Fumetto
Fumetto è il termine con cui si indica la nuvoletta contenente frasi o battute di dialogo, attribuite (per lo più facendole uscire come fumo dalla loro bocca) ai personaggi raffigurati in disegni singoli o in sequenze di disegni. Fino agli anni Sessanta del 20° secolo, i racconti a fumetto sono stati prevalentemente rivolti al pubblico giovanile. In seguito si è fatta sempre più massiccia la produzione di racconti avventurosi e di strisce satiriche destinate a lettori adulti.
Dal punto di vista prettamente anatomico, il fumetto è legato a soluzioni stilistiche e di stilizzazione che appartengono al mondo della caricatura. Basterà infatti prendere in considerazione i primi esempi di fumetto, come Les amours de Monsieur Vieux-Bois, disegnato dal maestro di scuola R. Töpffer nel 1839, per rendersi immediatamente conto delle strette analogie fra l'una e l'altra forma di espressione. Il povero Monsieur Vieux-Bois che desidera farla finita con le delusioni d'amore è, come indica il suo stesso nome 'Vecchio Legno', un tipo segaligno e allampanato che porta nel suo aspetto fisico il marchio indelebile della comicità. Gli esordi del fumetto sono da connettersi al mondo dell'infanzia (come nel caso dei due monelli Max und Moritz creati nel 1865 dal tedesco W. Busch) e, proprio per questo, tesi a far sorridere e a divertire, come si diceva allora, grandi e piccini. Per tale motivo, anche l'aspetto dei personaggi, come per es. La famille Fenouillard, disegnata da G. Colomb (in arte Christophe) a cominciare dal 31 agosto 1889, vuole essere in sintonia con il mondo dei bambini. Spiega per l'appunto Christophe (in Moliterni-Mellot-Denni 1996, p. 15) che "il bambino è tutt'occhi: ciò che vede lo colpisce molto più di ciò che sente". Da ciò deriva la necessità di creare personaggi che risultino accattivanti, il cui aspetto, cioè, sia fortemente caratterizzato, così da essere facilmente ricordati e da stimolare la fantasia del fanciullo. Il ricorso al repertorio caricaturale è apparso, pertanto, naturale e spontaneo. Gioverà ricordare che, al di là delle manifestazioni della cultura figurativa medievale, i principi della caricatura moderna, sebbene legati alla fisiognomia (v.), sono già presenti nei celebri fogli di Leonardo (Hofmann 1956). L'esasperazione dei tratti, studiata sistematicamente da Leonardo (basti pensare al disegno del Trattato della pittura, Codice Vat. Urb. 1270, f. 108v della Biblioteca Apostolica Vaticana, che mostra un vero e proprio repertorio di nasi), e successivamente ripresa da artisti cultori di anatomia, come A. Dürer, si svilupperà tuttavia nel corso del Seicento e nell'ambito della scuola dei Carracci, secondo principi e scopi in parte diversi. Spiega W. Hofmann (1956, col. 756) che il concetto di 'ritratti carichi' risale ad Annibale Carracci: "Principio fondamentale è ancora quello dello scherzo di natura o della natura capricciosa; ma poiché la natura non può produrre né il bello né il brutto assoluto sta all'artista 'aiutarla' accentuandone i tratti [...]. Specialmente notevoli, per l'arguzia della caratterizzazione, sono le caricature di G.L. Bernini, non più rivolte al 'tipo' fisiognomico, ma intese a sottolineare i tratti salienti dei singoli individui".
