e Satanik (1968) di Piero Vivarelli (i due f. sono del 1964, entrambi creati dalla coppia Magnus & Bunker, il disegnatore Roberto Raviola e lo sceneggiatore Luciano Secchi), o francamente discutibili, come i due Sturmtruppen (1976 e 1982) di Salvatore Samperi, in cui le strips create nel 1968 da Bonvi (Franco Bonvicini) diventano pretesto per gag da 'commediaccia'. Tra le prime megaproduzioni hollywoodiane legate ai f. si ricordano quelle su Superman (1978, 1980, 1983 e 1987) con Christopher Reeve (il migliore episodio è il secondo, diretto da Richard Lester e Richard Donner) e Flash Gordon (1980) di Mike Hodges, che ha rilanciato il personaggio disegnato da Alex Raymond, in precedenza sbeffeggiato dal film Flesh Gordon (1974) di Michael Benveniste e Howard Ziehm. I più popolari film tratti da storie a f., quelli che hanno dimostrato al meglio le potenzialità dell'unione tra china e celluloide (tra i molti di cui ogni personaggio è stato protagonista) e che, dopo anni di stallo nei rapporti tra i due media, hanno rilanciato l'idea di f. al cinema, sono stati quelli a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta. Tra questi senza dubbio la tetralogia di Batman: Batman (1989) e Batman returns (1992; Batman ‒ Il ritorno) di Tim Burton, e Batman forever (1995) e Batman & Robin (1997) di Joel Schumacher, o meglio i primi due, firmati da un vero mago dell'immaginario grafico trasposto al cinema. Ancora, vanno segnalati Dick Tracy (1990) diretto e interpretato da Warren Beatty, The Crow (1994; Il Corvo ‒ The Crow) di Alex Proyas, primo film dedicato all'omonimo personaggio nato a f. nel 1989 e su cui aleggia l'ombra della tragedia gettata dall'accidentale morte dell'attore Brandon Lee sul set (che non ha impedito due brutti sequels nel 1996 e nel 2000), e Spider-Man (2002) di Sam Raimi, autentico trionfo delle potenzialità degli effetti digitali applicati all'interpretazione dei personaggi dei f. da parte di attori.In realtà, comunque, il fatto che siano stati e continuino a essere realizzati numerosi film ispirati a personaggi dei f. non è di per sé significativo dell'interconnessione esistente tra i due media. Il cinema, infatti, si è sempre ispirato a fonti che avevano i favori del pubblico: dalla letteratura (con un occhio di riguardo per quella 'di genere', specialmente gialla e fantascientifica) alla cronaca, alla storia. Il rapporto tra cinema e f. è basato su legami ben più profondi che, pur dovendo rispondere a esigenze di gradimento popolare, trascendono in un'affinità sostanziale e ineludibile. Se la lanterna magica è stata la progenitrice di entrambi, non si può fare a meno di sottolineare che tutti i primi autori di cinema e di f., i pionieri che ne hanno gettato le basi dei codici linguistici e della sintassi narrativa, hanno frequentato ambedue i campi, con risultati eccellenti.
