CICOGNA, Furio
Nacque ad Asti il 21 giugno 1891 da Livio e da Marina Castellaro. Nel 1897 la famiglia si trasferì a Milano, ove il padre dei C. aveva aperta "una, microscopica azienda di trasporti rapidi tra l'Italia e la Svizzera" (Il Sole-24 Ore, 27 dic. 1975). Conseguito nel 1908 il diploma dell'istituto tecnico, sezione fisico-matematica, il C. dapprima sostituì il padre malato nel suo lavoro, poi, liquidata l'azienda, per potersi mantenere agli studi universitari, che aveva intrapreso presso l'università "Bocconi" di Milano, fu costretto a impiegarsi presso la società di assicurazioni Anonima infortuni, impartendo nello stesso tempo lezioni in una scuola serale. Laureatosi a pieni voti in scienze commerciali nel 1912, discutendo una tesi sull'industria italiana del cappello, iniziò la carriera di dirigente industriale presso la Bombrini-Parodi Delfino, ove raggiunse nel giro di nove anni la carica di direttore centrale. Nel 1921 passò alle Manifatture cotoniere meridionali e nel 1926 fece il suo ingresso nella Soie de Châtilion, al cui atto costitutivo aveva partecipato nel 1918 in rappresentanza di Leopoldo Parodi Delfino che, insieme con Alessandro Poss e con la Banca commerciale italiana, ne deteneva il pacchetto azionario.
Alla Châtillon il C. era giunto in un momento in cui l'industria della seta artificiale stava attraversando una crisi di crescenza, soprattutto a causa della forte concorrenza che si muovevano le aziende italiane dei settore, la cui produzione, quadruplicatasi nel giro di pochi anni (16-17 milioni di chilogrammi nel 1926), ponendo l'Italia al primo posto in Europa, stentava a trovare una.collocazione sul mercato a prezzi remunerativi. Il C. visse la seconda metà degli anni Venti nell'ombra di Maico Biroli (v. la voce di V. Castronovo in Diz. biogr. degli Italiani, X, pp. 632-634), consigliere delegato della società, fino a divenire nel 1929 direttore e procuratore generale. In quest'anno la Châtillon, il cui pacchetto azionario era stato assunto quasi interamente dalla Comit fin dal 1926, con una produzione di 28.000 chilogrammi giornalieri si collocava al secondo posto in Italia (alle spalle della SNIA Viscosa) coprendo il 2500 della produzione nazionale e il 400 circa di quella mondiale di filati di raion. L'anno successivo, il ritiro del Biroli permise la promozione del C. ad amministratore delegato (nel consiglio di amministrazione del 14 marzo 1930 la società cambiava la denominazione in Châtillon Società italiana per la seta artificiale).
La crisi mondiale del 1929 stava facendo frattanto sentire i suoi perniciosi effetti su un'industria tradizionalmente rivolta all'esportazione, il che aggravava le conseguenze dell'impetuoso processo di crescita del settore caratterizzato da rapida espansione degli impianti e ingente immobilizzazione di capitali (la Châtillon tra il 1924 e il 1926 aveva elevato il proprio da 75 a 200 milioni di lire), cui avevano fatto da contrappunto l'innovazione tecnologica e un imponente incremento della produttività. Dal 1930 la Châtillon non riuscì a produrre utili e a distribuire dividendi, toccando il fondo nel 1932, quando la perdita di esercizio superò i 32 milioni e mezzo di lire; da parte loro le altre aziende del gruppo, il Setificio di Pogliano (di cui il C. era consigliere delegato) e la Ditta Carlo De Sigis (che produceva nei suoi stabilimenti di Motta San Damiano e di Trino Vercellese acido solforico e solfuro di carbonio per la trasformazione della cellulosa in viscosa e di cui il C. era vicepresidente) non davano risultati migliori. A ciò si aggiungeva la crisi finanziaria della Comit, che nel 1932 - nell'ambito dell'intervento di risanamen o deciso dal governo - era costretta a cedere per 3850 milioni tutte le proprie partecipazioni industriali alla Sofindit-Società finanziaria dell'industria italiana, il cui pacchetto azionario era pariteficamente diviso tra la Banca d'Italia e la stessa Comit. La Châtillon seguì quindi la sorte delle altre aziende già di proprietà della Comit.
