Fumo
Comunemente utilizzato per designare sia l'atto sia l'abitudine di fumare, il termine, se non è accompagnato da altra determinazione, indica generalmente il fumo del tabacco, il cui uso di routine e prolungato provoca il cosiddetto tabagismo, una condizione di assuefazione associata a un insieme di alterazioni organiche e funzionali, più o meno gravi a seconda della quantità complessiva di tabacco consumata, imputabili sia alla nicotina (cui si attribuisce l'assuefazione da fumo) e ad altre sostanze in esso presenti, sia ai prodotti di combustione. Nelle foglie di tabacco sono presenti oltre 2000 composti chimici diversi e circa altrettanti se ne formano durante la combustione: tra questi ha particolare importanza il cosiddetto corpuscolato, o catrame, che contiene molte sostanze cancerogene (idrocarburi aromatici policiclici, nitrosamine, fenoli, cadmio, polonio ecc.). Il fumo di sigaretta produce anche una parte gassosa costituita, tra l'altro, da monossido di carbonio (che è coinvolto nel danno vascolare), idrossido di cianuro, benzene, formaldeide e altri tipi di nitrosamine, tutti altamente tossici.
I.
La pianta del tabacco appartiene alla famiglia delle Solanacee, genere Nicotiana, ed è caratteristica per le sue larghe foglie. Fra le varietà ottenute per ibridazione ricordiamo la Nicotiana tabacum, a fiori rossastri, e la Nicotiana rustica, a fiori giallo-verdastri. Allorché le foglie ingialliscono ha luogo la raccolta; dopo di essa il tabacco viene preparato per la cura, durante la quale le foglie subiscono l'essiccazione e una serie di operazioni chimiche e biochimiche che portano all'ottenimento di un prodotto pronto per l'impiego manifatturiero. Il consumo del tabacco risale a tempi antichissimi. Nell'America precolombiana veniva fumato in pipe, masticato o fiutato, solo o mescolato ad allucinogeni. Si narra che il 28 ottobre 1492 due compagni di Cristoforo Colombo, Rodrigo de Jeres e Luis de la Torre, toccando per primi il suolo di Cuba, osservarono con stupore gli indigeni fumare cilindri ottenuti dalle foglie di una pianta sconosciuta; li imitarono e, al loro ritorno in patria, l'abitudine di fumare iniziò a diffondersi anche nel Vecchio Mondo. Un viaggiatore francese, André de Thevet, intorno alla metà del Cinquecento, introdusse in Europa la coltivazione del tabacco; pochi anni più tardi, nel 1559, Jean Nicot, ambasciatore francese in Portogallo, ne offrì qualche foglia a Caterina de' Medici e ad alti dignitari della sua corte, lanciando quella che si sarebbe di lì a poco imposta come una nuova moda. Alla pianta fu dato il nome di Nicotiana, o pianta di Nicot. Il principio attivo del tabacco fu isolato, nel 1828, dalla Nicotiana tabacum. Si tratta di un alcaloide liquido naturale, uno dei pochi, dalla formula C₁₀H₁₄N₂, che venne denominato nicotina. La nicotina è incolore e volatile, ma quando è esposta all'aria diviene scura e assume l'odore tipico del tabacco; appartiene al gruppo degli stimolanti gangliari e, sebbene priva di utilità terapeutica, è utilizzata per le informazioni che può fornire sui meccanismi della trasmissione dell'impulso nervoso a livello delle sinapsi gangliari del sistema nervoso autonomo. Essa ha inoltre implicazioni a livello clinico, per le frequenti intossicazioni da tabacco (tabagismo) che si osservano nell'uomo in seguito al suo uso voluttuario. Gli effetti acuti della nicotina sono numerosi. A livello del sistema nervoso autonomo, la sua azione più rilevante consiste, inizialmente, in una stimolazione di breve durata e, successivamente, in