Svincolato dalle teorie della fisiognomia, ovviamente, è pure il fumetto che, almeno in prima battuta, tende a forzare l'aspetto fisico dei vari personaggi sostanzialmente per suscitare un effetto d'ilarità. In altre parole, il personaggio del fumetto deve essere buffo perché il carattere stesso del racconto è comico. Rispetto alla caricatura, perciò, l'esasperazione dei tratti fisici non nasce dalla volontà di porre in evidenza i 'tratti salienti dei singoli individui', ma da un generico bisogno di comicità. Non bisogna infatti dimenticare che i fumetti americani hanno preso il nome di comics proprio perché il loro principale scopo era quello di divertire il lettore. Ne deriva che, almeno in un primo tempo, nel fumetto non sono presenti quelle caratteristiche di tipo moraleggiante che invece si trovano nella caricatura. La scelta dei tipi fisici sarà improntata, genericamente, all'accantonamento dell'ideale di armonia e di bellezza, anche quando il protagonista viene presentato con una stilizzazione non particolarmente marcata. È il caso di Yellow Kid, il turbolento ragazzino dalla testa calva, dagli incisivi evidenti e dalle orecchie decisamente a sventola, apparso per la prima volta su The New York World il 5 maggio 1894. Il monello dal camicione giallo, creato da R.F. Out- cault, rappresenta però una variante di rilievo, ancorché embrionale, nell'ambito di quello che sarà l'universo del fumetto. È questo infatti uno dei primi casi evidenti in cui i tratti fisici del protagonista hanno una rispondenza precisa con il carattere dispettoso e sgradevole del ragazzino. Non si pensi, però, a una scelta ovvia perché lo stesso Outcault, nel creare, nel 1902, Buster Brown, birichino di buona famiglia, elegante e dallo sguardo angelico, gioca le carte della caratterizzazione del personaggio proprio sul fronte opposto. Yellow Kid, al contrario, rappresenta il monello di strada che risulta simpatico proprio grazie a quei tratti fisici (testa tonda, naso piccolo, denti sporgenti e piedi grossi) che lo qualificano subito come una 'lenza'.
Con la nascita di personaggi destinati a divenire vere e proprie star del firmamento fumettistico si tenderà sempre più a far sì che i caratteri fisici del protagonista ne anticipino in qualche modo quelli morali, creando una sorta di corrispondenza (talora volutamente negata, come nel caso di Diabolik v. oltre) fra l'aspetto esteriore e quello morale che ripropone, sia pure in senso empirico, principi che furono propri della fisiognomia. Così, gli autori ricorrono a particolari accorgimenti di sicura efficacia, per quanto, all'inizio possano apparire ingenui, tesi quasi a ridurre a 'maschera' il personaggio. Nella striscia umoristica intitolata in America The Katzenjammer Kids, disegnata da R. Dirks a cominciare dal 1897 e nota ai lettori italiani come Le avventure di Bibì e Bibò, il Capitan Cocoricò (Captain, nell'originale) ha una lunga barba ispida che può essere considerata fedele estensione visiva del suo carattere, mentre la Tordella (Die Mama) ha sulla testa una doppia crocchia di capelli neri e lucidi che la qualificano immediatamente come una brava massaia. Ma la grande invenzione grafica di Dirks fu il nuovo tipo di stilizzazione adottato per i volti dei suoi personaggi. Improntata decisamente a una geometrizzazione e a una semplificazione della plastica facciale che riduce la testa a un tondo, la stilizzazione di Dirks si spinge fino alla reinvenzione grafica dei distretti anatomici del naso, degli occhi e delle orecchie. Mentre per queste ultime il passaggio fra elice e antelice è sostanzialmente ridotto alla presenza di un accenno di spirale all'interno del padiglione auricolare (invece descritto ancora compiutamente, nei limiti, in Yellow Kid), il naso, del tutto privo di narici e di ali, viene semplificato in una pronunciata porzione di cerchio, raccordata con la bocca (quando presente) da un tratto di penna che allude al solco nasolabiale. A quest'ultimo accorgimento grafico si deve il mutamento dell'espressione dal riso all'ira, naturalmente in concorso con gli occhi e le sopracciglia che, ridotte a due semplici tratti, coprono occhi decisamente tondi con una sclerotica esasperata nella quale annegano una pupilla e un'iride indistinte e puntiformi. La bocca, poi, nel caso di Capitan Cocoricò non compare mai, poiché è completamente coperta dalla barba che assolve tutte le eventuali funzioni espressive. Anche la Tordella non è caratterizzata, il più delle volte, dalla presenza della bocca, lasciando al solco nasolabiale l'incombenza di descrivere sul volto i cambiamenti di umore. Soltanto Bibì e Bibò hanno una compiuta descrizione della bocca, sia pure ridotta a un semplice tratto grafico quando chiusa e resa con una larga macchia nera quando aperta.