Assorbita nel 1933 la Sofindit dal neocostituito Istituto per la ricostruzione industriale (IRI), nell'assemblea dell'11 dicembre venne decisa la svalutazione del capitale della Châtillon da 200 a 100 milioni (contemporaneamente anche il capitale della De Sigis passò da 5 a 4 milioni): il C., rimasto amministratore delegato (dal 16 maggio 1933 la società aveva assunto la denominazione di Chátilion - Società anonima italiana per le fibre tessili artificiali), aveva provveduto a razionalizzare la produzione chiudendo l'impianto di filatura di Parabiago e cedendo lo stabilimento di Pogliano - ove si effettuavano la tintura e la confezione del filato di raion - al setificio omonimo (il valore degli impiantiscese in bilancio nel 1933 da 273 a 103 milioni, anche per effetto, dei cospicui ammortamenti messi in evidenza in quell'esercizio e non fatti figurare precedentemente), pur incrementando il livello produttivo a 30.000 chilogrammi giornalieri. Il 1934 fu l'anno della ripresa per la Châtillon, che tornò in utile e a distribuire dividendi. In quell'anno il C. ottenne dall'IMI (Istituto mobiliare italiano) un mutuo di 30 milioni rimborsabili in cinque anni che permetteva alla società di varare in piena tranquillità un piano di investimenti indirizzati verso macchinari in grado di sfornare nuovi prodotti come il fiocco di raion e la lana artificiale (lanital). Lo scoppio della guerra d'Africa e le sanzioni commerciali comminate contro l'Italia dalla Società delle Nazioni, che costringevano il nostro paese a un severo piano deIl'autarchia, costituirono per la-Châtillon - come per tutto il settore delle fibre artificiali - un'occasione per incrementare la ricerca e la produzione.
Basti pensare che mentre la produzione di raion (filati e fiocco) passava in Italia dai 37.500.000 chilogrammi del 1933 ai 70.000.000 del 1935 ai 141.000.000 del 1939, negli stessi anni il consumo interno era rispettivamente di 15.000.000 (40% del Prodotto), 37.000.000 (52,8%) e 97.500.000 (69,1%). Per far fronte alle nuove esigenze del mercato la Châtillon varava nel 1938 nuovi cospicui investimenti per la trasformazione degli impianti, che richiesero l'accensione di un nuovo mutuo decennale con l'IMI e un ulteriore aumento di capitale che passò da 100 a 125 milioni (assemblea del 25 marzo 1939), oltre che l'aumento della posizione debitoria (8 milioni in effetti con la Banca d'Italia e quasi 36 milioni con creditori diversi con un incremento del 61,3% rispetto all'esercizio precedente). Nel 1939 la Chitilion giunse a produrre circa il 30% della produzione nazionale di filato (14.500.000 chilogrammi di filato continuo e lenasel più 1.500-000 chilogrammi di filato di acetato) e il 5,5% della produzione di fiocco: questa evidente sproporzione, che sbilanciava la Châtillon in favore di un prodotto nei cui confronti la richiesta si faceva via via minore era giustificata dal C. come una esigenza di differenziazione produttiva nata in seguito agli accordi presi con le altre aziende del settore: "Come azienda controllata dall'I.R.I. essa ha di proposito differenziato la sua produzione da quella dell'industria privata, specializzandosi nella produzione di filati di titolo fine, multibave ed opachi, a forte resistenza" (Arch. centr. dello Stato, Segr. part. del duce, Cart. ordinario, fasc. 531-745).
Gli accordi di cui parlava il C. avevano portato già il 5 sett. 1931 alla costituzione della Italraion (Società anonima italiana per l'industria e il commercio dei tessili artificiali), del cui consiglio d'amministrazione egli entrò a far parte dalla fondazione, e Poi il 5 luglio 1939 a quella della Italviscosa, di cui il C. divenne consigliere delegato, che curava le vendite di raion e di fiocco di viscosa della Châtillon, della SNIA e della CISA Viscosa (Compagnia industriale società anonima Viscosa). Il C., che il 23 marzo 1939 era stato designato membro del Consiglio nazionale delle Corporazioni in rappresentanza della Federazione nazionale delle fibre tessili artificiali e il 5 maggio nominato cavaliere del lavoro, non riteneva ancora l'assetto dei settore rispondente alle esigenze dell'economia nazionale; gli accordi presi dai produttori fino ad allora erano nient'altro che "una dimostrazione di buona volontà". Proponeva perciò a Mussolini la creazione di "un ente che controllasse. in modo definitivo l'industria italiana del raion" con gli obiettivi di unificare gli studi e le ricerche per il progresso tecnico nel settore, standardizzare la produzione nei tipi e nella specializzazione per singoli stabilimenti (cosa che egli riteneva impossibile senza "accordi indissolubili" e completa comunanza di interessi), provvedere al comune approvvigionamento delle materie prime, regolare i programmi di produzione e di esportazione di concerto con il ministero per gli Scambi e le Valute. Egli indicava così i problemi che anche nei decenni seguenti angustieranno il settore, proponendo in sostanza di risolverli con la costituzione di un cartello di produttori, protetto e sorvegliato dallo Stato corporativo a causa del suo preminente interesse nazionale (Segret. part. del duce, ibid.). Che il C. avesse qualche ragione almeno nel prospettare un'ipotesi di razionalizzazione delle iniziative può essere dimostrato dal fatto che, solo per quanto riguardava l'approvvigionamento di cellulosa, l'anno precedente (1938) erano state create ben tre società, tutte con il concorso finanziario preminente dell'IRI: la Celdit-Cellulosa d'Italia (costituita pariteticamente tra IRI, Burgo e Federazione nazionale dei consorzi per la difesa della canapicoltura), la Celna-Cellulosa nazionale (con gli stessi azionisti) e, infine, la Società per lo sviluppo della produzione di cellulosa (tra IRI, Châtillon e Azienda tabacchi italiana).