una più persistente depressione di tutti i gangli del simpatico e del parasimpatico. A livello del sistema nervoso centrale, la somministrazione di questa sostanza attiva l'elettroencefalogramma e dosi specifiche della stessa producono tremori nell'uomo e negli animali di laboratorio, mentre dosi più elevate determinano convulsioni e morte. All'atto dell'autopsia gli organi emanano un forte odore di tabacco. Gli effetti principali della nicotina interessano aree cerebrali come la corteccia, la sostanza reticolare e l'ippocampo. Essa, inoltre, stimola i centri respiratorio ed emetico situati nel midollo allungato: nel primo caso, dosi elevate agiscono direttamente sul centro, dosi più basse aumentano la respirazione per via riflessa, eccitando i chemocettori del seno carotideo e dei corpi aortici; nel secondo caso, la nicotina provoca vomito. La stimolazione del sistema nervoso centrale è seguita da una depressione, e la morte per dosi elevate di nicotina è dovuta a blocco respiratorio per paralisi centrale e blocco periferico dei muscoli della respirazione. Il quadro dell'intossicazione acuta della sostanza è caratterizzato inoltre da sudore freddo e diarrea. L'azione della nicotina sul sistema cardiovascolare (vasocostrizione, aritmie, tachicardia, aumento del flusso coronarico, ipertensione) ha luogo per stimolazione del sistema nervoso simpatico. Gli effetti cardiovascolari della sostanza sono imputabili, in particolare, alla sua azione sui centri midollari vasomotori e sui meccanismi riflessi periferici. La nicotina agisce inoltre sul tratto gastrointestinale per eccitazione del sistema parasimpatico: dosi basse di sostanza sono eccitatorie, dosi elevate diminuiscono il tono intestinale e la motilità. Studi condotti sugli animali di laboratorio indicano che la nicotina stimola la liberazione di adrenalina, noradrenalina e dopamina dal tessuto cerebrale e che, a seconda della dose, aumenta o inibisce la liberazione di acetilcolina. Secondaria alla liberazione di adrenalina e noradrenalina è l'iperglicemia, osservabile anche per effetto di piccole dosi, corrispondenti a quelle introdotte fumando una sigaretta. Di rilievo gli effetti sul comportamento: in particolare, l'alcaloide può aumentare l'attenzione e diminuire l'aggressività. È noto l'effetto rilassante della sigaretta, provocato, secondo il parere del Royal college of physicians di Londra, anche dal fatto che la nicotina diminuisce la tensione dei muscoli volontari, abbassando la loro reazione agli stimoli riflessi. L'assorbimento della sostanza avviene attraverso la cute e le mucose; essa si concentra principalmente nel fegato e viene eliminata per via renale. Agli effetti del fumo sul sistema nervoso centrale, sopra elencati, contribuiscono, oltre alla nicotina, altre sostanze, come il monossido di carbonio, l'ammoniaca, l'acido cianidrico, l'idrogeno solforato, le piridine, e diverse basi piridiniche e pirrolidiniche. Tutte queste sostanze, nicotina compresa, passano nel fumo per un processo di distillazione secca che il tabacco subisce bruciando e agiscono sull'organismo del fumatore con conseguenze sovente deleterie. È da notare infine che la nicotina è contenuta nelle foglie della pianta del tabacco in quantità variabile dall'1 al 9%, a seconda delle varietà, ma diminuisce per effetto dei trattamenti (fermentazione, torrefazione) cui il tabacco è sottoposto prima del confezionamento: in media i tabacchi da sigaretta contengono il 2-2,5% di nicotina, quelli da sigari e da pipa, rispettivamente, l'1,4 e il 2%.
2.