Il modello grafico di Dirks diviene insostituibile nel nascente universo del fumetto, o, per meglio dire, di un certo tipo di fumetto. Sull'onda del successo delle varie interpretazioni cinematografiche del romanzo di E.R. Burroughs (Tarzan of the apes), H. Foster pubblica sul New York Mirror, a partire dal 7 gennaio 1929, le strisce dedicate all'eroe della foresta. Va da sé che in questo caso i parametri di stilizzazione anatomica sono del tutto diversi da quelli adottati da Dirks. Foster ha infatti la necessità di attribuire a Tarzan un aspetto che lo qualifichi immediatamente come uomo forte, pressoché invincibile, leale, onesto e fondamentalmente buono. Gioca a favore di quest'ultimo aspetto la castigata nudità dell'eroe, che rimanda ad ambienti puri e incontaminati, lontani comunque dalla caotica civiltà del 20° secolo. Non solo, ma la nudità permette all'autore di mettere in evidenza il fisico prestante di un uomo dall'apparato muscolare decisamente ipertrofico. Ripreso da B. Hogarth dopo la Seconda guerra mondiale, Tarzan risulta avere un fisico assai più moderno dei suoi modelli cinematografici. Le forzature capaci di rimpicciolire il girovita senza per questo riuscire inverosimili ne fanno un punto di riferimento per la fisicità di tutti quei supereroi che vanno da L'uomo mascherato (The phantom nella versione originale iniziata nel 1936) fino a Superman (1938) e Batman (1939). Naturalmente, al di là del differente costume indossato dai protagonisti di queste strisce, di cui con operazione inversa rispetto a Tarzan si approprierà il cinema, il denominatore comune del loro carattere interiore è costituito dal desiderio di giustizia. Sono tutti paladini dei diritti dei più deboli, pronti a mettere in campo le proprie capacità più o meno superumane per riparare ai torti di un mondo imperfetto. A queste indiscutibili doti morali corrisponde, indipendentemente dai superpoteri (nel caso di Superman), un aspetto che avvicina i protagonisti di queste avventure all'ideale estetico della classicità, che sancisce l'identità assoluta fra bellezza e bontà. Alla funzione di paladini dell'umanità dei supereroi corrisponde un aspetto esteriore che ne fa immediatamente intuire il ruolo: torace largo, pettorali sviluppati, dentato anteriore e dorsale particolarmente evidenti, bicipiti brachiali e quadricipiti femorali ipertrofici, tricipite della sura ben tornito, collo taurino. Anche il volto, naturalmente, riflette questo carattere, dal momento che i disegnatori insistono sulla mandibola e sul mento larghi e rassicuranti, sul naso dritto e sullo sguardo penetrante. Con l'ingresso dell'America in guerra, questi fumetti e altri dello stesso tipo creati per l'occasione (come, per es., Captain America nato nel 1940 e poi ripreso nel 1966) finiscono per interpretare l'immagine che gli Stati Uniti vogliono dare di sé nel mondo. Allora la raffigurazione fisico-morale dei supereroi diventa la traduzione più evidente e semplificata di quegli ideali di democrazia, libertà e giustizia che avevano contrapposto la nazione americana ai regimi totalitari.