Ma le indicazioni del C., che in realtà mirava ad ottenere una maggior protezione del settore, furono lasciate cadere, essendo lo Stato favorevole ad un disimpegno nel settore tessile e della cellulosa. Già nel 1936 vi era stato un tentativo non coronato da successo di trasferire al gruppo Pirelli, che esaminò le offerte dell'IRI insieme con la SNIA, la maggioranza del pacchetto azionario della Châtillon. Il successivo rafforzamento del gruppo, che controllava oltre alla De Sigis e al Setificio di Pogliano anche la Manifattura di Casale (di cui il C. era consigliere di amministrazione), l'Edilizia commerciale, l'Agenzia trasporti associati e l'Abital Abbigliamento italiano (costituita con la ragione sociale Abi Società anonima applicazioni brevettuali e industriali, e riconvertita nel 1939 alla produzione di confezioni in serie con tessuti artificiali e naturali: il C. ne divenne presidente), fu imponente. Dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale la richiesta del mercato aumentò a dismisura, assorbendo con una eccezionale richiesta i prodotti di lenasel e lenalux (lana e cotone artificiali) e superseris (fiocco di viscosa ad alta resistenza). Nel 1940 gli impianti della Châtillon "in molti reparti funzionarono per 24 ore al giorno e 365 giorni all'anno" (Taccuino dell'azionista 1941, p. 121). Per fornire all'azienda i mezzi necessari per un ulteriore sviluppo (in particolare per ovviare ai problemi di approvvigionamento di materie prime, soprattutto cellulosa) il C. chiese un aumento di capitale da 125 a 175 milioni (assemblea del 18 marzo 1941, durante la quale venne deciso di trasformare la ragione sociale in Società anonima italiana per le fibre tessili artificiali già Châtillon). Il 1941 fu un anno particolarmente felice: la produzione aumentò del 16% rispetto all'anno precedente, il fatturato del 30% (dati i prezzi più remunerativi esistenti sul mercato internazionale, che compensavano più che abbondantemente il minor ricavo sul mercato interno ove era in vigore il blocco dei prezzi), gli utili - già passati dai 12.216.062 lire del 1939 ai 16.795.865 del 1940 - superarono i 23 milioni, nonostante la forte quota di ammortamenti.
In questa situazione l'IRI ritenne opportuno riprivatizzare la società, il cui pacchetto di controllo (pari a circa il 56%) fu ceduto nel febbraio 1942 a un gruppo di lanieri (tra cui Gaetano Marzotto, Oreste Rivetti e Giuseppe Gavazzi) per un importo complessivo di 340.900 lire (175 lire per azione). Alla Châtillon l'IRI cedeva anche il complesso agricoloindustriale di Capua della Celdit, adibito alla produzione di cellulosa nobile per la fabbricazione di raion e fiocco (era giunta troppo tardi un'offerta di un gruppo industriale di Zurigo, che proponeva l'acquisto del 40% delle azioni per 252 milioni di lire in franchi svizzeri e che aveva destato l'interesse del ministro delle Corporazioni Renato Ricci: Arch. centr. dello Stato, Segreteria part. del duce, Cart. ord., 531-745). La nuova proprietà decideva di mantenere il C. come direttore generale e amministratore delegato e di aumentare il capitale a lire 275 milioni (1.000.000 di azioni da nominali 50 lire a pagamento e altrettante a titolo gratuito in ragione di due nuove ogni sette vecchie azioni): questa operazione permise nel dicembre l'incorporazione della SAIFAR (Società per azioni industriale forestale agraria romana).
Nel dopoguerra il C. dovette affrontare i problemi derivanti dai danni riportati dagli stabilimenti del gruppo: particolarmente gravi erano quelli subiti dallo stabilimento di Capua della Capuana per lo xilon, che si decise di riconvertire dalla produzione di cellulosa a quella di "pannelli ricostituiti", dal momento che per l'approvvigionamento di cellulosa la Châtillon - finito il periodo dell'autarchia - aveva stipulato convenienti contratti con ditte finlandesi e svedesi, mentre in Italia la ricostruzione richiedeva soprattutto materiali per l'edilizia. Altro problema era costituito dalla debolezza della domanda interna, per cui il C. curò particolarmente le esportazioni; nel 1948 la collocazione di filati era elevata in Cina e India e quella di fiocco in Messico.
Di questi anni, oltre a due aumenti gratuiti nominali di capitale (a 1.100.000 nel 1946 e a 5.500.000 nel 1949), sono da segnalare l'inizio della produzione su scala industriale del raion di viscosa tinto in massa (1950), la produzione nello stabilimento di Vercelli di raion per pneumatici, collocata prevalentemente all'estero (Francia, Inghilterra e Stati Uniti), il rinnovamento degli impianti per la produzione di fiocco e le ricerche e studi nel campo delle fibre sintetiche. Dal 1946 la Châtillon assunse il controllo della Rol - Raffineria olii lubrificanti (il C. ne divenne vicepresidente), nei cui due stabilimenti di Milano-Crescenzago e Tortona-Viguzzolo si trasformavano prodotti petroliferi in prodotti ausiliari per l'industria tessile e conciaria.