Personaggi come Georges Méliès, Winsor McCay, Bud Fischer, Pat Sullivan, o il già citato Blackton, sono stati, prima che registi, disegnatori e animatori, sperimentando nelle loro tavole quelle inquadrature che poi avrebbero tentato di riproporre con le cineprese, o trasponendo su carta le idee e gli stimoli generati dalla loro esperienza cinematografica. A proposito delle potenzialità insite in una simile osmosi tecnica vale, su tutti, l'esempio di McCay, disegnatore dei Dreams of the Rarebit Fiend (1904) e del grandissimo Little Nemo in Slumberland (1905), animatore e regista che vanta la paternità di Gertie the dinosaur (1914), il primo personaggio veramente popolare dei cartoons, e creatore di spettacoli teatrali di avanguardia (che nel 21° sec. si definirebbero multimediali) nei quali proiettava sul palco filmati da lui stesso disegnati. Nel 1904 McCay (in uno dei suoi più inquietanti Dreams) anticipò sulla carta l'effetto grandangolo; fin dall'ottobre 1905 presentò nei suoi f. tavole costruite con grandi vignette panoramiche, precorrendo di ben cinque anni David W. Griffith, che in Ramona (1910) realizzò il primo campo lungo della storia del cinema; sempre nel 1905 scardinò le consuetudini grafiche appena definite nei f., usando la vignetta circolare, prescindendo dalla linea che delimita la vignetta o giocandoci, con una tecnica che sarà ripresa nei cartoons di Tex Avery degli anni Quaranta; usò inoltre viraggi monocromi, che molti anni dopo sarebbero diventati patrimonio dei film a colori; nel 1906 riprodusse l'effetto di sovrimpressione; nel 1908 usò immagini distorte, che al cinema giunsero solo nel 1915 (con La folie du docteur Tube, di Abel Gance); nel 1910 creò effetti flou per rappresentare la prospettiva aerea, e realizzò un retino a puntini per dipingere un cielo coperto di cenere.Del resto, tutto il grande f. avventuroso statunitense fu disegnato ('girato'?) rispettando l'innovazione del 'piano americano' (l'inquadratura intermedia tra la figura intera e il piano medio imposta dal cinema statunitense), e i f. hanno attinto a piene mani dai miti del cinema. Basti pensare a Dick Tracy, che nacque sulla scia del fortunato filone dei film gangsteristici, prima di diventare lui stesso oggetto di una trasposizione cinematografica, in quel curioso cortocircuito delle fonti d'ispirazione che caratterizza da sempre i rapporti tra cinema e f.; oppure ai f. della serie Tim Tyler's Luck, o a The Phantom, evidentemente figli di quei film di genere esotico dove l'avventura è coniugata con continenti inesplorati e belve feroci. È un tipo di sincronia, definita sinergia dai guru del marketing, che richiama l'iniziativa del "Chicago Tribune" di W. Hovey, il quale, nel 1913, pubblicò sul suo giornale un racconto avventuroso a puntate nello stesso momento in cui nei nickel-odeons veniva presentata una versione filmata della stessa storia. Proprio a una simile idea si può far risalire la nascita dei film seriali che, episodio dopo episodio, portavano sullo schermo le avventure di eroi dei f. come Flash Gordon o Secret Agent X-9. Tali avventure nello stesso momento si snodavano sui principali giornali statunitensi settimana dopo settimana (o giorno dopo giorno, a seconda che la pubblicazione avvenisse su tavole domenicali o strips quotidiane).
Nel campo delle interconnessioni più immediate tra cinema e f., che appaiono evidenti anche a un lettore profano, non si possono dimenticare quei personaggi dei f. modellati dai loro autori sui tratti somatici degli attori più celebri e amati dal pubblico. Solo per citare qualche esempio di epoche diverse, Li'l Abner appare come un Henry Fonda più muscoloso, Dick Tracy è un caricaturale James Cagney, Rip Kirby (1946) viene disegnato come William Holden, la perfida e sensuale Dragon Lady della serie, iniziata nel 1934, Terry and the Pirates (Terry e i Pirati) di Milton Caniff ricorda Marlene Dietrich (un'attrice i cui zigomi riaffiorano in tutte le dark lady del f.), Dixie Dughan (1929) e Valentina sono modellate su Louise Brooks, Diabolik è tratteggiato come Robert Taylor, Barbarella come nuova Brigitte Bardot (anche se, quando arrivò sullo schermo nel 1968, per la regia di Roger Vadim, fu interpretata da Jane Fonda), il protagonista di La foire aux immortels (1980; trad. it. 1982) è disegnato da Enki Bilal con il volto di Bruno Ganz; e la lista potrebbe continuare a lungo.