L'avvelenamento cronico da tabacco (o tabagismo) è determinato dal suo uso voluttuario. È da notare che la nicotina non è l'unica causa del tabagismo, ma certamente ne rappresenta il fattore principale. I sintomi del tabagismo consistono in manifestazioni locali, che sono dovute all'azione irritante del fumo (faringiti, laringiti, tracheiti ecc.), e in fenomeni generali, quali anoressia, dispepsie, vertigini, diminuzione dell'udito, dispnea, insonnia, diminuzione della libido, tremori, paralisi, ipertensione. Oggi il maggior pericolo del fumo sembra essere l'insorgenza di tumori. Già nel 1859 alcune ricerche avevano messo in evidenza un rapporto fra consumo di tabacco e cancro, almeno per le forme che colpiscono la cavità orale (labbra, lingua, palato, epiglottide, tonsille). Nel 1936 furono collegate al fumo due forme di cancro polmonare, il carcinoma epidermoide e il carcinoma indifferenziato; attualmente si registra anche un aumento, fra i fumatori, della frequenza dei tumori a carico della faringe e della laringe. Correlazioni fra fumo e tumori sono state anche sostenute per i cancri di esofago, stomaco e vescica (v. oltre: Epidemiologia del fumo). Altri gravi pericoli del tabagismo sono rappresentati da bronchiti croniche, enfisemi e infezioni polmonari. L'abuso cronico del tabacco, influenzando l'apparato circolatorio, provoca ipertensione e infarto al miocardio e può portare al morbo di Bürger, che limita la deambulazione, e a danni a carico delle arterie periferiche, fino a provocare la cancrena. Per quanto riguarda l'apparato digerente, il fumo eccessivo può dare origine a ulcere (gastrica, duodenale), stomatiti e alterazioni dell'apparato dentario. Inoltre, per motivi ancora non del tutto chiariti, nelle madri fumatrici sono elevati i rischi di aborto o di partorire neonati sotto peso. Unitamente a una diminuzione delle difese immunitarie, sono stati registrati nei fumatori accaniti una riduzione del numero degli spermatozoi e un aumento di quelli dalle caratteristiche alterate. È importante infine sottolineare che il consumo di tabacco, e quindi di nicotina, sviluppa assuefazione e dipendenza psicofisica. L'interruzione dell'assunzione della sostanza provoca quindi una sindrome di astinenza, la cui intensità è legata al grado di intossicazione e presenta sintomi sia fisici sia psichici. Normalmente, per un'intossicazione non grave, i fenomeni di astinenza che compaiono in seguito all'interruzione brusca del fumo comprendono irrequietezza e stipsi. In caso di intossicazione di notevole intensità, la sindrome risulta molto più grave ed è caratterizzata da tremori, diminuzione della frequenza cardiaca e della pressione sanguigna fino al collasso, cefalee, vomito, inappetenza, difficoltà di concentrazione, confusione mentale, ansia, insonnia, crisi di panico, allucinazioni. Il quadro tracciato va dunque messo in relazione con l'assunzione massiccia e cronica di tabacco, e quindi di nicotina, e delle altre sostanze che sono presenti nel fumo sia di sigarette sia di sigari o pipe. Si deve infatti sottolineare che, sebbene i fumatori di pipe o sigari non siano soggetti alle malattie legate all'aspirazione del fumo, essi non sono protetti da altre patologie, come, per es., i tumori alle labbra, alla lingua, ai reni e alla vescica, e il cancro alla faringe. È stato dimostrato statisticamente che anche chi fuma poco è 13 volte più esposto del non fumatore alle malattie sopra citate. Nonostante gli effetti negativi, nell'uomo la motivazione a fumare è molto forte. Per i fumatori, la mancanza della sigaretta (o del sigaro, o della pipa) costituisce, in condizioni normali, una circostanza decisamente spiacevole. Relativamente alle condizioni di emergenza, è significativo riportare il risultato di osservazioni effettuate in campi di prigionia nel corso dell'ultima guerra, secondo le quali, quando la razione quotidiana di cibo si aggirava intorno a 900-1000 calorie, i fumatori erano disposti a barattare i loro alimenti per ottenere tabacco: su 105 soggetti fumatori e bevitori, 77 barattavano la loro razione di cibo per il tabacco, 18 per l'alcol, 5 per ambedue. Il bisogno di fumare rappresenta, quindi, in taluni casi uno stimolo maggiore anche della fame. Secondo alcuni ricercatori (Larson-Haag-Silvette 1961) le motivazioni che spingono a fumare sono di tre ordini: 1) effetti farmacologici della nicotina; 2) ragioni psicologiche; 3) ragioni sociali, culturali o economiche. Numerosi argomenti lasciano pensare però che il fattore decisivo sia costituito dalla nicotina, che ha un effetto sedativo quando il sistema nervoso è stimolato, un effetto eccitante quando è depresso. Il piacere del fumo sarebbe, in particolare, dovuto alla stimolazione iniziale e, in seguito, alle proprietà sedative della nicotina, cioè alle proprietà bifasiche di questo alcaloide. Sembra, infine, interessante riportare i risultati di alcune ricerche di laboratorio sull'effetto della nicotina sugli animali: è stato dimostrato che, dopo somministrazione della sostanza, le capacità di acquisizione e di memorizzazione migliorano nelle cavie, e che tale miglioramento è più evidente nei soggetti con scarse capacità innate di apprendimento (Bovet-Bovet-Nitti-Oliverio 1966; Castellano 1976). Riguardo agli effetti stimolanti e sedativi, è stato osservato che la nicotina esercita un'azione sedativa sul roditore allorché esso è più eccitato, mentre lo stimola quando lo è meno (Bovet-Nitti-Bovet 1966). Analogamente, come si è detto, nell'uomo essa può esercitare effetti sedativi e migliorare l'attenzione e la concentrazione. Il fumo (e dunque la nicotina) presenta quindi anche alcuni effetti positivi. Si tratta di orientarsi, per il futuro, verso la sintesi di prodotti privi delle conseguenze tossiche, ma in grado di mantenere l'azione tranquillante di questa sostanza e di assicurare gli effetti piacevoli che spingono gli esseri umani a consumare il tabacco.