L'interesse per le fibre sintetiche spinse la società gestita dal C. a entrare nel settore industriale chimico con l'acquisto, nel 1952 (un anno di particolare crisi mondiale nel settore tessile, che portò a zero, per la prima volta nel dopoguerra, gli utili della Châtillon), di metà del pacchetto azionario della Applicazioni chimiche ACSA e a concludere un accordo con la Montecatini per l'utilizzo di brevetti per la produzione di filati e fibre poliammidiche, di cui iniziò nel 1954 la produzione su scala semindustriale. L'ingresso in questo campo richiedeva cospicui investimenti, che la proprietà non era in grado di effettuare: il C. guidò allora il passaggio del pacchetto di controllo del gruppo alla Edison. Tale operazione andò in porto nel corso del 1955 (l'assemblea del 29 aprile deliberò l'aumento del capitale sociale a lire 6.000.000) e costituì un importante successo personale del C. che, da quell'anno, venne nominato consigliere della Edison e presidente dell'Assolombarda, la potente associazione degli industriali della Lombardia.
Il C., divenuto nel 1957 presidente della Châtillon, che aveva assunto il controllo dei Banco lariano (egli ne divenne vicepresidente), poté procedere alla realizzazione dei nuovi programmi che prevedevano il potenziamento degli impianti per la produzione di fiocco di raion e di fibre sintetiche. I risultati non tardarono: dal 1958 la ripresa del mercato interno consentì alla Châtillon il raggiungimento di importanti risultati economici: tra il 1957 e il 1960 gli utili furono quasi quintuplicati, passando da 268.604.000 a L250-527.000 lire; in un anno, dal 1959 al 1960, il fatturato passò da 19.846 milioni a 24.240 milioni di lire (i dipendenti aumentarono da 4104 a 4475): ciò consentì il 12 marzo 1960 un aumento del capitale da 6 miliardi a 11.400.000 quasi interamente gratuito. Negli anni seguenti i risultati furono altrettanto brillanti, particolarmente nel campo della produzione di fiocco di viscosa (in cui si era colmato un ritardo risalente all'anteguerra, grazie all'Airon, fiocco ad alta resistenza prodotto a Vercelli) e di fibre sintetiche (Helion, Helast e Heliolan). Le partecipazioni del gruppo si estesero con l'acquisizione della FISAC - Fabbrica italiana seteria e affini Como e la fondazione della Castellana (che, costituita nel 1959 per la fabbricazione di biancheria femminile, incorporò nel 1961 il Setificio di Pogliano) e della Mizar, costituita nel 1963 per l'industria e il commercio di fibre tessili naturali e artificiali. In Francia, la Châtillon costituì, in compartecipazione con la Firestone (ma con propria maggioranza azionaria) la società Polyfibres, per la produzione di filati poliammidici per usi tessili e per pneumatici, di cui il C. fu nominato presidente. Nel 1964 il fatturato della Châtillon superò i 42,5 miliardi, mentre i dipendenti toccavano quasi le 7000 unità, con una produzione giornaliera di 52.000 chilogrammi di filati di raion, viscosa e acetato, 34.000 chilogrammi di fiocco di viscosa, 24.000 chilogrammi di filati poliammidici e 50.000, chilogrammi di solfuro di carbonio; il 7 marzo di quell'anno il capitale era stato elevato a 15 miliardi. Frattanto, dall'inizio degli anni Sessanta, l'azienda, forte del suo specifico know-how, si attrezzò per la fornitura di impianti all'estero: nel 1962 fu completata a Balakovo, in Unione Sovietica, una fabbrica per la produzione di cord di viscosa e un impianto analogo fu iniziato in Romania.
Frattanto, il 28 febbr. 1961 il C. - che, come presidente dell'Assolombarda, si era appena segnalato per la duttilità con'cui aveva condotto in Lombardia le trattative durante la vertenza con gli elettromeccanici, mostrando notevole indipendenza dalle direttive romane - era stato eletto alla presidenza della Confindustria, in sos.tituzione di A. De Micheli. La sua candidatura (già ventilata due anni prima dopo la sconfitta elettorale riportata alle politiche del 1958 dai candidati sostenuti dalla Confintesa), patrocinata dai tradizionali alleati Edison-SADE-Centrale-Italcementi, aveva dovuto superare qualche opposizione. Alla fine però era passata in quanto rispondeva a reali esigenze di correzione di linea dell'organizzazione imprenditoriale, che durante la gestione precedente era entrata più volte in rotta di collisione con la Democrazia cristiana, fornendo appoggi finanziari alle forze politiche di destra dentro e fuori al partito di maggioranza relativa. Cambiate le condizioni politiche e sociali del paese, mentre la situazione andava evolvendo verso la costituzione del primo governo di centrosinistra organico, si sperava che il C., cattolico fervente e devoto amico del cardinale Montini, fosse l'uomo adatto per ricucire buoni rapporti con il partito cattolico tanto da poterne influenzare le scelte: egli stesso nel discorso di insediamento, rivolto al ministro dell'Industria E. Colombo, affermava che "l'imprenditore sa che deve prestare il suo contributo per l'ordine della cosa pubblica. Perciò non si tira in disparte ed è disposto a cooperare attivamente ogni qual volta la sua capacità e la sua esperienza possono essere utilmente adoperate" (Annuario della Confindustria, 1961, p. 327). Questi intendimenti si dimostrarono ben presto vani, quando, nel corso del 1962, iniziò un duro scontro sul progetto governativo di nazionalizzazione dell'industria elettrica.