Del resto cinema e f. hanno condiviso a lungo anche qualche sgradevole handicap, come l'ostilità della critica togata, convinta che la diffusa popolarità dei due media ne precludesse irrimediabilmente ogni potenzialità artistica. L'atteggiamento di disinteresse se non addirittura di totale rifiuto manifestato in alcuni casi nei confronti del cinema è stato analogo a quello riservato al f. addirittura per un tempo più lungo. In un simile contesto, è fin troppo facile identificare la recente rivincita del f. nelle matrici culturali di registi come Steven Spielberg e George Lucas, portabandiera di una generazione che, una volta adulta, ha saputo rendere omaggio alle proprie radici. Quando invece il linguaggio del f. si interseca con quello cinematografico nell'opera di registi il cui background culturale non comprende i f., si ritrova la conferma di quanto questi due media siano 'geneticamente' vicini. Altrimenti non si potrebbe comprendere l'insolito omaggio all'universo del f. venuto nel 1966 da un regista, poeta e scrittore come Pier Paolo Pasolini nell'episodio La Terra vista dalla Luna del film collettivo Le streghe (1967). Nella fase preparatoria, non trovando le parole adatte per descrivere l'atmosfera visiva del film, Pasolini mise mano ai pennelli per realizzare una sorta di rozzo storyboard, uno studio d'inquadrature e fotogrammi che, inconsapevolmente, lo portava ad anticipare gli stessi metodi di lavoro di tanto cinema hollywoodiano, in cui l'intera storia è preventivamente messa su carta per fornire una guida visiva a produttori, tecnici e attori. Il risultato è che La Terra vista dalla Luna si presenta come una sorta di postilla a Uccellacci e uccellini (1966), con diverse bizzarre particolarità. Ecco allora che la catapecchia dove vivono i protagonisti ha ogni parete dipinta con un colore differente, il protagonista Totò ha un'acconciatura che lo fa assomigliare a un curioso incrocio tra un clown e Sor Pampurio, mentre gli oggetti paiono usciti dalla più classica iconografia dei f. (su tutti basti ricordare il pitale adornato con un fiore di plastica). Lo spettatore, insomma, è condotto da Pasolini in una sorta di trasposizione cinematografica di buona parte degli stilemi visivi propri del vecchio "Corriere dei piccoli", in un omaggio tanto curioso proprio perché proviene da un autore così apparentemente 'altro' rispetto all'universo dei fumetti.L'intensificazione del rapporto osmotico tra cinema e f. fu favorita da uno sviluppo tecnico che avvicinò ancora più gli operatori dei due media, portandoli a incrociarsi con una frequenza che, in precedenza, si può riscontrare solo nell'epoca pionieristica dei McCay e dei Blackton, quando il f. era la versione economica del cinema. Cinema e f. nacquero entrambi come mezzo d'evasione 'non conservabile' (una volta uscito dalla sala, allo spettatore non restava che il ricordo del film; il quotidiano su cui erano pubblicate strips e tavole era destinato a finire nella spazzatura la sera stessa). Il f. tuttavia riuscì ben presto a eliminare questo handicap: la nascita del comic book, infatti, cambiò le carte in tavola e trasformò l'essenza stessa del suo linguaggio e della sua fruizione. Quando la Eastern Color Printing pubblicò, nel maggio 1934, il primo numero del mensile "Famous Funnies", dove erano raccolte strips celebri come quelle della serie Mutt and Jeff (1915) di Bud Fisher, si comprese che i f. avevano, o potevano avere, un respiro più lungo delle ventiquattr'ore di un quotidiano, e che le strips, una volta raccolte insieme, potevano essere rilette con un ritmo nuovo. Ottenuta questa opportunità, il passo successivo fu ovviamente costituito dai comic books con materiale inedito, dove gli autori potevano dedicarsi a storie prive degli obblighi strutturali di narrazione di chi, fino ad allora, si doveva esprimere in strips quotidiane. La pubblicazione seriale, infatti, costringe l'autore a esordire ogni giorno con una vignetta riassuntiva di quanto già avvenuto, seguita da due di sviluppo della storia e dall'ultima che deve lasciare in sospeso il lettore, con