I.
Lo studio della diffusione del fumo nel mondo si basa su due fonti principali d'informazione: le vendite, che forniscono i dati sulla quantità di tabacco venduto legalmente (escluso cioè il contrabbando); le indagini di popolazione, che stabiliscono la percentuale di fumatori (per sesso, età, livello d'istruzione, numero di sigarette al giorno ecc.). Il secondo tipo di informazioni è, ovviamente, il più significativo, ma non è purtroppo disponibile per molti paesi, specie per quelli in via di sviluppo, e risente, da alcuni decenni, della tendenza di molti fumatori a riportare dati non veritieri circa la loro abitudine: nell'Europa settentrionale si nota, per es., un divario di circa il 30% tra i dati di vendita (più elevati) e quelli di consumo (Franceschi-Naett 1995). La Gran Bretagna è stata la prima nazione in cui si è diffuso il fumo di tabacco: già nel 1903 si registrava un consumo di una sigaretta al giorno per abitante, salito a 9 sigarette nel 1970. Essa è stata, però, anche il primo paese a mostrare diminuzioni dopo il 1970, in seguito all'accumularsi di conoscenze epidemiologiche sui danni del fumo (Doll-Peto 1981). Altri paesi che hanno conosciuto una diffusione precoce del fumo, ma anche un declino altrettanto precoce, sono la Finlandia, gli Stati Uniti e il Canada. In Europa, il consumo di sigarette variava, nel 1950, da meno di 2 per abitante in Germania e Portogallo a oltre 6 in Gran Bretagna e Irlanda; intorno al 1993 il quadro era mutato, con i massimi consumi registrati nell'Europa meridionale (9 sigarette in Grecia e 6 in Spagna) e i minimi nei Paesi Bassi, in Svezia e in Finlandia (circa 3). Negli ultimi dieci anni del 20° secolo, il numero dei fumatori nella popolazione maschile è calato praticamente in tutti i paesi sviluppati. Pochi miglioramenti si sono invece riscontrati nella popolazione di sesso femminile; anzi, soprattutto in Danimarca e nell'Europa meridionale, il numero della donne fumatrici è aumentato, particolarmente tra i soggetti più istruiti. Oggi, circa il 30% della popolazione europea di entrambi i sessi fuma; mentre il numero degli ex fumatori, che fornisce un'indicazione sull'impatto delle campagne contro il fumo, oscilla tra il 13% del Portogallo e il 27% della Gran Bretagna (media europea: 19%). In Italia, la percentuale di fumatori è calata, nella popolazione maschile, da oltre il 70% del 1949 (con i valori più elevati in Lombardia e Veneto) al 34% nel 1995 (con i valori massimi nelle grandi città meridionali). Nella popolazione femminile, le percentuali corrispondenti sono del 14% e del 17% (Pagano-La Vecchia-Decarli 1998). Le aree del mondo dove la crescita dei consumi di sigarette appare particolarmente preoccupante sono l'Europa dell'Est e molti paesi in via di sviluppo. Indagini effettuate recentemente rivelano che in Albania e in numerose ex repubbliche sovietiche, nonché in Cina, oltre la metà della popolazione maschile fuma (Franceschi-Naett 1995).
2.