L'opposizione a questo provvedimento riuscì a coagulare momentaneamente le forze imprenditoriali, comprese quelle società - come la Montecatini, la FIAT, la SNIA Viscosa - che erano autoproduttrici di energia elettrica e nulla avevano direttamente da temere (se non l'incognita rappresentata dalle attività industriali che avrebbero intrapreso i gruppi-elettrici con gli indennizzi ricevuti dallo Stato): ma ciò che impressionò fu la virulenza della campagna condotta dalla stampa confindustriale, basata più su discutibili ragioni di principio che su motivazioni tecnicofinanziarie.
Lo stesso C. entrò più volte in lizza per condannare la politica di intervento dello Stato "nel promuovere la costituzione di nuove società, nel costruire nuovi stabilimenti, nel sottrarre affari ai privati imprenditori, senza dover giustificare a nessuno le ragioni dell'intervento, senza dar conto a chicchessia dei soldi spesi e soprattutto di quelli persi"; "a chi parla di maggiore intervento dello Stato nell'economia, a chi sostiene la programmazione vincolante o le nazionalizzazioni solo per limitare ulteriormente l'attività privata o per ragioni interne di partito, magari per trovare collocamento alle nuove leve di attivisti, dobbiamo rispondere che tutto ciò è immorale" (Confeder. generale dell'industria italiana, Annuario 1962, I, p. 317).Questa linea venne criticata all'interno stesso dello schieramento imprenditoriale; il 26 giugno 1962, in una intervista concessa al Messaggero di Roma, V. Valletta, dichiarando il governo di centrosinistra "un frutto dello sviluppo dei tempi", ammetteva che "si commettono errori… anche da parte della Confederazione dell'industria", aggiungendo che "è mia impressione che quanto prima ambienti all'interno dell'organizzazione padronale faranno pressione sui responsabili dell'attuale politica confindustriale affinché siano abbandonate certe posizioni di principio troppo rigide". Approvata nel novembre la legge di nazionalizzazione dell'industria elettrica e venute meno le ragioni della temporanea convergenza di interessi, gli imprenditori si divisero nuovamente tra quanti ritenevano che si dovesse combattere con ogni mezzo contro la realizzazione di una coalizione di centrosinistra che comprendesse anche il Partito socialista italiano e quanti (come l'amministratore delegato della FIAT, Valletta), considerandola ormai inevitabile, avrebbero preferito condizionarla dall'interno annacquandone i programmi. Ciononostante, il 28 febbr. 1963 venne riconfermato alla guida della Confindustria il C., che continuò nella sua linea rigida, che si concretava in campo sindacale in una recisa opposizione alla contrattazione articolata, sul piano politico nel proposito di "appoggiare a fondo nelle prossime elezioni l'ala dorotea della DC e il partito liberale" (L'Espresso, 24 febbr. 1963, p. 8: questa notizia smentiva l'interpretazione fornita dallo stesso settimanale il 10 febbraio circa un accordo di compromesso raggiunto tra "ala destra" e gruppi FIATMontecatini sul nome del C. sulla base di un programma più favorevole al centrosinistra).
Durante l'assemblea confederale di quell'anno non tutto però filò liscio: vi fu chi accusò la confederazione di "senescenza" e, larvatamente, il C. di pochezza per aver confessato - durante un'intervista rilasciata il 27 apr. 1962 presso l'Associazione della stampa estera (si veda il testo in F. Cicogna, Cinque anni di lotte per la libertà economica, Roma 1966, pp. 51-60) - che la Confindustria non rappresentava in Italia un "gruppo di pressione", in quanto, "data la situazione generale, ivi compresa la posizione di certi partiti, si è determinata una diffidenza verso di noi, il che esclude anche la possibilità di esercitare una pressione, perché quando si è diffidenti è difficile trattare, è difficile esercitare delle pressioni" (ibid., p. 58). Angelo Costa cercò di difendere il C. affermando l'ineluttabilità dello scarso potere degli imprenditori in sede politica: "Il fatto che il Sig. Berg [il presidente degli imprenditori tedeschi] possa parlare ad Adenauer meglio che Cicogna a Fanfani non dipende da Berg, né da Cicogna. Anch'io potevo differentemente parlare a De Gasperi e la differenza non esiste certo tra Cicogna e me, ma tra De Gasperi e chi lo circondava e Fanfani 1962 e chi lo circonda" (A. Costa, Scritti e discorsi, a cura di F. Mattei, V, Milano 1981, p. 206).