l'ansia di scoprire il giorno seguente il risultato di un colpo di scena. La nascita del comic book, invece, affrancò l'autore da simili obblighi, offrendogli la possibilità di un'espressione narrativa dal respiro più ampio, e diede il via al cosiddetto f. d'autore, al collezionismo, ma anche alla possibilità di una critica comparativa non più basata solo sulla memoria visiva. Una possibilità di riflessione sul f. che, evidentemente, offrì stimoli alle nuove generazioni di cineasti, in grado così di assimilarne meglio il linguaggio per poi trasporlo nel loro lavoro. Perché il cinema, che dal canto suo si era potuto sviluppare dal punto di vista formale e contenutistico in modo autonomo, potesse affrontare una rivoluzione analoga dal punto di vista della fruizione di massa, bisognava aspettare l'avvento delle videocassette, con cui si spazzarono via gli oneri delle lunghe sedute in moviola di quei cinefili e critici interessati allo studio delle modifiche sintattiche del linguaggio cinematografico. Il successivo avvento del digitale e la riproduzione in DVD hanno ulteriormente sviluppato le potenzialità di registi e spettatori, offrendo ai primi l'opportunità di controllare il risultato del loro lavoro in tempo reale, direttamente sul set, e agli altri suggerendo la visione di un backstage che, pur se preparato dalla produzione, garantisce il brivido di una comprensione più profonda di quanto accade in quello che una volta appariva come un universo inaccessibile ai più.Tra i film che hanno dimostrato meglio le potenzialità dell'unione tra china e celluloide va segnalato Raiders of the lost ark (1981; I predatori dell'arca perduta) di Spielberg. La famosa sequenza dell'enorme masso che si aziona come complesso meccanismo antifurto quando Indiana Jones preleva un prezioso reperto dall'altare, infatti, altro non è che la rilettura della scena clou di una delle più belle avventure disegnate da Carl Barks, ossia The seven cities of Cibola (1954; trad. it. Paperino e il tesoro delle sette città, 1955). Nel f. erano i Beagle Boys (la Banda Bassotti) a prelevare incautamente un idolo di smeraldo, causando in questo modo la distruzione delle sette città che Uncle Scrooge (Paperone) e Donald Duck (Paperino) erano riusciti a scoprire con l'ausilio di Huey, Louie e Dewey (Qui, Quo, Qua): ma la sequenza è assolutamente identica.
L'idea di far interpretare ad attori storie tratte dai f. ha avuto il suo inevitabile contraltare nelle trascrizioni 'umanizzate' dei cartoons, come in The Flintstones (1994; I Flintstones) di Brian Levant, Casper (1995) di Brad Silberling, The adventures of Rocky and Bullwinkle (2000; Le avventure di Rocky e Bullwinkle) diretto da Des McAnuff, progetto fortemente voluto da Robert De Niro, evidentemente ansioso di cimentarsi anche lui, recitando a fianco di personaggi animati, nella prova sostenuta da Bob Hoskins in Who framed Roger Rabbit (1988; Chi ha incastrato Roger Rabbit) diretto da Robert Zemeckis.Negli stessi anni sono aumentati anche gli omaggi rimbalzati dalla pagina disegnata allo schermo (e viceversa), in vari modi e forme. Vanno citati innanzitutto i tentativi di registi e sceneggiatori cinematografici di diventare loro stessi disegnatori e/o sceneggiatori di fumetti. Se David Lynch, che ha disegnato qualche strip sul ringhioso Raged Dog (a circolazione limitata tra i membri delle sue troupe, è apparso come 'curiosità' anche su riviste di cinema statunitensi), sembra essersi concesso solo un divertissement intellettuale, non così Federico Fellini che (forse anche per il suo passato di vignettista) ha preso molto sul serio il lavoro di sceneggiatore di f. nei due albi scritti per Milo Manara (Viaggio a Tulum, 1990; Il viaggio di G. Mastorna detto Fernet, 1992). Ancora più serio l'impegno di Alejandro Jodorowsky (che ama definirsi 'uno sceneggiatore di fumetti che ogni tanto si diverte a fare il regista'): sua, infatti, è la paternità di numerose saghe a f., tra cui brilla quella dell'Incal, avviata nel 1980 su disegni di Mœbius (Jean Giraud) e in seguito affidata ai pennelli di Zoran Janjetov, il