Quella dei supereroi non fu l'unica soluzione grafica offerta dai fumetti per dare un aspetto accattivante all'ideale dell'uomo forzuto con il quale il lettore possa agevolmente identificarsi. Sia pure in termini del tutto diversi, connotati da un'evidente autoironia, quella di Popeye, noto in Italia con il nome di Braccio di ferro, fu una risposta che faceva ancora una volta ricorso ai principi caricaturali. Irascibile e scontroso, Braccio di ferro impiega la propria forza per risolvere ingiustizie che riguardano sostanzialmente la sfera personale (Brutus è il suo antagonista altrettanto forzuto). In questo modo il personaggio incarna il desiderio di rivalsa del cittadino medio che si misura tutti i giorni con le beghe e con i soprusi dei prepotenti. Per questo la fisicità di Braccio di ferro è del tutto diversa, non solo da quella dei supereroi, ma da quella dell'avversario Brutus disegnato come una vera montagna di muscoli. La matita di E.C. Segar, che crea Popeye, nel 1919, per reclamizzare una marca di spinaci ed esaltarne le qualità nutritive, concepisce infatti il suo personaggio come un uomo poco appariscente, smilzo, dalle spalle strette e dal torace cilindrico. Lo stesso ipertrofismo degli avambracci vuole negare la concezione del fisico prestante che, semmai, avrebbe dovuto mostrare bicipiti brachiali particolarmente sviluppati. Braccio di ferro, al contrario, ha delle braccia mingherline che vogliono favorire l'identificazione del personaggio con l'uomo della strada. In altri termini, Popeye è l'uomo comune che può diventare un eroe non appena si appelli agli ideali di giustizia e di libertà. Il mangiare gli spinaci significa trovare fiducia in sé stessi e nelle proprie ragioni. Allora la fisicità di Braccio di ferro si trasforma: i bicipiti nella versione cinematografica diventano turbine e quel che sarebbe stato impossibile per il povero cittadino, straziato dai soprusi e dalle angherie, diventa un problema di facilissima soluzione, grazie alle ritrovate capacità fisiche (che divengono anche psichiche). È interessante notare come, in una tavola disegnativa (model sheet) di Segar, Braccio di ferro risulti pensato secondo principi realmente anatomici che prendono come unità di misura il neurocranio, cioè la distanza che separa l'apice della testa dalla spina nasale. La tavola si riferisce alla versione cinematografica della striscia, dovuta alla matita di M. e D. Fleischer. L'intento è quello di spiegare la logica anatomica di Braccio di ferro (evidentemente sentita come problema, vista la singolare fisicità del personaggio), dimostrando come la sua corporatura corrisponda a una precisa costruzione che vede la ripetizione del modulo per sei volte e mezzo e la sostanziale riduzione dell'insieme a semplificazioni di carattere geometrico del tipo di quelle che erano state messe a frutto per Bibì e Bibò. Un'innovazione importante nella fisicità di Braccio di ferro è costituita dalla collocazione della bocca, posta lateralmente rispetto all'asse mediano della testa. Giustificata dalla presenza della pipa, la bocca, caratterizzata in tal modo, conferisce al personaggio un'espressione arguta che ben si addice al marinaio (Popeye è un sailorman, come dice la canzone) di grande esperienza. La particolare espressione è poi enfatizzata dalla prominenza della mandibola che, sebbene arrotondata, contribuisce a sottolineare un carattere volitivo.
La grande fortuna dei fumetti fu legata a strisce i cui protagonisti appartenevano al mondo animale. Uno dei primissimi esempi è rappresentato da Krazy Kat di G. Herriman, pubblicato nel 1910 sul New York Journal, storia di una gattina innamorata di Ignatz, un topolino che, invece, non sembra affatto corrisponderle. Le avventure di Felix the cat, nato nel 1917 come cartone animato dalla fantasia dell'australiano P. Sullivan e successivamente trasformato in fumetto nel 1923 dalla matita di O. Messmer, sono assai meno surreali. Quello che qui s'intende sottolineare è il processo di stilizzazione che procede di pari passo con quello di antropomorfizzazione (v. antropomorfismo) del personaggio animale, il quale finisce per perdere ogni carattere teriomorfo. Tuttavia, nei personaggi appena ricordati questo processo è compiuto fino a un certo punto. Infatti Krazy Kat, pur avendo ormai assunto la stazione eretta, mantiene, ciononostante, alcune peculiarità feline, come il labbro superiore diviso a metà. Allo stesso modo, Felix, oltre ad avere un muso da micio, si sposta tanto su due che su quattro zampe, assumendo a volte atteggiamenti tipici di un gatto.