Certamente l'isolamento politico degli imprenditori italiani, che non costituivano più il "quarto partito", secondo la definizione degasperiana, era un fatto scontato. Ma che ci potesse essere un terreno di convergenza di interessi con alcuni settori del centrosinistra, nel far fallire la politica di programmazione sostenuta dal "piano" Giolitti, tardò a farsi strada nel C. come in molti altri dei vertice imprenditoriale. Del pari, pur cosciente del fatto che "un'opera di forza, oggi, in un sistema politico come il nostro, è fatta soprattutto dalle organizzazioni di massa e un sindacato può fare molto più di noi" (Cinque anni di lotte, pp. 55 s.), il C. non riusciva a concepire la possibilità di un'alleanza tra forze produttive su un programma di riforme, unica strategia forse in grado in quegli anni di contrastare l'azione di alcuni partiti politici che fondavano il loro consenso su una miriade di piccoli interessi corporativi in contrasto con l'evoluzione del paese verso un più moderno assetto industriale. Logica conseguenza della linea scelta era stata sia la ferma critica alla "nota aggiuntiva" del ministro del Bilancio La Malfa (maggio 1962), che indicava nella razionalizzazione dell'impiego dei reddito nazionale e nel controllo dell'espansione dei consumi la via maestra per il superamento degli squilibri economici del nostro paese, sia la ferma opposizione alla programmazione come delineata nel "piano" Giolitti (tra l'altro il C. in seno alla Commissione nazionale per la programmazione economica rifiutò - come del resto fecero i sindacati confederali - di fornire una fattiva collaborazione). Nel campo delle relazioni industriali, egli lottò contro ogni tentativo di allargare i diritti sindacali nelle fabbriche. Nel 1962 fu nettamente critico nei confronti dei protocolli ASAP e IRI, che aprivano nuove strade per la struttura della contrattazione prevedendone l'articolazione per settori e per azienda; nel 1965, quando in sede governativa si cominciò a discutere.intorno a uno "statuto dei lavoratori", da tradurre in legge come strumento di sostegno all'azione dei sindacato, egli si dichiarò contrario, difendendo la natura bipolare delle relazioni industriali (aveva già intrapreso questa polemica nel 1962, quando era stata varata la legge per la validità erga omnes dei contratti nazionali di lavoro). Nel marzo 1966 il C. fu sostituito nella presidenza della Confindustria da Angelo Costa, che aveva in quegli anni collaborato intensamente con lui (nel biennio 1961-62 come vicepresidente) soprattutto nella conduzione della politica contrattuale. Lasciava una organizzazione divisa al suo interno e ancora in dissonanza con il potere politico, anche se dal 1964 il giudizio del C. sul centrosinistra si era molto addolcito (nel suo discorso di congedo, il 9 marzo 1966, affermava significativamente che "la partecipazione sempre più ampia di diverse forze politiche alla condotta del paese non può che soddisfare tutti coloro che credono nella democrazia di tipo occidentale": Notiziario della Confederazione generale dell'industria italiana, XXIII [1966], p. 545), ma la responsabilità della scarsa rappresentatività dell'associazione (dai primi anni Sessanta alcune grandi aziende avevano inaugurato la prassi di mantenere singolarmente i contatti con il governo e con i partiti politici tramite i loro uffici romani), che si protrarrà ancora fino all'inizio degli anni Settanta, non era certo imputabile solo a lui.
Nominato membro della giunta esecutiva della Confindustria e presidente della Federazione nazionale dei cavalieri del lavoro, dedicò le sue energie, oltre che alla sua azienda, a iniziative sociali che gli stavano a cuore: fu presidente (come prima era stato consigliere delegato) della università commerciale "Bocconi" e munifico mecenate dell'Istituto della Sacra Famiglia di Cesano Boscone per l'assistenza ai - minorati psichici e ai vecchi cronici, del Centro di cardiochirurgia De Gasperis dell'ospedale Maggiore di Milano e della Pro Civitate christiana (amico di don Giovanni Rossi, egli era stato all'inizio degli anni Cinquanta tra i realizzatori della Cittadella di Assisi).
Nella conduzione della Châtillon il C., che fino ad allora aveva goduto della più ampia autonomia gestionale, si trovò ben presto a fare i conti con la feroce concorrenza scatenatasi sul mercato mondiale e, di riflesso, su quello italiano nel settore chimico e delle fibre chimiche.