La nozione che il tabacco sia nocivo alla salute e causa di tumori è ormai stabilmente entrata a far parte del bagaglio delle conoscenze, non soltanto dei medici e degli operatori sanitari, ma anche dell'opinione pubblica. Ciò che tuttavia non viene ancora comunemente apprezzato è la dimensione quantitativa dei danni causati dal fumo. Le tabb. 1 e 2 forniscono rispettivamente il numero e la percentuale di morti attribuite al fumo sul totale dei decessi, intorno al 1990, nel complesso dei paesi sviluppati (Europa, America Settentrionale e Giappone) e in Italia. Globalmente, nei paesi sviluppati il fumo a quella data provocava quasi 2 milioni di morti, l'80% circa delle quali nella popolazione maschile. Causa relativamente più importante di mortalità sia prima dei 70 anni (35%) sia dopo (19%), il fumo era, sempre nella popolazione maschile, alla base di circa la metà dei tumori, di un terzo delle patologie cardiocerebrovascolari (soprattutto infarto miocardico) e di due terzi delle patologie respiratorie (soprattutto broncopatie ostruttive croniche). I dati per l'Italia sono analoghi, con circa 83.000 decessi all'anno attribuibili al fumo, di cui la metà circa per tumori. Si nota che le donne italiane sono ancora relativamente risparmiate (5% dei tumori attribuiti del fumo), soprattutto rispetto alle coetanee americane e nordeuropee, per l'adozione relativamente più tardiva (dagli anni Cinquanta soprattutto) dell'abitudine al fumo. In media, i fumatori perdono 14 anni di vita a causa del loro vizio. Ai 2 milioni di morti nei paesi sviluppati si deve aggiungere circa un altro milione in quelli in via di sviluppo, con una forte tendenza alla crescita nel tempo (proiezione per il 2025: 10 milioni di morti, dei quali 7 nei paesi in via di sviluppo). Queste cifre dimostrano come il fumo sia di gran lunga la prima causa di morte che può essere prevenuta a livello mondiale. È importante infine ricordare che esso esercita anche un significativo effetto sfavorevole su una vasta gamma di patologie croniche, quali l'osteoporosi, l'ipertensione, l'asma, le periodontopatie, l'ulcera duodenale e l'invecchiamento cutaneo. Studi condotti in numerose situazioni e facendo ricorso a metodologie diverse hanno messo in evidenza - come si è già accennato nel capitolo precedente - una relazione causale tra il consumo di tabacco e le neoplasie di almeno sette organi: polmone, cavo orale e faringe, esofago, laringe, pancreas, rene e vescica. L'aumento del rischio di tumore nei forti fumatori è di almeno 15 volte per il polmone e la laringe e di circa 5 volte per gli altri organi sopra elencati. Un nesso con il fumo è anche sospettato per i tumori dello stomaco, del fegato, del rene e del collo dell'utero (Liu et al. 1998). In Italia la mortalità per i tumori legati al fumo è andata aumentando in maniera considerevole negli ultimi decenni del 20° secolo, per stabilizzarsi nella popolazione maschile alla fine degli anni Ottanta (fig. 6A). Il complesso delle neoplasie non legate al tabacco mostra, invece, nello stesso periodo, un quadro sostanzialmente stabile in entrambi i sessi (fig. 6B). Buona parte dell'aumento osservato è dovuto al solo tumore del polmone, che è l'organo principalmente e specificamente colpito dal fumo di sigarette (frazione attribuita al fumo circa 95%), mentre la carcinogenesi di altri organi, in particolare cavo orale, faringe, esofago e laringe, è influenzata anche dal fumo di pipa o sigari, nonché dal consumo di alcol (la frazione attribuita al fumo è di circa il 70%). Il carcinoma del polmone, estremamente raro nei non fumatori a vita, è diventato nel corso degli ultimi trent'anni la prima causa di morte per tumore in Italia, come del resto negli altri paesi sviluppati. L'eccesso di mortalità per tumore del polmone nei fumatori rispetto ai non fumatori, in relazione alla durata dell'abitudine, rappresenta l'elemento centrale nella comprensione della carcinogenesi polmonare. La mancata considerazione di questa relazione ha portato a una serie di conclusioni erronee, quali, per es., che 'nuove' cause di tumore del polmone, come l'inquinamento, piuttosto che gli effetti ritardati delle abitudini di fumo nei decenni precedenti, fossero responsabili dei recenti aumenti della patologia. Inoltre, questa errata prospettiva ha anche indotto molti a ritenere che sia sconsigliabile fumare molte sigarette, ma 'tollerabile' fumarne 5 o 10 al giorno anche per molti anni. Almeno per il rischio di cancro, invece, la durata (anni di fumo) è più importante dell'intensità (numero di sigarette). Un secondo elemento importante allo scopo di cogliere le linee di tendenza per il futuro è dato, nell'interpretazione della mortalità per carcinoma del polmone, dai livelli attuali di consumo fra i giovani. In questo senso, i recenti dati di mortalità per tumore del polmone in Italia sono particolarmente preoccupanti, poiché fra i giovani e nella popolazione di mezza età i tassi di certificazione di morte sono più alti che in molti altri paesi sviluppati. Ciò lascia temere, in assenza di drastiche modificazioni nell'abitudine al fumo di sigarette, il persistere di questa 'epidemia' per ancora diversi decenni.
