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Dizionario di filosofia (2009)
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Nel significato di attività rivolta alla realizzazione permanente di uno scopo, il termine corrisponde alla parola greca ἔργον, utilizzata da Platone per designare l’operazione propria di una cosa («ciò che essa soltanto può compiere, o che compie meglio di tutte le altre», Repubblica, I, 352), secondo una caratterizzazione teleologica che trovò ampio sviluppo nella metafisica e nella filosofia della natura di Aristotele. Come attività diretta a un fine e capace di realizzarlo, la nozione di f. fu ricondotta da Aristotele a quella di forma e sostanza («tutte le cose sono definite dalla loro f. e capacità, sicché, quando non sono più tali, non si deve dire che sono le stesse, bensì che hanno il medesimo nome», Politica, I, 2, 1253a 20 segg.). Così intesa essa assunse, nel quadro di un sistema di analisi del divenire come passaggio dalla potenza all’atto per l’azione di quattro cause (materiale, formale, efficiente, finale) e di una teoria della natura come forma verso cui procede il mutamento degli enti soggetti a generazione, un particolare rilievo nella dottrina aristotelica delle modalità dell’esplicazione causale nell’indagine fisica e in partic. nello studio degli esseri viventi, dove è stabilito il principio, destinato a influire profondamente sul pensiero biologico e medico, della subordinazione della materia organica al fine e della spiegazione degli organi in vista della loro f. («la natura adatta gli organi alla f., non la f. agli organi», Le parti degli animali, IV, 694b). Al significato di f. come operazione diretta a un fine si è affiancato, con l’avvento della scienza moderna nel 17° sec. e lo sviluppo dei metodi di calcolo per lo studio matematico del movimento dei corpi, che ebbe esito nelle procedure di analisi infinitesimale elaborate da Newton e Leibniz, quello di f. come regola che connette le variazioni di una grandezza o di un gruppo di grandezze alle variazioni di un’altra grandezza o gruppo di grandezze, in un mutato orizzonte epistemico che prevede il prioritario ricorso all’azione della causalità efficiente per la comprensione dei fenomeni naturali, e la loro spiegazione mediante leggi, tendenzialmente di tipo quantitativo, che collegano causa ed effetto. La nuova nozione di f. conobbe i primi tentativi di definizione in Leibniz (Mathematische Schriften, V) e J. Bernoulli, trovando in L. Euler (Introductio in analysin infinitorum, 1748) espressione puramente formale come combinazione di quantità (variabili e costanti) e di segni d’operazione. In ambito gnoseologico Kant ricondusse i concetti e le categorie, in quanto spontanea attività di sintesi intellettuale, alla nozione di f. compresa come «l’unità dell’operazione che ordina le diverse rappresentazioni sotto una rappresentazione comune» (Critica della ragion pura, 1781, Analitica trascendentale, cap. I, sez. I). Si deve a Frege (Funktion und Begriff, 1891) la generalizzazione logica della nozione matematica di f., a partire dall’analisi della distinzione della f. stessa (designata dalle lettere f, g, ecc.) dai suoi «argomenti» (indicati dalle variabili x, y e z) e dalle costanti (a, b, c), nonché dalla definizione del concetto, in quanto costituente del pensiero, come f. il cui valore, con un argomento x, è sempre un valore di verità, e il suo correlato oggettivo come il decorso dei valori di una f. proposizionale. La discussione sul concetto di f. e il suo rapporto con quello di causa ha tratto nuovo vigore dagli sviluppi delle scienze nella seconda metà dell’Ottocento, segnati dalla crisi del modello meccanicista di spiegazione dei fenomeni microscopici e macroscopici e dall’affermazione del carattere statistico delle leggi scientifiche. La reinterpretazione nelle scienze contemporanee della nozione tradizionale di causalità come connessione funzionale tra i fenomeni osservati, espressa da leggi descrittive miranti a rilevarne la costanza e l’uniformità, ha trovato nell’opera di Mach e in Cassirer (Substanzbegriff und Funktionsbegriff, 1910) analisi epistemiche e storico-critiche divenute classiche nel panorama filosofico-scientifico novecentesco.

Vedi anche
David Hume Hume ‹hi̯ùum›, David. - Filosofo (Edimburgo 1711 - ivi 1776). Rimasto orfano di padre a tre anni, trascorse l'infanzia a Ninewells con la madre. Successivamente fu di nuovo a Edimburgo e studiò in quella università. Nel 1734 si trasferì in Francia, prima per pochi mesi a Reims, poi a La Flèche, dove ... Immanuel Kant Filosofo (Königsberg 1724 - ivi 1804). Di genitori pietisti, Kant, Immanuel ricevette, specie dalla madre, una severa educazione etico-religiosa: frequentò il Collegium Fridericianum, diretto dal pastore F. A. Schultz, dove compì gli studî medî, e s'iscrisse quindi all'università. Seguace dapprima del ... metafisica Branca della filosofia che, tradizionalmente, mira a individuare la natura ultima e assoluta della realtà al di là delle sue determinazioni relative, oggetto delle scienze particolari. 1. Origine e impiego del termine Il nome della metafisica, che si presenta nella tradizione come il vertice della ... logica filosofia Disciplina che studia le condizioni di validità delle argomentazioni deduttive. 1. La logica antica I vocaboli ἡ λογική (τέχνη), τὰ λογικά si stabilizzarono nel significato di «teoria del giudizio e della conoscenza» nell’ambiente protostoico, pur conservando λογικός per tutta la grecità ...
Vocabolario
funzióne
funzione funzióne s. f. [dal lat. functio -onis, der. di fungi «adempiere»]. – 1. Attività svolta abitualmente o temporaneamente in vista di un determinato fine, per lo più considerata nel complesso di un sistema sociale, burocratico, ecc....
funzionare
funzionare v. intr. [dal fr. fonctionner, der. di fonction «funzione»] (io funzióno, ecc.; aus. avere). – 1. Adempiere la propria funzione, detto di congegni, e per estens. d’altre cose: funziona quest’orologio?; il motore oggi non vuol...
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