La guerra dei prezzi costringeva le aziende ad attuare forti economie di scala aumentando il dimensionamento degli impianti (fino a certi limiti di produzione, nel settore delle fibre, gli immobilizzi richiesti in macchinario rimanevano inalterati): questo significava per la Châtillon procedere a nuovi investimenti e a una forte razionalizzazione delle produzioni. Un primo segnale di pericolo era dato dal fatto che, nel 1966, nonostante la ripresa della domanda mondiale, la percentuale dell'esportazione sulla produzione aziendale era scesa dal 68% al 55%. In Italia, la fusione effettuata in quell'anno tra Montecatini ed Edison non serviva ad attenuare la lotta per la conquista del mercato interno, che vedeva entrare in lizza, oltre alla tradizionale rivale ANIC (del gruppo ENI), la SIR di Nino Rovelli. Proprio allo scopo di impedire la scalata di questo (che aveva acquistato le azioni già in possesso, dal 1942, della famiglia Riva) al pacchetto di controllo della Châtillon, il C. nel 1967 guidò l'operazione di assorbimento dell'ACSA (con conseguente aumento del capitale da 15 a 24 miliardi). L'incorporazione di questa, che nel suo stabilimento di Porto Marghera produceva la fibra acrilica leacril e quella polivinilica leavil, portò la Châtillon al primo posto in Italia nella produzione di fibre acriliche. In quell'anno la società assumeva una partecipazione del 50% nella Pirelli Lastex-Elastofibre. Per le necessità finanziarie connesse con ulteriori ambiziosi piani di sviluppo, nel 1968 il C. ottenne un nuovo aumento di capitale a 36 miliardi. Nel 1969 la consociata Abitai incorporava la Industria confezioni Vittadello e assumeva il controllo della Vittadello spa, che a sua volta si fondeva con la Drop-Grandi magazzini dell'abbigliamento di Milano e con la Nuova moda Pitassi di Milano.
Il 1969 segnò il culmine dell'espansione della Châtillon e fu l'ultimo anno che la vide in utile. Alla fine di quell'anno la società partecipò a due nuove iniziative, la costruzione di uno stabilimento a Licata, in provincia di Agrigento (ISMA - Industria siciliana maglieria e affini), e la costituzione (al 50% con l'ANIC) di una società per la filatura di fibra modale e poliestere nella valle del Basento in Basiligata.
Il fatturato toccò in quell'anno 197,7 miliardi con una produzione di quasi 94 mila tonnellate di fibre (nel 1965 rispettivamente 44,7 miliardi e 58,2 mila tonnellate). L'anno seguente si chiuse con una perdita di esercizio di oltre 2 miliardi, che il C. giustificò agli azionisti come effetto di cause del tutto contingenti, quali il temporaneo squilibrio fra domanda e offerta sul mercato internazionale, con conseguente diminuzione dei prezzi del 15%; le agitazioni sindacali per il rinnovo del contratto di lavoro, il conseguente aumento del costo del lavoro del 25,5% sull'anno precedente; il ritardo nella consegna dei nuovi impianti, anche questo causato da agitazioni sindacali dei meccanici, che aveva impedito il programmato aumento di produzione. Ma l'anno successivo ci si accorse che la battuta d'arresto era tutt'altro che occasionale. Se la produzione aumentava da 97 a 121 mila tonnellate, il fatturato - a causa dell'ulteriore ribasso dei prezzi sul mercato europeo - saliva soltanto da 96,3 a 104 miliardi di lire; l'imponente sforzo produttivo aveva richiesto nel 1971 investimenti per altri 17 miliardi, con un ricorso a maggiore indebitamenio a breve e medio termine di quasi 36 miliardi di lire (da 56 a 92 miliardi circa). In realtà, di fronte alla sempre più agguerrita concorrenza internazionale, emergevano allora le carenze di fondo del sistema produttivo italiano del settore, basato su impianti relativamente sottodimensionati per la produzione di fibre sintetiche (la capacità media produttiva degli impianti Châtillon, preceduta in questa graduatoria da almeno trenta concorrenti, era nel 1971 di 32 milioni di tonnellate arinue contro i 133 di quello della tedesca" Bayer o 198 di quelli dell'americana Du Pont de Nemours). Inoltre, in particolare tra le aziende del gruppo Montedison (le altre erano la Polymer e la Rhodiatoce), mancava un sufficiente coordinamento per poter ottenere una razionalizzazione della produzione con adeguate economie di scala. In questa situazione l'incremento del costo del lavoro, che prese il via con l'"autunno caldo" sindacale del 1969 (alla Châtillon in un anno era passato da poco più di 22 miliardi a quasi 28), eliminando un altro fattore della competitività delle merci italiane sul mercato internazionale, costituì la goccia che fece traboccare il vaso. Ritenendo ormai improcrastinabile una radicale riorganizzazione del settore, il nuovo presidente della Montedison, Eugenio Cefis, decise di togliere ogni autonomia alla Châtillon ormai in crisi (tra le aziende da questa possedute le più disastrate erano la catena di magazzini Drop, La Castellana, l'Abital e l'Ente tessile italiano ETI, ex Valle Susa di Felice Riva, che figurava nel portafoglio della Montecatini e della Châtillon dalla fine del 1965). Fu così costituita nel 1972 - mediante l'incorporaziorie nella Châtillon della Rhodiatoce (di cui il C. era vicepresidente), della Polymer e della Sinteco - la Montedison Fibre (Montefibre), ma il C., ormai più che ottantenne, dovette lasciare ad altri la presidenza.
Da quell'anno egli rimase presidente del Banco lariano e consigliere delle Cartiere Burgo. Mantenne questi incarichi, insieme con la presidenza dell'università "Bocconi" e della Federazione nazionale cavalieri del lavoro, fino alla morte avvenuta a Milano il 26 dic. 1975.