3.
È estremamente difficile provare, sul piano epidemiologico, i danni alla salute di esposizioni a basse dosi, soprattutto quando, come per l'esposizione al fumo passivo o involontario, essa è pressoché ubiquitaria e non esistono quasi popolazioni di riferimento non esposte. Ciò nondimeno, vi sono ragioni sia biologiche sia biostatistiche per ritenere plausibile una relazione diretta dose-rischio tra fumo e tumore del polmone. Su queste basi, il fumo passivo sarebbe responsabile di un aumento del rischio relativo di tumore del polmone del 30-50% e, in termini di rischio attribuibile, di un migliaio di morti per anno in Italia. L'utilizzo di modelli matematici più accurati per il cancro del polmone, anche nell'ipotesi più ottimistica (ossia che un'esposizione prolungata al fumo passivo porti a un aumento di rischio soltanto del 20%), induce a stimare che il rischio cumulativo di morte per tumore del polmone dovuto all'esposizione involontaria al fumo altrui sia dell'ordine di 1/1000. Anche questo rischio, pur enormemente inferiore a quello nei fumatori attivi (che è superiore a 350/1000, ossia oltre 1 su 3), è decisamente maggiore dei rischi ambientali che sono ritenuti accettabili nei paesi sviluppati: per es., i rivestimenti di amianto vengono rimossi dagli edifici in considerazione di rischi cumulativi di morte dell'ordine di 1/100.000. A partire dagli anni Cinquanta del 20° secolo, le sigarette sono molto cambiate. Quelle con filtro hanno in gran parte rimpiazzato quelle senza filtro. Riduzioni sostanziali si sono avute nel contenuto medio di catrame (da 35 mg intorno al 1955 a 13 mg nel 1985, negli Stati Uniti) e di nicotina (da 2,5 mg a 1 mg; Doll-Peto 1981; IARC 1985). Inoltre, anche nell'Europa meridionale, il tabacco biondo ha sostituito quello nero. Purtroppo, il calo del contenuto di alcune sostanze dannose (per es. idrocarburi aromatici policiclici) si è accompagnato alla stabilità o all'aumento di alcune altre (per es. nitrosamine). Le sigarette leggere, poi, hanno causato anche alcune modifiche nel modo di fumare: per compensare il minor tenore di nicotina, infatti, i fumatori aspirano più profondamente, permettendo ai cancerogeni contenuti nel fumo di raggiungere la parte più periferica dei polmoni, cioè i bronchioli secondari e terziari e gli alveoli, più delicati rispetto ai bronchi principali dove si sviluppavano perlopiù i tumori polmonari nei fumatori di un tempo. Filtro e ridotto tenore di catrame hanno contribuito, dunque, alla diminuzione del tumore spinocellulare della laringe e del polmone, ma hanno fatto aumentare il cosiddetto adenocarcinoma, il tipo di neoplasia polmonare più frequente nei non fumatori di ambo i sessi (Levi et al. 1997). Riguardo alla durata dell'abitudine, è ancora impossibile fare un bilancio definitivo dei pro e contro delle sigarette diffusesi negli anni Settanta; sembra comunque semplicistico considerare a basso rischio le sigarette leggere.
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