La vera umanizzazione dei personaggi da fumetto di natura animale si ha invece con W. Disney che nel 1928 crea Mickey Mouse, noto in Italia con il nome di Topolino. Presentato al pubblico in quello stesso anno con una serie di quattro cortometraggi che gli vedono a fianco Minnie e Pegleg Pete (chiamato in Italia Gambadilegno), Mickey Mouse rappresenta una vera e propria innovazione nel mondo del fumetto e dei cartoons. Spiega O. De Fornari (1995, p. 15) che il primo Topolino "a prima vista non è molto dissimile da certi suoi fumettistici antenati: profilo schematico, posizione eretta, quasi una caricatura. Ma nel suo corpo c'è qualcosa di aerodinamico che rende accettabile l'umanizzazione così sbrigativa del disegno: l'attaccatura dei capelli (simile a una cuffia, riunisce Lindbergh e Mefistofele), gli ovali neri degli occhi (tipo occhiali da cieco), soprattutto quei dischi fungenti da orecchie, che sembrano potersi staccare e rotolare da un momento all'altro [...]. Non la caricatura di un animale, come il gatto Felix o il topo Ignazio, e nemmeno quella di un uomo, ma uno scattante automa tutto angoli e cerchi". Successivamente, su questa base, di per sé innovativa, vengono approntate significative modifiche atte ad accentuare l'aspetto antropomorfico, fino al restyling del 1958 quando la 'cuffia' finisce per alludere decisamente ai capelli e gli occhi mostrano decisamente la presenza di sclerotica e di iride-pupilla, costantemente fuse insieme. L'innovazione più importante riguarda la resa della mano. All'inizio, infatti, la mano di Topolino non era per nulla dissimile da quella del Gatto Felix: una sorta di macchia rotondeggiante, nera, in grado di adempiere a tutte le funzioni dell'omologa struttura umana. Il processo di antropomorfizzazione dei personaggi animali aveva infatti trovato un ostacolo nella difficoltà di articolare le cinque dita. Il problema non era costituito tanto dal pollice, quanto dall'obbligo di rispettare il numero delle residue quattro dita. La questione viene poi brillantemente risolta dallo staff Disney riducendo il numero complessivo delle dita a quattro: tre articolate con il corpo del metacarpo (palmo-dorso della mano) e una con funzione di pollice opponente. A completamento dell'operazione di reimpostazione anatomica della mano, questa viene coperta da un guanto, preferibilmente giallo, anche se non mancano vignette in cui Topolino e gli altri lo portano bianco. Il processo di semplificazione del disegno della mano si traduce in una migliore resa degli atteggiamenti assunti dal tratto terminale dell'arto superiore, non soltanto di Topolino, ma di tutti gli altri personaggi. Le mani a quattro dita divengono così uno dei punti caratteristici dei personaggi di Disney: da Goofy (chiamato in Italia Pippo), versione antropomorfizzata del cane Pluto, fino al protagonista del fumetto Donald Duck, noto in Italia come Paperino. Creato dalla matita di Disney nel 1934 come comprimario, Paperino assume il suo aspetto definitivo nel 1937, anno in cui ricopre il ruolo di protagonista. Paperino ha la parte inferiore del corpo da papero, mentre il busto, coperto da una blusa, è eretto come negli uomini e dotato di due braccia umane. È caratterizzato inoltre da un'espressività facciale che è sconosciuta a Topolino. Il grande becco arancio permette, infatti, di amplificare tutti i movimenti della bocca e delle labbra, funzionando come un esagerato muscolo orbicolare di cui vengono tirate verso l'alto o verso il basso, a seconda della necessità, le commessure labiali. Allo stesso modo, le grandi cavità orbitarie, non condizionate dalla presenza della 'cuffia' come in Topolino, sono elastiche e pronte a comunicare i vari stati d'animo. Così, se Paperino si adira, aggrotta la pelle fra i due occhi e mima l'effetto di contrazione del muscolo procero e del corrugatore del sopracciglio che modifica, restringendolo, il grande spazio riservato agli occhi. Al contrario, se si trova nelle condizioni di esprimere felicità o sorpresa, alza la pelle del margine superiore dell'occhio che funge da sopracciglio e mima l'effetto che produce il muscolo frontale quando, prendendo punto fisso sulla galea capitis, aggrotta la pelle della fronte e solleva verso l'alto il sopracciglio. Infine, in certe situazioni di particolare tensione, l'aspetto umanoide di Paperino si manifesta nel volto con il digrignare dei denti che, di forma umana, fanno la loro apparizione fra le due guaine del becco, le quali assumono così la valenza di enormi labbra e come tali si comportano anche in altre situazioni, per es. quando Paperino bacia, soffia o urla. Un altro aspetto importante da rilevare è che il processo di restyling dei principali personaggi disneyani ha teso sempre più a favorire le forme arrotondate e morbide, andando a sollecitare quei processi psicologici che in etologia corrispondono al cosiddetto effetto cucciolo. Un individuo minuto dalla testa grossa e dal corpo piccolo stimola nell'adulto animale della medesima specie, o nell'uomo stesso, un senso di protezione. In particolare, nel neonato la presenza della bozza frontale e la completa assenza dei seni mascellari, unite a un rapporto proporzionale per cui la testa corrisponde a un quarto dell'intero corpo, inibiscono i moti di aggressività che potrebbero scatenarsi nell'adulto alla vista di un nuovo individuo quale potenziale concorrente. In altri termini, i personaggi disneyani, improntati fisicamente a questo modello, favoriscono un naturale moto di simpatia nei loro confronti.