Fonti e Bibl.: Oltre ai necrologi apparsi sui quotidiani italiani (in particolare, Il Sole24Ore, 27 dic. 1975), si vedano: Artefici del lavoro italiano, Roma 1956, p. 179; Chi è? 1961, Roma 1961, p. 173. Il Chi è? nella finanza italiana 1962, Milano 1962, pp. 199 s.; Il Chi è nella vita economica italiana per il MEC 1967, Milano 1967, p. 176, Il Chi è? nella vita economica 1972, Milano 1972, p. 172; D. Ferrari, Il bocconiano Cicogna imprenditore illuminato, in Il Sole24Ore, 11 febbr. 1986. Sul C. e sulla sua attività alla Châtillon, oltre alle Notizie statistiche sulle società per azioni, curate dalla Associazione fra le società per azioni, XIXXXV, Roma 1928-1973 (sotto il nome della Châtillon e delle altre società menzionate) e al Taccuino dell'azionista, I-XXII, Milano 1937-1973, sono da consultare: Roma, Arch. centr. dello Stato, Segreteria particolare dei duce, Carteggio ordinario, fasc. 531745; 205051; 514526; R. Tremelloni, L'industria tessile italiana come è sorta, e come è oggi, Torino 1937, pp. 175-184 e passim; A. Campolongo, Le industrie tessili in Italia nel quinquennio 1934-38, 4. Fibre tessili artificiali, in La Vita economica italiana, XV (1940), n. 2, pp. 15-23; Federazione nazionale fascista degli esercenti l'industria delle fibre tessili artificiali, L'industria nazionale delle fibre tessili artificiali, Roma 1942, pp. 25 s., 50 s., 100, 103, 114, 117, 121 e passim; P. Saraceno, Origini, ordinamenti e attività svolta, in Ministero dell'Industria e del Commercio, Istituto per la ricostruzione industriale - I.R.I., III, Torino 1956, pp. 48, 62; B. Caizzi, Storia dell'industria italiana dal XVIII secolo ai nostri giorni, Torino 1965, ad Indicem; G. Ragozzino, Una mappa del grande capitale in Italia, in Rassegna sindacale. Quaderni, VII (1969), n. 23, pp. 41, 48 s., 60; U. Supino, Struttura e prospettive del settore delle fibre artificiali e sintetiche in Italia, Roma 1968, passim; L'industria chimica, a cura della R & S, Milano 1970, pp. 16- 17, 27-41, 124, 139, 160, 169, 177- 181; Le fibre chimiche, a cura della R & S, Milano 1972, pp. 17-21, 25, 27-28, 30-40, 43, 50, 58-62, 66, 68, 72, 74 s.; E. Scalfari-G. Turani, Razza padrona. Storia della borghesia di Stato, Milano 1974, ad Indicem; V. Castronovo, Imprese ed economia in Piemonte dalla "grande crisi" a oggi, Torino 1977, ad Indicem; E. Cianci, Nascita dello Stato imprenditoriale in Italia, Milano 1977, pp. 150, 186; M. Marconi, La politica monetaria fra stabilizzazione della lira e grande depressione, in Banca e industria fra le due guerre, I, Bologna 1979, pp. 62 s.; P. Saraceno, Salvataggi bancari e riforme negli anni 1922-1936, ibid., II, ibid. 1979, pp. 31-48; F. Cesarini, Alle origini del credito industriale: la gestione dell'IMI dalla costituzione ai provvedimenti per l'autarchia (1931-1938), ibid., p. 130. Sull'attività del C. presidente della Confindustria: Confederazione generale dell'industria italiana, Notiziario, anni 1961-1966; Id., Annuario, anni 1961-1966; E. Scalfari, Rapporto sul neocapitalismo in Italia, Bari 1961, pp. 42 s., 117; C. Meynaud-C. Risé, Gli industriali e la politica in Italia e in Francia, in Nord e Sud, IX (1962), n. 30, pp. 19, 32; J. Lapalombara-G. Pirzio Ammassari, L'intervento elettorale della. Confindustria, in Partiti politici e strutture sociali in Italia, a cura di M. Dogan e O. M. Petracca, Milano 1968, pp. 249-271; L. De Carlini, La Confindustria, in AA.VV., La politica del padronato italiano dalla ricostruzione all'"autunno caldo", Bari 1972, pp. 57, 74 S.; S. Turone, Storia dei sindacato in Italia (1943-1969), Bari 1973, pp. 349 s., 370; D. Speroni, Il romanzo della Confindustria. Dal 1910 al 1975, Milano 1975, ad Indicem; G. Pirzio Ammassari, La politica della Confindustria, Napoli 1976, ad Indicem; G. Galli, Storia della Democrazia cristiana, Bari 1978, p. 271; G. Provasi, Borghesia industriale e Democrazia cristiana, Bari 1979, pp. 181, 183 s., 202 s., 208-24; Sindacato industria e Stato negli anni dei centro-sinistra. Storia delle relazioni industriali in Italia dal 1958 al 1971, III, a cura di F. Peschiera, Firenze 1983, ad Indicem. Si veda anche la voce di C. Cassani-P. Craveri, Costa, Angelo, in Diz. biogr. degli Italiani, XXX, pp. 144-162.