cui protagonista John Difool e le cui ardite ambientazioni scenografiche sono stati fonte di ispirazione per Luc Besson in Le cinquième élément (1997; Il quinto elemento). Ancora, Vincenzo Cerami è stato sceneggiatore della strip di Silvia Ziche Gaia, Allegra e Felice (2000) e dei due volumi della stessa Ziche Olimpo Spa (2000) e Olimpo Spa 2 (2002), oltre che di un progetto di lungometraggio animato di Manara.Allo stesso modo, ci sono autori di f. che hanno tentato il percorso opposto: Bilal ha avviato una carriera registica firmando Bunker Palace Hôtel (1989); Sergio Staino ha diretto Cavalli si nasce (1989); Todd McFarlane, nonostante il moderato successo della versione cinematografica del suo Spawn (1997), di Mark A.Z. Dippé, è corteggiatissimo dalle majors, che vogliono da lui sceneggiature basate sui suoi demoniaci personaggi; Scott Lobdell, uno degli sceneggiatori degli X-Men, ha firmato un contratto con la Miramax per realizzare alcuni film; Neil Gaiman (creatore di Sandman) è stato messo al lavoro su tre sceneggiature cinematografiche, tra cui quella dedicata al suo Death: the high cost of living (1993; trad. it. 1998); Frank Miller, che era tornato sdegnato ai f. dopo la deludente esperienza come consulente per le sceneggiature di Robocop 2 (1990) di Irvin Kershner e Robocop 3 (1993) di Fred Dekker, si è riavvicinato a Hollywood per lavorare all'adattamento cinematografico del suo f. Ronin (che non ha però nessun rapporto con l'omonimo film diretto da John Frankenheimer nel 1998). Ad altri livelli commerciali, ma con la stessa comunanza d'interessi, si pone Kevin Smith, come dimostra il suo film Jay and Silent Bob strike back (2001; Jay and Silent Bob… fermate Hollywood!), infarcito di ogni genere di citazione tratta da f. e cartoons, e in cui, come di consueto nei suoi film, interpreta lui stesso il ruolo di Silent Bob. Smith si era fatto aiutare nella sceneggiatura del film Dogma (1999) da Garth Ennis, a sua volta creatore del f. Preacher (1995), ed è diventato il produttore esecutivo del progetto di riduzione cinematografica della truculenta saga del suo sceneggiatore.Tra le collaborazioni che affratellano autori di cinema e di f., non si può poi dimenticare il caso del già citato Le cinquième élément di Besson che, pur non partendo direttamente da uno specifico comic book, ha utilizzato Mœbius e Jean-Claude Mézières come coordinatori di uno staff di disegnatori capaci di trasformare il film in un vero f. in movimento. Il salto di qualità in simili collaborazioni sembra però essere stato quello che ha permesso la realizzazione di The matrix (1999; Matrix) diretto da Larry e Andy Wachowski. Questo film, infatti, è nato grazie alla collaborazione con i registi e con il produttore Joel Silver da parte dei due cartoonists Steve Skroce e Geof Darrow, cui, fin dalla fase preparatoria, sono stati aggregati altri artisti, un art director e un produttore aggiunto. Skroce, Darrow, Collin Grant e Tani Kunitake hanno così disegnato l'intera sceneggiatura in una sorta di super storyboard, un vero e proprio comic book gigante in cui i dirigenti della Warner Bros. hanno potuto immergersi per vedere di che cosa esattamente trattasse il film. La suggestiva visione dei fratelli Wachowski è quindi diventata realtà grazie al maniacale perfezionismo dei disegni di Darrow (già autore di Hard boiled, un comic book del 1990), mentre il ritmo dell'azione e del cyber kung fu dei combattenti per la libertà della razza umana è stato suggerito da Skroce (che si è formato lavorando su Spider-Man e Wolverine). Dopo un secolo d'ispirazioni e plagi reciproci, proprio quando è giunta al culmine delle sue potenzialità tecnologiche, Hollywood ha dunque riscoperto l'antico valore di carta e matita, usando il talento dei migliori fumettisti in circolazione per creare sofisticati film d'azione e tentare di rinnovare i propri stanchi cliché.
C. Bertieri, I film di carta, Firenze 1979.
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Desideri in forma di nuvole: cinema e fumetto, a cura di M. Canosa, E. Fornaroli, Pasian di Prato 1996.