All'effetto cucciolo e al mondo apparentemente dorato dell'infanzia s'ispirano i Peanuts, scaturiti, nel 1960, dalla matita di C. Schulz. Testa rotonda, corpo piccolo e tozzo, arti brevi e grassocci, i Peanuts suscitano un istintivo moto di tenerezza; ma a fronte di questo, i vari Linus, Lucy e, naturalmente, il protagonista Charlie Brown, ragazzini americani dell'età del consumismo, sono percorsi dalle nevrosi degli adulti che contrastano con quel loro aspetto bambinesco. Il successo della serie risiede proprio in questo, nella contraddizione fra una fisicità tipicamente fanciullesca e problematiche esistenziali, al contrario, caratteristiche del mondo dei cosiddetti grandi che, proprio attraverso i personaggi di Schulz si rivelano insicuri e fragili come bambini di pochi anni. La grafica è estremamente sobria, sintetizzata in linee geometriche essenziali, dove particolare importanza assume il ruolo della bocca, a volte ridotta a un semplice segmento, altre volte del tutto assente (nei profili) e altre volte ancora, infine, aperta come un enorme forno. Il successo della striscia fu dovuto, quindi, alla scelta di una rappresentazione anatomica (quella del bambino) che urta con la complessità (anche in senso psicoanalitico) di un mondo interiore decisamente adulto. Al contrario, la stilizzazione proposta dai fumetti underground dei secondi anni Sessanta e in particolare quelli di R. Crumb, pubblicati sulla rivista Zap, stampata a San Francisco a cominciare dal 1967, privilegia un aspetto fisico dei personaggi del tutto diverso. Tra le altre cose è da notare che i personaggi femminili di Crumb, a differenza di quelli fin qui trattati, non sono idealizzati, ma appaiono tutti sessualmente caratterizzati. C'è addirittura una voluta attenzione a tutto ciò che di fastidioso possa derivare dalla condizione umana (dagli odori agli umori) che sfocerà, poi, nella realizzazione della versione di Zap per soli adulti. Non è questa la sede per parlare dell'aggressività del segno di Crumb e di altri disegnatori, come C. Wilson, ma bisogna sottolineare come in questi fumetti compaia un modo completamente diverso di sfruttare la capacità comunicativa del corpo, mettendone in evidenza particolari fino ad allora trascurati e capaci di sottolinearne l'umanità, come il sistema pilifero, le pieghe della pelle, le unghie, i denti, il sudore, le lacrime. Tutto è improntato al desiderio di dare un senso di sporco, di decadente e deteriore. Si tratta, in ogni modo, di una rivoluzione nel concepire i fumetti e di sfruttare gli elementi d'impatto anatomico dei vari personaggi che si protrarrà per tutti gli anni Settanta e che in Italia può avere un riscontro in fumetti come Ranxerox, pubblicato sulla rivista underground Cannibale all'inizio degli anni Ottanta. Violento e volutamente oltraggioso, il personaggio creato da T. Liberatore può essere considerato la versione aggiornata dei fumetti americani degli anni Sessanta, anche se improntato a una grafica assai più curata e spettacolare.
La nascita di eroi negativi era stata sancita in Italia dal filone aperto da Diabolik, nato nel novembre del 1962 dalla matita delle sorelle A. e L. Giussani. Dal nostro punto di vista, l'importanza di un simile personaggio, affiancato nelle sue avventure dalla bella Eva Kant, risiede nella sovversione delle regole di rappresentazione dei protagonisti fino ad allora tacitamente seguite: non solo la generica attribuzione del ruolo di protagonista a un eroe positivo, ma anche la connotazione dei 'cattivi' secondo parametri fisici tali da rendere subito evidenti le loro qualità morali (si pensi per tutti a Gambadilegno). Diabolik è cattivo e bello come la strega di Biancaneve, ma, a differenza di questa, non rivela mai nel fisico la sua natura malvagia. In altre parole, è una specie di Dorian Gray del fumetto giallo, ma senza ritratto. Da Diabolik discende una serie di eroi pseudonegativi come Kriminal e Satanik, che tuttavia abbandonano presto la loro connotazione malvagia per rientrare nell'ambito di una moralità comune.
Vale la pena sottolineare alcuni aspetti del fervidissimo panorama fumettistico italiano. Per l'indiscussa qualità dei testi letterari e per la raffinata capacità evocativa e visionaria dei disegni, non è possibile non ricordare il Poema a fumetti di D. Buzzati, pubblicato per la prima volta nel 1969, nel quale lo scrittore dà libero sfogo tanto alla fantasia letteraria, quanto a quella di disegnatore che attinge a piene mani ai colossi dell'arte contemporanea, da Dalì a Picasso, da Magritte a Moore, da Arp a Calder, reinterpretando però tutto con uno stile personalissimo ed espressivo, intriso di grande sensualità. Concepiti con un occhio alla pop art di T. Wesselmann, i personaggi femminili di Buzzati sono costruiti semplicemente, con linee morbide e flessuose che se da una parte ne fanno un unicum nell'ambito del fumetto non soltanto italiano, dall'altra lo rendono l'ideale anticipatore di quel fumetto erotico che avrà i personaggi principe nella Valentina di G. Crepax prima e nelle eroine di M. Manara successivamente. Naturalmente, stile, riferimenti culturali e visivi sono del tutto diversi in Buzzati, Crepax e Manara. Tuttavia, il modo di sfruttare gli aspetti anatomici femminili, insistendo su inquadrature ravvicinate del corpo e del volto risulta essere assai simile. In Buzzati, però, il carattere onirico diventa preponderante. Così, nel Segreto di via Saterna, il primo dei racconti che compongono Poema a fumetti, il volto di Eura, la protagonista femminile, viene rappresentato con quattro meravigliosi occhi sognanti sistemati in due file sovrapposte, per enfatizzare la bellezza e la spiritualità della figura. Nel medesimo racconto, Buzzati dedica un'intera tavola alla descrizione delle bocche delle avvenenti streghe che compaiono nella storia: le labbra rosse e sensuali sono rappresentate nei più disparati, allusivi atteggiamenti, sicché l'autore riesce, anche in questo caso, a piegare il dato anatomico alle esigenze narrative. Esattamente come quando il protagonista maschile del racconto (certo lo stesso Buzzati) esprime il proprio dolore urlando; benché nell'immagine ci sia il ricordo dell'Urlo di E. Münch, la soluzione di Buzzati è ancora più incisiva e disperante: aprendosi in una vuota voragine, la cavità buccale lascia infatti scoperte quattro fila di denti, due orizzontali e due verticali. L'effetto mostra la capacità di Buzzati di reinventare l'anatomia dei propri personaggi che, di fatto, diviene un'estensione della loro condizione psichica.
Un altro autore italiano che sfrutta le possibilità insite nelle forme di reinvenzione anatomica dei suoi personaggi è stato B. Jacovitti, il cui universo fantastico potrebbe qualificarlo come una sorta di Bosch del fumetto dove il grottesco e il surreale si fondono insieme fino a quell'esperimento estremo, non coronato da particolare successo, che fu il Kamasutra spaziale del 1993.
Un posto a parte va infine riservato a Corto Maltese che, creato da H. Pratt nel 1967, sintetizza in una fisicità asciutta ed essenziale l'ideale dell'avventuriero e dell'uomo di mare il quale si batte per il trionfo della giustizia, sempre a fianco dei più deboli. Il volto è aperto e squadrato con gli zigomi sporgenti, la bocca larga e gli occhi infossati, separati da un naso leggermente aquilino, ma regolare. Sono questi i connotati di un eroe senza età che vive all'inizio del Novecento, ma che, di fatto, potrebbe operare in ogni epoca perché la tipologia del personaggio si presta a far sì che il lettore lo identifichi con il concetto stesso di avventura. La medesima fisicità si ripropone in Dylan Dog, il successo fumettistico degli anni Ottanta del 20° secolo in Italia.
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